MAURIZIO
– Non si hanno notizie sulle sue origini né sulla data di nascita, che, in via presuntiva, è da collocare all’ultimo quarto dell’XI secolo. Come per gli altri vescovi siculo-normanni dello stesso periodo, M. è sostanzialmente solo un nome, sul quale tuttavia si è esercitata molto la storiografia locale.
È stato sempre considerato, secondo la tradizione, l’immediato successore di Angerio e quindi il secondo vescovo di Catania dopo la conquista normanna e la rifondazione delle diocesi in Sicilia. Come per tutti i vescovi catanesi fino al 1166, è ritenuto indubbio che fosse un monaco benedettino ed è probabile che la sua provenienza e formazione fossero all’interno della tradizione monastica catanese, legata al monastero di S. Eufemia in Calabria e a quello di St-Evroul in Normandia.
Compare per la prima volta, come vescovo di Catania e abate del monastero e cattedrale di S. Agata, in un sigillion di Ruggero II d’Altavilla del dicembre 1125, conservato in una copia posteriore e in una traduzione latina. Secondo le poche notizie ricavabili da questo documento, considerato sostanzialmente attendibile, M. accompagnato dai monaci della cattedrale di Catania si era recato a Messina nel palazzo di Ruggero II per chiedergli nuove terre, necessarie al pascolo degli animali appartenenti alla Chiesa catanese. La concessione disposta da Ruggero accresceva i diritti episcopali nel territorio di Mascali, con l’esclusiva del pascolo sulla montagna, la libertà di pesca nel mare antistante e la franchigia per il trasporto di legna, pece e pesce a Catania per le barche della Chiesa.
M. è ricordato soprattutto in rapporto alla traslazione del corpo di s. Agata, di cui sarebbe stato protagonista secondo quanto narra una sua opera pervenuta attraverso successive rielaborazioni, il cui codice più antico rimasto appartiene alla seconda metà del XV secolo, della quale esiste anche una redazione seicentesca in volgare (Bibliotheca hagiographica Latina, n. 139). Gli è stato sempre riconosciuto il merito di avere riportato a Catania le reliquie della santa patrona della città e della sua Chiesa, contribuendo alla costruzione dell’identità cittadina.
A M. stesso è concordemente attribuita la narrazione degli avvenimenti e l’epistola che fa da proemio, la cui datazione al 1126 coincide con quella del documento di Ruggero, considerato che l’anno dell’era bizantina aveva inizio al 1° settembre.
Secondo la narrazione, dopo una prima traslazione del corpo di s. Agata da Catania a Costantinopoli ai tempi della spedizione del catapano bizantino Giorgio Maniace in Sicilia (1040), l’apparizione della santa in sogno avrebbe indotto due soldati dell’esercito imperiale, il provenzale Gilberto e il calabrese Goselino, a trafugare le reliquie e riportarle in Sicilia. Appena informato M., il quale si trovava nel castello di Aci, mandò due monaci a Messina a prendere il corpo della santa, che egli pose in una nuova cassa e riportò a Catania il 17 agosto con una processione a piedi nudi e in bianche vesti, con canti e con candele tenute sempre accese. Vuole la tradizione che M. compose anche l’officio de traslatione in uso antico della Chiesa catanese.
Con quella di altri prelati, la sua sottoscrizione appare in alcuni documenti di fondazione di nuove chiese o diocesi siciliane, non sempre di sicura autenticità, e il suo nome viene ricordato in qualche iscrizione e nella tradizione: nel 1126 per la consacrazione di S. Maria de Iosaphat a Paternò; nell’ottobre 1131 nella rinuncia dell’arcivescovo di Messina Ugo a una parte del suo territorio per l’istituzione della diocesi di Cefalù; ancora nel 1131 per la consacrazione della chiesa catanese di S. Caterina.
Nessun altro dato è noto sulla durata del suo episcopato e sulla sua morte, che solo un’ipotesi priva di fondamento ha collocato verso il 1140.
La Translatio corporis sanctae Agathae fu edita in: O. Gaetano, Vitae sanctorum Siculorum, I, Panormi 1657, pp. 53-60; Acta sanctorum Februarii, I, Antverpiae 1658, coll. 637-643; R. Pirri, Sicilia sacra, I, Palermo 1733, pp. 525-528.
Fonti e Bibl.: F. Ferrara, Storia di Catania, Catania 1829, p. 39; G. Scalia, La traslazione del corpo di s. Agata e il suo valore storico, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, XXIII-XXIV (1927-28), pp. 38-128; C. Naselli, Letteratura e scienza nel convento benedettino di S. Nicolò l’Arena di Catania, ibid., XXV (1929), pp. 258-260; H. Bresc, Dominio feudale, consistenza patrimoniale e insediamento umano, in Chiesa e società in Sicilia. L’età normanna, a cura di G. Zito, Torino 1995, pp. 95 s.; N. Kamp, I vescovi siciliani nel periodo normanno: origine sociale e formazioni spirituali, ibid., pp. 67, 74; E. Pispisa, Il vescovo, la città e il Regno, ibid., pp. 142, 147; G. Spinelli, Il monachesimo benedettino della Sicilia orientale nella prima età normanna, ibid., p. 173; S. Tramontana, S. Agata e la religiosità della Catania normanna, ibid., p. 197; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, p. 531.