MAURO (Giovanni Mauro) d’Arcano
Nacque nel castello d’Arcano (Rive d’Arcano), nei pressi di San Daniele del Friuli, da Giovanni Nicolò, conte di Arcano, e da Regina di Venceslao dei conti di Polcenigo e marchesi di Fanna. Battezzato come Giovanni Mauro, il secondo nome fu comunemente inteso dai contemporanei e dalla bibliografia come nome di famiglia, e con esso egli è noto. Non si conosce l’anno della nascita, ma tenendo presente che i patti dotali tra i genitori furono stipulati nel 1494 e che M. era il loro secondogenito, la nascita non dovrebbe risalire a prima del 1496. Come termine ante quem è possibile fissare il 1501, se egli stesso afferma in un ternario di aver raggiunto l’età di 35 anni e la morte cade con certezza nel 1536. Ebbe cinque fratelli, tra i quali si distinsero Giulio, professore di diritto canonico e feudale all’Università di Padova, e Alfonso, cavaliere di Rodi.
Scarse le notizie sulla giovinezza, ricavate per lo più dalle opere. Trascorse l’infanzia in Friuli, nel castello di famiglia; iniziò gli studi con un precettore privato e li proseguì a San Daniele sotto la guida del maestro Bernardino da Bergamo, progredendo nell’eloquenza italiana e latina. Lasciò il Friuli intorno al 1520, e non dopo gli eventi che in rapida successione sconvolsero la sua patria nel 1511 (la rivolta contadina del giovedì grasso, il terremoto, l’invasione delle truppe imperiali, la peste). Dopo una prima tappa a Bologna, dove probabilmente conobbe Gaspare Fantuzzi, proseguì per Roma, forse attratto dall’ambiente colto e fastoso della corte pontificia. Sulla scelta pesò certamente l’esperienza dello zio Rizzardo, che era stato segretario del cardinale Giovanni Battista Zeno. Giunto a Roma, M. entrò a far parte della corte del cardinale veneziano Domenico Grimani: secondo Liruti, il 17 genn. 1521 M. si trovava con il prelato a Ceneda (Vittorio Veneto).
Nel 1522, in seguito alla morte del padre, M. tornò in Friuli, dove rimase almeno dal 20 giugno, giorno dell’investitura dei feudi paterni, al luglio dell’anno successivo. A quel periodo risalgono quattro lettere autografe che M. inviò da diverse località friulane (Udine, Colloredo di Monte Albano e dalla Brunelde, la casaforte di famiglia nei pressi di Fagagna) al fratello Giulio e a Girolamo di Pers. Molto probabilmente M. fu richiamato a Roma in seguito all’improvvisa morte del cardinale Grimani (27 ag. 1523). Secondo Liruti e Tiraboschi, sarebbe entrato alle dipendenze di Gian Matteo Giberti, nominato datario dal papa Clemente VII e vescovo di Verona dall’agosto del 1524, presso il quale M. avrebbe avuto occasione di conoscere Achille Della Volta e, soprattutto, Francesco Berni. Questo presunto servizio presso Giberti non ha trovato finora conferma documentale. Sempre secondo i due eruditi, M. frequentò per un breve periodo anche la corte del duca di Amalfi Alfonso Piccolomini, forse in un momento precedente rispetto al servizio svolto presso il cardinale Grimani. Di quella frequentazione rimane traccia nei due capitoli Del viaggio di Roma al duca di Malfi e A Ottavian Salvi, nei quali Piccolomini è esplicitamente citato.
Durante il sacco di Roma del 1527 M. si trovava lontano dalla città; di quel periodo resta una lettera datata L’Aquila, ottobre 1527 (Lettere di principi le quali si scrivono o da principi o a principi, o ragionano di principi, Venetia, G. Ziletti, 1575, c. 237), in cui egli informa il destinatario, forse il cardinale Alessandro Cesarini, della morte del reggente Ludovico Montalto e di come questo evento avrebbe allungato i tempi per la liberazione di papa Clemente VII. Nel marzo 1530 M. era già segretario del cardinale Cesarini, come risulta da una lettera di P. Bembo a C. Gualteruzzi, dove si legge di alcune sue lettere da consegnare a «m. Mauro del cardinal Cesarino». In questa veste, il 27 maggio 1531 M. assistette alle nozze tra Giuliano Cesarini, figlio di Gian Giorgio, e Giulia Colonna. Secondo una relazione a stampa scritta da Marco Cademosto (Le splendidissime et signorili nozze de li magnanimi Cesarini, con li illustrissimi Colonnesi…, s.l. 1531) durante i tre giorni di festeggiamenti furono rappresentate due commedie: le Bacchidi di Plauto e una commedia «volgare, faceta et bella» dello stesso Mauro. Al seguito del cardinale Cesarini fu a Bologna nel 1532 per assistere al secondo incontro di Clemente VII con Carlo V. La sua presenza, oltre a essere descritta nei capitoli Del viaggio di Roma al duca di Malfi e A messer Carlo da Fano e a messer Gandolfo [Porrino], è ricordata anche in una lettera, in parte autografa, di Vittoria Colonna del 20 apr. 1532, in cui la gentildonna lo ringrazia per la sua corrispondenza e soprattutto per i ragguagli ricevuti sulla Lombardia e Urbino. L’ultima lettera di M., di cui ci informa Liruti, risalirebbe al 24 marzo 1535 ed è indirizzata a Pietro Aleandro il giovane, canonico di Aquileia, al quale M. fece pervenire da Roma alcune bolle.
Accanto alla poesia, una delle più grandi passioni di M. fu senza dubbio la caccia. Più volte nei suoi scritti dedicò a questo tema parole cariche di trasporto, e proprio durante una battuta di caccia negli ultimi giorni di luglio del 1536, nei dintorni di Roma, cadde in un fossato fratturandosi una gamba. Subito soccorso, fu colto da una febbre acuta che lo condusse alla morte il 1° ag. 1536, come ricorda, in una lettera ad Aonio Paleario (Antonio della Paglia), Bernardino Maffei (A. Paleario, p. 41).
Durante la sua breve vita M. ebbe modo di frequentare e intrattenere relazioni con Pietro Carnesecchi, A. Paleario e Giulia Gonzaga contessa di Fondi. Di quest’ultima si conservano due lettere datate 5 maggio 1530 e 21 genn. 1534: nella prima la contessa di Fondi chiedeva a M. di inviarle le ultime satire di Pasquino, la cosiddetta statua parlante sulla quale i Romani apponevano i loro «libelli», allegando anche qualche composizione sua e di Alfonso Toscano; nella seconda, inviata da Torino, lo ringraziava per averle spedito un suo capitolo e per le novità romane che le aveva comunicato. Molto intensa fu l’amicizia che legò M. a Paleario: i due si erano probabilmente conosciuti intorno alla seconda metà degli anni Venti, quando Paleario era entrato al servizio del cardinale Cesarini; nell’epistolario di Paleario si leggono sei lettere a M. scritte probabilmente tra il 1525 e il 1533. Da una di esse risulta tra l’altro che M., lontano da Roma, aveva lasciato in città la sua donna, una certa Lucilla, dalla quale aspettava un figlio.
M. fu tra i protagonisti della cosiddetta Accademia dei Vignaiuoli, nata a Roma all’inizio degli anni Trenta intorno al gentiluomo mantovano Uberto Strozzi. Appartenevano a questo gruppo di poeti Francesco Berni, Francesco Maria Molza, Giovanni Della Casa, Lelio Capilupi, Agnolo Firenzuola, Giovanni Francesco Bini, Giuseppe Giovi da Lucca, Pietro Gelido da San Miniato, Carlo Gualteruzzi, Gandolfo Porrino, Annibale Caro, Claudio Tolomei, Trifone Benci e Mattio Franzesi. Molti di questi personaggi sono citati in un’importante lettera scritta da M. a Gandolfo Porrino il 16 dic. 1531 (De le lettere facete et piacevoli di diversi grandi huomini et chiari ingegni raccolte da m. Dionigi Atanagi, libro primo, Venezia, B. Zaltieri, 1561, pp. 319-323), che racconta di un convivio poetico svoltosi a Roma nel giorno di S. Lucia.
M. contese a Berni il primato nella poesia burlesca, costruendo i suoi capitoli con un linguaggio semplice e spesso decisamente osceno: rispetto ai capitoli di Berni le sue composizioni denotano una tendenza alla prolissità, alle digressioni e alle notazioni personali. Di M. restano 21 capitoli burleschi in terza rima composti probabilmente tra l’inizio degli anni Trenta e il 1535. Nella sua produzione si trovano versi priapeschi (Capitoli della fava, Capitolo in lode di Priapo), capitoli paradossali (Delle bugie, Della carestia) e capitoli epistolari (Del viaggio di Roma al duca di Malfi, A messer Ruberto Strozzi). Alcuni ternari di M. furono pubblicati per la prima volta nel 1537, a Venezia per C. Navò e fratelli, in due distinte edizioni insieme con componimenti di Berni e di altri berneschi (Le terze rime del Berna et del Mauro e I capitoli del Mauro e del Bernia et altri authori). Nel 1538 gli stessi Navò pubblicarono una nuova edizione, Tutte le terze rime del Mauro, che attribuiva a M. 22 componimenti; nel 1548 uscì a Firenze, per B. Giunta, l’edizione rivista da A. Grazzini Il primo libro delle opere burlesche di m. Francesco Berni, di m. Gio. Della Casa, del Varchi, del Mauro, di m. Bino, del Molza, del Dolce e del Firenzuola. Nelle edizioni del 1537, 1538 e in una stampa anonima veneziana del 1542 viene assegnato a M. anche un capitolo intitolato Contra una cortigiana, che per ragioni stilistiche risulta di paternità assai dubbia. Oltre ai capitoli burleschi restano una canzone di 92 versi, Perché, signor, non è salita ancora, in lode del cardinale Cesarini (De le rime di diversi nobili poeti toscani… raccolte da m. Dionigi Atanagi, Libro primo, Venezia, G.B. Avanzi, 1565, c. 148), e un poemetto di 1225 versi intitolato Predica amorosa (si conserva in due manoscritti non autografi: Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. IX, 211 [=6994]; Fagagna, Arch. privato d’Arcano Grattoni, mutilo, ora pubblicato in Per nozze Maurizio d’Arcano Grattoni - Cristina Trinco, s.l. 2005), in cui M. esorta le donne ad abbandonarsi al dio Amore, poiché questo grazie al suo eterno operare prospera il mondo. Rime di M. sono edite in Poeti del Cinquecento, I, Poeti lirici, burleschi, satirici e didascalici, a cura di G. Gorni - M. Danzi - S. Longhi, Milano-Napoli 2001, pp. 893-919.
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