Neufeld, Max (propr. Maximilian)
Regista e attore cinematografico austriaco, di origine ebraica, nato a Guntersdorf il 3 febbraio 1887 e morto a Vienna il 2 dicembre 1967. Di formazione mitteleuropea, fu attivo in Austria, in Germania e in Italia, dove ottenne sempre ampi consensi come attore e come regista. Particolarmente prolifico, realizzò per lo più commedie leggere che, se da un lato riscossero sempre il favore del pubblico, dall'altro raccolsero solo di rado l'approvazione della critica. Con l'avvento del nazismo, per motivi razziali N. si trasferì dalla Germania nella più tollerante Italia, dove divenne una rappresentante di spicco del genere dei telefoni bianchi.
Terminati gli studi di recitazione, N. iniziò in teatro, presso lo Josephstädtertheater di Vienna, la carriera di attore che poi proseguì nel cinema, dove apparve per la prima volta in Der Pfarrer von Kirchfeld (1914) diretto da Louise Veltée Kolm e Jacob Fleck. Richiamato al fronte, fu soltanto alla fine del primo conflitto mondiale che riprese a lavorare per il grande schermo, prima come attore poi come soggettista e sceneggiatore, infine come regista. Molto popolare fin dai tempi del cinema muto, spesso al fianco di Liane Hard, N. non si accontentò della celebrità acquisita e fu a partire dal 1921 che, al termine di un breve apprendistato tecnico, decise di intraprendere la carriera di regista, portata avanti ininterrottamente fino al 1957, anno in cui uscì in Austria la sua ultima fatica Der schönste Tag meines Lebens. Pur realizzando film in gran parte modesti e di grande impatto commerciale, ma narrativamente schematici, popolati da personaggi stereotipati e vincolati al genere della commedia, N. incontrò il favore del pubblico con opere come Sehnsucht 202 (1932; È l'amor che mi chiama) e Rund um eine Million (1933). In Italia, dopo il film musicale La canzone del sole (1933), raggiunse l'apice del suo personale successo con Mille lire al mese (1939). Pervaso di facili sentimentalismi, caratterizzato dagli inevitabili equivoci e ambientato in una Budapest irreale, tra le atmosfere futuribili della radio e della televisione, il film divenne il simbolo e il manifesto di un Paese che, invece di sposare gli eroismi nazionalistici, sbandierati dal fascismo, sembrava sempre più sognare per sé una vita modesta e tranquilla. Interpretato da Alida Valli, Osvaldo Valenti, Renato Cialente e Umberto Melnati, il film si avvalse della preziosa collaborazione di Oreste Biancoli, Luigi Zampa e Gherardo Gherardi per l'adattamento, i dialoghi e la sceneggiatura. Nelle produzioni italiane degli anni Trenta e Quaranta, come per es. La casa del peccato (1938), Una moglie in pericolo, Ballo al castello e Assenza ingiustificata, tutti del 1939, Fortuna, Cento lettere d'amore, La canzone rubata, Taverna rossa e La prima donna che passa, tutti del 1940, N. utilizzò la generica formula dei telefoni bianchi, sempre con la sua attrice di riferimento (la Valli) e con alcuni dei più celebri volti della cinematografia nazionale (Amedeo Nazzari, Assia Noris, Maria Denis, Armando Falconi ecc.). Rientrato in Austria nel 1948, dove continuò a lavorare sino alla fine, N. compì un'altra breve trasferta italiana all'inizio degli anni Cinquanta.
Dossier. Cinema italiano degli anni Trenta, a cura di O. Caldiron, in "Rivista del cinematografo", 1981, 8, pp. 412-69; Risate di regime. La commedia italiana 1930-1944, a cura di Mino Argentieri, Venezia 1991.