MAURO da Leonessa
MAURO da Leonessa (al secolo Vincenzo Nardi).
Nacque il 10 maggio 1883 a San Clemente, frazione di Leonessa nel Reatino, da Sante Nardi e da Maria Ceci.
Sulla scia delle numerose vocazioni religiose familiari, e particolarmente consigliato dallo zio Mauro Bernardo (1836-1911, cappuccino, vescovo, postulatore generale delle cause dei santi del suo Ordine), entrò nella provincia umbra dei frati minori cappuccini per seguire i primi studi a Norcia. Dimesso per insufficiente rendimento, si trasferì nel convento di Luco dei Marsi, nella provincia cappuccina abruzzese, e vi completò la sua formazione. Il 30 novembre 1905 conseguì l’ordinazione sacerdotale all’Aquila, con la speciale dispensa pontificia richiesta dalla sua troppo giovane età e con rito officiato dallo zio vescovo, di cui aveva assunto il nome Mauro.
Il 18 giugno 1906 ottenne la patente di predicatore e fu destinato al convento cappuccino di Leonessa. Qui aprì una scuola gratuita per ragazzi usciti dalle elementari e fu tra i protagonisti dell’ultima fase della battaglia per la titolarità delle reliquie di s. Giuseppe da Leonessa che, dal secondo decennio del Seicento, vedeva ciclicamente contrapposte comunità di fedeli (leonessani e amatriciani) e frati cappuccini, sostenuti dalla Curia romana e poi dal governo unitario. Nonostante l’indefessa propaganda, Mauro non riuscì a riportare nel convento cappuccino (loro sede storica) le reliquie che, dal 1867 (a seguito delle soppressioni delle corporazioni religiose del 1866), erano depositate nel santuario leonessano dedicato al santo. Scoraggiato, lasciò Leonessa per trasferirsi nel convento di Guardiagrele, nel Chietino.
Nel 1908 il potente zio lo chiamò a Roma, destinandolo a risiedere presso il collegio internazionale dell’ordine cappuccino S. Lorenzo da Brindisi, inaugurato il 26 ottobre di quello stesso anno, e ad avviare i suoi studi alla Pontificia Università Gregoriana. Conseguito nel 1912 il titolo di dottore in teologia, e quello di dottore in filosofia presso l’Accademia romana S. Tommaso d’Aquino, Mauro tornò per un breve soggiorno nella sua provincia religiosa.
Le frequentazioni romane e il vasto impegno del suo Ordine nelle missioni lo avevano ormai orientato verso la scelta apostolica. Il 26 gennaio 1913 la Congregazione de Propaganda Fide accolse la sua domanda di farsi missionario ad gentes e lo destinò al vicariato apostolico di Arabia, eretto nel 1888-89 con giurisdizione su Aden e i territori oltremarini arabici e sull’ex vicariato dei Galla (poi Harar), costituito nel 1846.
Nell’ambito dello straordinario sviluppo delle missioni cattoliche nell’Africa subsahariana e del consolidamento dell’ordine coloniale fra gli anni Quaranta e la Conferenza di Berlino del 1884, l’evangelizzazione del Corno d’Africa e dell’area costiera yemenita registrava un notevole aumento dei missionari francesi e italiani, e soprattutto dei frati minori, francescani e cappuccini, desiderosi di seguire l’esempio di Guglielmo Massaja (vicario apostolico dei Galla dal 1846 all’esilio, impostogli dal negus Yōhānnis nel 1879). Con gli accordi italo-inglesi del 1890, i Possedimenti Italiani del Mar Rosso – le città portuali di Assab (acquistata dall’armatore Rubattino nel 1880 su consiglio del missionario lazzarista Giuseppe Sapeto e ceduta due anni dopo al governo italiano) e di Massaua (patteggiata con gli inglesi) – avevano stabilizzato la Colonia eritrea e avviato l’espansione crispina verso l’Abissinia e l’impero etiopico, chiusa con la sconfitta di Adua e la pace di Addis Abeba dell’ottobre 1897. In quei decenni la presenza missionaria nazionale si era rafforzata, a svantaggio del clero francese presente all’origine dell’evangelizzazione: alcuni cappuccini e maristi italiani erano già attivi sulla costa yemenita nella stazione di Aden, istituita nel 1841, affidata ai cappuccini francesi, poi a padri secolari italiani e infine ai cappuccini italiani.
All’inizio del suo mandato Mauro ebbe l'incarico di fare da segretario al vicario apostolico di Aden Filippo Presutti, ammalato, e di accompagnarlo nei più salubri altopiani eritrei per ristabilirsi. Giunse nella capitale Asmara nel periodo di «sviluppo intensamente incivilitore che distinse la ex colonia» (Metodio da Nembro, 1953, p. 61): nel quindicennio precedente era stato rettificato il confine eritreo-etiopico-sudanese (1908), precisati gli Ordinamenti Organici e i codici coloniali, inaugurate la ferrovia Massaua-Asmara (1912) e la prima scuola elementare laica italiana, fondato l’Istituto agronomico e quello siero-vaccinogeno, e dotato di moderne e igieniche attrezzature il mercato della città. Anche l’assetto apostolico registrava un pressoché completo segno italiano: il 26 febbraio 1911 Pio X aveva nominato il bergamasco Camillo Carrara (primo) vicario apostolico dell’Eritrea, mentre la missione di Asmara era affidata ai cappuccini della provincia milanese e nel 1912 si avviava la tipografia francescana. Alla morte di Presutti (a Cheren, nell’agosto 1914), Mauro si trasferì sulle coste della Dancalia, ad Assab, in una zona malarica fortemente islamizzata che – riferì immediatamente al vescovo Carrara – «aborre e rifugge ogni contatto e relazione coi cristiani» (ibid., p. 203).
Il contatto diretto con gli schiavi liberati (e con i clandestini) segnò profondamente la sua sensibilità e lo indusse a riprendere un progetto missionario fallito nel 1895: la fondazione di un orfanotrofio per i giovani schiavi liberati e di una scuola-internato; riaprì la scuola di arti e mestieri per i piccoli dancali e ne istituì un’altra per gli ascari (centrali poi nell’‘assimilazione’ di età fascista), occupandosi di alfabetizzare «sei o sette zaptié» (soldati addetti al servizio di polizia), assistere gli ergastolani, compiere periodiche «escursioni apostoliche nei villaggetti» (lettera del 17 marzo 1915), fornendone analitiche informazioni al vicario apostolico (che, da parte sua, chiese periodicamente all’Ordine di appartenenza tra il 1913 e il 1915 di assegnare Mauro alla sua giurisdizione).
Destinato ad Assab (dopo la rettifica del confine eritreo-etiopico-sudanese nel 1908), Mauro approfondì lo studio di amarico, oromo, tigrino e si dedicò all’istruzione e all’assistenza, allineandosi al «lavoro ordinato e prudente» allora applicato ai territori di forte presenza musulmana. Le «visite» ai villaggi divennero mensili, con gli studenti «dankalini in uniforme bianca, cinti di fascia turchina, con l’immancabile terbusc, o berretto rosso in testa» (lettera del 17 aprile 1915, L'Aquila, Arch. Provinciale Cappuccini), e aprivano deboli scenari di evangelizzazione nella zona (dove «quasi tutti mostrano di amare in certo modo la nostra religione»), mentre il «gran bene» fatto dalle suore che «entrano nelle case» creava disponibilità tra le donne dancale (Relazione, 30 agosto 1915, e lettere citate da Metodio da Nembro, 1953, pp. 203 s.).
Mauro si avvicinò allora al tema della 'redenzione degli schiavi' e a quello del cristianesimo copto, che divennero sempre più presenti alla sua azione e ai suoi studi. Tentò qualche «azione tra gli schiavi», soprattutto di etnia galla, registrando ancora traffici clandestini gestiti da «negrieri dell’interno e da sambuki arabi del mar Rosso» sulle spiagge della Dancalia (lettera 25 aprile 1915, L'Aquila, Arch. Provinciale Cappuccini). Contemporaneamente, sull’altro binario del suo impegno, l’interesse apostolico lo spingeva a tentare la conversione dei cristiani copti, in accordo con i governatori italiani (da Giuseppe Salvago-Raggi, a Giovanni Cerrina Feroni, a Giacomo De Martino). L'iniziale contrapposizione al clero copto – espressa in una lettera a Carrara del 18 novembre 1918 e ricordata più tardi (La missione cattolica della colonia eritrea, 1926, p. 257), comunque estranea alle denigrazioni espresse alla fine del secolo specie in ambito francescano (Betti, 1999, p. 293) – sfumò presto, per la comune radice di fede, la curiosità culturale e la conoscenza diretta, che spingeva a superare la diffidenza. Mauro iniziò a studiare sempre più seriamente il cristianesimo abissino, le lingue scritte, parlate e rituali, la storia, i testi. Nel 1918 pubblicò nella tipografia francescana di Asmara il suo primo saggio, Computo per il calendario abissino confrontato col computo latino, con l’aiuto del «maestro di lingua tigray Ghebrè Temelsò da Halay» (traduttore dall'amarico al tigrino anche delle Lettere di Abba Tecle Haymanot di Adua, stampate all'origine ad Asmara nel 1928), e il proposito di far conoscere «usi, costumi, tradizioni mentalità del popolo indigeno della nostra colonia» (Prefazione e p. 3). Firmò il libro come Mauro da Leonessa, nome che segnò da quel momento ogni sua attività di studioso, pubblicista, oratore.
Nel frattempo, finita la guerra in Europa e riordinato l’universo delle missioni africane, i cappuccini d’Abruzzo attraverso il provinciale Filippo da Borrello richiamarono Mauro a Roma (dove giunse nell’agosto 1920) per destinarlo alla missione in Anatolia, aperta in quell’anno. Grazie all’opposizione del vicario apostolico Carrara e all’incarico assegnatogli dal cardinale Gennaro Granito Pignatelli di Belmonte, tornò invece in Eritrea con il confratello Ferdinando da Manerbio per eseguire un lungometraggio illustrativo delle missioni.
Visitarono la colonia, registrando «i tipi, gli usi, i costumi, e l’ascensionale cammino verso la civiltà e la religione cattolica» (L’Osservatore romano, 2 dicembre 1922), filmando il battesimo dei Cunama. Mauro 'girò' e curò tutti gli aspetti tecnici del filmato, un «"poema eritreo" della lunghezza di 8000 metri (equivalenti a non meno di 6 ore di proiezione)» (Eugeni - Viganò, 2006, p. 330; Piredda, 2005, p. 101), proiettato il 30 novembre 1922 nell’aula magna della Cancelleria pontificia, alla presenza di otto cardinali, clero, autorità. Nell’ottobre precedente, Mauro aveva iniziato a scrivere la cronaca del distretto di Adi-Ugri e della missione di Massaua di cui era superiore (Metodio da Nembro, 1953, p. XVIII), poi parzialmente utilizzata nella relazione presentata il 20 gennaio 1930 alla Congregazione pro Ecclesia Orientali (istituita come tale nel 1917) su richiesta del futuro cardinale Amleto Giovanni Cicognani. Costui era interessato a un «monachesimo cattolico abissino» ispirato alla regola benedettina da iniziarsi «con urgenza» reclutando «i fanciulli cattolici abissini più plasmabili» (ibid., p. 218, n. 28): un'operazione affidata a Mauro, che scelse tra gli altri Hailé Mariam, morto in odore di santità nel 1934 a Roma.
Nel giugno 1924, alla morte di monsignor Carrara, Mauro fu chiamato a Roma come vicedirettore del Collegio etiopico che dal settembre 1919, per iniziativa proprio di Carrara, ospitava studenti dell’Eritrea e prefettura del Tigray. Con lettera obbedienziale del 14 settembre 1925, lasciò l’Eritrea, dove aveva trascorso «diversi anni della vita come missionario ed ivi dedicatomi nelle ore libere allo studio… delle lingue locali… con interesse e affetto per la regione che mi ospitava… per allargare le conoscenze in campo storico, religioso e culturale» (Prefazione a Santo Stefano, 1929).
L’esperienza africana e l’autorità scientifica acquisite nel decennio decisivo dell’assestamento coloniale e missionario in Eritrea (perseguito con forza da Benedetto XV) gli valsero l'invito a tenere conferenze sulle missioni e la 'civilizzazione' in Africa, e l'incarico di rappresentare l’Italia nei consessi internazionali dedicati allo schiavismo e al meticciato. In contatto con il parlamentare Egilberto Martire, fautore di un programma «volto a conciliare le finalità ideali di una 'romanità sacra', con quelle di un fascismo moderato e socialmente conservatore» (Ignesti, 2008, p. 346), Mauro divenne consigliere della Società antischiavista d’Italia (emanazione della Société fondata da Martial Lavigerie sulla scia dell’enciclica antischiavista In plurimis di Leone XIII del 1888), relatore (in francese) al quarto Congresso antischiavista nazionale del 1926, delegato alla prima Conferenza internazionale per la protezione dell’infanzia africana tenuta a Ginevra nel giugno 1931. Il tema dei bambini meticci – rifiutati dalle comunità indigene e «ignorati dalla legge» (I meticci, in Pro infanzia africana per la tutela dei meticci, 1929, pp. 348 s.) – e della «redenzione morale» dei meticci (dei giovani anzitutto, con il lavoro e la famiglia, 'fra loro') divenne uno dei suoi obiettivi pastorali e civili, dibattuto anche al I e II Congresso di Studi coloniali (Firenze, aprile 1931 e Cuma, settembre-ottobre 1934) e alla IV settimana pro Oriente. All’interno di un dibattito in cui «civilizzazione missionaria», teorie della razza e nascente ideologia imperiale tendevano a confondersi, proprio i diritti dei meticci divennero più tardi punto di conflitto tra i missionari (alcuni di essi, tra cui lo stesso Mauro e il confratello Gabriele da Maggiora) e l’ideologia e le leggi dell’impero (Gabrielli, 1997, p. 84; Barrera, 2002, pp. 21-53; De Napoli, 2009).
A partire dal 1928 – nel quadro della nascente etiopistica internazionale particolarmente attenta allo studio delle lingue – Mauro da Leonessa pubblicò numerosi studi.
La prima sistemazione scientifica della Grammatica analitica della lingua tigray (1928) fu apprezzata da storici e glottologi quali Carlo Conti Rossini (docente di storia e lingue d'Abissinia all'Università di Roma) e Nathaniel Schmidt, che ne riconobbero l’«utilità pratica» e la «profondità dell’esattezza scientifica» e ne curarono rispettivamente la Prefazione e l'Introduzione. Fu recensita anche dalla importante rivista Orientalia christiana (allora in francese, nel fascicolo 43, aprile 1928) e da La civiltà cattolica (quad. 1873, luglio 1928) e fu richiesta dalle principali biblioteche del mondo. Il libro dava al tigray (del tutto privo di letteratura scritta) dignità di lingua, comprendendola fra le semitiche e ritenendola «una tra le poche vive che potrebbero essere di guida nella soluzione di problemi riguardanti ad esempio la lingua ebraica alla quale (permettano i Maestri che dica il mio parere) assai più che all’arabo si manifesta parente» (Rivista delle colonie italiane II [1928], 3, p. 492). Si trattava di un importante contributo alla linguistica semitica comparativa (tra ebraico, arabo, aramaico, etiopico) che Mauro dimostrò di conoscere fin dalle origini cinquecentesche, riferendosi (anche nel 1931 in Linguistica etiopica) alla grammatica etiopica di Mariano Vittori del 1552 (Contini, 1991; Demonet-Launay, 1992).
Consapevole delle sue responsabilità di prete rispettoso del suo Ordine e forse della sua eccessiva visibilità, perché occasione di polemiche anche morali (anche per tante fotografie che lo avevano ritratto nel 1931), come studioso e testimone della realtà africana (amando «lavorare per le missioni quantunque ora non sia più un missionario», lettera al padre provinciale di Abruzzo, s. d., ma 1928, L'Aquila, Arch. Provinciale Cappuccini) pubblicò Il predicatore apostolico (1929), una raccolta di note critiche già edite in Italia francescana, che offriva al clero delle missioni un quadro di sintesi e spunti di modernità pastorale (Criscuolo, 1998; Ploner, 1998).
L'anno successivo pubblicò l’importante saggio erudito Santo Stefano maggiore degli Abissini, dedicato alla storia delle relazioni intercristiane romano-etiopiche (Mario da Abiy-Addi’, 1956, p. 27; Earle - Lowe, 2005, pp. 2, 280 ss.); in appendice vi si presentava la Riduzione dei calendari Gregoriano, Giuliano, Abissino (tema ripreso nei decenni successivi con la Cronologia del 1934 [recensita da Aevum, X, 1936, 2, p. 417] e il Calendario del 1943). L’opera, che fu decorata con la Stella d’Etiopia assegnatale dal Negus e premiata dalla Reale Accademia d’Italia (ottobre 1929), introdusse Mauro alla docenza universitaria.
Nell’anno accademico 1929-30 fu incaricato di un corso di cultura coloniale alla Regia Università di Roma, al quale parteciparono i geografi Roberto Almagià, Michele Rosi, Cesare Cesari, Giuseppe Capra e Camillo Manfroni (senatore, allora membro dell’Istituto fascista di cultura e dell’Istituto coloniale italiano). In una delle sue lezioni, Lotte islamiche e guerre intestine dell’Etiopia (pubblicata con le altre come dispensa universitaria), si espresse con parole significative sull’ambiguo cammino delle missioni africane alla vigilia della campagna d’Etiopia, esaltando il mandato civilizzatore di «Roma guida e maestra di tanti popoli» perseguito con l’«arma della persuasione... e la luce della vera dottrina... Queste armi, e non quelle della conquista territoriale devono assoggettare l’Etiopia alla civiltà romana, la quale dominerà ivi ospite gradita ed amica... Forse parecchi di voi in avvenire avranno contatto con quei popoli... devono sentirsi in dovere di amare gli Abissini e di illuminare i loro intelletti... Solo quelli che agiranno così potranno meritatamente chiamarsi pionieri della civiltà» (Corso di cultura coloniale, 1930, p. 180).
Queste parole rivelano una sensibilità che, propria della propaganda missionaria dalla fine degli anni Venti, era molto diffusa all’interno delle diverse famiglie religiose, anche italiane, impegnate nei 'trionfi' dell'evangelizzazione africana e dei suoi «compiti sociali» e interessate a utilizzare per la conversione le opportunità offerte dai colonialismi; le famiglie francescane tuttavia (con l’ampia pubblicistica missionaria, anche regionale) mostrarono proprio dagli anni Trenta una più netta presa di distanza dall’allineamento patriottico-coloniale più presente, per esempio, tra i comboniani, l’altra grande famiglia missionaria italiana allora attiva in Africa (Nanni, 1989). In questo quadro è possibile ipotizzare una delicata posizione di Mauro nell’ambiente missionario cappuccino: alla fine del 1932, il padre generale e la congregazione provinciale respinsero «assolutamente» la sua domanda di tornare alla provincia di appartenenza e di lì all’apostolato eritreo, avanzata dopo le sofferte dimissioni da vicedirettore del Collegio etiopico (lacerato da pesanti conflitti interni). L’Ordine scelse di onorarlo del titolo di Admodum reverendus pater e nominarlo collaboratore del periodico missionario Il Massaja. Del resto, Mauro era allora incaricato dalla Congregazione pro Oriente di compilare i Testi di diritto antichi e moderni riguardanti gli Etiopi, compresi nella serie dei codici canonici orientali e ispiratori di importanti studi successivi (Strauss, 1968).
Si chiuse per Mauro la possibilità di tornare in missione e si ufficializzò il suo ruolo di studioso e 'scrittore' di cose missionarie, «conoscitore profondo dei problemi coloniali e manchevolezze che si annidano nella macchina amministrativa delle colonie» (presentazione ai lettori, Il Massaja, XIX [1932], pp. 25 s.). Le calibrate parole del periodico (successive ai massacri di Libia) inglobavano il missionario Nardi – ritenuto forse troppo esposto in direzione della 'cultura coloniale' fascista nonostante il suo impegno per la cittadinanza meticcia e la condanna delle teorie dei «fisiologicamente inferiori» (Gabrielli, 1997, p. 87; Cassata, 2006, p. 180) – nell’autonomo disegno di un'evangelizzazione africana estranea alle regole del dominio coloniale: si trattava di un tema antico e delicato, destinato a dividere il clero missionario italiano dopo la conquista militare dell’Africa orientale e particolarmente scomodo per i cappuccini ai quali nel novembre 1937 vennero assegnate le missioni nell’Africa orientale italiana appena riorganizzate in cinque vicariati e quattro prefetture (Ingegneri, 2008, p. 433). Le norme relative ai meticci emanate dal governo italiano nel 1940 – applicate ai più infelici, reietti dei conquistatori e degli indigeni – svelarono completamente la realtà della «nuova civiltà romana» e lo orientarono verso una opposizione esplicita all’impero.
Tornato alla «vita ordinaria», Mauro si stabilì nella parrocchia cappuccina di S. Lorenzo al Verano, prese a celebrare messe in chiese e ospedali romani e in viaggio, e partecipò a conferenze (registro in Archivio Provinciale Cappuccini, L'Aquila), tornando annualmente al suo paese per la festa patronale, inventariando i testi etiopici alla biblioteca de Propaganda Fide, impegnandosi nella congregazione delle cause dei santi (Criscuolo, 2002, pp. 217 s., 559 s.), pubblicando i Testi di diritto, articoli su diversi periodici missionari, culturali e scientifici, su l’Avvenire d’Italia e Antischiavismo, saggi e dissertazioni eruditi, devoti, teologici, e la serie di studi su s. Ippolito e il suo sepolcro (duramente criticati dall’archeologo Giovanni Pietro Kirsch).
Nel 1934, per i rilevanti meriti scientifici, fu chiamato alla cattedra di lingue etiopiche dell’Istituto Orientale di Napoli, dove insegnò regolarmente fino al 1942. A conclusione della guerra, fu richiamato alla sua provincia come professore di teologia per i novizi del convento aquilano di S. Chiara.
Morì all'Aquila il 1° gennaio 1946.
Opere principali: Manuale di letture scelte italiane-tigrai: ad uso delle scuole indigene, Asmara 1918; Manuale di igiene italiano-tigrai: ad uso delle scuole indigene, ibid. 1918; Computo per il calendario abissino confrontato col computo latino, ibid. 1918; Italia in Eritrea e l’opera delle missioni (filmato, con F. da Manerbio), 1922; La Sacra Scrittura in lingua etiopica, Roma 1927; La missione cattolica della colonia eritrea, in Atti del IV Congresso antischiavista nazionale (dicembre 1926), ibid. 1927, pp. 253-264; Grammatica analitica della lingua tigray, Città del Vaticano 1928 (con pref. di G. Schmidt e introd. di C. Conti-Rossini); Apostolato dei padri minori cappuccini in Russia, Tivoli 1928; Santo Stefano Maggiore degli Abissini e le relazioni romano-etiopiche, Città del Vaticano 1929; Il predicatore apostolico: note storiche, Isola del Liri 1929; Pro infanzia africana per la tutela dei meticci, Roma 1929; Corso di cultura coloniale, ibid. 1930; Linguistica etiopica: gli studi sulle lingue della colonia Eritrea, in Atti di I congresso di studi coloniali, Firenze 1931, pp. 147-156; Testi di diritto antichi e moderni riguardanti gli Etiopi, Città del Vaticano 1931; Cronologia e calendario etiopico, Tivoli 1934; La Tavola Pasquale di Anatolio: dissertazione, ibid. 1934; Dissertazioni cronologiche, ibid. 1934; Verbi tigray e loro flessione, Città del Vaticano 1935; I diritti degli italo-eritrei, in Rivista giuridica del Medio ed Estremo Oriente e giustizia coloniale, 1937, pp. 35-40; Brevi note di grammatica della lingua tigré, Roma 1939 (testo italiano e tigrino); La Chiesa etiopica ed il suo abuna o metropolita, ibid. 1940; Compiti sociali delle missioni tra gli indigeni, ibid. 1941; Del matrimonio dei cristiani abissini. Quale dovrebbe essere. Quale è, ibid. 1942; La versione etiopica dei Canoni apocrifi del Concilio di Nicea secondo i codici Vaticani ed il Fiorentino, ibid. 1942; La versione dei canoni apocrifi del Concilio di Nicea secondo i Codici Vaticani ed il Fiorentino, ibid.1942; Un trattato sul calendario redatto al tempo di re ‘Amda Syon, ibid. 1943.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Generale Cappuccini, H 42, III, Relationes Particulares, Asmara, 11 dicembre 1911, Mauro da Leonessa al segretario delle missioni (probabilmente); H 42, IV, Relationes Particulares, P. Mauro da Leonessa (1915-25), lettere dall'Eritrea (1 fascicolo); cenni in Corrispondenza (missionari in Eritrea); nessuna menzione nella serie Privati. L’Aquila, Archivio Provinciale Cappuccini: documenti sulla formazione scolastica universitaria e sull’iter sacerdotale (tra 1905 e 1912); decreti di nomina della S.C. de Propaganda Fide e lettere obbedienziali per l’apostolato (a partire dal 1912); lettere ai superiori nel periodo eritreo; corrispondenza dei superiori con il vicario apostolico Carrara (1913-18); lettere dei superiori e lettere obbedenziali su incarichi e sedi; Collegio Etiopico; congregazione pro Oriente (dal ritorno in Italia nel 1920 al 1942); attestati, premi, riconoscimenti. Archivio del Vicariato apostolico dell’Eritrea: lettere, relazioni e documenti vari, citati da Metodio da Nembro, 1953, pp. XV-XXIV e pp. 61-94 (Dall’erezione del Vicariato alla morte di mons. Carrara). Sulla vita e l'Ordine cappuccino: Analecta Ordinis Capuccinorum, I (1884), p. 280; V (1889), p. 156; VI (1890), p. 344; XXI (1912), p. 332; Francesco da Vicenza, I missionari cappuccini della Provincia Serafica, Città di Castello 1931, pp. 321-324; Annali dei Frati Minori Cappuccini degli Abruzzi, XI (1947), pp. 39 s. (stralci di lettere e necrologio); G. Chiaretti, Mauro Nardi: missionario - glottologo - storico, 1883-1946, Leonessa 1970 (biografia analitica, con riferimenti documentari ed elenco delle opere alle pp. 19-21); V. Criscuolo, Girolamo Mautini da Narni e l'ordine dei frati minori cappuccini fra '500 e '600, Roma 1998; Id., Nicola Molinari da Lagonegro, Roma 2002; G. Ingegneri, Storia dei Cappuccini della provincia di Torino, Roma 2008. Sugli scritti e il filmato: Mario da Abiy-Addi’, La dottrina della Chiesa etiopica dissidente sull’unione ipostatica, Città del Vaticano 1956; The Fetha Nagast. The law of the Kings, a cura di P.L. Strauss, Addis Abeba 1968 (Durham 2009); R. Contini, I primordi della linguistica semitica comparata nell’Europa rinascimentale, in Sesta giornata camito-semitica e indoeuropea, I Convegno internazionale di linguistica dell’area mediterranea (Sassari 1991), a cura di P. Filigheddu, Cagliari 1991, pp 85-97; M.-L. Demonet-Launay, La désacralisation de l’hébreu au XVIe siècle, in L’hébreu... au temps de la Renaissance, Leiden 1992; S. Ploner, Luigi Puecher Passavalli, arcivescovo, testimone sofferto del Vaticano I, precursore profetico del Vaticano II, Trento 1998; Th.F. Earle - K.J.P. Lowe, Black Africans in Renaissance Europe, Cambridge (UK)-New York 2005, pp. 2, 280-287; M.F. Piredda, Film & mission: per una storia del cinema missionario, Roma 2005; R. Eugeni - D. Viganò, Attraverso lo schermo. Dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Roma 2006. Sul contesto missionario e coloniale in Corno d’Africa e territori oltremarini: Memorie care: XXVº anniversario di fondazione della missione cattolica italiana in Eritrea (1894-1919), Asmara 1919; La missione cattolica in Eritrea, suppl. di Pro familia, ottobre 1919; Missiones catholicae, Firenze 1922, pp. 44 s.; Metodio da Nembro, La missione dei minori cappuccini in Eritrea (1894-1952), Roma 1953; La missione dei Frati Minori Cappuccini in Eritrea: documentazione fotografica, 1894-1954, Asmara 1955; A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, I-IV, Roma-Bari 1976-84; E. Picucci, Cento anni di dialogo con l'Islam: storia del Vicariato Apostolico d'Arabia, Roma 1989; S. Nanni, La propaganda missionaria in Abruzzo (1927-43), in Intellettuali e società in Abruzzo fra le due guerre, a cura di C. Felice - L. Ponziani, Roma 1989, pp. 520-535; G. Gabrielli, Un aspetto della politica razzista nell’impero: il «problema dei meticci», in Passato e presente, XV (1997), 41, pp. 77-105; C.M. Betti, Missioni e colonie in Africa orientale, Roma 1999; N. Labanca, Il razzismo coloniale italiano, in Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, a cura di A. Burgio, Bologna 1999, pp. 145-163; G. Barrera, Patrilinearità, razza e identità: l’educazione degli italo-eritrei durante il colonialismo italiano (1885-1934), in Quaderni storici, XXXVII (2002), 109, pp. 21-53; F. Cassata, Molti, sani e forti, l’eugenetica in Italia, Milano 2006; G. Ignesti, Martire, Egilberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXI, Roma 2008, pp. 344-347; O. De Napoli, La prova della razza. Cultura giuridica e razzismo in Italia negli anni Trenta, Firenze 2009 (capp. 1 e 2).