PICENARDI, Mauro
PICENARDI, Mauro. – Nacque a Crema, figlio d’arte, il 15 gennaio 1735, da Tomaso e da Anna Isacchi. La famiglia, originariamente cremonese, risiedeva nella parrocchia dei Ss. Nazaro e Celso (Sommi Picenardi, 1930). Educato nella bottega paterna insieme al fratello Giovanni Battista (figura, come il padre, di levatura minore, e in parte ancora sfuggente), Mauro Picenardi risulta assente dalla città natale tra il 1758 e il 1759. Anche negli anni immediatamente successivi è attestato in patria solo in modo sporadico; nel 1765, ad esempio, sembra essere passato per Crema due volte, come risulta da documenti che riguardano la sua partecipazione all’acquisto di una casa in contrada S. Giacomo, per i membri della propria famiglia (Carubelli, 1989).
Proprio agli anni giovanili dovrebbe risalire il contatto, non documentato ma ricordato sempre dalla critica (a partire da Pasta, 1775, p. 83), con il veronese Giambettino Cignaroli; contatto che, quasi certamente, si realizzò nelle forme di un alunnato presso l’Accademia di pittura in riva all’Adige.
Tra i pochi esempi di dipinti di questa prima fase è la pala con S. Antonio da Padova e s. Vincenzo Ferreri di Trescore Cremasco, che l’iscrizione autografa sul retro dice dipinta a Verona nel 1762 (Carubelli, 1997). Il dipinto, insieme alle tele, verosimilmente coeve, per S. Alessandro in Colonna a Bergamo (raffiguranti lo Sposalizio della Vergine e la Presentazione al Tempio), mostra chiaramente i segni del discepolato cignarolesco nella classicheggiante impostazione compositiva a linee diagonali e nella fattura accademica, liscia e raffinata dei volti dei due santi.
Un tratto mutuato anch’esso dall’artista veronese, ben visibile nei dipinti di S. Alessandro e utilizzato talvolta anche nelle opere mature, è la presenza, nel fondale architettonico, di una bianca arcata classicheggiante aperta su un cielo dipinto a preziose tonalità oltremarine.
Nel novero dei primi lavori di prestigio, risalenti alla prima maturità, si segnala l’ampia decorazione della villa Ghisetti Giavarina a Ricengo, nel cremasco, eseguita a più riprese – dall’intervallo 1766-76 fino all’ultimo decennio del secolo –, e raffigurante, sulle pareti e nelle volte di sette ambienti, episodi della mitologia, figure allegoriche e personaggi della storia antica. A indiretta conferma dei precedenti contatti con Cignaroli, e a suggello del consolidarsi della fama raggiunta dell’artista, va ricordato, nel 1769, l’invito a Verona per essere acclamato accademico d’onore.
Stabilitosi nuovamente in patria nel 1770 circa, Picenardi vi risiedette fino al 1782. Anche in questo periodo molte tra le più importanti commissioni giunsero dalla bergamasca: si data infatti al biennio 1775-76 l’imponente intervento decorativo nella parrocchiale di Berbenno, con l’affrescatura della volta e del presbiterio e l’esecuzione di una monumentale Pietà per il secondo altare a sinistra. Tra le opere per Crema e dintorni si distinguono gli interventi per la cattedrale, negli anni tra il 1776 e il 1780, in concomitanza con i lavori di ristrutturazione del tempio (oggi cancellati; Ronna, 1787, p. 120; Racchetti, 1844, p. 335): le pale d’altare delle cappelle di S. Pantaleone (pagatagli tra il 1779 e il 1781) e S. Lucia (1779-80), e gli interventi di ridipintura e restauro sulla Madonna miracolosa della prima campata sinistra (circa 1775-79) e sulla pala dell’Assunta, di Vincenzo Civerchio (1780). Contemporaneamente Picenardi aveva lavorato alla vasta decorazione della parrocchiale di Trescore Cremasco, che alcuni documenti d’archivio ancorano all’intervallo 1767-81 (Carubelli, 1989, p. 39). Nel 1779 aveva avuto problemi di salute, come attesta una sua lettera al conte Giacomo Carrara (cit. in Sommi Picenardi, 1930).
Un prodotto caratteristico del periodo cremasco furono le tre serie delle Viae Crucis dipinte per Crema (a S. Bernardino fuori città, cui va aggiunta quella a S. Bartolomeo ai Morti, di cui non si conosce la destinazione originaria) e per Offanengo.
Nelle tre serie Picenardi mostra di trovarsi particolarmente a suo agio in una tipologia di opere di tono minore, dal sincero afflato devozionale, in cui cominciava ad affiorare un modo di dipingere a pennellate più mosse, veloci, tremolanti, con un’espressività dolente, ma allo stesso tempo pacata.
Dal 1782, come detto, i registri parrocchiali di S. Giacomo a Crema non ne attestano più la presenza in patria, segno dell’avvenuto trasferimento in pianta stabile a Bergamo. Lì Picenardi aveva trovato estimatori non solo nei circoli della chiesa locale, ma anche tra collezionisti e amatori laici, come, appunto, il conte Giacomo Carrara. Negli anni del soggiorno bergamasco, secondo la coeva testimonianza dell’erudito Giuseppe Beltramelli, Picenardi risiedette nel palazzo della contessa Paolina Secco Suardo, affiliata all’Arcadia e animatrice dell’ambiente letterario locale, e del marito Luigi Grismondi (Carubelli, 1989, p. 41).
Nel 1785 (Marenzi, 1824) la comunità di Bergamo deliberò di far eseguire a un «valente» pittore il ritratto del canonico Mario Lupo, figura benemerita di letterato e memorialista, nonché autore del Codex diplomaticus civitatis et Ecclesiae Bergomatis (1784): della commissione venne incaricato proprio Picenardi. Il dipinto, attualmente di proprietà dell’Accademia Carrara, mostra la caratteristica pittura briosa di stampo veneteggiante applicata a un’inedita, garbata vena ritrattistica. Sempre lo stesso anno l’artista fu ingaggiato per la realizzazione del Sacrificio di Melchisedech per la parrocchiale di Sorisole, dipinto consegnato due anni dopo. Nel 1786 il nome dell’artista compare in una lettera del padre Carlo Giuseppe Gastaldi a Giacomo Carrara, in cui si ricorda una tela con S. Girolamo eseguita per il santuario di Graglia, nel biellese.
Il gran numero di commissioni nella bergamasca non aveva comunque interrotto i contatti di Picenardi con la madrepatria, come testimonia la pala con S. Francesco al cospetto di Cristo e della Vergine, dipinta per la chiesa cremasca di S. Bernardino in città (Ronna, 1787, pp. 98 s.).
Tra i più importanti lavori a cavallo dell’ultimo decennio ci sono le tele nella cappella del Nome di Dio in S. Bartolomeo a Bergamo (Tellini Perina, 1979), per cui Picenardi aveva ottenuto l’incarico il 13 luglio 1789 e che risultano a lui saldate nel 1790; per la stessa chiesa, nei due anni successivi, l’artista avrebbe decorato, con una pala d’altare e due ovali, anche la cappella di S. Giuseppe. Sembra invece precedente al 1790 la pala con i Ss. Fermo e Rustico per la chiesa di S. Giorgio a Bonate Sotto. Risalgono verosimilmente a una cronologia coeva le tele mitologiche con Venere e Adone, Cefalo e Procri, Atalanta e Meleagro, Borea e Orizia, di ubicazione ignota (Frangi, 1987).
Tra gli avvenimenti degli anni tardi va ricordata la consulenza del 1793 nella controversia legale tra il pittore Pietro Raggi e le monache di S. Grata, che si rifiutavano di pagare a Raggi un dipinto che giudicavano essere stato eseguito da Giovan Battista Tiepolo. Picenardi prestò assistenza, come perito di parte di Raggi, insieme a Vincenzo Angelo Orelli e Vincenzo Bonomini; la vertenza terminò con il prevalere della versione dell’artista, morto tuttavia nel 1793.
Tra il 1794 e il 1795 Picenardi ricevette altri pagamenti per la pala della parrocchiale di Erve, opera tra le meno felici, per lo stanco accademismo, nel percorso del pittore (Carubelli, 1990, p. 698).
Ultima opera riconducibile a una data certa sembra essere il Martirio di s. Lorenzo della parrocchiale di Mologno, su cui era leggibile, in passato, la data 1800 (Carubelli, 1968-1969, pp. 126-154). Il 24 agosto 1808 Picenardi vendette a un certo Francesco Aliprandi la sua casa di Crema (Carubelli, 1989, p. 41), segno del definitivo distacco, in età ormai avanzata, dalla città natale. Per il resto non ci sono altre notizie sugli ultimi anni dell’artista.
Morì a Bergamo il 30 maggio 1809. Il funerale fu celebrato il giorno successivo, presso la chiesa di S. Andrea (Sommi Picenardi, 1930).
La sua attività oscilla fra l’esecuzione di opere di respiro monumentale – come gli affreschi di villa Ghisetti e quelli delle parrocchiali di Credera, Ripalta Arpina (databili ai primi anni Ottanta su base stilistica), gli affreschi per il santuario della Beata Vergine della Costa a S. Giovanni Bianco (del 1782 circa) e il ciclo di tele per la parrocchiale di Sorisole (1785-87) – e il tono più intimista dei dipinti di piccole dimensioni, dalle Viæ Crucis, alle telette devozionali, alle garbate favole mitologiche.
La stessa valutazione del suo talento artistico oscilla tra le entusiastiche parole di memorialisti e studiosi di ambito locale, che avevano creduto di riscoprirne una sorta di «Tiepolo cremasco» (Sommi Picenardi, 1930) e le più equilibrate notazioni critiche successive (Carubelli, 1970, 1972, 1989, 1990; Frangi, 1987), che ne individuavano la corretta collocazione provinciale, con una più esatta constatazione di qualità e limiti, rileggendolo come figura di interessante artista in dialogo con il tardo Settecento veneto, bergamasco e veronese (con la fattura pittorica degli anni maturi, a pennellate mosse, sfrangiate, che ricorda quella dei Guardi) e individuandone i timidi, parziali aggiornamenti neoclassici degli anni tardi. È abbastanza recente anche la riscoperta di Picenardi disegnatore, studiabile nel buon numero di fogli conservati nel fondo grafico all’Accademia Tadini di Lovere (Alpini, 1999).
Fonti e Bibl.: A. Pasta, Le pitture notabili di Bergamo che sono esposte alla vista del pubblico, Bergamo 1775, pp. 83, 125; C. Marenzi, Guida di Bergamo, Bergamo 1824, (ed. 1985, pp. 87, 118, 130); A. Ronna, Zibaldone. Taccuino cremasco per l’anno 1788, Crema 1787, pp. 98 s., 120; G. Racchetti, Storia di Crema raccolta per Alemanio fino dagli annali di M. Pietro Terni, ristampata con annotazioni di G. Rocchetti, I, Crema 1844, pp. 334 s.; G. Sommi Picenardi, Notizie sopra il pittore cremasco M.P. e sulla sua famiglia, in La Voce di Crema, febbraio-marzo 1930; Nel 2° centenario della nascita di Mauro Piccinardi pittore cremasco, in Il Nuovo Torrazzo, 9 marzo 1935; L. Carubelli, M.P. pittore cremasco, tesi di perfezionamento, Università Cattolica di Milano, a.a. 1968-1969 (relatore prof. G.A. Dell’Acqua); L. Carubelli, M.P. pittore cremasco, in Arte lombarda, XV (1970), pp. 103-110; L. Carubelli, Opere inedite o poco conosciute di M.P., in Insula Fulcheria, XI-XII (1972-1973), pp. 39-53; C. Tellini Perina, Notizie relative alla chiesa di San Bartolomeo in Bergamo tratte da una cronaca settecentesca, in Arte lombarda, LI (1979), p. 81; F. Frangi, Una favola in ritardo: quattro inediti di M.P., in Insula Fulcheria, XVII (1987), pp. 34-45; L. Carubelli, M.P., Crema 1989; Ead., M.P., in I pittori bergamaschi: dal XIII al XIX secolo (dir. generale dell’opera: G.A. Dell’Acqua), V.3, Bergamo 1990, pp. 696-741; S. Tassini, M.P., in Settecento lombardo (catal., Milano 1991) a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, pp. 232-235; C. Alpini, M.P.: Lot. Le figlie e altre novità, in Insula Fulcheria, XXIII (1993), pp. 199-217; L. Carubelli, Per M.P., ibid., XXVII (1997), pp. 225-230; L. Carubelli, M.P.: due “favole” ritrovate, ibid., XXIX (1999), pp. 25-31; C. Alpini, M.P. disegnatore, in Insula Fulcheria, XXIX (1999), pp. 123-146; R. Casarin, M.P. ritrovato: il recupero di tre teleri della parrocchiale di San Pietro Apostolo di Ricengo, ibid., XXXIV (2004), pp. 187-194; L. Guerrini, M.P. in duomo: un ricordo a duecento anni dalla morte, ibid., XL (2010), pp. 134-143; O. d’Albo - G. Cavallini in La cattedrale di Crema. Assetti originari e opere disperse, a cura di M. Facchi - G. Cavallini, Milano 2012, pp. 24, 37-39, 51 s., 62, 74; L.P. Gnaccolini, Un furto fallito e un Picenardi “ritrovato” a Lurano, in La Rivista di Bergamo, LXXIX (2014), pp. 28-32.