Bolognini, Mauro
Regista cinematografico e teatrale, nato a Pistoia il 22 giugno 1922 e morto a Roma il 14 maggio 2001. Nella sua attività si mantenne spesso fedele, quanto a fonti di ispirazione, alla letteratura, in particolare alla narrativa fra Ottocento e Novecento, scegliendo del Novecento narratori come V. Pratolini, V. Brancati e A. Moravia. Nel trasferirli sullo schermo, B. diede prova di una sensibilità espressiva che privilegiava lo scavo psicologico senza dimenticare la dialettica dei conflitti sociali. Non a caso si è valso spesso di sceneggiatori che fossero anche narratori, come Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, lo stesso Pratolini. La sua è una testimonianza rilevante del miglior cinema italiano tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per quanto riguarda i rapporti di sintonia fra cinema e narrativa. Laureatosi in architettura a Firenze, si trasferì a Roma nel 1949 per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Assistente di Luigi Zampa e, in Francia, di Yves Allégret e Jean Delannoy, esordì nel 1953 con Ci troviamo in galleria, film onesto e leggero come i successivi realizzati fino al 1958. Fu infatti sulla svolta fra i due decenni, grazie all'incontro con Pasolini, soggettista e sceneggiatore (Marisa la civetta, 1957; Giovani mariti, 1958; quindi La notte brava, 1959, e, ancora, La giornata balorda, 1960), che B. compì un improvviso salto di qualità, partendo da soggetti non più condizionati dalle esigenze del mercato ma di aperta e vissuta ispirazione letteraria. Concentrò così la propria attenzione sui caratteri lirici dei temi assunti, vite di giovani borghesi di provincia sorpresi nel passaggio dalla giovinezza alla maturità, o di proletari travolti nei crudi rovesci della vita romana di periferia. Fu sempre Pasolini, insieme a Gino Visentini, a offrirgli la sceneggiatura di Il bell'Antonio (1960) dall'omonimo romanzo di Brancati. Con questo film B., attraverso un uso sapiente del bianco e nero, insieme morbido e scandito, toccò forse la sua riuscita più alta. Proprio Il bell'Antonio prova come un rapporto di fedele infedeltà con il testo letterario rappresenti sempre per il regista il felice punto di partenza per cogliere, con ambiguità e suspense, la verità poetica della vicenda da filmare e dare volto persuasivo ai personaggi. Su questa strada va a inserirsi la prova successiva di B., La viaccia (1961), dal romanzo L'eredità del toscano M. Pratesi, alla cui sceneggiatura collaborò Pratolini. Anch'esso considerato una delle prove più raffinate di B. per la ricostruzione d'ambiente, una fine Ottocento decantata dalla fotografia sempre in bianco e nero di Leonida Barboni e dai costumi di Piero Tosi, ebbe per protagonista una giovane, ardente Claudia Cardinale. Il film trovò, nella qualità visiva, nel montaggio e per la prova dell'attrice, una drammaticità e una inquietudine esistenziale da farne l'esempio di come un romanzo possa specchiarsi in un efficace corrispettivo cinematografico del tutto autonomo e insieme parallelo.Nel 1962 B. realizzò Agostino tratto dall'omonimo romanzo breve di Moravia, e Senilità ricavato da I. Svevo, trasferendone la vicenda dall'ultimo Ottocento alla fine degli anni Venti. Tutte le prove successive, nel corso degli anni Sessanta, furono decisamente minori. Nel nuovo decennio l'unico film di B. degno di nota fu Metello (1970) dall'omonimo romanzo di Pratolini, esempio di fedele ricostruzione storica della lotta di classe nella Firenze tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Negli anni Settanta, un indebolimento di ispirazione portò B. a privilegiare sempre di più le qualità figurative dei propri film invece della drammaturgia, trovando nell'operatore Ennio Guarnieri un collaboratore attento ed elegante. I film di questo periodo, ambientati sempre fra tardo Ottocento e primi del Novecento, furono: Bubú (1971) la cui vicenda di miseria e di sifilide tratta da Bubu de Montparnasse di Ch.-L. Philippe veniva impaginata in una belle époque milanese liberamente inventata dalla sceneggiatura di G. Testori; Fatti di gente perbene (1974), sul processo, celebrato a Torino nel 1905, a Tullio Murri, figlio di un celebre clinico, reo di avere ucciso il cognato a causa di un probabile rapporto incestuoso con la sorella; e Libera, amore mio! (1975), imprevedibile e isolato tentativo di cinema politico ambientato nell'Italia tra fascismo e resistenza, sceneggiato da Luciano Vincenzoni. La risposta non entusiasta del pubblico a questo film (bloccato dalla censura per due anni: era stato girato nel 1973) convinse B. a tornare alle opere letterarie realizzando Per le antiche scale (1975) dal romanzo omonimo di M. Tobino. Tentò poi, con esiti problematici, il genere grottesco (Gran bollito, 1977), quindi si rifece alla commedia già frequentata agli esordi con Sarò tutta per te (episodio di Dove vai in vacanza?, 1978). Altri film degni di menzione sono: La storia vera della Signora dalle camelie (1981), biografia romanzata del noto personaggio di A. Dumas figlio, e Mosca, addio (1987), dedicato alla rivendicazione dei diritti civili in URSS.
Tra le regie non cinematografiche si ricordano: Tosca di G. Puccini (1964; 1990), Ernani (1965) di G. Verdi, e Norma di V. Bellini (1975) nella lirica; quindi, Ritorno a casa (1974) di H. Pinter e lo shakespeariano Sogno di una notte di mezza estate (1975) nella prosa. B. lavorò anche per la televisione, firmando, sempre nella fedeltà alla letteratura, due sceneggiati: La Certosa di Parma (1982) dal romanzo di Stendhal, e Gli indifferenti (1989) da Moravia. Diede l'addio al cinema con La villa del venerdì (1991), ispirato di nuovo a uno degli ultimi racconti di Moravia dal titolo omonimo.
Letteratura e cinema nell'opera di Mauro Bolognini, a cura di G.P. Brunetta, Roma 1977.
Berenice, Bolognini. Percorsi della memoria, Pistoia 1993.
C. Bragaglia, Il piacere del racconto. Narrativa italiana e cinema (1895-1990), Firenze 1993.
Mauro Bolognini. Il fascino della forma, Roma 1995.