CALÌ, Mauro
Nato a Malta, in data sconosciuta, da famiglia locale di origine greca, fu monaco benedettino. Abate del monastero di S. Ambrogio de Ranchia, nella diocesi di Sarsina, il 4 luglio 1393 venne nominato da Bonifacio IX vescovo di Malta, succedendo ad Antonio Vulponno. Martino il Giovane fece contemporaneamente eleggere un vescovo d'obbedienza avignonese, Giovanni de Pino, cui successe Nicolò Papalla. Per riflesso del grande scisma si costituiva così una duplice gerarchia episcopale, ignorata da tutti i biografi, che sono pertanto incorsi in vari errori. La morte del Papalla, cui subentrava Andrea de Pace, consentì al C. di prendere nel 1398 effettivo possesso della diocesi, rimasta fino allora in mano avversaria.
Martino, distanziandosi dalle linee della politica ecclesiastica del padre omonimo, re d'Aragona, andava intanto avvicinandosi a Bonifacio IX, tanto che al C. veniva affidata la decisione su alcune controversie ecclesiastiche. Nel 1404 il C. non solo era ormai riconosciuto ufficialmente dal re vescovo di Malta, ma aveva anzi raggiunto a corte una posizione di qualche rilievo. Il 15 marzo Martino I rimetteva al C., divenuto regio cappellano e oratore maggiore, la decisione su una controversia, nella quale era parte l'arcivescovo di Palermo. Il 27 marzo il re ordinava di versare al vescovo 50 fiorini in pagamento di alcuni remi e pavesi venduti alla corte. Il 9 giugno 1404 Martino comunicava poi al maestro portolano di avere concesso al C. la libera estrazione dal porto di Malta di cento tratte di frumento. Il documento, nominando espressamente il C., elimina ogni possibile dubbio sull'identità del vescovo maltese.
Nel 1408 Gregorio XII, d'accordo con Martino I, lo trasferiva all'importante e ricca diocesi di Catania. Il 10 giugno i vescovi di Siracusa e di Patti erano delegati dal papa a riceverne il giuramento di fedeltà. Il 15 successivo fra' Giuliano da Trapani versava in suo nome alla Camera apostolica 1.200 fiorini. Somma indicativa delle dimensioni, non soltanto economiche, della nuova posizione raggiunta dal C., se rapportata agli 85 fiorini personalmente promessi dal vescovo di Malta il 23 dic. 1394 e ai pochi versati alla Camera apostolica il 17 apr. 1402, tramite il benedettino Giovanni Bonacquisto.
A Catania il C. continuava la collaborazione con Martino I e con la regina Bianca. Partendo per la Sardegna, il re raccomandò alla moglie di valersi dell'opera del vescovo e da lì poi intervenne personalmente per difenderlo contro le accuse del capitano e dei giurati di Catania, che minacciavano di confiscargli i redditi, se non terminavano rapidamente i lavori di copertura della cattedrale. Martino gli confidava inoltre le direttive della sua politica ecclesiastica. Il C., da parte sua, assecondava le richieste della regina, concedendo S. Maria dell'Itria a un suo protetto.
Rapidamente il nuovo vescovo dovette acquistare a Catania una certa popolarità. Un'eruzione dell'Etna, iniziata il 9 nov. 1408, minacciò per più giorni la città, abbandonata da gran parte della popolazione, ma non dal vescovo e dalla regina, finché, attomo al 25, la lava si arrestò dopo una processione ritenuta miracolosa, nella quale il C. condusse sul fronte lavico le reliquie di s. Agata. L'episodio, e le lodi del vescovo, furono cantate da Andria di Anfusu. Il C. avrebbe inoltre speso 5.000 fiorini per acquistare nuove e preziose reliquie. Sotto di lui furono anche compiuti nella cattedrale quei lavori di riparazione e di ampliamento, la cui lenta esecuzione provocò le proteste delle autorità cittadine.
Vescovo scismatico nella Sicilia ufficialmente "avignonese", e da principio vescovo solo di nome, il C. si era inserito con abilità e fortuna nelle maglie piuttosto larghe della politica ecclesiastica di Martino I il Giovane, ma fu poi travolto dagli avvenimenti. Morto il re, il C. si schierò, per scelta o per necessità, col partito di Bernardo Cabrera, che occupava Catania. Bianca gli trovò allora come antagonista il priore del convento benedettino della cattedrale, Tommaso de Asmari, il quale nel 1412 si insediò al posto del C., dopo la riconquista di Catania da parte della regina. In Aragona, dove forse cercò scampo o nuova fortuna, il 27 nov. 1413, il C. fece solenne abiura in favore di Benedetto XIII, rinunciando alla diocesi di Catania, della quale aveva ormai perduto il governo. Il nuovo re Ferdinando I voleva ricondurre la Sicilia all'obbedienza avignonese: non c'era più spazio politico per i vescovi scismatici. Il C. otteneva in cambio l'assicurazione, o la promessa, che in futuro avrebbe potuto ricoprire qualsiasi beneficio e dignità ecclesiastica, ma è dubbio se se ne sia effettivamente giovato, tornando ad essere investito della diocesi di Catania. Pare incerta, infatti, l'identificazione con Mauro de Albirymo, il quale nel 1420 otteneva una pensione annua di 300 fiorini. Se ne ignora la data di morte.
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