MAUSOLEO
Colossale monumento sepolcrale di Mausolo (377-353 a. C.), satrapo della Caria, elevato al centro della città di Alicarnasso. Iniziata, o forse solo progettata, durante la vita del monarca, la costruzione fu patrocinata dalla moglie e sorella Artemisia che gli succedette, e alla morte di questa (351 a. C.) era ancora incompiuta nella sua decorazione scultorea. La versione delle fonti aveva fatto quasi concordemente supporre che l'opera fosse terminata in brevissimo volger di tempo dopo il 351, ma una recente ipotesi (Buschor), seducente soprattutto per la chiave che fornirebbe alla lettura stilistica delle sculture, suggerisce una interruzione dei lavori alla morte di Artemisia (subentrarono in Caria anni turbolenti e poco floridi con la successione di Idrieo e Ada e la detronizzazione di quest'ultima alla morte del marito) ed una ripresa nel 333 ad opera di Alessandro, che si impadronì di Alicarnasso e vi insediò Ada che lo aveva adottato quale figlio.
Considerato dagli antichi una delle sette meraviglie del mondo, il m. fu la più importante creazione del IV sec. a. C., primo nel suo genere in ambiente ellenizzato, ma di cui si possono riconoscere le ascendenze in tipi più antichi - orientali - di cui ha combinato i motivi della piramide e del periptero su alto basamento (ziqqurat babilonesi, sepolcro di Ciro a Pasargade (v.), monumento delle Nereidi, ecc.), documento di una mutata temperie sociale preludente l'ellenismo. Architetti ne furono Satyros e Pytheos, mentre la parte scultorea fu affidata per i lati E, O, S, e N rispettivamente a Skopas, Leochares, Timotheos e Bryaxis (Vitruvio erroneamente menziona Prassitele in luogo di Skopas). Il monumento, che era alto una cinquantina di metri, aveva una parte inferiore formata da un massiccio basamento rettangolare del perimetro di circa 125 m, una parte mediana con 36 colonne ioniche (9 × 11) intorno alla cella, e, sopra, una piramide di 24 gradini coronata da una quadriga, opera dello stesso architetto Pytheos. La decorazione scultorea comprendeva due fasce in rilievo con scene di amazzonomachia e centauromachia, che, secondo la maggior parte degli studiosi, si trovavano sul basamento, e un fregio con corse di carri che si supponeva ornasse la cella. Dagli studî del Krischen è risultata l'esistenza di misure fondamentali, consistenti nel piede asiatico, servite di base agli architetti che, secondo Vitruvio (Praef., i, 7), furono appunto anche dei teorici. Ma accanto a questi dati sicuri ve ne sono molti altri dubbi, che hanno lasciato adito a svariati tentativi di ricostruzione; opinabili rimangono infatti la pendenza della piramide superiore (sono stati trovati gradini di due diverse dimensioni) e la forma dell'ingresso al monumento, e incerta è soprattutto la collocazione dei fregi e delle sculture a tutto tondo riproducenti leoni, scene di caccia e statue-ritratto, probabilmente di antenati di Mausolo. Quando nel 1856 Newton compì le prime esplorazioni intorno al M. molti blocchi lisci e scolpiti erano stati reimpiegati nella fortezza di Budrun e altri frammenti giacevano nelle adiacenze del monumento, senza, peraltro, offrire sempre la possibilità di dedurre dalla loro ubicazione la originaria posizione sull'edificio. La ricostruzione architettonica del Krischen suppone i due fregi con amazzonomachia e centauromachia su due fasce orizzontalmente contigue al termine del basamento, le statue di leoni fra gli intercolumnî ed il fregio con le corse dei carri sulla cella; il Buschor vedrebbe piuttosto la fila dei leoni come decorazione dell'orlo del tetto, a ricordo delle protomi dei gocciolatoi, e le statue-ritratto ripartite fra i 36 intercolumni o intorno al piede dello zoccolo in ordine ritmico e graduate secondo le loro varie dimensioni. Un recente studio dello Jeppesen propone una nuova ricostruzione con il fregio dell'amazzonomachia posto a coronamento del basamento inferiore, quello con la centauromachia al disopra della piramide a gradini e le scene di caccia su uno dei lati lunghi del blocco inferiore. Lo Jeppesen propone anche altre variazioni nella ricostruzione architettonica del M. (in gran parte rifiutate dal Riemann). Fra le sue osservazioni di maggior rilievo sono la presenza nelle mura delle fortificazioni di Castel S. Pietro (Budrun) di lastre decorate, probabilmente appartenenti al fregio dell'amazzonomachia e le sigle Π e Λ rilevate sui leoni che potrebbero essere le iniziali dei nomi di Leochares o di Pytheos (o Prassitele, volendo dar credito a Vitruvio). Ma la questione maggiore, problema-chiave della scultura greca del IV sec., è quella dell'attribuzione delle lastre scolpite e delle figure a tutto tondo. Conservate nel British Museum, fin dall'epoca del Brunn esse furono oggetto di studî miranti a raggrupparle in quattro serie riferibili ai quattro scultori citati da Plinio. Le opinioni furono varie, spesso contrastanti, e solo per poche lastre concordarono sullo stesso nome; si basarono sui dati del ritrovamento e sui confronti stilistici con altre opere degli stessi artisti; ma bisogna anche supporre l'impiego di numerose maestranze gravitanti nella sfera di influenza di più di uno dei quattro maestri e ciò rende la discriminazione molto più difficile e, per taluni casi, disperata. Il nome più importante, al quale dovette essere forse legata anche una funzione direttiva, era probabilmente quello di Skopas, cui fu affidato il lato principale del monumento, quello orientale (v.). A lui (o alla sua officina) è attribuito dai più il gruppo di lastre British Museum nn. 1013-15, 1025; il Buschor vi aggiunge anche le teste 1054, 1057 e la lastra 1009, riferendo i nn. 1015, 1057, 1009 al periodo posteriore al 333 giustificando così con tale abbassamento cronologico la maggiore maturità stilistica di questo gruppo, ove si rileva l'esperienza di opere scopadee posteriori alla metà del secolo. Timotheòs, di poco più anziano di Skopas, e già famoso per le sculture di Epidauro, si distingue per i caratteri di un conservatorismo attico che si traduce in ritmi preziosi ed ornamentali; gli studiosi sono d'accordo nell'attribuirgli le lastre del British Museum nn. 1006, 1016, 1017. Il Buschor ascrive alla bottega di Timotheos, ma alla data più tarda (dopo il 333 a. C.), e sotto l'influsso della produzione tegeate di Skopas, la cosiddetta "lastra genovese" (British Museum 1022) che Wolters e Sieveking avevano riferito a Bryaxis, lo Pfuhl a Skopas, mentre il Brunn l'aveva esclusa dal Mausoleo. Meno agevole circoscrivere l'operato di Bryaxis (lato N) e di Leochares (lato O), più giovani e però meno illustri, allora, degli altri due, e fortemente influenzati da essi. A Bryaxis si attribuisce la colossale statua barbata tradizionalmente detta di Mausolo (n. 1000) che per il pittoricismo del panneggio e il pathos espressionista del volto, prelude alla futura attività del maestro, tutta proiettata nella civiltà alessandrina, mentre ad un suo collaboratore meno dotato è ascritta la cosiddetta Artemisia (n. 1001); la critica più antica riteneva che queste due statue occupassero la quadriga di Pytheos al vertice del monumento, ma tale ipotesi trova ora sempre più scarso suffragio. La figura di Leochares, che la mancanza di punti saldi nella sua cronistoria rendeva meno individuabile, emerge dalla recente indagine del Buschor con una più certa consistenza di contorni.
Bibl.: C. T. Newton, A History of Discoveries at Halicarn., Cnidus a. Branchidae, Londra 1861-63; Ebert, in Pauly-Wissowa, XIV (XXVII Halbband), 1930, c. 2411-14, s. v. Mausolleion. Sulle sculture: H. Brunn, in Sitzungsber. Bayer. Akad. Wissensch., 1882, II, p. 114-36; W. Amelung, Saggio sull'arte del IV secolo a. C., in Ausonia, III, 1908, pp. 91-135; P. Wolters-J. Sieveking, Der Amazonenfries des M., in Jahrbuch, XXIV, 1909, pp. 171-191; A. Neugebauer, in Arch. Anz., XXXVIII-XXXIX, 1923-24, cc. 111-113; E. Pfuhl, Bemerkungen zur Kunst des viert. Jahrh., in Jahrbuch, XLIII, 1928, pp. 39-53; H. K. Süsserott, Griech. Plastik des 4 Jahrh. von Chr., Francoforte s. M. 1938; E. Buschor, Mausollos und Alexander, Monaco 1950; P. E. Arias, Skopas, Roma 1952. Sull'architettura: F. Krischen, Die Statue des Maussollos, in Jahrbuch, XL, 1925, pp. 22-28; id., in Arch. Anz., XLII, 1927, cc. 162-169; id., in Röm. Mitt., LIX, 1944 (1948), pp. 173-181; J. Van Breen, Het Reconstructieplan voor het Mausol. te Halicarn., Amsterdam 1942; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Anc. Greece, Londra 1950, pp. 257-261; K. Jeppesen, Paradeigmata, Dissertat., in Aarhus, 1957 (Jutland Archaeolog. Soc. Publications 4, 1958); H. Riemann, in Gnomon, XXIII, 1961, pp. 69-73.
Mausolei. - Lo schema del m. fu ripetuto in una serie di monumenti minori del mondo orientale e mediterraneo (dalla tomba di Mylasa, di poco posteriore al monumento di Alicarnasso, al m. di Thugga, in Africa, del II sec. a. C., ecc.; v. monumento funerario).
Infine il significato specifico del termine m., originariamente coniato per il sepolcro di Mausolo, venne esteso a monumenti funerarî gentilizî di età romana, che si ricollegano all'antica forma etrusco-mediterranea del tumulus.
Il m. di Augusto (v. augusto) fu innalzato a Roma, subito dopo la guerra di Antonio, nel 28 a. C., nel Campo Marzio, ove ancor oggi (Piazza Augusto Imperatore) se ne vedono i resti, liberati e restaurati in occasione del bimillenario augusteo (1938). Aveva un diametro di 87 m ed era formato da un pilone centrale che reggeva in cima la statua dell'imperatore, e da cinque muri anulari fra i quali si aprivano vani trapezoidali. L'esterno del monumento era, in parte, coperto da terra.
Accanto al m. di Augusto ricorderemo quelli di L. Munazio Planco e di L. Sempronio Atratino presso Gaeta (v.). Di poco posteriore alla metà del I sec. è il m., pressoché contemporaneo, di Cecilla Metella, a Roma, sulla via Appia, trasformato in fortezza nel sec. XIII. Esso aveva originariamente un basamento quadrangolare in travertino, reggente un cilindro di blocchi pure di travertino su cui sorgeva il tumulo erboso (v. cecilia metella, sepolcro di).
Ispirato al m. di Augusto, ma concepito con la grandiosità e l'opulenza propria dell'architettura adrianea, fu il m. di Adriano, che, attraverso mutamenti e vicissitudini secolari, è ancor oggi, col nome di Castel S. Angelo, uno dei monumenti più famosi e meglio conservati di Roma. Iniziato nel 130 d. C., l'edificio non era ancora ultimato nel 138, alla morte di Adriano, ma fu compiuto poco dopo dal successore Antonino Pio. Era costituito di uno zoccolo quadrato di 84 m di lato, su cui si innalzava un tamburo cilindrico rivestito di marmi e decorato sulla facciata verso il Tevere con lesene scanalate su cui erano incisi i titoli funerari dei personaggi sepolti. Sull'attico era una serie di grandi statue, alcune delle quali sono conservate al Museo Naz. Romano. Il grande tamburo cillndrico reggeva uno spesso strato di terra con cipressi e su questo, forse, era un alto podio coronato dalla quadriga di Helios. Ai quattro angoli del basamento si trovavano gruppi di bronzo. Attraverso un corridoio con le pareti rivestite di marmi policromi ed una galleria elicoidale si accedeva alla camera sepolcrale rivestita di marmi, illuminata da due finestre oblique ed ornate di nicchie. Una monumentale cancellata chiudeva l'edificio.
Al tipo del m. romano si ispirano il Trofeo di Augusto a La Turbie (Alpi Marittime) e il Trofeo di Traiano ad Adamidissi (v. tropaeum traiani) in Dobrugia (Romania), ma trattandosi di monumenti onorifici e non di sepolcri, essi non trovano luogo fra i m. veri e proprî.
Lo schema dell'edificio a pianta circolare preceduto da un pronao rettangolare, che nel Pantheon aveva avuto il suo esempio più tipico, e ripetuto dal m. dei Gordiani (III-IV sec. d. C.), a Roma sulla via Prenestina e dal m. di Romolo sulla via Appia (posteriore al 309 d. C.).
Il m. di Diocleziano a Spalato (inizio IV sec. d. C.), è un monumento a pianta ottagonale circondato da colonne corinzie, con una cella circolare ornata di nicchie alternativamente rettangolari e curve e di una duplice serie di colonne, sormontato da una piramide ottagonale con tegole in terracotta o in bronzo: si discosta quindi dalla forma consueta nei secoli precedenti, pur riprendendo moduli presenti già nelle rotonde termali campane del II sec. e in taluni monumenti funerarî del III sec. (ad esempio il cosiddetto tempio di Portuno presso Porto).
Il m. di Galerio (ora S. Giorgio) a Salonicco è una grande rotonda ornata di otto finestroni su un giro di nicchie rettangolari; analoga forma, ma più complessa per l'aggiunta all'esterno, in corrispondenza delle nicchie e delle aperture, di due tamburi di diametro decrescente, presenta il m. di S. Elena (329-330) (v.) a Roma (Tor Pignattara).
Col m. di Costantina, a Roma sulla via Nomentana (metà IV sec. d. C.), divenuto più tardi la chiesa di S. Costanza, si compie il ciclo di trasformazione che, partendo dalle forme di tumulus mediterraneo, attraverso una sempre maggiore dilatazione ed ornamentazione dello spazio interno giungerà all'edificio di culto a pianta centrale; il porticato interno, la cupola interrotta da archi di nicchie e sorretta dai dodici archi poggiati sulle colonne interne, le geniali innovazioni statiche pongono questo monumento in testa alla serie dei battisteri paleocristiani e dei m. bizantini (di Galla Placidia, di Teodorico, ecc.): prime gloriose tappe dell'architettura medievale.
Bibl.: J. Weiss, in Pauly-Wissowa, XIV, 1930, cc. 2408-11. M. di Augusto: G. Lugli, Monumenti di Roma antica, III, Roma 1938, pp. 194-211. M. di Adriano: E. Strong, La scultura romana, Firenze 1923; D. S. Robertson, Handbook, Cambridge 1929; G. Lugli, op. cit., pp. 693-708; A. de Franciscis-R. Pane, Mausolei romani in Campania, Napoli 1957; L. Crema, L'architettura romana, Torino 1959.