VALENZI, Maurizio
VALENZI, Maurizio. – Nacque a Tunisi il 16 novembre 1909 in una famiglia ebraica di origine livornese, da Amedeo Valensi (il cognome originale recava la ‘s’ ma in Italia nel 1944 fu trascritto per errore con la ‘z’), commerciante all’ingrosso, e da Pia Bensasson, casalinga; pochi anni dopo nacque la sorella, Anita (1912-2001).
La famiglia era ben inserita nella comunità italiana tunisina, all’interno della quale gli ebrei rappresentavano la borghesia professionale. A Tunisi frequentò il liceo italiano Vittorio Emanuele II insieme a Loris Gallico, Michele Rossi e Ferruccio Bensasson, in seguito inseparabili compagni di vita e di lotta politica. Conseguito il diploma, nel 1928, s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza della Regia Università di Roma. L’aver sostenuto tre esami in due anni insieme alla disposizione del governo francese di riconoscere per l’esercizio della professione di avvocato solo le lauree conseguite in Francia lo spinsero ad abbandonare gli studi per dedicarsi all’impresa di famiglia. Nel contempo iniziò a coltivare la passione per la pittura. Frequentò l’École des Beaux-arts di Tunisi, diretta da Armand Vergeaud, e sotto l’influenza del livornese Moses Levy aderì alle correnti dell’avanguardia del primo Novecento con Antonio Corpora e Jules Lellouche. La prima mostra, organizzata con Corpora nel 1931 presso la società Dante Alighieri di Tunisi, riscosse un discreto successo tanto che con il ricavato poté prendere in affitto, sempre con Corpora, uno studio in via Margutta a Roma presto frequentato, tra gli altri, da Alberto Moravia, Fausto Pirandello, Carlo Levi, Adriana Pincherle. I proventi dell’attività artistica tuttavia non gli consentirono di restare a Roma a lungo. Nel 1932 rientrò a Tunisi, portando con sé l’immagine nitida, sperimentata personalmente in diverse occasioni, del contesto repressivo e delle reali condizioni degli italiani sotto il regime fascista.
La Tunisia che trovò era un Paese in fermento politico e sociale. Alle agitazioni indipendentiste si aggiungevano una severa crisi alimentare e i conseguenti disordini. La nazione del Nord Africa, inoltre, era diventata luogo di riparo o transito di fuoriusciti per motivi politici, che negli anni Trenta coincidevano sempre più con gli antifascisti italiani. In questo clima il suo avvicinamento all’antifascismo fu espressione di una vicenda collettiva: alle iniziali azioni goliardiche seguì l’adesione al Partito comunista tunisino (PCT) di diversi giovani italiani residenti a Tunisi. Nel 1935 fu la volta di Valenzi che, con Gallico, divenne membro del comitato centrale e, in questo ruolo, provò a contrastare legalmente la penetrazione del fascismo nella comunità italiana, illudendosi di ricevere l’aiuto del Fronte nazionale francese. Seguì a breve l’avvicinamento alla Lega italiana per i diritti dell’uomo, inaugurata a Tunisi dal rifugiato antifascista Giulio Barresi e legata alla sezione francese dell’Internazionale operaia. Frutto di quest’esperienza fu la pubblicazione del settimanale L’Italiano di Tunisi, per la redazione dei cui articoli Valenzi conobbe le condizioni di lavoro e di sfruttamento della manodopera italiana e araba, specie quella rappresentata dai beduini, dai braccianti e dai raccoglitori di olive del Sud tunisino. Di fronte alle sofferenze di così tanta gente la passione per la pittura cedette il passo all’impegno politico.
A rafforzare l’attivismo nella lotta antifascista influì l’assassinio di Giuseppe Miceli, falegname ventiduenne segretario de L’Italiano di Tunisi, per mano di una squadra di cadetti fascisti (1937). Le forti reazioni all’omicidio, fatte di proteste e scioperi, attirarono l’attenzione anche del Partito comunista italiano (PCI) con cui Valenzi aveva già avuto contatti durante i suoi viaggi a Parigi per conto del PCT. Nel 1936 aveva conosciuto Giorgio Amendola ed Eugenio Reale, nel 1937 aveva lavorato alla redazione parigina de La voce degli italiani, diretto da Giuseppe Di Vittorio, e nel 1938, Amendola, Velio Spano e Antonio Cabrelli furono inviati a Tunisi per seguire l’attività dei comunisti italiani. Spano arrivò ad assumere la direzione del PCT, mentre Gallico e Valenzi lavorarono nell’ufficio politico del partito.
Le iniziative del regime fascista continuavano a condizionare l’attività degli italiani del PCT. In risposta alla promulgazione delle leggi razziali Valenzi pubblicò, con lo pseudonimo di Andrea Mortara, un lucido pamphlet contro l’antisemitismo, mentre nel periodo d’incertezza causato dalla neutralità italiana rispetto al secondo conflitto mondiale si dedicò al privato. Nel dicembre del 1939 sposò Litza Cittanova (1917-2006), figlia di Jacques, massone ebreo italiano, naturalizzato francese. Litza apparteneva alla buona borghesia coloniale, aveva frequentato le scuole francesi, il conservatorio e la Sorbona, dove era diventata insegnante d’italiano. I due si conoscevano da tempo, ma solo durante il soggiorno parigino del 1937 Valenzi la vide con nuovi sentimenti, finendo per innamorarsene. Rientrata a Tunisi, anche Litza aveva aderito alla lotta antifascista insieme alla sorella Delia e ai fratelli, Louis e André.
L’entrata dell’Italia in guerra comportò il rastrellamento e la deportazione in campi di prigionia della popolazione maschile italiana residente in Tunisia. Questa condizione terminò con l’insediamento del governo di Vichy, che di contro mise in atto una feroce caccia agli antifascisti. Valenzi visse in clandestinità fino all’arresto del 28 novembre 1941. Accusato di adesione al comunismo, opposizione al colonialismo e di aver incoraggiato il sabotaggio operaio dell’arsenale militare di Biserta, fu condannato all’ergastolo, torturato con l’elettricità e spostato di prigione in prigione fino a quella algerina di Lambése. Con lo sbarco degli anglo-americani gli antifascisti italiani furono liberati e impegnati in operazioni di propaganda.
Il 7 maggio 1943 anche la Tunisia tornò libera e Valenzi raggiunse nella capitale Litza, che pure aveva vissuto l’esperienza delle carceri e della clandestinità, e il figlio Marco, nato nel gennaio del 1941. Il soggiorno fu interrotto da un telegramma in cui Spano e Reale chiedevano a Valenzi di recarsi a Napoli. Alla fine di gennaio del 1944, clandestino su un aereo dell’aviazione britannica, atterrò in Puglia per poi dirigersi verso il capoluogo campano. Lavorò da subito nella federazione cittadina di San Potito, occupandosi principalmente di tenere i rapporti con il Comitato di liberazione nazionale. Collaborò, inoltre, all’edizione meridionale dell’Unità e fece da riferimento per i ‘comunisti d’Africa’ che arrivavano in città (tra i più cari a Valenzi i fratelli Loris, Ruggero, Diana e Nadia Gallico, Rossi e Marco Vais). Da Mosca, invece, nel marzo del 1944 giunse a Napoli Palmiro Togliatti e Valenzi, ricevuto l’incarico di stare accanto al segretario evitando che commettesse imprudenze, condivise con lui un appartamento in via Broggia, divenendo testimone diretto della ‘svolta di Salerno’.
Dopo la guerra scelse di stabilirsi definitivamente a Napoli, apprezzandone lo spirito d’accoglienza e l’animo cosmopolita al centro del Mediterraneo. Litza e Marco lo avevano raggiunto e fu qui che nel 1952 sarebbe nata la seconda figlia, Lucia. A circa quarant’anni iniziò la nuova vita italiana di Valenzi, caratterizzata dal lavoro nel PCI (da vicesegretario nella federazione napoletana – vicino al gruppo dei ‘miglioristi’, tra cui Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano – a membro della commissione centrale di controllo e successivamente componente del comitato centrale) e nelle istituzioni. Fu candidato all’Assemblea costituente nel 1946 e alle politiche del 1948 ma non fu eletto. Lo fu a consigliere provinciale di Napoli (1952) e a senatore della Repubblica per tre tornate elettorali successive (1953, 1958 e 1963). A palazzo Madama s’interessò dei temi di politica internazionale, specie quelli legati al mondo arabo e al Mediterraneo. Poté mettere a frutto queste sue attitudini ancor più nell’ultima legislatura, come segretario della Commissione permanente degli Affari esteri. Lasciò il Senato a cinquantotto anni, nel pieno della maturità politica.
Nella breve pausa che seguì riprese la pittura, a cominciare dalla rielaborazione dei disegni della prigionia (di seguito raccolti nel volume I disegni di Lambése: con un racconto autobiografico, Milano 1975), e organizzando mostre (nel 1973 la personale a Napoli presso la libreria Macchiaroli, a cui seguirono nel 1978 l’esposizione presso la galleria L’Indicatore di Roma e nel 1979 la mostra antologica a Urbino). La pittura fu una passione carsica, mai del tutto abbandonata, che affiorava con più insistenza ogniqualvolta i vincoli degli impegni politici si allentavano. Lo testimoniano anche i continui e duraturi legami, tra gli altri, con Sebastian Matta, Emilio Notte, Renato Guttuso e Carlo Levi.
Nel 1970 riprese l’attività politica nelle istituzioni locali. L’elezione nel Consiglio comunale di Napoli, dopo essere stato anche consigliere comunale di Forio d’Ischia dal 1964 al 1970, fu il passo iniziale di un percorso che lo avrebbe condotto a essere sindaco della città dal 1975 al 1983. La giunta nacque con il voto tecnico dei democristiani, guidati da Antonio Gava, che puntavano a ridurre il consenso elettorale del PCI in città mettendo il partito alla prova del governo locale. Aspettativa elusa. Primo sindaco comunista a sedere a palazzo S. Giacomo, dopo gli anni del laurismo e del dominio della Democrazia cristiana (DC), con rimarchevoli capacità di ascolto, l’avversione ai settarismi e il dialogo costruttivo con tutte le anime politiche presenti in consiglio, riuscì a tenere in piedi maggioranze precarie chiamate ad affrontare eccezionali avversità. Infatti, ai vecchi mali della città (disoccupazione, abusivismo edilizio, deficit comunale, sanità ecc.) si sommarono gli effetti distorsivi della recessione economica che colpì l’Occidente, del terrorismo e il terremoto del 1980. Fu proprio questo evento che Valenzi ricordava come il più difficile dell’esperienza di sindaco, ma anche quello in cui riuscì nel suo intento di fare del Comune un punto di riferimento per tutti i napoletani. Nominato commissario straordinario per la ricostruzione insieme al presidente della Regione Emilio De Feo, ebbe modo di gestire solo i primi anni del post-terremoto. Infatti, vittorioso alle elezioni comunali del 1980, perse la maggioranza nell’agosto del 1983. La storia della città e la ricostruzione assunsero traiettorie differenti rispetto a quelle auspicate e avviate da Valenzi e dalla sua giunta.
La sindacatura ha rappresentato l’impegno politico rimasto più diffusamente associato alla figura di Valenzi: sia nella memoria della città – in cui si mosse portando nei quartieri, anche nei più popolari, esperienze culturali e sociali innovative (Estate a Napoli, Scuola aperta, Cinema e giovani, Benvenuti a Napoli) – sia in Italia e all’estero. Alla base delle politiche di governo cittadino vi era la convinzione di Valenzi di considerare inaccettabile la tendenza a valutare Napoli in termini caricaturali/folkloristici piuttosto che fare leva sulle sue capacità di ripresa sociale e culturale. Posizione, questa, maturata dal legame organico intessuto con la città. L’attività di partito aveva consentito a Valenzi di conoscerne a fondo il mondo operaio, ma altrettanto forte fu il rapporto intessuto con l’élite culturale partenopea. Dal dopoguerra aveva stretto solidi legami con personaggi quali il matematico Renato Caccioppoli, l’architetto Luigi Cosenza, l’editore Gaetano Macchiaroli, lo scrittore Domenico Rea; inoltre, fu assiduo frequentatore dello studio del pittore Paolo Ricci, crocevia di intellettuali locali e internazionali.
Forte fu anche l’impegno delle giunte Valenzi a fare di Napoli una città cosmopolita, aprendola a scambi, gemellaggi e portando le arti partenopee nel mondo (tra le altre città Parigi, Baku, New York). Tale impegno, insieme all’attività svolta nella lotta di liberazione contro il governo di Vichy, motivò il conferimento della Légion d’honneur da parte del governo francese di François Mitterrand (1984).
Valenzi concluse l’attività istituzionale con l’elezione al Parlamento europeo nel 1984, dove tornò a occuparsi di politica internazionale: per due volte, fu membro della delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb. In veste di componente della Commissione per la politica regionale e l’assetto territoriale, invece, si adoperò per l’approvazione dell’Operazione integrata Napoli.
Terminato il mandato a Strasburgo, il salotto privato di Valenzi diventò luogo di ritrovo di politici, artisti, intellettuali. Si discuteva del PCI e spesso della scarsa democraticità interna – aspetto sempre condannato da Valenzi – o dell’opportunità di cambiare nome al partito per distinguerlo da quelli che, in Asia ed Europa dell’Est, si erano macchiati di crimini efferati. Si discuteva anche di Napoli, dei suoi problemi, delle possibili soluzioni e del sogno interrotto di volerne fare una città internazionale. Non mancò neppure in quest’ultimo periodo l’interesse per la pittura. In occasione dei suoi novant’anni il Maschio Angioino fu sede di un’ampia mostra antologica a lui dedicata e tutt’oggi ospita la mostra permanente «Da Guttuso a Matta. La collezione Valenzi per Napoli», insieme alla fondazione che ne porta il nome.
Morì ad Acerra il 23 giugno 2009.
Opere. Tra le principali si segnalano: Le cause profonde della tragedia spagnuola, Tunisi 1937; Ebrei italiani di fronte al razzismo, Tunisi 1938 (con lo pseudonimo di Andrea Mortara); Esercito e popolo: parole ai nostri soldati, Napoli 1944; Solidarietà coi popoli arabi: a proposito della strage di Sakiet-Sidi-Youssef, Roma 1958 (con V. Spano - A. Cianca); L’Italia dalla monarchia alla repubblica, Milano 1975 (con C. Salinari - M. Palermo); M. V. sindaco a Napoli, intervista di Massimo Ghiara, Roma 1978; Un compito difficile ma esaltante, in Lo spazio della città. Trasformazioni urbane a Napoli nell’ultimo secolo, a cura di F. Cassano - M. Conte - D. Lepore, Napoli 1981; C’è Togliatti! Napoli 1944. I primi mesi di Togliatti in Italia, a cura di P. Gargano, Palermo 1996; M. V. La vita avventurosa di un uomo mite, a cura di N. Bruno - G. Cerchia, Napoli 2005, con intervista biografica a cura di G. Cerchia; I miei primi giorni da sindaco di Napoli, a cura di L. Valenzi, Ariccia 2016.
Fonti e Bibl.: Le sue carte private sono custodite a Napoli dalla Fondazione Valenzi. Ulteriore documentazione si trova nel Fondo Valenzi presso l’Istituto campano per la storia della Resistenza, dell’antifascismo e dell’età contemporanea. Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, dove è presente il fascicolo con il suo nome originario (Valensi M. Maurizio).
A. Wanderlingh, M. V.: un romanzo civile, Napoli 1988; Italiani e antifascisti in Tunisia negli anni Trenta. Percorsi di una difficile identità, a cura di L. Valenzi, Napoli 2008; M. V. Testimonianze per una vita straordinaria, a cura di L. Valenzi - R. Pace, Napoli 2009; L. Valenzi, Qualcosa su mia madre, Napoli 2013. Su Valenzi pittore: M. V. I colori di una vita, Pozzuoli 1999; M. V. Arte e politica, a cura di C. Strinati, Napoli 2012.