Meccanicismo e vitalismo
di Ronald Munson
Meccanicismo e vitalismo
sommario: 1. Introduzione. 2. Il meccanicismo. 3. Il vitalismo. 4. Il riduzionismo. a) Riduzionismo esplicativo. b) Riduzionismo costitutivo. c) Riduzionismo strategico. d) Esame delle tre tesi riduzionistiche. e) Valore attuale del riduzionismo. 5. L'antiriduzionismo. 6. La biologia organismica. a) Origini della biologia organismica. b) Biologia evolutiva e biologia funzionale. c) Il concetto delle due biologie e le tesi riduzionistiche. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Agli inizi del XX secolo i biologi potevano essere divisi in linea di massima in due gruppi: vitalisti e meccanicisti. Secondo la concezione dei vitalisti era necessario postulare l'esistenza di una particolare forza o fattore non fisico per comprendere il modo in cui gli organismi svolgono la propria attività. I meccanicisti sostenevano il principio che gli organismi altro non sono che macchine, anche se molto particolari, il cui funzionamento può pertanto essere compreso interamente per mezzo delle leggi della meccanica fisica.
I progressi conseguiti nella comprensione dei fenomeni biologici hanno messo completamente in crisi il vitalismo, sicché oggi nessun biologo si dichiarerebbe vitalista. Ciò però non significa che il meccanicismo abbia trionfato. Nei primi decenni del secolo, infatti, si è affermata una terza posizione, la biologia organismica, la quale non postula l'esistenza di speciali forze o principi vitali, bensì sottolinea che certe caratteristiche dei sistemi biologici non possono essere comprese soltanto attraverso le leggi fisiche valide per le componenti di quei sistemi. Inoltre i biologi e i filosofi hanno rifiutato il meccanicismo nella sua formulazione classica sostituendolo con la posizione più articolata e meglio difendibile del riduzionismo, secondo il quale tutti i fenomeni biologici possono, in linea di principio, essere completamente spiegati con gli strumenti teorici delle scienze fisiche.
Nelle pagine seguenti la nostra attenzione si concentrerà sui problemi attualmente più discussi dai biologi e dai filosofi della biologia: ciò significa che il nostro interesse sarà rivolto principalmente alle affermazioni e alle discussioni relative al riduzionismo e alla biologia organismica. Il vitalismo e il meccanicismo sono ormai più argomenti di carattere storico che dottrine ancora valide e capaci di avere proseliti, e noi non faremo alcun tentativo di individuare la loro origine o di tracciare il loro sviluppo.
Per ricostruire la controversia fra riduzionismo e biologia organismica, è necessario però dedicare una certa attenzione al meccanicismo e al vitalismo. Conoscere le implicazioni di queste posizioni, e i motivi per i quali sono state abbandonate, ci aiuterà a comprendere meglio le formulazioni del riduzionismo e della biologia organismica e a evitare di confonderle con posizioni superate. Inoltre il conflitto tra meccanicismo e vitalismo pone in modo evidente la questione della collocazione della biologia in rapporto alle scienze fisiche. La biologia è ‛autonoma' rispetto alla fisica e alla chimica, con concetti e leggi propri e indipendenti, o è solo un capitolo del libro delle scienze fisiche? Questo, come vedremo, è ancora il punto centrale della disputa tra riduzionisti e biologi organismici.
2. Il meccanicismo
Il meccanicismo in biologia, nella sua forma moderna e più accreditata, nacque nella prima metà del sec. XVII come parte della più generale filosofia meccanicistica. Il successo che Galileo e Keplero conseguirono formulando le spiegazioni del moto terrestre e degli astri, incoraggiò lo sviluppo di un vasto sistema meccanicistico che permettesse di comprendere ogni aspetto della natura. Nello stesso periodo la fisiologia stava compiendo notevoli progressi, ed è naturale che la filosofia meccanicistica influisse profondamente anche sulla biologia. Proprio come ai nostri giorni la biologia molecolare pone problemi di ordine sia scientifico sia filosofico, allo stesso modo in quel periodo i ricercatori sperimentali e i filosofi dovettero misurarsi con la fisiologia. Chiunque volesse elaborare una completa filosofia della natura doveva necessariamente prendere in considerazione la fisiologia.
Questo nodo non sfuggì a Cartesio, la cui elaborazione di una filosofia meccanicistica dei sistemi viventi, nel quadro della sua più generale visione meccanicistica della natura, è forse la più notevole impresa filosofica di quel periodo. Cartesio persegue l'ideale di una spiegazione dei fenomeni biologici condotta per mezzo di una fisica quantistica, ideale che fu poi perseguito dalla biologia riduzionistica. Per Cartesio la materia è caratterizzata essenzialmente dall'estensione nello spazio, dalla divisibilità e dal movimento. Poiché gli organismi sono costituiti di materia, non è legittimo ricorrere a ‛umori' o a ‛proprietà vitali' per spiegare il loro operare; non basta, per esempio, dire che i muscoli si contraggono, perché questa è una delle loro proprietà. Il problema che Cartesio affrontò fu allora quello di dare un'esposizione della fisiologia in grado di dimostrare come l'azione delle forze fisiche, insieme alle parti degli organismi e alla loro disposizione, spiegasse fenomeni come la sensazione, la respirazione e la digestione.
Per raggiungere questo scopo Cartesio elaborò la nozione di ‛animale-macchina': gli animali, cioè, non sono altro che complicati congegni che in linea di principio non differiscono dagli automi che corredano gli orologi monumentali. La differenza è solo di tipo quantitativo, non qualitativo, poiché gli automi costruiti dall'uomo sono composti da pochi pezzi e la loro struttura è semplice, mentre gli ‛automi naturali' risultano dalla complessa composizione di un gran numero di parti. Nulla di strano, dunque, se gli animali hanno una gamma di comportamenti tanto più estesa di quella degli automi artificiali.
È importante notare che Cartesio non sostiene una mera analogia tra animali e automi, ma ne asserisce la fondamentale identità. Di conseguenza il comportamento animale e le attività fisiologiche possono essere spiegati facendo riferimento alla complessa disposizione di pulegge, leve, pompe, valvole, tubi, e all'azione di liquidi, calore, moto e pressione. Le leggi della meccanica dovrebbero essere in grado di spiegare entrambi i tipi di automi.
Cartesio era consapevole che, trattandosi di organismi, si richiedevano livelli diversi di analisi: non era sufficiente, per esempio, parlare soltanto dei meccanismi responsabili della circolazione del sangue e dei modi in cui i movimenti ai livelli più bassi influenzano quelli ai livelli più alti. Qualunque fosse il tipo di analisi, tuttavia, i principi della spiegazione dovevano essere meccanicisti, come Cartesio afferma nella conclusione generale del suo trattato De l'homme: ‟Desidero che consideriate [...] che tutte le funzioni che ho attribuite a questa macchina, come la digestione dei cibi, il battito del cuore e delle arterie, il nutrimento e la crescita delle membra, la respirazione, la veglia e il sonno, [...] seguono tutte in modo naturale [...] dalla sola disposizione dei suoi organi, né più né meno di quanto fanno i movimenti di un orologio o altro automa in seguito a quella dei suoi contrappesi e delle sue ruote; per modo che non bisogna concepire in essa alcun'altra anima vegetativa, nè sensitiva, nè alcun altro principio di movimento e di vita che non sia il suo sangue e i suoi spiriti, agitati dal calore del fuoco che brucia continuamente nel suo cuore e che non è di natura altra da quella di tutti i fuochi che sono nei corpi inanimati" (v. Descartes, 1664; tr. it., p. 154).
L'uomo costituiva l'unica eccezione di questa completa meccanicizzazione cartesiana della vita: Cartesio riteneva che la coscienza postulasse un'anima non materiale, e nel postulare quest'anima egli introduceva nella tradizione biologica e filosofica un inquietante dualismo che continua a operare ancora oggi. Cartesio tentò di costruire una teoria coerente, indicando come l'anima possa esercitare un'influenza di ordine fisico sulla ghiandola pineale, ma il divario tra l'anima immateriale e il corpo materiale rimaneva pur sempre incolmabile.
Quantunque la fisiologia cartesiana sia stata respinta anche ai suoi tempi come totalmente inadeguata, le indicazioni generali che aveva espresso continuarono a esercitare una notevole influenza. Anzitutto Cartesio fornì alla ricerca biologica un elaborato schema concettuale che prospettava temi particolari per le future indagini e che, fatto ancora più importante, era caratterizzato dalla nozione centrale che solo le spiegazioni fisiche dei fenomeni organici sono accettabili. In effetti lo schema costituiva un programma di ricerca che rifiutava spiegazioni che si rifacessero ad anime o a qualità sostanziali: in questo senso, in quanto principio metodologico, il programma della fisiologia cartesiana continuava a essere importante, anche se le sue spiegazioni erano chiaramente inadeguate. Il concetto di ‛animale-macchina', ulteriormente elaborato nel corso del XVIII e del XIX secolo, veniva ancora impiegato a fini euristici dai fisiologi all'inizio del XX secolo.
In secondo luogo, come abbiamo detto precedentemente, Cartesio elaborò un ideale filosofico dell'unità delle scienze attraverso la fisica. Questo ideale va oltre la regola o il programma di cercare una spiegazione naturalistica dei fenomeni biologici: suggerisce piuttosto che la biologia possa costituire in ultima analisi semplicemente un ramo della fisica. La fisica di Cartesio era del tutto inadeguata al compito che egli aveva delineato, ma dopo che si fu affermata la meccanica newtoniana sembrò a molti biologi che il programma generale potesse essere realizzato. Così i ‛meccanicisti' dell'inizio di questo secolo affermarono, proprio come Cartesio, che le leggi della meccanica erano, in linea di principio, adeguate alla comprensione di tutti i fenomeni organici.
Con la consapevolezza acquisita in questo secolo che le leggi della meccanica non possono fornire una spiegazione adeguata neppure di tutti i fenomeni fisici, la versione classica del meccanicismo è stata abbandonata. Ma l'attuale riduzionismo propone una versione modificata dell'ideale cartesiano e, pur riconoscendo i limiti di una spiegazione meccanicistica, asserisce che le leggi delle scienze fisiche (fisica e chimica) possono spiegare in linea di principio tutti i fenomeni biologici. Discuteremo questo punto di vista nei dettagli dopo aver considerato brevemente il classico antagonista del meccanicismo, cioè il vitalismo.
3. Il vitalismo
Nel XX secolo la biologia vitalistica meglio elaborata e più accreditata è certamente opera di Hans Driesch (1867- 1941). Benché oggi Driesch non abbia praticamente più seguaci, le sue teorie possono essere considerate rappresentative dell'odierna posizione vitalistica, molto sofisticata e rigorosa dal punto di vista biologico. La sua dottrina del ‛vitalismo critico' mostra la fatale debolezza del vitalismo, ma pone anche problemi che gli attuali riduzionisti e biologi organismici continuano a considerare importanti.
Driesch definisce il vitalismo ‟dottrina dell'autonomia della vita" e spiega chiaramente quello che questa definizione implica, sia riguardo alla natura dei processi organici, sia riguardo allo status della biologia come scienza: ‟La vita non è [...] una connessione speciale di eventi inorganici; la biologia, pertanto, non e un applicazione della chimica e della fisica. La vita è qualcosa di diverso, e la biologia è una scienza indipendente" (v. Driesch, 1909 tr. ingl., p. 105).
Così per Driesch la natura stessa dei processi biologici rende intrinsecamente impossibile acquisire una loro completa comprensione per mezzo di teorie che abbiano come oggetto solo i processi non biologici. Perciò lo studio degli organismi deve restare sempre una disciplina totalmente separata da quelle che trattano fenomeni puramente fisici.
Driesch contrappone il vitalismo, cioè ‟l'autonomia della vita", alla ‟teoria della macchina della vita" (v. Driesch, 1909; tr. ingì., p. 5). Egli definisce il meccanicismo come la teoria per la quale i ‟processi della vita e il suo ordine sono solo un caso speciale di leggi valide altrove". Nonostante questa definizione generale, Driesch pensa che il meccanicismo si identifichi con l'affermazione che le leggi della meccanica possono spiegare tutti i fenomeni biologici. Il meccanicismo che egli avversava, dunque, non differiva sostanzialmente da quello formulato da Cartesio e sviluppato dai suoi successori in termini newtoniani.
Driesch sottolinea più volte che il vitalismo non è solo una filosofia speculativa, poiché sono i dati forniti da esperimenti e osservazioni che dimostrano che il meccanicismo è inadeguato e che è necessario postulare l'esistenza di una speciale entità chiamata ‟entelechia" per poter comprendere i processi biologici. A sostegno di questa affermazione Driesch presenta tre ‛prove empiriche' del vitalismo. Dal momento che egli ritiene sufficiente la prima prova, considereremo solo questa.
Egli la trasse essenzialmente dall'embriologia sperimentale. Nel 1888 Wilhelm Roux aveva pubblicato i risultati di un esperimento in cui aveva ucciso uno dei due blastomeri di un uovo di rana dopo la prima scissione: dal biastomero rimasto si era sviluppato mezzo embrione. Roux aveva interpretato questo risultato come conferma della teoria che le cellule risultanti dalla scissione di un uovo fecondato contengono diversi ‛determinanti', i quali sono responsabili dello sviluppo delle specifiche parti dell'embrione. La perdita di metà dei determinanti avrebbe dovuto significare la perdita di mezzo embrione, e questo era proprio ciò che l'esperimento sembrava dimostrare.
Nel 1891 Driesch ripeté l'esperimento di Roux con uova di riccio di mare. I risultati furono completamente diversi: invece di generare ciascuno mezzo embrione, i blastomeri si svilupparono in larve perfettamente formate, ma di dimensioni pari alla metà del normale.
Tale esperimento dimostrava, secondo Driesch, che lo sviluppo embrionale non può essere un processo meccanico, perché ‟una disposizione specifica di elementi e fattori fisico-chimici non rimane invariata se se ne toglie una parte qualsiasi, mentre l'organismo rimane assolutamente invariato" (v. Driesch, 1905; tr. ingl., p. 210). Ma questa prova era per lui più che una confutazione del meccanicismo: Driesch la considerò come una dimostrazione indiretta dell'esistenza di quel fattore causale non fisico da lui chiamato ‟entelechia".
L'entelechia, secondo Driesch, è un'entità associata a ogni organismo, un ‟agente naturale non meccanico", ‟assolutamente non quantificabile", e che pertanto non può essere misurato in alcun modo. Inoltre, siccome non è una forma di energia, non viola il principio di conservazione. Regola, però, e dirige l'energia, sebbene il suo operare non richieda alcuna energia. Può interrompere temporaneamente i processi chimici e fisici dell'organismo, attivarli o disattivarli, ma non può iniziarne di nuovi. Non è collocabile nel tempo e nello spazio, sebbene agisca nel tempo e nello spazio. È esistita fin dall'inizio della vita, sebbene Driesch non dica come sia comparsa.
È chiaro il motivo per cui un vitalismo del tipo di quello sostenuto da Driesch non è più oggetto di una seria discussione biologica o filosofica. I progressi conseguiti nella comprensione dei processi dello sviluppo dimostrano che non è necessario appellarsi a qualche misteriosa entità per spiegare tali fenomeni. Ora sappiamo che lo sviluppo dei tessuti e degli organi da un unico uovo fecondato riflette le attività dei geni e i mutamenti del loro ambiente chimico. Inoltre sappiamo che i geni si esprimono in modo differenziato in rapporto al tempo e alla loro posizione nell'uovo in sviluppo. Se Driesch avesse tagliato i biastomeri orizzontalmente anziché verticalmente, non avrebbe prodotto embrioni completi: in certi stadi dello sviluppo la parte superiore e quella inferiore sono chimicamente diverse, e alcune parti di entrambe sono necessarie allo sviluppo stesso (v. embiologia).
La maggiore debolezza del vitalismo dal punto di vista della metodologia scientifica è costituita dalla sua implicita accettazione dell'ignoranza, in quanto, anziché delineare un programma di ricerca, propone di porre fine all'indagine appellandosi a un'entelechia che, per la sua stessa natura, non può essere oggetto di studio. Per il vitalismo, insomma, vi sono aspetti dei processi biologici che non saremo mai in grado di capire, sicché ogni sforzo per imparame qualcosa di più viene scoraggiato.
C'è comunque un aspetto positivo del vitalismo che è spesso trascurato: con le sue ‛prove' Driesch riuscì ad attirare l'attenzione su vari settori della ricerca biologica che non si prestavano a semplici spiegazioni meccanicistiche e così, se non altro, rese i biologi più critici sulle loro teorie e linee di ricerca. Inoltre, l'insistenza di Driesch sull'autonomia della biologia come scienza metteva a fuoco una tematica che continua a essere oggetto di controversia tra riduzionisti e biologi organismici.
4. Il riduzionismo
a) Riduzionismo esplicativo
La tesi del riduzionismo consiste, in sostanza, nell'affermazione che gli organismi altro non sono che sistemi fisici e chimici estremamente complessi, e che i processi organici sono solo aspetti speciali dei processi fisici e chimici. I fenomeni biologici, quindi, nulla implicherebbero al di fuori dei fenomeni fisici, cioè non sarebbero altro che fenomeni fisici di un certo tipo.
In base a questo modo di considerare la natura degli organismi, dovrebbe essere possibile in linea di principio spiegare tutti i fenomeni biologici nel quadro delle teorie delle scienze fisiche. L'espressione ‛in linea di principio' è di estrema importanza, perché naturalmente nessuno crede che tali spiegazioni siano oggi disponibili: la loro acquisizione è considerata un traguardo da raggiungere. Come si esprime Fr. Crick (v., 1966, p. 10) ‟lo scopo ultimo che si prefigge la moderna biologia è di spiegare tutta la biologia nel quadro della fisica e della chimica". In teoria le spiegazioni dovrebbero procedere ‟fino a livello atomico".
Non è necessario presentare il riduzionismo come una teoria mirante a definire direttamente il carattere dei fenomeni organici. Le sue tesi sono state spesso sostenute, particolarmente da filosofi, in riferimento alle leggi e alle teorie della biologia e ai termini in cui queste sono espresse. In tale versione esso ammette la possibilità, in linea di principio, di ridurre le teorie biologiche a teorie fisiche e chimiche.
In questo contesto ‛riduzione' significa spiegare una teoria - già stabilita autonomamente e appartenente alla biologia - per mezzo di una teoria appartenente alle scienze fisiche. Benché non ci sia unanimità sulle condizioni che debbono verificarsi per effettuare la riduzione di una teoria a un'altra, quelle espresse da E. Nagel sono state accettate, in linea generale, dalla maggior parte dei riduzionisti.
Secondo Nagel (v., 1961, pp. 345 ss.) bisogna che siano soddisfatte due condizioni: 1) ogni termine della teoria ridotta deve poter essere definito per mezzo dei termini della teoria riducente, ovvero devono esserci delle regole (espresse nei termini della teoria riducente) che offrano condizioni sufficienti per applicare i termini della teoria ridotta; 2) ogni proposizione della teoria ridotta deve poter essere derivata da un insieme di proposizioni della teoria riducente (ampliate sino a includere le definizioni o regole menzionate sopra).
Per es., per ridurre la genetica formale alla genetica molecolare, termini biologici come ‛gene dell'occhio scuro' dovrebbero essere collegati a una descrizione chimica di uno o più segmenti di DNA. In realtà tutti i geni menzionati nella genetica formale dovrebbero essere identificati con segmenti di DNA. Inoltre termini come ‛omozigoti' dovrebbero essere collegati con le descrizioni chimiche delle condizioni sufficienti perché si possa applicare tali termini. Cioè dovrebbe essere possibile esprimere in termini chimici le condizioni che renderebbero vera una proposizione del tipo ‛X è recessivo'.
Con tali definizioni e regole sarebbe possibile ‛tradurre' le proposizioni della teoria biologica in quelle della teoria chimica. Se poi queste proposizioni tradotte potessero essere ricavate dalla teoria fisica, allora la teoria biologica sarebbe ridotta a quella fisica. La genetica formale sarebbe quindi ‛ridotta' se i suoi assiomi di base potessero essere dedotti dalla genetica molecolare.
Queste proposizioni della tesi riduzionistica sono state criticate piuttosto severamente negli ultimi anni, e alcuni riduzionisti si sono addirittura chiesti se valesse la pena di difendere questa versione. In particolare, alcuni hanno messo in dubbio che nella storia della scienza una teoria abbia mai potuto essere ridotta a un'altra. Casi di apparente riduzione - è stato detto - a un esame minuzioso mostrano di non essere riduzioni in senso stretto. Dalle leggi della meccanica, per es., non si può dedurre l'autentica legge di Galileo, ma solo una legge che le somiglia. Sebbene questa legge sia più accurata e tratti gli stessi fenomeni, c'è da chiedersi se sia corretto dire che la legge di Galileo è stata ridotta alla meccanica newtoniana. Inoltre appare chiaro che quello che avviene di solito è che una teoria ‛sostituisce' un'altra, senza che venga effettuato alcun tentativo di mettere in relazione i termini e le leggi delle due teorie. Così la teoria genetica di Mendel ha semplicemente sostituito quella dell'ereditarietà intermedia e non è stato compiuto alcun tentativo di riduzione.
Infine è stato messo seriamente in dubbio il valore della riduzione di una teoria a un'altra, anche ammettendo che essa sia possibile. D. L. Hull (v., 1974, pp. 5 ss.) ha studiato recentemente nei dettagli le implicazioni della riduzione della genetica formale alla genetica molecolare e ha richiamato l'attenzione sulle considerevoli difficoltà concettuali ed empiriche che si incontrano nel processo, concludendo che non vi è una chiara giustificazione per compiere una riduzione che soddisfi condizioni come quelle menzionate prima.
Comunque, per quanto riguarda la tesi generale del riduzionismo, non fa grande differenza affermare che tutte le teorie biologiche possono essere ‛ridotte' a teorie fisiche, o solo essere ‛sostituite' da queste. Entrambe le affermazioni implicano la negazione di uno status indipendente (autonomia) della biologia e l'asserzione della potenziale adeguatezza delle spiegazioni fisiche: le tratteremo quindi solo come espressioni diverse del punto di vista riduzionistico e non accorderemo preferenza all'una o all'altra.
Abbiamo distinto due principali versioni della tesi riduzionistica: la sostantiva, che asserisce che gli organismi altro non sono che sistemi fisici, e quella che può essere chiamata l'intrateoretica, secondo la quale le teorie biologiche sono potenzialmente riducibili a, o sostituibili con, teorie fisiche. Dal momento che entrambe queste versioni ammettono la possibilità di spiegare tutti i fenomeni biologici in termini fisici, chiameremo ‛riduzionismo esplicativo' la posizione a cui si rifanno.
È opportuno dare un nome a questa posizione, perché ce ne sono altre due che spesso sono chiamate riduzionistiche, ma che sono completamente diverse: contrariamente al riduzionismo esplicativo, infatti, esse non implicano necessariamente la negazione dell'autonomia della biologia, e il non averle distinte dal riduzionismo esplicativo è stato spesso fonte di confusione nelle discussioni tra i riduzionisti e i loro oppositori. Proprio per questo vale la pena di esaminarle brevemente e considerare la loro relazione col riduzionismo esplicativo.
b) Riduzionismo costitutivo
Il ‛riduzionismo costitutivo' sostiene che i componenti materiali degli organismi sono esattamente gli stessi che si trovano nel mondo inorganico; cioè organi, cellule, tessuti - tutta la materia organica - possono essere ridotti o ‛scomposti' in elementi fisici assolutamente ordinari. Come afferma Th. Dobzhansky (v., 1970, p. 6) ‟i corpi viventi sono composti dagli stessi elementi chimici che si trovano anche nel mondo inorganico".
Formulata in modo negativo, questa tesi nega che esista alcun ‛fattore' vitale intrinseco alla materia organica che la renda fondamentalmente diversa dagli altri materiali presenti nel mondo naturale. La sintesi dell'urea realizzata da F. Wöhler nel 1829 è tradizionalmente (anche se imprecisamente) considerata come la prova decisiva del fatto che la specificità della vita non consiste nella presenza di sostanze peculiari a essa.
Una versione più elaborata di questa tesi tiene presente che gli organismi non sono solo masse informi di materia, ma hanno una struttura organizzata. In questa versione gli organismi sono in definitiva sistemi fisici, ai quali si applicano le stesse leggi fisiche che si applicano ai sistemi inorganici. In modo simile i processi chimici che si svolgono nei sistemi organici, per quanto possano mostrare una complessità o implicare un elemento di controllo che non trovano riscontro nei sistemi inorganici, non sono tali da richiedere leggi speciali per la loro comprensione. Come scrive J. D. Watson (v., 19702, p. 68) ‟il biochimico non è uno che studia leggi chimiche di tipo particolare, ma un chimico interessato a studiare il comportamento delle molecole che si trovano all'interno delle cellule (molecole biologiche)".
Questa tesi, nella sua versione più elaborata, non dev'essere interpretata in modo ristretto a significare che gli organismi altro non sono che sistemi fisici, o che le leggi fisiche spiegano tutti i fenomeni biologici (questo ci ricondurrebbe al riduzionismo esplicativo): essa forse viene espressa meglio affermando che i processi biologici non implicano violazioni delle leggi fisiche.
c) Riduzionismo strategico
Il ‛riduzionismo strategico', l'ultima posizione che dobbiamo illustrare, afferma che l'approccio più fruttuoso allo studio di alcuni fenomeni biologici è quello che impiega le teorie e le tecniche delle scienze fisiche. Esso sostiene che per comprendere gli organismi e i processi organici si deve cercare di dimostrare che questi sono identici ai processi puramente fisici o che ne sono il risultato, in modo da spiegarli nel quadro dileggi e teorie fisiche. In questo senso il ‛riduzionismo strategico' può essere interpretato come una raccomandazione contro i tentativi di fornire spiegazioni o di stabilire leggi puramente biologiche per i fenomeni organici.
Questo punto di vista è descritto come ‟approccio analitico" da J. Monod (v., 1970) ed è spesso chiamato da altri ‟approccio riduzionistico"; tale espressione denota che assumere una certa tesi porta necessariamente a seguire un certo tipo di strategia nella ricerca, cioè ad adottare un certo approccio e un certo fine. Così la differenza tra genetica molecolare e genetica classica è in parte il risultato di una scelta tra diversi approcci per la spiegazione del fenomeno dell'ereditarietà: la prima tende alla comprensione dei processi della replicazione, espressione e trasmissione del gene in termini dileggi biochimiche; l'altra tende invece a stabilire leggi puramente biologiche per spiegare l'ereditarietà, la variazione e l'espressione del gene.
d) Esame delle tre tesi riduzionistiche
Come abbiamo osservato prima, il non aver individuato chiaramente le differenze tra i riduzionismi esplicativo, costitutivo e strategico ha spesso prodotto confusione e ha generato polemiche superflue. Noi cercheremo di chiarire alcuni punti oscuri, affinché nella discussione relativa all'antiriduzionismo e alla biologia organismica i termini del problema siano il più possibile precisi.
Chi aderisce al, riduzionismo esplicativo, aderisce necessariamente al riduzionismo costitutivo, perché l'affermazione che gli organismi non sono ‛niente di più' che sistemi fisici implica logicamente anche quella che sono ‛almeno' sistemi fisici. Inoltre la tesi che le leggi fisiche sono compatibili con i processi biologici (secondo la versione elaborata dal riduzionismo costitutivo) deriva dalla tesi più generale del riduzionismo esplicativo secondo la quale le leggi fisiche sono potenzialmente adeguate a spiegare tali processi. Tuttavia la relazione inversa tra riduzionismo costitutivo e riduzionismo esplicativo non regge. Si può benissimo sostenere sia che gli organismi sono sistemi fisici le cui operazioni sono compatibili con le leggi della chimica e della fisica, sia che tali leggi non sono adeguate a spiegare tutti i fenomeni organici.
Si può senz'altro dire che tutti i biologi contemporanei sono riduzionisti costitutivi, ed è egualmente scontato che molti di essi non sono riduzionisti esplicativi: eppure l'insufficiente distinzione tra queste due posizioni continua a produrre equivoci. Crick (v., 1966), per es., tende a considerare tutti coloro che non accettano il riduzionismo esplicacativo come vitalisti che credono in misteriose e inesplicabili forze vitali. C.H. Waddington, per menzionare un altro caso, interpreta male le posizioni di chi si oppone al riduzionismo esplicativo quando scrive che ‟il vecchio incontro di lotta libera tra vitalisti e meccanicisti è oggi definito in America come conflitto tra riduzionisti e antiriduzionisti" (v. Waddington; 1968, p. 103). Le cose non stanno così. Quando per es. G. O. Simpson dichiara che ‟la biologia non è completamente riducibile nei termini delle scienze fisiche in senso stretto", egli non difende il vitalismo. Come spiega in seguito, egli accetta il riduzionismo costitutivo, ma è assolutamente contrario al riduzionismo esplicativo: ‟l'affermazione di non riducibilità è troppo spesso presa a significare che si suppone che i fenomeni della vita siano in contrasto con quelli del mondo fisico [...]. Gli organismi viventi sono fatti esattamente con gli stessi componenti e sono soggetti alle stesse forze, leggi e principî del mondo inorganico" (v. Simpson, 1963, p. 30).
Il riduzionismo costitutivo non richiede ovviamente l'adesione al riduzionismo strategico, e da questo punto di vista le due posizioni sono logicamente indipendenti. Praticamente, comunque, chi crede che gli organismi sono (almeno) sistemi fisici e riconosce i successi raggiunti in campi come la biologia molecolare, è molto probabile che sostenga che almeno alcuni processi biologici si capiscono meglio applicando le teorie e le tecniche delle scienze fisiche. Così le questioni controverse del riduzionismo strategico sono tipicamente quelle incentrate su aree di studio o casi specifici. Sicché E. Mayr, per es., può affermare che ‟il riduzionismo è assolutamente irrilevante in quasi tutti i problemi dell'evoluzione" e che ‟euristicamente è un ben povero approccio" (v. Mayr, 1969, p. 127).
Anche il riduzionismo esplicativo e quello strategico sono logicamente indipendenti l'uno dall'altro. Ovviamente sarebbe strano per un riduzionista esplicativo credere che i biologi non debbano mai tentare di spiegare i processi biologici per mezzo di teorie fisiche, pur tenendo fermo che in linea di principio tali processi possano essere spiegati così. Non è affatto raro, comunque, che un riduzionista esplicativo affermi che, almeno in alcuni settori della ricerca, sia attualmente più importante elaborare teorie e spiegazioni puramente biologiche, che potrebbero costituire un primo passo per arrivare a una spiegazione per mezzo dileggi fisiche e chimiche. K. F. Schaffner è un riduzionista esplicativo molto esplicito su questo punto: ‟Dato lo stato attuale della scienza biologica - egli scrive - vi possono essere valide ragioni euristiche per non tentare di sviluppare spiegazioni fisico-chimiche dei fenomeni biologici in tutti i possibili settori, e valide ragioni per tentare di formulare teorie specificamente biologiche" (v. Schaffner, 1967, p. 647). In modo analogo Crick scrive: ‟Io non voglio dire che la biologia debba essere studiata solo dal punto di vista atomico [...]. Nel comportamento animale, per esempio, può essere necessario delineare i moduli generali del comportamento prima di preoccuparsi delle loro basi molecolari" (v. Crick, 1966, p. 12).
Un errore molto diffuso è stato quello di credere che il riduzionismo esplicativo implicasse un totale riduzionismo strategico, e conseguentemente molte argomentazioni contro il riduzionismo esplicativo erano in realtà indirizzate contro quello strategico. B. Commoner (v., 1961), per es., dedica buona parte di un articolo di notevole rilievo a giustificare lo studio dei processi organici con i tradizionali mezzi biologici, sebbene il vero bersaglio delle sue critiche sia il riduzionismo esplicativo.
Un errore altrettanto frequente consiste nel ritenere che il riduzionismo esplicativo implichi il riduzionismo strategico e che quest'ultimo significhi inferire le caratteristiche dei fenomeni biologici esclusivamente dallo studio dei componenti fisici (atomi e molecole) e dei processi che sono strutturalmente implicati in essi. Così Simpson scrive che il riduzionismo esplicativo implica l'idea che ‟l'attacco di una leonessa a una zebra possa essere non solo spiegato, ma anche previsto in base alla conoscenza della struttura e delle proprietà degli atomi" (v. Simpson, 1963, p. 110).
Nè l'una nè l'altra tesi implicano ciò. Come indicano le citazioni di Schaffner e Crick, la maggior parte dei riduzionisti esplicativi sottolinea l'importanza di stabilire teorie e leggi di tipo biologico prima di tentare di sviluppare spiegazioni chimiche e fisiche per lo stesso fenomeno. Nella stessa linea Monod (v., 1970; tr. it., p. 45) ha sostenuto che, se è vero che ‟una teoria universale, per quanti consensi possa trovare, non potrebbe mai comprendere la biosfera, la sua struttura e la sua evoluzione in quanto fenomeni ‛deducibili' dai primi principî", ciò non significa però che i fenomeni biologici non possano essere spiegati con i principi ditale teoria'.
Il riduzionismo strategico è infine indipendente sia dal riduzionismo costitutivo sia da quello esplicativo. Un biologo può ben ammettere che i materiali e i sistemi organici sono soltanto casi speciali di quelli fisici, e tuttavia può ‛sostenere coerentemente che il modo migliore per comprendere i fenomeni biologici è l'utilizzazione di teorie biologiche formulate in modo autonomo. D'altro lato, però, può sostenere altrettanto coerentemente che si dovrebbe tentare di spiegare il maggior numero possibile di fenomeni biologici nel quadro delle teorie fisiche. Sostenendo questa posizione, tuttavia, egli non aderisce necessariamente al riduzionismo esplicativo, perché potrebbe sempre sostenere che vi sono dei limiti non superabili nei fenomeni di tipo biologico che possono essere spiegati dalle leggi fisiche e chimiche: approvando la strategia del riduzionismo non farebbe che consigliare di progredire verso quel limite. Egli per esempio può credere che in questo particolare stadio del loro sviluppo le scienze biologiche abbiano tutto da guadagnare se una certa quantità di energie viene dedicata, poniamo, alla biochimica dell'ereditarietà, dello sviluppo e della fisiologia cellulare. Un riduzionista esplicativo potrebbe condividere o meno questo punto di vista. In generale, comunque, tutti i biologi potrebbero essere d'accordo con l'affermazione di Crick (v., 1966, pp. 13-14) che ‟un approccio simultaneo a più livelli [di organizzazione] a lungo termine sarà più fruttuoso di un approccio a un solo livello, anche se in breve termine ci si può concentrare su un livello soltanto".
Il risultato del nostro esame delle tre posizioni riduzionistiche ci offre la possibilità di trarre alcune conclusioni semplici ma abbastanza importanti: 1) il riduzionismo costitutivo non può più essere messo in dubbio nella biologia contemporanea e non richiede un'ulteriore giustificazione; 2) i difensori del riduzionismo esplicativo non possono sostenere che coloro i quali rifiutano quella tesi rifiutino necessariamente il riduzionismo costitutivo e pertanto siano vitalisti; 3) gli oppositori del riduzionismo esplicativo non possono sostenere che i riduzionisti esplicativi propongono necessariamente il riduzionismo strategico come unico programma di ricerca; 4) il riduzionismo esplicativo è l'unico punto di vista ‛riduzionistico' che implichi la negazione dell'autonomia della biologia.
Il riduzionismo esplicativo è stato e continuerà a essere la posizione che più ci interessa, perché, a parte la confusione con le altre posizioni, è stato argomento delle maggiori controversie dal tempo di Cartesio a oggi. Perciò, quando useremo il termine ‛riduzionismo' senza altre qualificazioni ci riferiremo al riduzionismo esplicativo.
e) Valore attuale del riduzionismo
Nessuno (riduzionista o no) nega oggi che le scienze fisiche e quelle biologiche siano essenzialmente distinte. Sebbene le leggi fisiche svolgano spesso un ruolo significativo nella spiegazione dei fenomeni biologici, le teorie e le leggi biologiche restano indipendenti e non assimilabili. La biologia è de facto una scienza autonoma. Data questa situazione, si pongono due domande fra loro collegate: quali sono i motivi per ridurre o sostituire le teorie biologiche? E quale valore potrebbero avere i risultati?
Jacques Monod (v., 1970) ha fatto una delle più autorevoli dichiarazioni sulla motivazione generale del riduzionismo. Pur senza rifiutare esplicitamente la biologia tradizionale e senza negare la sua autonomia, la convinzione di Monod è che bisogna cercare spiegazioni fisiche, perché sono le uniche corrette e adeguate. Noi abbiamo attribuito tradizionalmente alla natura fini immanenti e poteri occulti, e questo ha intralciato il nostro cammino verso l'acquisizione di conoscenze oggettive. Per poter modellare la nostra vita in modo razionale, dobbiamo riconoscere che valori e fini non sono immanenti nel mondo. Tutti gli organismi, incluso l'uomo, sono sistemi prodotti da mutazioni casuali e spiegabili per mezzo dei principi fisici fondamentali.
Dal momento che la biologia organismica contemporanea non prende in considerazione valori o fini immanenti, la polemica di Monod non può valere come ragione per rifiutarla e appoggiare il riduzionismo. Importante nel discorso di Monod è la visione del mondo che egli esprime, secondo la quale non vi sono due fondamentali e irrinunciabili categorie dell'esistenza, quella fisica e quella biologica: vi è solo quella fisica, e le teorie biologiche non possono quindi essere utilizzate per rivelare gli aspetti fondamentali del nostro universo. Da questo punto di vista, viene del tutto naturale pensare che la biologia tradizionale accetti l'idea dell'esistenza di due categorie fondamentali e che ciò sia fonte di equivoci per la comprensione della natura del mondo. Se gli organismi altro non sono che complicati sistemi prodotti dalle forze fisiche e spiegabili (seppur non prevedibili) nei termini di queste, allora la biologia tradizionale può essere considerata solo come una tappa intermedia sulla strada che porta a una definitiva spiegazione fisica. Questa giustificazione del riduzionismo è molto generica, e non è certo che Monod la sottoscriverebbe, ma indubbiamente è alla base del lavoro e degli scritti di molti biologi contemporanei.
Una versione particolare di questa tesi, ampiamente discussa dai filosofi, è caratterizzata dall'accento posto sull'economia concettuale che la riduzione può produrre. Cioè la riduzione offre la possibilità di impiegare una sola serie di concetti anziché due. Le riduzioni operate nelle scienze fisiche hanno fornito esempi di progressi nell'economia concettuale nei casi in cui una teoria può essere elaborata o estesa in modo da coprire un campo già coperto da un'altra teoria. In questo caso la seconda teoria diventa superflua. Tali riduzioni ci fanno intravvedere un ideale di scienza a cui si potrebbe tendere: raggiungere la massima capacità di spiegazione con il minimo di teorie e di concetti. Per quanto riguarda la biologia, i filosofi sono stati attratti dalla considerevole economia che si potrebbe realizzare riducendo o sostituendo tutte le teorie biologiche con quelle fisiche.
La validità dei risultati prodotti dalla riduzione è collegata, naturalmente, alle due esigenze di acquisire le conoscenze fondamentali e di ottenere un'economia concettuale. Inoltre alcuni hanno considerato la riduzione in grado di offrire la possibilità di spiegazioni migliori e più elaborate. Nagel (v., 1969) fa notare per esempio che quando la termodinamica fenomenologica è stata ridotta alla teoria cinetica della materia, si è visto che alcune leggi della termodinamica avevano bisogno di correzioni: ne sono risultate spiegazioni più elaborate e più valide. Inoltre l'essersi resi conto che la teoria cinetica poteva essere applicata ai fenomeni termodinamici ha aperto la via verso l'analisi di fenomeni termici non inclusi nella termodinamica vera e propria. La riduzione delle teorie biologiche lascia prevedere risultati simili. La genetica molecolare, per esempio, è già riuscita a offrire spiegazioni più elaborate di fenomeni studiati dalla genetica formale e dalla genetica dello sviluppo e ha inoltre affrontato una gamma di fenomeni non accessibili alla ricerca con le precedenti teorie.
Sembra singolare che gli argomenti positivi in favore delle tesi riduzionistiche siano pochissimi, se si considera quanto il riduzionismo sia stato dibattuto. Tale impressione di singolarità cade, tuttavia, se si considera che il riduzionismo è fondamentalmente un programma di ricerca diretto a uno scopo generale. È certamente un programma che sostiene una tesi importante sulla natura ultima degli organismi e sul tipo di spiegazione che si può raggiungere per i fenomeni biologici; comunque il modo migliore per dimostrare e valutare una tesi è costituito dai successi e dai fallimenti delle ricerche che essa promuove.
Come osserva Nagel (v., 1969, p. 133) ‟la questione se la biologia sia o no riducibile alla fisica non è affatto chiara nè facilmente risolvibile". Essa può essere meglio discussa se non la si considera come una tesi generale, ma come un problema circoscritto a qualche particolare teoria o a qualche particolare serie di fenomeni biologici. Il fallimento in un dato caso non significa naturalmente che la tesi del riduzionismo sia falsa o che non sia un buon programma di ricerca, perché la spiegazione o la riduzione potrebbe essere possibile con un'altra teoria fisica. Soltanto ripetuti fallimenti dei tentativi di fornire spiegazioni fisiche o di ridurre quelle biologiche porteranno probabilmente all'abbandono della tesi.
Il riduzionista ha un argomento a favore della sua posizione nei successi conseguiti in passato con la spiegazione dei fenomeni biologici per mezzo di teorie fisiche. Come abbiamo già osservato, i recenti risultati della genetica molecolare hanno incoraggiato e confermato la convinzione che tutti i fenomeni biologici possono in definitiva essere ricondotti sotto l'ombrello esplicativo delle teorie fisiche. Tale conferma non ha ovviamente un carattere così generale da indurre tutti i biologi a riconoscerla.
Piuttosto che offrire prove a favore della sua tesi, il riduzionista ha cercato di mostrare che non vi sono difficoltà metodologiche o concettuali tali da far respingere a priori la possibilità di una completa riduzione. I critici obiettano di solito che gli organismi possiedono certe caratteristiche che rendono impossibili spiegazioni fisiche del loro comportamento e che richiedono concetti e modi particolari di spiegazione.
5. L'antiriduzionismo
Alcuni degli argomenti più validi a favore della irriducibilità dei fenomeni biologici sono stati formulati dai fisici. È insolito trovare una categoria di scienziati che insista con tanta vivacità sui limiti delle teorie relative alla loro disciplina. Questo fatto curioso potrebbe essere dovuto allo sviluppo della meccanica quantistica e al riconoscimento, che ne deriva, che le leggi della fisica classica sono inadeguate a spiegare certi importanti aspetti dell'atomo. Quando i fenomeni della genetica molecolare non erano ancora stati compresi, alcuni pensavano che la situazione fosse analoga e che occorresse determinare leggi nuove e differenti. Lo stesso Niels Bohr, per esempio, suggerì che vi potesse essere un ‟principio di indeterminazione" peculiare alla biologia, semplicemente perché un tentativo di determinare sperimentalmente il ruolo svolto da singoli atomi in un organo ucciderebbe l'organismo vanificando il tentativo. E. Schrödinger e M. Delbrick ritennero possibile che la comprensione dei fenomeni genetici richiedesse ‟altre leggi fisiche", applicabili esclusivamente a essi (per maggiori dettagli v. Stent, 1969).
Questi punti di vista, spesso criticati come poco più che analogie, non sono generalmente considerati convincenti (v. Hull, 1974). Tali affermazioni, comunque, sono state autorevolmente discusse e approfondite in questi ultimi anni da W. M. Elsasser e da M. Polanyi: le idee di questi studiosi sono esplicitamente antiriduzionistiche, e sono state definite in modo equivoco e un po' impreciso da Monod (v., 1970; tr. it., p. 34) come ‟vitalismo scientistico" e da Crick (v., 1966, p. 24) semplicemente come ‟vitalismo".
L'affermazione fondamentale di Elsasser (v., 1966) è che per spiegare fenomeni biologici complessi dobbiamo impiegare speciali ‟leggi biotoniche", in accordo con le leggi fisiche ma non riducibili a esse. L'argomento principale a favore di questa posizione è basato sull'unicità o ‟non omogeneità" delle classi biologiche. Nelle scienze fisiche si può sostenere per esempio che tutti gli elettroni sono simili e formano ‟una classe omogenea potenzialmente infinita". Tale asserzione non è legittima in biologia, perché ‟si possono sempre trovare differenze individuali [...] tra due organismi qualsiasi della stessa classe, quale che sia il modo in cui la classe è definita". Perciò in biologia risulta impossibile una precisa sperimentazione sul tipo di quella delle scienze fisiche. Qualsiasi previsione basata su leggi fisiche sarà inattendibile al punto da rendere impossibile la spiegazione delle regolarità biologiche come casi delle regolarità chimiche e fisiche.
Elsasser sostiene anche che la biologia deve accettare un principio di complementarità come estensione del principio biologico dell'indeterminazione. Misurazioni dettagliate del tipo richiesto in fisica potrebbero alterare a tal punto il sistema biologico, che il suo comportamento si modificherebbe tanto da non poterlo più considerare lo stesso sistema. Per queste ragioni i fenomeni biologici e chimici non possono essere determinati simultaneamente. Inoltre, dacché ogni sistema biologico è unico, le misurazioni ottenute in un caso non possono essere generalizzate. La biologia resta quindi una scienza indipendente e le leggi biotoniche offrono l'unica possibilità di spiegazione.
Elsasser ha chiaramente fatto delle affermazioni eccessive. Solo una parte della fisica, la meccanica quantistica, tratta classi omogenee: i sistemi macroscopici (per esempio le leve) sono posti nella stessa classe sebbene non siano certo identici; quello che è importante, ovviamente, è che siano identici sotto certi aspetti. Così un'ampia varietà di casi, sebbene differenti per più versi, sono tutti riducibili a sistemi consistenti in una leva, in un fulcro, in forze meccaniche. I sistemi biologici possono essere studiati nello stesso modo astratto e i biologi non hanno alcun obbligo particolare di trattare gli organismi come individui unici e complessi. Fa notare Hull (v., 1974, p. 139): ‟Come tutti gli scienziati, i biologi tentano di discernere quelle proprietà significative degli organismi viventi che possono essere integrate in leggi e teorie scientifiche".
Inoltre, come osserva Schaffner (v., 1967), l'argomentazione di Elsasser sembra dare per scontato ciò che deve provare. Anche ammettendo l'unicità degli organismi, rimane pur sempre il problema se questa possa o meno essere spiegata in termini fisici e chimici, ovvero se sia possibile dimostrare che questa unicità è il risultato di DNA, di amminoacidi e di altri fattori chimici. La torre di Pisa è unica, e tuttavia, anche in questo caso, riteniamo di poter applicare le leggi della fisica per spiegare perché penda e perché rimanga in piedi.
La posizione di Polanyi è più radicale di quella di Elsasser, in quanto egli afferma che ‟sia le macchine sia i meccanismi viventi sono irriducibili alle leggi della fisica e della chimica". Anzi entrambi sono soggetti a ‟principî più elevati" che sono ‛addizionali' alle leggi della fisica e della chimica". Tali sistemi si trovano dunque sotto ‟un duplice controllo" (v. Polanyi, 1968, p. 1310).
Il principale argomento di Polanyi è basato sulla nozione di ‛condizione-limite'. Nell'esperimento del piano inclinato, per esempio, Galileo scelse l'angolo di inclinazione e non lo ricavò dalle leggi della meccanica: soltanto quando si conoscono l'inclinazione e ‛in più' le leggi, si può dare una spiegazione del moto. Nel caso degli organismi ‟la struttura dei viventi è un insieme di condizioni-limite" che ‟è estraneo alle leggi della fisica e della chimica operanti nell'organismo". Perciò ‟la morfologia dei viventi trascende le leggi della fisica e della chimica".
La tendenza di Polanyi a parlare di principi che ‟controllano" sistemi e di organismi che ‟utilizzano" leggi, ci aiuta a comprendere perché alcuni parlano di lui come di un vitalista. A parte ciò, comunque, R. N. Giere (v., 1968, p. 410) ha fatto notare che il principale argomento di Polanyi non è valido. Pur accettando le premesse sopra dette, ‟ne segue al massimo che la morfologia di un organismo ‛trascende' quei processi fisico-chimici che utilizza. Non ne consegue però che ‛trascenda' tutti i processi fisico-chimici". Eppure proprio questo dev'essere provato per affermare la non riducibilità.
Ma Giere dimostra che neppure questa conclusione più ristretta dev'essere accettata. Sebbene le condizioni-limite di un sistema in un tempo determinato t non derivino dalle sole leggi del sistema, non vi è ragione perché non si possa fornire un altro insieme di condizioni-limite che, unitamente alle leggi, spieghi lo stato del sistema al tempo t. Per esempio, le posizioni e le quantità di moto dei corpi del sistema solare in un certo tempo non sono deducibili dalle sole leggi della meccanica, ma possiamo ricavarle anche se conosciamo lo stato del sistema in un tempo precedente. È pertanto equivoco e ingiustificato parlare di condizioni-limite di macchine o di organismi che ‛trascendano' le leggi relative.
Le argomentazioni di Elsasser e di Polanyi hanno convinto pochi biologi. Anche i biologi organismici hanno preferito difendere l'autonomia della biologia con argomentazioni ben diverse, alcune delle quali saranno discusse nel prossimo capitolo.
6. La biologia organismica
a) Origini della biologia organismica
Nel 1919 W. E. Ritter introdusse il termine ‛organismico' per sottolineare che si possono capire pienamente tutti i processi biologici solo mettendoli in relazione con l'intero organismo. Questo punto di vista, che fu poi definito ‛biologia organismica', fu sviluppato in molti modi nella prima metà del secolo. Tra i suoi primi e più famosi sostenitori furono W. E. Agar, J. S. Haldane, L. von Bertalanffy, E. S. Russell. L'esposizione filosofica più accurata di questa posizione è forse quella di J. H. Woodger (v. Beckner, 1959 e 1967, per un esame analitico).
I biologi organismici sottolinearono fin dall'inizio il loro rifiuto del vitalismo. I principi, le forze o i fattori vitali del tipo di quelli a cui Driesch si era appellato quali entità capaci di dirigere o regolare i fenomeni biologici, furono rifiutati con fermezza. L'obiettivo era piuttosto di arrivare a una terza posizione quale alternativa tra il vitalismo e il meccanicismo.
Malgrado il suo rifiuto dei fattori vitali, questa terza posizione aveva alcuni punti in comune con il vitalismo: riconosceva la necessità e l'importanza di studiare i fenomeni biologici con i metodi delle scienze fisiche, ma metteva in rilievo i limiti fondamentali di questo approccio; riconosceva inoltre l'importanza cruciale dei fenomeni teleologici, che dimostravano la necessità di teorie e concetti puramente biologici; infine, come risultato generale, affermava l'autonomia della biologia come scienza.
La maggior parte dei biologi organismici contemporanei condividono ancora queste proposizioni generali, particolarmente per quanto riguarda il rifiuto del vitalismo. In un primo tempo, però, la biologia organismica propose anche un certo numero di tesi, che pochi dei suoi sostenitori oggi accetterebbero. Per esempio, oggi praticamente nessuno sarebbe disposto a sostenere il punto di vista che qualche volta ‟la coordinazione dei processi fisiologici può essere ascritta alla ‛interezza' dell'organismo" (v. Agar, 1948, p. 183), o che bisogna ricercare ‟fattori psichici causali" (ibid., p. 185) per spiegare lo sviluppo dell'embrione.
M. Beckner (v., 1967, p. 549) ha fatto notare giustamente che la biologia organismica, durante questo periodo, ‟ha impiegato alcune delle più oscure concezioni tecniche della filosofia speculativa, quali ‛causa formale', ‛emergenza', ‛ormico', ‛telico', e così via". Inoltre i biologi organismici non sono riusciti a chiarire né le proprie posizioni, né quelle che rifiutavano, quali il meccanicismo, l'elementalismo, il riduzionismo, ecc. Molto spesso la biologia organismica è stata proposta più come un atteggiamento o una ‛intuizione' circa il carattere dei fenomeni biologici che come una posizione ragionata e discussa con chiare argomentazioni.
Non cercheremo di enunciare e valutare le affermazioni della biologia organismica ‛classica' della prima metà del secolo; la nostra attenzione si volgerà piuttosto alle recenti affermazioni del punto di vista organismico come è presentato e difeso dai suoi maggiori sostenitori quali Dobzhansky, Jacob, Mayr e Simpson. Sebbene il punto di vista attuale abbia avuto origine dalla tradizione della biologia organismica, vi è ora una tendenza a chiamarlo ‛composizionista' o ‛integrazionista', per distinguerlo dalle versioni più antiche.
b) Biologia evolutiva e biologia funzionale
La tesi centrale della biologia organismica contemporanea consiste nel riconoscere l'esistenza e la legittimità di ‛due biologie'. Queste biologie - si è detto - sono abbastanza indipendenti l'una dall'altra, e ognuna ha i suoi caratteristici scopi, concetti, modi di analisi e spiegazioni. Questa tesi generale è espressa nella maniera più chiara da Mayr (v., 1965, p. 34): ‟La parola ‛biologia' suggerisce una scienza uniforme e unificata. Eppure i recenti sviluppi hanno reso sempre più evidente che la biologia è un campo molto complesso, anzi che ‛biologia' è un'etichetta per due campi largamente separati che differiscono grandemente per metodo, problematica e concetti fondamentali. Al di là della biologia strutturale puramente descrittiva, ci sono due diversi campi, che possono essere designati come ‛biologia funzionale' e ‛biologia evolutiva'".
Dobzhansky (v., 1969, p. 165) fa notare similmente che in biologia vi sono oggi due approcci o metodologie contrastanti: ‟Una è cartesiana o riduzionistica, l'altra darwiniana o composizionistica". Anche Simpson parla di biologia ‟composizionistica" e ‟riduzionistica", e Fr. Jacob (v., 1970) usa i termini ‟riduzionistica" e ‟integrazionista" per riferirsi a due distinti gruppi di principi e metodi biologici.
Parlare di ‛due biologie' è un modo per richiamare l'attenzione sul fatto che la biologia contemporanea comprende due diverse metodologie e due diversi tipi di teorie; ma soprattutto è un modo per asserire la necessità di studiare i fenomeni biologici da due diversi punti di vista, necessità che deve essere spiegata e dimostrata come autentica per giustificare tale duplice approccio. I biologi organismici hanno tentato di verificare ciò in due modi correlati: prima di tutto hanno richiamato l'attenzione sui dati relativi agli organismi e ai processi organici che sembrano richiedere un duplice approccio; poi hanno tentato di dimostrare che, a seconda dei tipi d'informazione e di spiegazione richiesti per una completa comprensione dei fenomeni biologici, sono necessari due distinti approcci e tipi di teorie. Che siano necessarie due biologie non è dunque una questione arbitraria, bensì risulta dal riconoscimento di uno stato di fatto connesso con gli scopi della biologia e col carattere dei fenomeni che essa indaga.
La giustificazione della necessità di due biologie a seconda del carattere degli organismi è basata principalmente su due aspetti dei sistemi biologici: in primo luogo i biologi organismici hanno sottolineato che tali sistemi possiedono un doppio carattere, in quanto il loro funzionamento è il risultato di fattori causali istantanei e del processo evolutivo che ha prodotto il genotipo dell'organismo; in secondo luogo hanno messo in rilievo l'organizzazione gerarchica caratteristica dei sistemi stessi.
Mayr ha esposto uno degli enunciati più chiari sul doppio carattere dei sistemi biologici e su come esso determini l'esigenza di due biologie. Secondo Mayr, l'aspetto peculiare degli organismi consiste nel fatto che essi possiedono programmi genetici. Benché tali programmi possano essere considerati come ‛dati' nel caso individuale, essi sono di fatto il risultato di un processo evolutivo e devono essere studiati anche da questo punto di vista. La decodificazione di un programma, in un dato ambiente, è responsabile di fenomeni particolari, ma ciò non toglie che il programma stesso sia il prodotto di un lungo processo storico. Ecco come Mayr (v., 1969, p. 125) esprime la distinzione: ‟Queste due biologie [evolutiva e funzionale], e il dualismo cui danno origine, esistono perché ogni organismo è il risultato di due cause fondamentali: 1) il progetto del programma genetico e il suo genotipo; 2) la decodificazione di questo programma che interagisce con l'ambiente nel processo di formazione e nella vita del fenotipo, dell'individuo che ne è la conseguenza. Sono due insiemi separati di fenomeni che conducono a due tipi di biologia del tutto differenti".
Gli studiosi di biologia funzionale, secondo Mayr, si occupano della decodificazione dell'informazione contenuta nei programmi del DNA (o in altri programmi) dello zigote e dell'organismo sviluppato e funzionante; essi si interessano non solo dei programmi ‛chiusi', come la sintesi delle proteine, ma anche di quelli ‛aperti', in cui sono specificate solo le capacità generali e in cui i fattori ambientali e l'apprendimento svolgono un ruolo primario nel determinare il comportamento.
Chi si occupa di biologia evolutiva, d'altra parte, si interessa della storia dei programmi di informazione e dei modi in cui essi sono cambiati e si sono diversificati nel tempo; ma ancor più si interessa delle cause dei cambiamenti e delle leggi secondo cui essi si verificano: si occupa cioè della ‛biologia dei progetti', considerandola distinta dalla ‛biologia della decodificazione dei progetti'.
Jacob, che come Mayr dà importanza al carattere duplice dei sistemi biologici in rapporto alla formazione e alla decodificazione dei programmi di informazione, scrive: ‟Da una parte è necessario analizzare la struttura del programma, la sua logica e la sua esecuzione; dall'altra esaminare la storia dei programmi, il loro corso e le leggi che governano i loro cambiamenti attraverso le generazioni nei termini di sistemi ecologici" (v. Jacob, 1970). Jacob sottolinea anche la necessità di analizzare ‛su due piani' i sistemi viventi e di stabilire principi sia funzionali sia evolutivi. Tanto Mayr che Jacob collegano chiaramente il carattere duplice della biologia con quello altrettanto duplice degli organismi.
I livelli gerarchici di organizzazione che si trovano nei sistemi viventi costituiscono, come si è detto, il secondo aspetto utilizzato per dimostrare l'esigenza di ‛due biologie'. Questo è un punto di vista molto più tradizionale di quello prima considerato, ma di recente è stato vigorosamente sostenuto tra gli altri da Jacob e Dobzhansky.
Jacob (v., 1970) introduce il termine ‛integrone', che definisce come un'unità ‟formata dall'integrazione di subunità". Un particolare integrone è formato da integroni che appartengono al livello immediatamente più basso, e all'ultimo livello vi sono i costituenti atomici della materia organica. Da questo punto di vista gli organismi possono essere considerati come integroni formati da un insieme di integroni e questi, a loro volta, sono composti da unità del livello immediatamente inferiore, e così via. Ma gli stessi organismi sono anche subunità di integroni più ampi, come le comunità ecologiche e le popolazioni.
Ogni integrone, ogni livello di organizzazione ha aspetti che non si trovano a livelli inferiori. Dobzhansky (v., 1969, p. 171) fa il punto sulla questione in questo modo: ‟Ogni livello di integrazione biologica è un campo di fenomeni e di regolarità caratteristici di quel livello. Questo non significa che forze elementari di tipo nuovo vengano aggiunte a ogni gradino salendo da un livello inferiore a uno superiore. Per distinguere i livelli di integrazione non dobbiamo assumere alcuna sorta di vitalismo multiplo". L'importante è, piuttosto, che gli aspetti e le regolarità caratteristici di ogni livello sono il frutto di processi che si verificano a un livello inferiore. Sono, dice Dobzhansky, ‟espressioni di componenti che appartengono ai livelli sottostanti - una popolazione è un'espressione degli individui, gli individui delle cellule, le cellule delle molecole" (ibidem). La riproduzione biologica, per es., si verifica solo al livello della cellula, ma ciò non significa che sia il risultato di qualche forza vitale. Ugualmente, è solo al livello delle popolazioni di cellule che si verifica la selezione naturale, ma ciò non significa che i sistemi viventi non obbediscano ai principi fisici ordinari.
Sia Jacob che Dobzhansky sottolineano il fatto che i livelli di integrazione riscontrabili negli organismi indicano l'esigenza di un duplice approccio in biologia. Vi è spazio per la biologia molecolare e per le sue ricerche sui meccanismi molecolari e sui processi fisici, ma vi è ugualmente spazio per la biologia organismica e per le sue ricerche sui fenomeni al di sopra del livello molecolare. La biologia organismica - essi affermano - dev'essere libera di sviluppare le teorie e i concetti di cui ha bisogno per dare una spiegazione dei fenomeni di cui si occupa.
La giustificazione della necessità di due biologie in rapporto ai fini esplicativi della biologia è direttamente connessa, come è ovvio, alle tesi che abbiamo discusso circa la natura degli organismi. Questo approccio, tuttavia, ha il vantaggio di sollevare in modo più diretto i problemi relativi all'esigenza di concetti e teorie funzionali ed evolutivi in biologia.
La più autorevole discussione sulla necessità di una biologia funzionale-evolutiva, oltre a quella ‛riduzionistica', è stata condotta da Simpson. Secondo questo autore la biologia ‛riduzionistica' si occupa del ‛come' e si interessa di problemi del tipo ‛come è immagazzinata l'informazione genetica', oppure ‛come avviene la contrazione muscolare'. Questi problemi si possono studiare generalmente con i metodi delle scienze fisiche e si possono risolvere nei termini delle loro leggi e teorie. (Si noti che Mayr ascrive questi problemi alla biologia funzionale: il suo uso del termine ‛funzione' non corrisponde a quello di Simpson).
Quella che Simpson chiama biologia ‛composizionistica' tratta due altri problemi: ‛a quale scopo?' e ‛come si è prodotto?', che sono rispettivamente i problemi funzionale ed evolutivo. Relativamente al primo di questi Simpson osserva: ‟L'eredità e la contrazione muscolare riguardano funzioni che sono ‛utili' agli organismi, e non sono spiegate, sotto questo aspetto, da risposte al ‛come?' del tipo di quelle che l'eredità è trasmessa mediante il DNA o che l'energia è liberata nel ciclo di Krebs" (v. Simpson, 1963, p. 105). È necessario piuttosto dare delle spiegazioni che mettano in relazione le strutture e i processi con le funzioni e coi fini ai quali servono nell'organismo o nella popolazione. Sono necessari, quindi, concetti e spiegazioni funzionali o teleologici.
Inoltre il problema evoluzionistico o del ‛come si è prodotto?' richiede, più che la spiegazione dei meccanismi fisici e del funzionamento biologico, quella delle modalità con cui gli organismi sono giunti a possedere le caratteristiche e l'organizzazione che presentano. Ciò significa, quindi, tener conto del valore adattativo delle caratteristiche di un organismo in rapporto alla teoria della selezione naturale.
A questo punto emerge chiaramente la conclusione che entrambi gli approcci per giustificare la necessità di due biologie danno estrema importanza al fatto che gli organismi sono sistemi che dispongono di complicate forme di organizzazione non caratteristiche di altri sistemi naturali. Questo concetto è alla base sia dell'affermazione che le due biologie sono non arbitrarie ma necessarie, data la natura degli organismi, sia dell'affermazione che i concetti e le spiegazioni funzionali ed evolutivi sono altrettanto indispensabili di quelli fisici per la comprensione degli organismi stessi.
Tutti i biologi organismici considerano l'acquisizione di una certa organizzazione come uno dei problemi fondamentali in biologia. Certamente oggi non è possibile spiegare nei termini delle sole teorie fisiche come particolari organismi giungano ad avere l'organizzazione di cui dispongono: perciò le teorie e i concetti evolutivi sono considerati indispensabili. Eppure, più che un fatto da spiegare, l'organizzazione dei sistemi biologici è considerata dai biologi organismici come un aspetto che legittima l'uso di ciò che è tradizionalmente chiamato analisi ‛funzionale' o ‛teleologica'. Sebbene nei loro primi contributi alla discussione Mayr, Jacob e Dobzhansky non trattino questo problema, essi sostengono l'affermazione di Simpson che la biologia deve occuparsi dei problemi relativi alla domanda ‛a quale scopo?', per la soluzione dei quali può legittimamente impiegare un linguaggio funzionale e teleologico. Tale linguaggio è spesso usato per illustrare un organo o un processo organico riferendolo alla funzione cui si rapporta. Per esempio: ‛una funzione della membrana cellulare è quella di regolare il flusso dei materiali all'interno della cellula'. In modo simile il comportamento degli individui e delle specie viene spesso compreso nei termini dello scopo o del fine del comportamento. Per esempio: ‛i canidi manifestano atteggiamenti di sottomissione al fine di ridurre la minaccia di un attacco.
L'uso di termini come ‛fine', ‛in modo da', ‛funzione', ‛scopo' ecc. è stato fonte di numerose controversie in biologia: alcuni hanno obiettato che essi introducono la nozione vitalistica di una mente che dirige i processi organici, altri hanno sostenuto che essi attribuiscono in modo illegittimo qualità umane a organi e processi biologici. D'altra parte, come abbiamo visto, sono stati proprio i biologi organismici a insistere sull'importanza del linguaggio e dell'analisi teleologici, in quanto capaci di offrire un quadro per la ricerca e la spiegazione.
Attualmente la situazione sembra avviata a risolversi in modo soddisfacente, perché sia Jacob (v., 1970) sia Mayr (v., 1974) hanno elaborato delle analisi che dimostrano l'uso legittimo di concetti teleologici. Entrambi affermano che facendo uso della nozione di programma genetico è possibile preservare il valore euristico del linguaggio teleologico, evitando le obiezioni tradizionali al suo impiego.
Come abbiamo osservato prima, Mayr distingue tra la decodificazione di un programma genetico posseduto da un organismo e il processo evolutivo per mezzo del quale il programma si è sviluppato. Secondo questo autore, il linguaggio teleologico è usato legittimamente solo in rapporto alla decodificazione di un programma e non in rapporto al processo evolutivo. Non vi è nulla nell'evoluzione di cui si possa correttamente dire che rappresenti un fine o un risultato ‛pre-programmato'. Perciò, per evitare associazioni con le nozioni più vecchie della teleologia, che attribuiscono all'evoluzione ‛cause finali', Mayr impiega il termine ‛teleonomico'. Un processo teleonomico, secondo il suo punto di vista, ‟è quello che deve la propria finalità all'operare di un programma" (v. Mayr, 1974, p. 98); ovvero un comportamento teleonomico e guidato da un programma e dipende dall'esistenza di qualche punto finale, scopo o meta, previsto nel programma che regola il comportamento" (ibid., p. 99). Il fine può essere lo sviluppo di una struttura, un'attività fisiologica, un cambiamento di localizzazione geografica, un atto comportamentale, ecc.
Mayr definisce un programma come ‟un'informazione codificata o predeterminata che controlla un processo (o comportamento), portandolo a un dato fine" (ibid., p. 102). Il programma, quindi, è qualcosa di materiale che agisce come un fattore causale ed è preesistente al processo teleonomico al quale dà inizio. E appunto compito della ricerca biologica stabilire esattamente come opera un programma, come l'informazione è conservata, come viene decodificata e come dirige le ‛strutture esecutive' associate. In base all'analisi di Mayr, non c'è ragione di introdurre entità vitalistiche nè di attribuire illegittimamente tratti umani ai processi biologici.
In conclusione, Mayr dimostra che l'uso del linguaggio teleologico in rapporto agli organismi è legittimo e compatibile con le spiegazioni fisico-chimiche, che non implica spiegazioni non causali, nè si appella a fattori causali che siano non fisici. La presenza di programmi, di informazioni conservate fisicamente, indica che c'è una differenza significativa tra sistemi biologici e altri sistemi naturali: l'utilità e la legittimità di analisi e concetti teleologici dipendono dal riconoscimento di questa differenza.
Il concetto delle due biologie, sostenuto dalla biologia organismica contemporanea, non è in alcun modo equivalente alla vecchia nozione secondo la quale la biologia meccanicistica studia le ‛parti' degli organismi e la biologia organismica studia gli organismi come ‛totalità'. Piuttosto, come abbiamo visto, si afferma che tutti i fenomeni biologici richiedono una ricerca condotta da due punti di vista. I sistemi biologici possiedono aspetti duplici che richiedono spiegazioni complementari espresse da teorie sia fisiche sia puramente biologiche. La biologia funzionale-evolutiva si occupa del DNA quanto la biologia riduzionistica, ma non proprio nello stesso modo: la funzione del DNA nel conservare l'informazione genetica e nel dirigere la sintesi delle proteine riguarda la biologia composizionistica, ma i meccanismi attraverso i quali essa si esplica riguardano la biologia riduzionistica. Allo stesso modo la biologia composizionistica si interessa dell'evoluzione del codice genetico, ma non dei meccanismi attraverso i quali il codice diventa operativo.
c) Il concetto delle due biologie e le tesi riduzionistiche
Dopo aver descritto sinteticamente il concetto delle due biologie e alcune delle considerazioni fatte per giustificarlo e sostenerlo, siamo in grado di trattare i problemi del riduzionismo in rapporto a tale concetto. Il modo più diretto di procedere è quello di considerare la posizione della biologia organismica rispetto alle tre tesi ‛riduzionistiche' che abbiamo prima distinto. Il commento alle prime due può essere breve, ma la terza tesi richiede maggior considerazione.
Come abbiamo detto prima, il ‛riduzionismo costitutivo' è accettato da tutti i biologi organismici: poiché questa posizione equivale al rifiuto del vitalismo, non è assolutamente corretto associare la dottrina vitalista alla biologia organismica contemporanea.
Implicita nel concetto delle due biologie è l'accettazione del ‛riduzionismo strategico' come una delle strategie legittime della ricerca biologica. Per le ragioni che abbiamo visto i biologi sottolineano il fatto che si richiede più di un approccio nello studio dei fenomeni biologici, ma non rifiutano in linea di principio tentativi per fornire spiegazioni fisiche dei fenomeni biologici. La strategia generale della ricerca sostenuta dalla biologia organismica consiste nello stabilire dapprima generalizzazioni puramente biologiche, poi nell'investigare le componenti e i meccanismi fisici operanti nei fenomeni. Come dice Dobzhansky (v., 1969, p. 172), la strategia consiste nello ‟scoprire per prima cosa i modelli". I biologi organismici riconoscono che si può discutere se, in un dato caso e in un particolare momento, possa essere più efficace un approccio ‛riduzionistico' o organismico.
Rimane l'importante problema della posizione della biologia organismica in rapporto al ‛riduzionismo esplicativo'. Il vitalismo aveva sostenuto un divario invalicabile tra la biologia e le scienze fisiche, asserendo l'esistenza di fattori vitali. Sebbene la biologia organismica classica rifiutasse i fattori vitali, aveva in comune con il vitalismo la tesi dell'autonomia intrinseca della biologia. Alcuni biologi organismici classici hanno cercato di conservare il divario tra la biologia e le scienze fisiche appellandosi a principî come il tutto determina il comportamento delle ‛parti', e affermando l'esistenza di ‛forze psichiche' attive nei processi organici: pertanto molti biologi hanno criticato tali dottrine, definendole vitalismo mascherato.
A differenza dei loro predecessori, i biologi organismici contemporanei hanno dimostrato un minor interesse per la questione dell'autonomia intrinseca della biologia. Poiché tale autonomia è stata concepita dai riduzionisti esplicativi come una possibilità a priori, i biologi organismici le hanno attribuito scarsa importanza. Sebbene siano stati generalmente mal disposti nei suoi riguardi, si sono preoccupati piuttosto di stabilire il principio della necessità permanente di teorie puramente biologiche.
Alcuni biologi organismici si sono dimostrati in qualche modo ambigui sul problema del riduzionismo esplicativo. Jacob (v., 1970) dichiara per esempio che la biologia non può essere ridotta alla fisica né esistere senza di essa: questo sembra un rifiuto non compromettente del riduzionismo esplicativo. Nello stesso tempo, però, osserva anche, a proposito delle proprietà riscontrabili a livelli più elevati di organizzazione, che esse ‟possono essere spiegate dalle proprietà delle componenti; non possono essere dedotte da esse". Dal momento che, come abbiamo osservato prima, la tesi del riduzionismo esplicativo non implica che le regolarità biologiche debbano essere dedotte dalle teorie fisiche, è impossibile stabilire con certezza la posizione di Jacob su questo punto. (L'ultima citazione è quasi identica a una precedente di Monod, che è dichiaratamente un riduzionista).
Altri biologi organismici non hanno preso posizione sul riduzionismo esplicativo. Mayr, per esempio, sebbene abbia espresso forti obiezioni contro il riduzionismo come programma metodologico e abbia ripetutamente difeso l'esigenza permanente di teorie e spiegazioni puramente biologiche, non si è pronunciato su questo punto: se cioè sia possibile in linea di principio spiegare qualunque teoria biologica per mezzo di una teoria fisica.
Come è errore frequente dei riduzionisti trattare gli argomenti dei biologi organismici come dichiarazioni di vitalismo, così è errore frequente dei biologi organismici interpretare le tesi del riduzionismo esplicativo come un'affermazione della possibilità di una deduzione a priori delle leggi biologiche dalle teorie fisiche. È proprio questa interpretazione che rende ambiguo l'atteggiamento di Jacob e che, come abbiamo visto prima, è responsabile di alcune inesatte obiezioni contro il riduzionismo. È il caso di Commoner e Simpson; lo stesso errore è stato commesso da Dobzhansky (v., 1969, p. 171), il quale asserisce che ‟in linea di principio è possibile la riduzione dei fenomeni dei livelli organismici a quelli del livello molecolare, e anche alla chimica e alla fisica". Questa non è, come appare a prima vista, una dichiarazione a favore del riduzionismo esplicativo; è piuttosto un'accettazione del riduzionismo costitutivo, perché Dobzhansky continua sostenendo che i caratteri dei fenomeni fisici e chimici che costituiscono i fenomeni biologici non possono essere dedotti da leggi fisiche.
Dobzhansky (ibid., p. 172) osserva inoltre che ‟un articolo di fede diffuso in alcuni ambienti è che una conoscenza completa delle componenti farà conoscere automaticamente anche le modalità secondo cui si compongono". Sfortunatamente egli non attribuisce questo punto di vista ai riduzionisti contemporanei, ma lo discute solo a proposito di Laplace. La verità è che nessun riduzionista esplicativo contemporaneo ha questa posizione. Le precedenti citazioni di Crick e Schaffner affermano chiaramente la necessità di stabilire prima le leggi biologiche, e di tentare solo dopo, per mezzo delle teorie fisiche, la spiegazione ditali leggi e dei fenomeni che da queste sono regolati. L'obiezione di Dobzhansky, quindi, non è tanto rivolta contro la possibile spiegazione di fenomeni biologici per mezzo di teorie fisiche, ma piuttosto contro un certo procedimento per tentare di garantire tali spiegazioni.
I biologi organismici hanno senza dubbio ragione quando riconoscono l'esigenza continua e permanente di teorie puramente biologiche e trascurano il riduzionismo esplicativo in quanto tesi relativa a ciò che è possibile in linea di principio. L'adozione di questa tesi come programma di ricerca svia l'attenzione dalla necessità di stabilire teorie biologiche e rafforza l'idea secondo la quale le spiegazioni nei termini delle teorie fisiche sono le uniche legittime. I biologi organismici sottolineano giustamente il fatto che per il momento non vi è alcuna possibilità che la ricerca e le spiegazioni biologiche possano affidarsi interamente alle teorie delle scienze fisiche. I livelli di organizzazione superiori a quello molecolare possiedono innegabilmente caratteristiche e comportamenti che non si trovano a livelli inferiori. Come nota Beckner (v., 1967, p. 551) ‟le molecole non colpiscono a morte le altre molecole". Di conseguenza e legittimo e necessario impiegare concetti e teorie adatti alla spiegazione dei fenomeni di livello superiore.
Quello che vale per i livelli superiori di organizzazione vale generalmente anche per i modelli e i processi evolutivi. Il carattere duplice degli organismi, in quanto sistemi attualmente esistenti e funzionanti secondo un programma genetico modellato durante l'evoluzione, richiede evidentemente il duplice approccio invocato dalla biologia organismica. È necessario scoprire le modalità del cambiamento e le leggi secondo cui esso si verifica, e ciò significa impiegare teorie e concetti biologici. Anche le spiegazioni dei sistemi viventi in termini biochimici devono essere compatibili con la selezione naturale e le mutazioni casuali. Il principio della selezione naturale non è certamente un principio della fisica o della chimica, e sembra molto improbabile che possa essere spiegato o sostituito da un principio puramente fisico. Così i concetti e i principi della biologia evolutiva continuano a essere componenti indispensabili della biologia contemporanea.
Inoltre, l'accento posto dalla biologia organismica sull'analisi e spiegazione teleonomica o funzionale è giustificato dall'organizzazione dei sistemi biologici. Beckner (v., 1959 e 1969) ha fatto notare che, poiché l'analisi teleonomica si focalizza sui risultati piuttosto che sulle condizioni, la sua eliminazione in favore dell'analisi e della spiegazione fisica implicherebbe una perdita irreparabile per la biologia: da una parte priverebbe la biologia di una prospettiva necessaria allo sviluppo di teorie esplicative in campi come l'etologia, l'ecologia e l'evoluzione; dall'altra eliminerebbe un modello di spiegazione che chiarisce aspetti di fenomeni biologici non chiariti da spiegazioni fisiche.
Infine, cosa che molti assertori dei riduzionismo non hanno capito, è necessario che vi siano ragioni fondate, collegate al progredire dell'indagine, per lavorare alla sostituzione o spiegazione di teorie biologiche con teorie fisiche. Non basta la promessa di una maggiore economia concettuale e di teorie più precise: vi deve essere una ragione per credere che si possa conseguire un considerevole incremento della nostra comprensione dei fenomeni biologici, e in molti campi della biologia tali ragioni non esistono. Anche in genetica, dove ci si potrebbe ragionevolmente aspettare di trovare biologi che invocano la sostituzione o la spiegazione della genetica mendeliana con la genetica molecolare, pochi biologi (anche riduzionisti esplicativi) credono che oggi sia importante tentare una simile riduzione: la genetica mendeliana non solo consente la spiegazione di un ventaglio di fenomeni più vasto rispetto alla genetica molecolare, ma poiché tratta i fenomeni a livelli biologici, è basata su concetti e leggi che continuano a servire da guida per lo sviluppo delle teorie esplicative della genetica molecolare. Vi sono in breve buone ragioni per non tentare una riduzione che, anche se fosse possibile, non è chiaro se offrirebbe un risultato abbastanza valido, tale da giustificare lo sforzo.
Riassumendo, i biologi organismici hanno ragione di insistere sul fatto che i concetti e le leggi stabiliti a livello biologico sono altrettanto basilari di quelli stabiliti a livello delle particelle elementari. Se i fenomeni ai livelli biologici possano in definitiva essere spiegati per mezzo di teorie fisiche è una questione che rimarrà aperta finché non vi siano ragioni sufficienti per procedere a un tentativo e finché non se ne faccia uno seguito da successo. Indipendentemente dal risultato, comunque, vi è e continuerà a esservi la necessità di concetti e leggi biologici e di analisi teleonomica. L'esistenza di due biologie è assicurata in futuro, e in questo senso la biologia è e rimarrà una scienza autonoma.
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