QUANTISTICA, MECCANICA (XXVIII, p. 592; App. II, 11, p. 634)
La meccanica quantistica, formulata da L. De Broglie e da E. Schrödinger (meccanica ondulatoria) e indipendentemente da W. Heisenberg (meccanica delle matrici), ha trovato nel decennio 1925-1935 la sua sistemazione definitiva nel formalismo operatoriale (P.A.M. Dirac, P. Jordan). L'estensione relativistica della stessa teoria ha portato da una parte alla deduzione delle diverse equazioni ondulatorie per particelle a spin intero (0, 1, 2,..) e semiintero (1/2, 3/2,..) in unità h/2π (h rappresentando la costante di Planck), fra le quali le più note sono l'equazione di Dirac (per particelle a spin 1/2), di O.B. Klein-W. Gordon (per partieelle a spin 0), di A. Proca-H. Yukawa (per particelle a spin1); dall'altra allo sviluppo della teoria quantistica dei campi quale unico formalismo adeguato per una trattazione relativistica dei problemi riguardanti l'interazione fra le particelle.
Un grande fervore di ricerche è stato inoltre in quegli stessi anni determinato dal problema fisico-filosofico dell'interpretazione del formalismo matematico nel quale la teoria si estrinseca. Si ritenne, e generalmente si ritiene tuttora, che tale problema sia stato definitivamente risolto dall'interpretazione probabilistica sviluppata dalla scuola di Copenaghen (N. Bohr, W. Heisenberg, M. Born, P. Jordan, ecc.), interpretazione nota comunemente con la qualifica di "ortodossa", e che ha portato a una nuova particolare descrizione del mondo fisico in opposizione alla tradizionale visione meccanicistica e causale della fisica classica che risaliva a I. Newton e P. S. Laplace.
L'ultimo decennio, oltre che da una serie di applicazioni allo studio di problemi riguardanti molecole e atomi, nuclei e particelle elementari, è caratterizzato da un intenso rinnovarsi dei tentativi volti a dare della meccanica quantistica un'interpretazione diversa da quella della scuola di Copenaghen. Questi tentativi, di cui alcuni si ricollegano a critiche sollevate fin dagli inizî della teoria quantistica stessa da parte di illustri fisici come M. Planck, A. Einstein, E. Schrödinger, M. von Laue e L. De Broglie, si devono soprattutto ad alcuni fisici della nuova generazione, tra i quali ricorderemo D. Bohm, D. J. Blochincev, L. Janossy, e varî altri.
W. Heisenberg classifica gli oppositori dell'interpretazione di Copenaghen in tre gruppi: un primo gruppo comprende coloro che si dichiarano insoddisfatti della teoria quantistica nel suo aspetto attuale e concentrano la loro critica su varî punti, ma senza tuttavia fare delle controproposte di carattere fisico. Gli oppositori del secondo gruppo, che è il più numeroso, tentano di sostituire all'interpretazione di Copenaghen delle interpretazioni realistiche più o meno ben definite; a questo gruppo appartengono De Broglie, Bohm, H. Fenyes, W. Weizel, A. P. Aleksandrov, D. I. Blochincev e altri. Infine gli appartenenti all'ultimo gruppo tentano di modificare anche il formalismo, edificando delle teorie che, sebbene portino nella più parte dei casi agli stessi risultati della odierna teoria quantistica, in taluni problemi possono condurre a risultati diversi; uno fra i tentativi più interessanti in questo senso è senz'altro quello di Janossy.
Come osserva Heisenberg, il punto fondamentale che unisce tutti gli oppositori è costituito dalla loro concezione realistica, secondo la quale anche i più piccoli costituenti del mondo fisico (quali gli atomi, gli elettroni, ecc.) esistono obbiettivamente, cioè indipendentemente dal fatto di venire o no osservati.
Nel primo gruppo di oppositori (Planck, Einstein, Schrödinger, von Laue) è del tutto particolare la posizione di Schrödinger, che, come è ben noto, ha contribuito in maniera essenziale all'edificazione della teoria quantistica. Egli vorrebbe attribuire una realtà obbiettiva non alle particelle, ma alle onde che non accetta di interpretare come pure onde di probabilità. Heisenberg osserva tuttavia giustamente che nell'interpretazione ortodossa sono solo le onde nello spazio delle configurazioni che vengono interpretate come onde di probabilità, mentre le onde luminose e le onde materiali sono onde nel senso usuale della parola.
Le obbiezioni di Planck e von Laue alla teoria quantistica derivano essenzialmente dal timore che gli elementi solipsistici contenuti nella interpretazione ortodossa portino alla negazione del mondo come di un qualcosa che esista indipendentemente dall'osservatore.
Accenniamo ancora alla posizione epistemologica di Einstein, certamente tra le più convincenti fra le diverse espresse dagli oppositori realisti. Egli ritiene essenzialmente che la teoria quantistica sia una teoria del tutto corretta, ma fornente una descrizione incompleta, a causa del suo carattere probabilistico, e ritiene che essa occuperà nel Quadro della fisica futura una posizione all'incirca analoga a quella che ha la meccanica statistica classica nel quadro della fisica classica. Il pensiero einsteiniano può essere chiarito dai due seguenti brani particolarmente significativi, tratti il primo dall'autobiografia scientifica da lui scritta per il volume "Alberto Einstein: filosofo e scienziato", il secondo dalla sua "Replica alle critiche" contenuta nel medesimo volume. Nel primo Einstein dice: "La mia opinione è che la teoria quantistica attuale per quanto riguarda certe idee fondamentali sicuramente stabilite, che essenzialmente sono derivate dalla meccanica classica, rappresenti una formulazione ottima delle connessioni fra esperimenti. Io penso però che questa teoria non offra alcun utile punto di partenza per lo sviluppo futuro. È in ciò che il mio atteggiamento si scosta da quello della maggior parte dei fisici contemporanei". Nel secondo, entrando più a fondo nella critica dei postulati epistemologici dell'attuale teoria quantistica, dichiara: "Ciò che non mi piace nella teoria quantistica è l'atteggiamento essenzialmente positivistico, che dal mio punto di vista è insostenibile e che mi sembra coincida sostanzialmente col principio di Berkeley: esse est percipi. L'''Essere,, è sempre qualche cosa che è mentalmente costruito da noi, cioè qualche cosa che noi liberamente poniamo (in senso logico). La giustificazione di simili costruzioni non sta nella loro derivazione da ciò che è dato dai sensi. Un simile genere di derivazione (nel senso della deducibilità logica) non ha mai luogo, nemmeno nel dominio del pensiero prescientifico. La giustificazione delle costruzioni, che rappresentano per noi la ''realtà,,, è solo nella loro capacità di rendere comprensibile ciò che è dato dai sensi".
Il secondo gruppo di oppositori all'odierna teoria quantistica, che è quello più numeroso, appunta le sue critiche soprattutto sul linguaggio adoperato nell'interpretazione di Copenaghen. I fisici di questo gruppo accettano il formalismo matematico, e quindi i risultati che da esso si deducono, come corretti. Bohm, che maggiormente ha sviluppato i tentativi in questo senso (collegandosi a un punto di vista espresso da De Broglie già nel 1927), mette in relazione le traiettorie delle particelle con le onde nello spazio delle configurazioni; per Bohm le particelle sono strutture "obbiettivamente reali", simili alle particelle della teoria classica. Anche le onde nello spazio delle configurazioni sono considerate da Bohm come campi "obbiettivamente reali", come, per es., i campi elettrici. Egli ritiene che il fatto che tali campi si manifestino nello spazio delle configurazioni anziché nell'ordinario spazio fisico derivi unicamente dalla nostra ignoranza riguardo all'evoluzione antecedente del sistema e riguardo alle proprietà dell'apparato di misurazione; da ciò discende anche il carattere statistico delle nostre previsioni. In tal modo Bohm ha potuto costruire un'interpretazione del formalismo della teoria quantistica altrettanto coerente, se pur più complicata, di quella di Copenaghen.
L'interpretazione di Bohm porta naturalmente a considerare la possibilità che un giorno la teoria quantistica possa venire considerata come l'aspetto "macroscopico" di una teoria che fornisca una descrizione più particolareggiata della natura e, nella convinzione di Bohm, in termini strettamente deterministici (nel senso della fisica classica). Fino a quando però una siffatta teoria non sarà stata costruita, la teoria di Bohm è del tutto equivalente alla formulazione ordinaria in quanto i parametri associati a una descrizione più particolareggiata non entrano mai esplicitamente in gioco nella formulazione attuale e quindi non danno luogo a effetti osservabili.
Alcuni fisici teorici russi (D.I. Blochincev, A.P. Aleksandrov, B.P. Nikol'skij, ecc.) rivolgono invece le critiche al ruolo attribuito all'osservatore nell'interpretazione di Copenaghen. Scrive, per es., Aleksandrov: "Con la locuzione ''risultato a di una misurazione,, dobbiamo intendere, nella teoria quantistica, solo l'effetto oggettivo dell'interazione dell'elettrone con un opportuno oggetto. Pertanto si deve evitare ogni riferimento all'osservatore e si devono considerare condizioni oggettive ed effetti oggettivi". Effettivamente questa obbiezione di Aleksandrov è abbastanza sensata e porta a un problema fondamentale per la coerenza logica della teoria quantistica, che è stato ed è ancora oggi oggetto di molte discussioni: si tratta in sostanza della teoria quantistica della misura, quale è stata formulata matematicamente da J. von Neumann. Alcuni aspetti di questa teoria sono stati recentemente criticati da P. Jordan e G. Ludwig. Questi Autori insistono particolarmente sul fatto che anche nel caso di esperimenti riguardanti dei microoggetti (per es., un elettrone) ciò che si osserva direttamente sono sempre degli effetti macroscopici. Ogni asserzione della teoria quantistica pertanto dovrà fare implicitamente riferimento a un oggetto macroscopico, che come tale è suscettibile di essere descritto per mezzo della fisica classica. Per esempio, quando si misura la posizione di un elettrone, quel che si osserva direttamente è lo scatto di un numeratore o l'annerimento di una lastra fotografica. Ma poiché un effetto macroscopico siffatto è oggettivamente descrivibile, cioè si può descrivere senza fare alcun riferimento ad un soggetto osservante, Jordan e Ludwig concludono che in ultima analisi anche la meccanica q., è, in un certo senso, una teoria "oggettivistica". Naturalmente, mentre gli effetti macroscopici sono classicamente descrivibili, i processi elementari che li hanno provocati non sono suscettibili di una siffatta descrizione: così, per esempio, la scarica in un contatore è classicamente descrivibile, ma non lo è viceversa il processo elementare che l'ha provocata. D'altra parte il macrooggetto (apparato di misura) nel quale hanno luogo i suddetti effetti macroscopici, dovrà ubbidire, come ogni altro macrooggetto, al secondo principio della termodinamica, e pertanto tutti i processi macroscopici in questione sono irreversibili. Tutto ciò è senz'altro evidente nel processo di scarica di un contatore o in quello di formazione di una traccia in camera di Wilson. La meccanica q. presuppone dunque, secondo Jordan e Ludwig, l'esistenza di oggetti macroscopici con le loro proprietà classiche; si pone allora il problema di dimostrare che l'applicazione delle leggi della meccanica q. al sistema complessivo costituito dal microoggetto in studio e dall'apparato di misura (macrooggetto costituito di atomi, cioè ancora di microoggetti) rende conto del processo stesso macroscopico di misura su una base oggettivistica. Una soluzione completamente soddisfacente di questo problema non è ancora stata data, anche se nello studio della questione sono stati fatti degli importanti progressi.
Vi è infine l'ultimo gruppo di oppositori, il più noto dei quali è J anossy.
Questi cerca di modificare il formalismo della teoria quantistica in modo da ottenere delle nuove equazioni contenenti dei termini di smorzamento tali che gli effetti di interferenza delle probabilità spariscano da soli dopo un tempo finito. Fisicamente questo vuol dire che il "precipitamento" in un determinato stato, che nella teoria quantistica è conseguenza del processo di osservazione, nella nuova teoria di Janossy avviene automaticamente e deterministicamente grazie ai suddetti termini di smorzamento. La concezione di Janossy, la quale è particolarmente interessante in quanto potrebbe fornire in determinati casi risultati diversi da quelli dell'attuale teoria quantistica (è tuttavia difficile realizzare un esperimento atto a rilevare tali risultati), va però incontro a varî inconvenienti, quali per esempio l'esistenza di onde materiali propagantisi, in contraddizione con la teoria della relatività, con velocità maggiore di quella della luce, lo scambio della successione temporale di causa ed effetto, ecc. Questi inconvenienti infirmano fortemente la plausibilità della teoria, la quale non ha trovato invero una favorevole accoglienza da parte dei fisici.
Si può concludere questo esame delle diverse posizioni assunte da coloro che non accettano l'intepretazione di Copenaghen o che addirittura respingono l'intera meccanica quantistica, osservando come essi, pur partendo da posizioni tra loro assai diverse, abbiano però tutti un denominatore comune: la convinzione che l'interpretazione dei fenomeni fisici, anche nel microcosmo, debba essere fondata su una descrizione della Natura in termini realistici anziché fenomenistici, come avviene nell'interpretazione di Copenaghen.
A nostro avviso, però, l'unico oppositore dell'interpretazione ortodossa della meccanica quantistica, il quale abbia spinto le sue indagini fino ad elaborare un "modello" completo atto a fornire un'interpretazione coerente, anche se, almeno a prima vista, un po' artificiosa, di detta teoria, è stato il Bohm. L'interpretazione realistica di Bohm costituisce infatti uno schema coerente in cui l'intero formalismo della meccanica quantistica trova una rappresentazione intuitiva, anche se meno semplice ed elegante, dell'interpretazione fenomenistica che rimane sempre quella preferita dalla maggior parte dei fisici attuali.
Bibl.: P. Caldirola e A. Loinger, L'interpretazione della teoria quantistica, in Il Pensiero, Milano 1957; P. Caldirola, Gli idoli della fisica moderna, in Giornale di fisica, i (1958), p. 306; I. De Broglie, La physique quantique resterat-elle indéterministe?, Parigi 1953; A. Einstein, Autobiographical notes and reply to criticisms, in Albert Einstein: Phil. Scient., New York 1951, p. 1 e p. 663; W. Heisenberg, The development of the interpretation of the quantum theory, in Niels Bohr and the development of physics, Londra 1955, p. 12.