MECCANICA (dal gr. μεχανιχή [ῦέχνη])
Le scoperte e gli studî sulle antichissime civiltà assiro-babilonese ed egiziana, che ci hanno rivelato sorprendenti risultati matematici non totalmente attribuibili a un puro empirismo, non permettono ancora di trarre alcun dato per valutare le conoscenze teoriche di meccanica di quegli antichi popoli, che pur furono sagaci osservatori di fenomeni astronomici. Dalle imponenti rovine che ci restano delle loro colossali costruzioni, dalle certe tradizioni di grandi lavori idraulici, dall'esame di sculture con figurazioni dei più comuni e anche dei più complicati strumenti meccanici e di macchine, e infine da ciò che ci lasciarono scritto gli storici posteriori, risulta in modo non dubbio lo stato avanzato delle loro cognizioni tecniche. E come dalle necessità della misurazione dei campi nacquero presso i primi filosofi greci le considerazioni puramente astratte di geometria; così in un modo che per mancanza di documenti certi ci è dato solamente intuire, dalle lunghe e secolari esperienze meccaniche, imposte dalle necessità della vita, dalla ripetuta osservazione della natura, dovettero apprendersi le regole empiriche per l'uso delle macchine semplici, dalle quali poi i filosofi tentarono di assurgere a una concezione sintetica e teorica.
Ma se sono relativamente numerosi i documenti e le tradizioni sulla geometria pre-euclidea, scarsissimi sono invece quelli che riguardano la meccanica. I primi documenti che noi possediamo in cui si considerano promiscuamente questioni di statica e di dinamica sono particolarmente le Questioni meccaniche di Aristotele o della sua scuola (sec. IV a. C.), la Fisica e Del Cielo. Nelle prime troviamo enunciata la condizione di equilibrio della leva, certamente assai antica, e tentata la sua giustificazione col concetto intuitivo dell'eguaglianza delle potenze dei due motori, il più antico accenno a quello che poi costituirà il principio dei lavori virtuali; e vi troviamo altresì questioni sulla resistenza dei materiali.
Aristotele ha di più trattato in modo ampio e profondo il concetto di movimento e la teoria del luogo; affermate l'immobilità della Terra e la corrispondenza di ogni moto semplice, cioè rettilineo o circolare uniforme, ad ogni sostanza semplice; data la regola per la composizione dei moti rettilinei uniformi. Egli infine applica costantemente il principio o legge dinamica, per cui la velocità di un corpo è direttamente proporzionale alla potenza e inversamente alla resistenza; ne deduce l'impossibilità del vuoto e, in uno stesso mezzo, la velocità d'un grave cadente proporzionale al suo peso. Nell'analisi della causa del moto, in mancanza del principio di inerzia, nel moto dei proiettili, quando il motore che li ha gettati non li tocca più, egli fa intervenire l'azione del mezzo, che favorisce anziché ostacolare il moto.
La dinamica aristotelica, attraverso gl'innumerevoli commentatori di tutti i secoli, durerà quasi inalterata sino ai tempi di Galileo.
Tuttavia la scuola atomistica, ammessa l'esistenza del vuoto, affermava che nel vuoto i gravi cadono tutti con la stessa velocità, e Giovanni Filopono (sec. VI d. C.), criticando la teoria aristotelica della causa del moto, gettava i primi germi della teoria dell'impeto sviluppatasi poi nel Medioevo.
Secolari esperienze e la lunga pratica debbono avere imposto la considerazione dei baricentri dei corpi; ma le prime ricerche teoriche sull'argomento a noi pervenute, e anche parzialmente, sono quelle di Archimede (287-212 a. C.), in cui con metodi rigorosi, che contengono già i metodi del calcolo integrale, sono determinati i baricentri di molte figure piane e solide e in particolare quella di un segmento di paraboloide di rotazione. E Archimede del pari fonda, col metodo euclideo, e quindi in un indirizzo che è certamente meno fecondo dell'aristotelico, la teoria della leva. Archimede ha enunciato anche il famoso principio d'idrostatica che porta il suo nome e ne ha fatto la stupenda applicazione alla ricerca delle condizioni di equilibrio e di stabilità di un segmento di paraboloide rotondo immerso in un liquido.
Nell'indirizzo aristotelico, uno dei più grandi ingegneri del mondo antico, Erone alessandrino (sec. I a. C.?), ha considerato nell'Elevatore l'equilibrio delle cinque macchine semplici: leva, verricello, taglia, cuneo e vite. E nel primo libro e a proposito della puleggia compare già in sostanza il concetto del momento d'una forza rispetto a un punto, derivante in fondo dalla condizione di equilibrio d'una leva angolare.
È tuttavia singolare e degno di nota che, dai documenti a noi pervenuti, non risulta fosse nota ai meccanici greci la vera condizione di equilibrio sul piano inclinato, usitatissimo nelle costruzioni; anzi quella che, assai posteriormente, ci ha tramandato Pappo è errata. Pappo ci ha in ogni modo conservato un bel teorema, assai noto, sui baricentri.
Questi, in sostanza, i contributi dei grandi filosofi e meccanici greci alla meccanica teorica. Contributi che per via diretta attraverso i numerosi commentatori di Aristotele, o per via indiretta attraverso i commenti e le traduzioni degli scienziati arabi, pervennero quasi inalterati e per lungo volger di secoli agli occidentali, e vi subirono, soprattutto per opera della scuola parigina del secolo XIV, una rielaborazione e un'estensione.
E appunto con Giovanni Buridan (1300-1358?) si riprende e si chiarifica la teoria dell'impulso, per la quale, come si è detto, bisogna risalire a Filopono; il proiciente imprime al mobile una virtù motiva, un impeto che si perde e si corrompe solamente per cause esterne (resistenza dell'aria, ecc.); cresce come la velocità, e tanto più un corpo contiene materia, tanto più può ricevere d'impeto: tale impeto, tale virtù che si conserva, e causa del moto uniforme de corpi celesti, dell'accelerazione dei gravi cadenti. In essa è quindi già implicita la legge d'inerzia.
La teoria di Buridan esposta, commentata, avvalorata da un suo allievo e altro celebre dottore dell'università di Parigi, Alberto di Helmstedt o di Sassonia (seconda metà del sec. XIV), pervenne agli umanisti italiani del Quattrocento e per loro mezzo a Leonardo.
Al tempo stesso con Alberto si vengono a precisare alcuni fondamentali concetti cinematici, già impliciti nell'astronomia greca così nel Tractatus proportionum, si delinea il concetto di velocità angolare; ma per quello di velocità di rotazione Alberto segue Th. Bradwardine, della scuola di Oxford (prima metà del sec. XIV), in una regola falsa, che tuttavia ebbe un'immensa influenza su tutti i successori. Conforme poi alla scolastica medievale, in Alberto si distinguono nettamente il moto rettilineo uniforme dall'uniformite difformis, cioè moto rettilineo vario. Inoltre l'intensità di qualunque proprietà (intensio formae) è una funzione dell'extensio della stessa proprietà; e nel caso del moto si considera l'extensio secundum distantiam (spazio), e secundum tempus. In particolare, nella caduta di un grave (moto uniformiter difformis) si finisce per ammettere falsamente, la velocità proporzionale allo spazio.
Infine un altro dottore parigino, Nicola Oresme (seconda metà del sec. XIV), uno dei precursori di Copernico, col trattato De latitudinibus formarum, ha arrecato il più grande contributo allo studio delle questioni del moto, mercé l'uso delle rappresentazioni geometriche (coordinate), rappresentando su uno dei due assi (longitudine) l'estensione di una certa quantità (la variabile indipendente nell'uso moderno) e sopra l'altro (latitudine) l'intensità. Se la quantità è il moto, l'estensione è il tempo e l'intensità è la velocità, si costruisce il diagramma della velocità; la mensura di una qualità viene assunta come area del rettangolo delle due coordinate. L'applicazione al caso del moto uniformemente accelerato, con velocità proporzionale al tempo, conduce, per la ricerca dello spazio a una regola ben nota. L'opera di Oresme ebbe una grande influenza; fu oggetto di numerosi commenti tra cui, in Italia, fu famoso quello di maestro Biagio da Parma o Biagio Pelacani (metà sec. XIV-1416).
Contributi capitali arrecò alla statica un autore conosciuto quasi solamente per i suoi numerosi e diffusissimi trattati, Giordano Nemorario (forse fine del sec. XIII e principio del sec. XIV); in quanto che egli fonda il principio della leva angolare sul postulato che la potenza capace di far scendere un peso verticalmente non è capace di farlo risalire a un'altezza maggiore; e con lo stesso principio assegna la condizione di equilibrio di due pesi sopra due piani inclinati. Ma per la dinamica e nei tentativi per lo studio del moto nei mezzi resistenti, si attiene sempre ad Aristotele. I contributi di Giordano si mostrarono fecondissimi e i suoi libri, studiati da Leonardo da Vinci, originarono le ricerche di questo artista-scienziato, le quali segnarono altresì un primo e poderoso ritorno alla conferma sperimentale, e non rimasero forse del tutto ignote ai suoi contemporanei e immediati successori.
I risultati conseguiti, che continuano ad estendere la dinamica di Buridan e di Alberto di Sassonia, ancora però affetti dall'errore fondamentale della dinamica aristotelica, chiudono il Medioevo della scienza meccanica e con lo studio dei libri di Archimede, resi generalmente noti con le stampe, iniziano il Rinascimento.
Francesco Maurolico da Messina (1494-1575), Federico Commandino (1500-1575), Luca Valerio (1552-1618), in gran parte con metodi geometrici degli antichi geometri, estendono considerevolmente le ricerche sui centri di gravità dei corpi. Nella teoria delle taglie, oggetto di studio e di scoperta di Leonardo, Guidobaldo del Monte (1545-1607) riscontra ancora uno dei più perspicui esempi del principio dei lavori virtuali; ravvisato altresì in forma sempre più corretta nell'equilibrio delle macchine semplici da Galileo e da Simon Stevin (1548-1620). Il primo riconduce l'equilibrio sul piano inclinato a quello della leva; il secondo ci dà la deduzione famosa dello stesso problema per mezzo di una catena o rosario raccolta intorno al piano, come, in modo lievemente diverso, aveva fatto Leonardo; e ne deduce la composizione delle forze ortogonali. La statica aveva quindi raggiunti i suoi fondamentali capisaldi. La moderna generalità non sarà raggiunta che nel secolo successivo.
Il passo più decisivo però nella storia della meccanica è l'avvento. tra la fine del Cinquecento e i primi del secolo successivo, della nuova dinamica, in pieno contrasto con quella aristotelica.
La teoria dell'impeto prende nuovo vigore con Niccolò da Cusa e. in Italia. con B. Telesio, con A. Piccolomini e con G. G. Scaligero Niccolò Tartaglia (1506-1559), pur rimanendo aristotelico, tenta una teoria del moto dei proietti e osserva la proprietà dell'angolo della massima gittata, che trae naturalmente origine daí bisogni della nascente scienza balistica. G. B. Benedetti (1530-1590) dà una diretta dimostrazione della falsità della legge aristotelica affermando l'assoluta indipendenza della velocità di un grave dal peso e spiegando (come Buridan) l'accelerazione dei gravi cadente come dovuta a una serie continua di successivi impeti.
L'opera di riassumere, ordinare, depurare gli sparsi materiali raccolti con lento e continuo lavoro da tante generazioni di pensatori, in modo da formare un tutto omogeneo veramente scientifico, insomma una nuova scienza, applicando le leggi rigorose della geometria e senza mai perder di vista il sano controllo sperimentale, era riserbato a Galileo, e dopo che, circa la metà del sec. XVI, era avvvenuto un fatto capitale nella storia del pensiero scientifico, l'affermazione cioè del nuovo sistema del mondo, o sistema copernicano, e Kepler ebbe scoperto le sue celebri leggi (1609-1619).
Le scoperte della teoria del moto, che rimontano ai primi del 1600, furono in parte esposte nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) e ricevettero la loro forma definitiva nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), pur essi in forma dialogica. Mentre le prime due giornate trattano di quelle ricerche sulla resistenza dei materiali che furono oggetto delle speculazioni e delle esperienze di Leonardo, le due ultime sono dedicate alla scienza del moto.
Con Galileo si stabiliscono la vera teoria del moto dei gravi cadenti nel vuoto e le leggi classiche del moto uniformemente accelerato; quella dei gravi mobili per piani inclinati e per corde di cerchio; si applica in senso preciso e corretto la legge d'inerzia, sebbene in una forma ancora particolare; si risolve il primo dei problemi meccanici del grave lanciato nel vuoto, assegnandone e studiandone la traiettoria parabolica; si afferma, in modo insuperato, il principio ora detto di relatività classica; si scoprono le leggi fondamentali del pendolo. La teoria del moto di un grave su un piano inclinato fondata da Galileo sopra un postulato (rimosso in seguito) che è una facile conseguenza del principio delle forze vive, conduce altresì a un primo enunciato del teorema sul centro di gravità di un sistema pesante in equilibrio. Coi lavori di Galileo, a cui si ispireranno tutti i successivi ricercatori, viene fondata la dinamica del punto materiale soggetto a forza costante; e nel mezzo secolo che corre tra l'opera di Galileo e quella somma di Newton, i meccanici del sec. XVII, valendosi dei metodi dell'antica geometria e della nuova istituita da Descartes (1636) e soprattutto di quelli poderosi del calcolo degl'indivisibili e del calcolo infinitesimale, al cui sviluppo concorsero i maggiori matematici del tempo, perfezioneranno ed estenderanno considerevolmente l'opera di Galileo. Anzi sarà assai agevole agli stessi suoi contemporanei raggiungere quella generalità, quell'astrattezza che a lui, tenace propugnatore dell'esperienza, immerso nel dibattito per il trionfo dell'idea copernicana, in qualche punto mancò totalmente.
Così è P. Gassendi (1592-1655) che chiaramente assurge al concetto di forza costante causa di moto uniformemente vario; R. Descartes (1596-1650) che, in una lettera a M. Mersenne, dà (1629) il primo generale enunciato della legge d'inerzia, pubblicata però e ritrovata in modo del tutto indipendente da G. Ballo (1167-1646) nel 1635; G. B. Baliani (1582-1666), che accenna già chiaramente alla distinzione dinamica tra massa e peso; J. M. Marci, boemo (1595-1667), che tenta una prima teoria matematica del pendolo e dell'urto dei corpi elastici; E. Torricelli (1608-1647), che generalizza il risultato di Galileo sul centro di gravità; mirabilmente perfeziona la teoria del moto parabolico e, primo esempio di un inviluppo di curve, assegna la cosiddetta parabola di sicurezza. L'applicazione del metodo degl'indivisibili, cui è legato il nome di un altro grande discepolo di Galileo, Bonaventura Cavalieri, fa annoverare il Torricelli tra i più efficaci promotori del calcolo integrale; come scopritore di formule integrali per il calcolo dei baricentri, con le applicazioni agli spazî cicloidali; del metodo cinematico per la costruzione delle tangenti alle curve piane. Infine G. A. Borelli (1608-1679) tenta una prima teoria dei satelliti di Giove; scopre le leggi (1667) dell'urto dei corpi molli e, dopo Leonardo, è il primo ad affermare la deviazione dei gravi verso est in causa del moto di rotazione della Terra.
Dopo il problema del pendolo semplice i meccanici si proposero subito quello del pendolo fisico e la ricerca del centro di oscillazione, identificato con quello di percossa. Proposto dal Mersenne al Descartes e da questi (1646) imperfettamente risoluto, oggetto di ricerche di Honoré Fabry (1606-1688), deve a G. P. de Roberval (1646) la sua risoluzione nel caso di un settore di cilindro retto.
Il più grande dei continuatori e perfezionatori dell'opera di Galileo è Christian Huygens (1629-1695), sommo geometra, astronomo e fisico. La meccanica teorica gli deve la scoperta delle leggi del moto circolare uniforme, prodotto da una forza o accelerazione costante verso il centro; la teoria matematica del pendolo semplice e la scoperta del tautocronismo della cicloide, coi metodi della geometria degli antichi, completata con le eleganti considerazioni geometriche sulla teoria delle evolute delle curve piane e la costruzione del pendolo cicloidale; l'applicazione del pendolo all'orologio (già però in modo diverso effettuata da Galileo) e finalmente la prima generale soluzione del problema del pendolo composto (Horologium oscillatorium, 1673), in cui, partendo da una ulteriore generalizzazione del postulato di Galileo, egli viene in sostanza, considerando quello che il Leibniz chiamerà forza viva, ad applicare il teorema delle forze vive. È qui che appariscono per la prima volta in modo esplicito la fondamentale nozione di momento d'inerzia e alcune delle sue proprietà più note. Inoltre Huygens, insieme con C. Wreen e J. Wallis (1668) ha dato le leggi dell'urto dei corpi dastici e molli; per le quali già Descartes aveva, in un caso particolare, enunciato il teorema della variazione delle quantità di moto o dell'impulso.
Il complesso di tutte queste svariate e ricche ricerche e la risoluzione di tanti problemi particolari, imperniati sui concetti galileiani, formano la solida base su cui I. Newton (1642-1727) fondò i suoi Philosophiae naturalis principia matematica (1687), una delle fondamentali pietre miliari della storia della meccanica. In essi, insieme con la scoperta del calcolo infinitesimale, Newton dà le generali odierne definizioni di velocità (flussione), di accelerazione in un moto curvo e vario, iniziando così la dinamica moderna.
Supposto spazio e tempo assoluti, Newton codifica nelle tre leggi famose la dinamica del punto materiale e, valendosi dei metodi infinitesimali, ne fa le più svariate e brillanti applicazioni e generalizzazioni a tutti i problemi trattati faticosamente dai suoi predecessori; dà la teoria completa delle forze centrali; la legge della gravitazione universale; inizia la teoria dell attrazione dei corpi sferici ed ellissoidali, e ne fa applicazione alla teoria delle maree, e a quella della Luna, fondando così la meccanica celeste.
E in quest'opera, con cui s'inizia trionfalmente la filosofia newtoniana, si contengono più o meno esplicitamente i teoremi fondamentali della nuova meccanica, ossia della conservazione del moto del centro di massa, delle aree, della conservazione dell'energia, sviluppati da tutti i successori.
Newton e soprattutto L. Euler si valsero quasi sempre, nelle grandi applicazioni, delle equazioni intrinseche del moto; la usuale forma odierna cartesiana fu adoperata da C. Maclaurin (1698-1746) nel 1742. E tutto il compito del secolo successivo a quello di Galileo e di Newton, sarà quello di perfezionare e applicare i metodi del calcolo e della nuova dinamica alla spiegazione e al coordinamento dei grandiosi fenomeni astronomici e alla meccanica dei sistemi.
A.-C. Clairaut (1713-1765), J. d'Alembert (1717-1783), L. Euler (1707-1783) e poi J.-L. Lagrange (1736-1813) e P.-S. Laplace (1749-1827), in pieno possesso dei metodi del calcolo differenziale, poterono trattare con maggiore profondità ed eleganza e con sempre maggiore successo la teoria della Luna e quella dei pianeti; iniziarono le prime ricerche sul classico problema dei tre corpi, di cui riuscirono a risolvere due casi particolari di grande interesse dal lato astronomico; ne fecero applicazione alla teoria della figura della Terra, e a quella delle maree; alla precessione degli equinozî; alla teoria generale dell'attrazione degli ellissoidi, cui, dopo quello di Maclaurin, è legato il nome di Laplace (1782). E alla fine del secolo il grande trattato di Meccanica celeste di Laplace corona l'opera grandiosa iniziata un secolo prima da Newton.
E anche in questo secolo tre opere famose e classiche completano tutto l'edificio della moderna meccanica. Esse sono: il Traité de Dynamique del d'Alembert (1743), in cui è enunciato e svolto il principio fondamentale della dinamica dei sistemi e definitivamente sepolta la secolare questione delle forze vive (leibniziani) e delle forze morte (cartesiani); la Theoria motus corporum rigidorum di Euler (1765), in cui è profondamente svolta la teoria dei momenti d'inerzia, la dinamica del giroscopio, dopo che J. A. Segner (1704-1777) aveva scoperta l'esistenza dei tre assi principali d'inerzia (1755); e finalmente la Mécanique analytique del Lagrange (1788), cosparsa di preziose e, per i suoi tempi, notevoli note storiche, basata sul felice connubio del principio del d'Alembert con quello dei lavori virtuali e che conduce da un lato all'equazione fondamentale della dinamica dei sistemi, dall'altro alle due ben note forme delle equazioni dinamiche lagrangiane, basi salde di tutta la meccanica e della fisica moderna e a cui il secolo successivo arrecherà ancora i grandiosi perfezionamenti di R. W. Hamilton (1835), che stabilì le famose equazioni canoniche dinamiche o hamiltoniane, di C. G. Jacobi (1842) e di J. W. Gibbs (1879). Il Lagrange ha pure risolto per il primo un caso notevole di moto di giroscopio pesante e introdotta la considerazione della funzione potenziale in un sistema di masse soggette alla legge newtoniana (1773).
Per quanto infine riguarda i principî fondamentali, sia ricordato ancora che P.-L. Maupertuis (1698-1759) enunciava il principio della minima azione (1744), oggetto di grave dibattito e di ricerche di Euler, a cui si ricollega l'altro del minimo sforzo (1829), enunciato da C. F. Gauss (1777-1855).
Due altre parti . della meccanica ricevevano al tempo stesso e lentamente quegli sviluppi, che per la loro importanza hanno conservato.
Nella statica, infatti, la legge di composizione delle forze concorrenti ottenuta da Leonardo, e poi in forma simile alla moderna dallo S. Stevin, fu eretta, nel 1687, a principio fondamentale, in luogo di quello della leva, da P. Varignon (1654-1722), cui si debbono il teorema generale dei momenti e poi le prime applicazioni del poligono delle forze, in cui già si riscontrano i primi e lontani germi di quei metodi geometrici che dovevano poi culminare con la statica grafica di K. Culmann; Giovanni Bernoulli (1667-1748), che insieme col fratello Giacomo va annoverato tra i píù grandi promotori dell'analisi infinitesimale, cui si deve la risoluzione di numerosi problemi dinamici e in particolar modo quella del famoso problema della brachistocrona (1696), enunciava in tutta la sua generalità (1717) il principio delle velocità o dei lavori virtuali. Alcune delle sue più note dimostrazioni e le considerazioni relative agli spostamenti bilaterali e unilaterali vennero assai dopo ad opera di Lagrange, di G. B. Fourier (1798), A.-A. Cournot (1827), C. F. Gauss (1829), M. Ostrogradskij (1834).
D'Alembert (1749) nella sua teoria della precessione degli equinozî, assegnava infine le sei equazioni cardinali di equilibrio di un sistema rigido. L'introduzione del concetto di coppia (1804), dovuto a L. Poinsot (1777-1859), ma che già figura in un'opera di G. Mozzi di cui diremo, permetteva di dare a tutta la teoria della composizione dell'equilibrio la sua forma attuale, completata dalle eleganti interpretazioni geometriche con la teoria delle dinami di R. S. Ball (1871). F. Möbius (1790-1868) dava infine un assetto logico (1837) a tutta la statica.
Il concetto di lavoro (fatica) di cui appare già traccia in Leonardo e in altri meccanici, apparisce nella sua forma moderna in L. Carnot (1784), in J.-V. Poncelet (1827) e in G.-G. de Coriolis (1829).
L'altra parte della meccanica, cui accennavamo, riguarda lo studio delle questioni di moto dal punto di vista esclusivamente geometrico; la necessità di premetterne lo studio a quello della dinamica era stata riconosciuta alla fine del sec. XVIII e ai principî del seguente da numerosi scienziati.
Costituiva la foronomia, su cui J. Hermann aveva scritto un trattato, ma da A.-M. Ampère prese il nome, universalmente accettato, di cinematica. Dopo i contributi di D'Alembert, di Euler sul moto istantaneo di un corpo rigido (1750-1758) e quelli di Giovanni Bernoulli (1749), di Ph. de La Hire (1706) e di Euler (1765) sul moto d'una figura piana, tale scienza riceveva due fondamentali contributi da G. Mozzi (1730-1813) con la scoperta. del moto istantaneo elicoidale d'un sistema rigido (1763) e da P. Frisi (1728-1784) con quella della composizione delle rotazioni istantanee (1759).
Ulteriori e ben noti risultati conseguirono successivamente A. Cauchy, F. Savary, L. Poinsot, cui è dovuta l'elegante rappresentazione del moto d'un giroscopio non soggetto a forze.
Nel sec. XVIII la meccanica, che si era già arricchita delle scoperte di E. Torricelli e di B. Castelli, ampliava considerevolmente i suoi dominî abbracciando, oltre lo studio dei corpi rigidi, quello ben più arduo dei fluidi. Le investigazioni del Clairaut (1743) sulle equazioni di equilibrio dei fluidi; quelle di D. Bernoulli con la scoperta (1758) del teorema che porta il suo nome e la sua Hydrodinamica; la scoperta delle equazioni del moto sotto le due ben note e classiche forme dovute ad Euler (?-1759); le considerazioni del Lagrange sul moto a potenziale (175 culminarono ai principî del sec. XIX con la scoperta degl'integrali delle equazioni idrodinamiche di Cauchy (1813), cui H. Helmholtz (1858) dava forma più perspicua e concreta con la sua teoria dei vortici; estesa e completata dai lavori di W. Thomson (Lord Kelvin, 1867).
E ancora, al principio del secolo XIX, Cauchy (1827), C.-L. Navier (1821) e poi G. Lamé fondarono la meccanica dei sistemi continui e iniziarono lo studio della teoria matematica dell'elasticità.
La meccanica infine nel sec. XIX, ben delineata nei suoi principî e nei suoi confini, si è arricchita di numerosi e magistrali trattati; da quello di S. Poisson (1833) al Treatise on Natural Philosophy di W. Thomson e P. Tait (1866). Il titolo di meccanica razionale, adoperato forse per la prima volta da P. Ferroni (1803), divenne comune a tutti i trattatisti nella seconda metà del secolo.
L'applicazione dei metodi vettoriali è un'innovazione di questi ultimi anni. Pure nel sec. XIX la critica dei principî, sempre attiva e vivace in ogni tempo, ricevette nuovo impulso da parte di C: Neumann (1870), sui sistemi di riferimento e l'introduzione del corpo α; di H. Hertz (1894) e di E. Mach, con l'analisi dei principî newtonianì dei concetti di massa, di spazio e tempo assoluti.
L'ultima evoluzione cui assistiamo, ed è ancora in atto, è quella che, con l'abolizione di tempo e spazio assoluti, col concetto di massa funzione della velocità del sistema di riferimento, imposte dagli sviluppi della fisica moderna, ha condotto alle moderne teorie relativistiche. Rispetto ad esse la meccanica classica, che nullo perde del suo immenso valore teorico e pratico, diviene la meccanica dei fenomeni lenti; v. relatività.
Bibl.: Si vedano le bibliografie di: cinematica; dinamica; gravitazione; inerzia; meccanismo; moto; statica. In particolare: E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwickelung, 8ª ed., Lipsia 1921 (trad. it. di D. Gambioli, Bologna 1909); P. Duhem, Les sources des th. ph.: Les orig. de la Statique, voll. 2, Parigi 1905-1907; id., Léonard de Vinci, ceux qu'il a lus et ceux, qui l'ont lu, voll. 3, Parigi 1906-1914; id., Le mouv. absolu et le mouv. relatif, Parigi 1909; id., Le système du monde, voll. 2, Parigi 1913-1917; I. Newton, Principii di filosofia naturale, con note critiche sullo sviluppo dei concetti della meccanica, per cura di F. Enriques e U. Forti, Roma 1925; R. Marcolongo, Lo sviluppo della Meccanica sino ai discepoli di Galileo, in Mem. Acc. Lincei, Cl. sc. fis. e mat., s. 5ª, XIII, 1919; id., La Meccanica di Leonardo da Vinci, in Atti R. Acc. sc. fis. e mat. di Napoli, s. 2ª, XIX, 1932. Per la storia della meccanica nell'antichità: F. Enriques e G. De Santillana, Storia del pensiero scientifico, I, Milano 1933. - Per la storia di speciali problemi: Mayer, Storia del principio della minima azione, in Bull. di Bibliogr. ecc. di B. Boncompagni, II, 1878; O. Hölder, Über die Prinzipien von Hamilton u. Maupertuis, in Gött. Nach., 1896; G. Vailati, Il principio dei lavori virtuali da Aristotele a Erone di Alessandria, in Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino, XXXII, 1897 (Scritti, Firenze 1911, p. 91); id., Le speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi, in Atti Acc. Torino, 1898 (Scritti, p. 161). Si vedano infine numerose note storico-bibliografiche nei trattati di R. Marcolongo e di T. Levi-Civita e U. Amaldi.