Reinhardt, Max
Nome d'arte di Maximilian Goldmann, regista teatrale e cinematografico austriaco, naturalizzato statunitense nel 1940, nato a Baden (presso Vienna) l'8 settembre 1873 e morto a New York il 30 ottobre 1943. Dominatore e riformatore della scena teatrale europea, grazie al suo eclettismo (sostenuto da ampiezza di interessi culturali e gusto per la sperimentazione) poté affrontare un repertorio vastissimo, imponendo la concezione novecentesca del regista quale unico vero creatore dello spettacolo. Il suo contributo al cinema, pur limitato direttamente a soli tre film, si estese a tutta la stagione del cinema tedesco espressionista e fantastico degli anni Dieci e Venti, per l'influsso che il gusto visionario e luministico delle sue messinscene teatrali esercitò su quello stile. Alla sua scuola, inoltre, si formarono i più importanti registi e attori tedeschi degli stessi anni, molti dei quali avrebbero poi lavorato anche a Hollywood.
Cresciuto in una famiglia di commercianti ebrei, si appassionò al teatro e giovanissimo cominciò a studiare recitazione. Sostenne quindi piccole parti al Burgtheater di Vienna dove fu notato dal direttore del Deutsches Theater di Berlino, O. Brahm, che lo condusse con sé nella capitale tedesca. Qui, dopo alcune prove come attore, R. orientò la sua vocazione teatrale verso la regia, assumendo nel 1902 la direzione del Kleines Theater (già Schall und Rauch) e rivolgendosi inizialmente a ricerche nell'ambito dell'avanguardia simbolista o pre-espressionista con messinscene, tra l'altro, di M. Maeterlinck e di F. Wedekind. Passato a dirigere il Deutsches Theater dal 1905 al 1932 (e poi via via il Kammerspiel, il Grosses Schauspielhaus a Berlino, il Theater in der Josephstadt a Vienna ecc.), trovò nella direzione del grande teatro berlinese il luogo di applicazione della sua pratica e teoria scenica, in una fervida attività che si esplicò in numerosi, memorabili allestimenti caratterizzati da una lussureggiante immaginazione fantastica e scenografica, ma anche da una particolare abilità nel creare un clima poetico e figurativamente prezioso. Il modo di R. di plasmare il rapporto tra spazio, attore e pubblico conteneva già in sé qualcosa di cinematografico nella predilezione per messinscene dal vero in ambienti naturali o monumentali, dalle piazze ai castelli, dalle antiche arene ai circhi, trasformati in luoghi deputati allo scatenamento della fantasia luministica e al movimento di masse di figuranti, creando uno stretto rapporto tra la comunità degli spettatori e il gruppo degli attori. Celebri i suoi allestimenti del dramma Jedermann di H. von Hofmannsthal, nel 1911 sotto il tendone del circo Schumann e nel 1920 sulla piazza davanti al duomo di Salisburgo, nel corso del festival da lui fondato assieme a R. Strauss e Hofmannsthal. Echi di queste messinscene si ritrovano nel film girato nel 1961 (e intitolato appunto Jedermann) da suo figlio Gottfried (1914-1994), regista e produttore cinematografico. Suggestivi furono anche, a partire dal 1911, gli allestimenti in cattedrali o castelli di Das Mirakel di K. Vollmöller, sulla cui base lo stesso R., in coregia con Cherry Kearton, girò un breve film nel 1912.
La sua influenza indiretta sul cinema fu enorme in quanto egli trasmise il senso sapiente della messinscena e del ritmo, della teatralità e dell'icasticità figurativa agli attori e ai registi che furono suoi allievi al Deutsches Theater: Friedrich Wilhelm Murnau, Paul Leni, Ernst Lubitsch, Paul Wegener, Wilhelm Dieterle, Otto Preminger, Leontine Sagan, Conrad Veidt, Werner Krauss, Emil Jannings, Vladimir Sokoloff, Elisabeth Bergner, Luise Rainer, Marlene Dietrich, una generazione mitteleuropea che, dopo la scuola di R., diede un contributo decisivo al cinema al di qua e di là dell'oceano. Il vero e proprio lavoro cinematografico di R. in ambito tedesco si limitò a due esperienze riconducibili al movimento dei Kinoreformer promosso dal produttore Paul Davidson (v. Germania), entrambe immerse in un'atmosfera di incantata visualità e imbevute di un immaginario debitore tanto della tradizione del Märchen (racconto, fiaba) romantico, quanto di un particolare e decadente gusto neoellenizzante. In particolare, Die Insel der Seligen (1913) è una féerie girata dal vero sulla costa triestina, in cui il travestimento mitologico è intriso di un'ironia leggera e attraversato da un sottile e inquietante erotismo; mentre in Eine venetianische Nacht (1914) il regista ambienta in una Venezia sognante l'omonima 'pantomima fantastica' di Vollmöller in cui malinconia e fiaba si incontrano nel segno di un estetismo visivo ricco di invenzioni.
Ma fu a Hollywood, dove si era trasferito nel 1933 in fuga dalle persecuzioni naziste, che la fantasia barocca di R. trovò virtuosistico sfogo in A midsummer night's dream (1935; Sogno di una notte di mezza estate), dedicato alla pièce shakespeariana più volte ripresa in teatro. Il film, diretto con il suo ex allievo Wilhelm Dieterle, resta una testimonianza unica del modo di lavorare di R., caratterizzato da una musicalità insieme dolce e potente nell'orchestrazione dei ritmi visivi e dei movimenti degli attori, oltre che da un intrico figurale in cui la suggestione scenotecnica si sposa alla preziosità pittorico-luministica. Alla lavorazione del film George Bilson dedicò un breve documentario, intitolato A dream comes true (1935). Se sulla scena il movimento dei pannelli e delle pedane girevoli, lo scorrere dei panorami e le pantomime degli attori rendevano le regie di R. una sorta di 'film teatrale', nel film la teatralità e il senso della finzione e del trucco si insinuano nei dettagli del bosco magico ricostruito in studio da Anton Grot con materiali che ne esaltano l'iridescenza e l'impalpabilità, nel fluttuante gioco luminoso della fotografia di Hal Mohr e infine nella recitazione di attori che uniscono grazia e ironia (dal Bottom scatenato di James Cagney al pirotecnico Puck di un giovanissimo Mickey Rooney, fino all'estenuata evanescenza della Titania di Anita Louise). Il fasto, il dispiegamento di mezzi, la poesia e l'estro fantastico del film non furono ripagati e mancò il successo di pubblico; ciononostante R. animò a Hollywood un laboratorio di cinema e teatro (chiuso nel 1942 per mancanza di fondi) e proseguì, come acclamato maestro, una carriera teatrale di grande prestigio.
L.H. Eisner, L'écran démoniaque; influence de Max Reinhardt et de l'expressionisme, Paris 1952, 1965² (trad. it. Roma 1955, 1983² e 1991³).
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