Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dalla metà del Settecento, accanto al meccanicismo biologico, torna in auge un filone di ricerca vitalistico-organicistico che finisce per caratterizzare le scienze della vita di fine secolo. Sia in ambito tedesco sia in ambito francese, lo sviluppo di queste scienze appare segnato dalla consapevolezza della specificità dei fenomeni organici, che non appaiono più interpretabili in chiave di causalità meccanica, ma richiedono ormai una scienza autonoma rispetto alla fisica.
Per tutta la prima metà del Settecento il meccanicismo biologico, nella doppia versione della iatromeccanica e della iatrochimica che avevano dominato la scena scientifica del secolo precedente, mantiene una relativa supremazia all’interno delle discipline mediche, anatomiche e fisiologiche. Questa tradizione, che risale al magistero filosofico di Cartesio, è fondata sulla certezza che tutte le funzioni organiche, anche quelle più complesse e misteriose, sono riconducibili a processi e relazioni di tipo fisico-meccanico. La vita perde ogni carattere di originalità e specificità: in questo contesto la biologia e la medicina diventano semplici sezioni della fisica.
Un notevole impulso viene impresso a questa tradizione dal lungo insegnamento all’università di Leida di Hermann Boerhaave.
Progressi di portata storica vengono realizzati anche nel campo dell’anatomia patologica, nel cui ambito il De sedibus, et causis morborum di Giambattista Morgagni segna il trionfo di un nuovo metodo nella ricerca dell’eziologia delle malattie, che individua nel dato oggettivo dell’alterazione organica la soluzione dei problemi clinici e fisiologici. All’interno dell’orizzonte della medicina meccanica riprendono vigore anche le tradizionali discussioni sul rapporto tra anima e corpo che avevano agitato in profondità il dibattito filosofico secentesco.
La distinzione cartesiana tra pensiero ed estensione, pur presentando il merito di salvaguardare la spiritualità dell’anima e il suo destino ultraterreno, propone una spiegazione inconsistente, dal punto di vista scientifico, delle interazioni tra le due sostanze. Ma all’interno dell’eredità cartesiana si nasconde anche un filone cripto-materialistico che poi emerge in piena luce, con effetti dirompenti sul piano ideologico, quando nel 1748 la teoria dell’animale-macchina viene rilanciata nella forma dell’ homme-machine da parte di Julien Offray de La Mettrie.
In un contesto meccanicistico, ma ancorata saldamente alla pratica sperimentale e influenzata dalla tradizione newtoniana, si colloca la scoperta di una nuova forza organica specifica dell’apparato muscolare: l’irritabilità. Sulla base di una lunga serie di vivisezioni e di esperimenti su animali decerebrati, Albrecht von Haller riesce a individuare nelle fibre muscolari una capacità reattiva autonoma, indipendente dal controllo del sistema nervoso, e quindi della coscienza. Il fisiologo svizzero distingue nettamente, all’interno di una definizione della fisiologia come “anatomia animata”, l’eccitamento che giunge al muscolo attraverso i nervi dall’irritabilità propria delle fibre muscolari, senza preoccuparsi di ricercare quale sia la sua causa specifica. La sensibilità implica un’impressione soggettiva dell’Io e fa diretto riferimento all’anima razionale; la contrazione dei muscoli per effetto di uno stimolo esterno può invece avvenire senza l’intervento di impulsi nervosi, e rivela, al contrario di quanto sostenevano i fautori del primato della sensibilità nel controllo delle funzioni organiche, come gli scozzesi William Cullen e Robert Whytt, la presenza di una forza insita nella materia organica che non ha rapporti con l’anima. Le ricerche di Haller danno un grande impulso all’affermazione, nel corso della seconda metà del secolo, di un’impostazione solidistica nella considerazione della fisiologia dei processi vitali che porterà, con John Brown e Franz Anton Mesmer, alla definizione di nuovi sistemi di medicina. Secondo questa prospettiva spetta alle componenti stabili dell’organismo, e non più ai fluidi della tradizione umoralistica classica, la responsabilità dei fenomeni normali e patologici della vita.
Accanto, e in alternativa alla tradizione meccanicistica, si sviluppa fin dall’inizio del Settecento anche un filone vitalistico-organicistico, spesso intrecciato a tendenze spiccatamente animistiche, che riesce a imprimere un nuovo impulso a molti settori della ricerca biologica e medica.
Uno dei punti di riferimento di queste nuove correnti è costituito, soprattutto in area tedesca e francese, da Georg Ernst Stahl. Pur non disconoscendo il carattere meccanico del funzionamento degli organismi, Stahl afferma che il meccanicismo è del tutto insufficiente per spiegare la natura della vita e delle forze che essa mette in azione.
Anche sul piano strettamente sperimentale emerge sempre più la consapevolezza della scarsa operatività dei modelli meccanicistici e della concezione geometrica della natura. I fenomeni di partenogenesi, rigenerazione e generazione spontanea della vita rivelati dalle osservazioni di Bonnet, di Trembley e di Needham, e le scoperte dell’irritabilità e della sensibilità del tessuto cellulare rivelano la straordinaria varietà e ricchezza vitale della natura, che sembra animata da una spontaneità e un dinamismo creativo inesauribili. La materia non appare più composta di particelle inerti ma di “molecole organiche”, cioè punti fisici di energia vitale dotati di forza e sensibilità. La vita viene ormai considerata una realtà irriducibile e originale che richiede una scienza autonoma, indipendente dagli schematismi del meccanicismo e delle altre scienze della natura.
Le tendenze antimeccaniciste della biologia settecentesca trovano in area francese un centro istituzionale di diffusione nella facoltà di medicina di Montpellier, di cui sono significativi esponenti Boissier de Sauvages, Théophile de Bordeu e Paul-Joseph Barthez.
La preoccupazione di liberare le scienze della vita dall’egemonia dei modelli meccanicisti trova una delle sue espressioni più consapevoli proprio nell’opera di Bordeu. Fisiologo e anatomista rigoroso, Bordeu si interessa dell’indagine dei tessuti mucosi, della patologia organica, delle funzioni secretorie e ghiandolari degli esseri viventi. I risultati di questi studi mirano a dimostrare l’infondatezza dello schema meccanicista della funzione ghiandolare come semplice filtrazione del sangue e sembrano rivelare nei singoli organi una specifica sensibilità e capacità di movimento che appare indipendente dal controllo cerebrale.
L’uomo-macchina della tradizione meccanicista, che funzionava come un orologio mosso da un centro spirituale trascendente, si è ormai trasformato in un’individualità complessa e polimorfa, che attende dall’analisi sperimentale la risoluzione dei tradizionali problemi legati al rapporto tra anima e corpo.
Al filone vitalistico-organicistico della biologia settecentesca appartengono anche le ricerche fisiologiche ed embriologiche di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, Caspar Friedrich Wolff e Johann Friedrich Blumenbach.
Questi autori rivendicano con decisione, pur nella diversità delle rispettive scelte teoriche, l’originalità dei fenomeni biologici rispetto a quelli fisici, giungendo alla conclusione che la vita non è comprensibile né con gli schematismi geometrici cartesiani né con l’introduzione di forze come l’attrazione newtoniana.
Materializzando le monadi leibniziane, i biologi vitalisti elaborano una concezione della materia che non ha più rapporti con il meccanicismo. L’attribuzione alle particelle elementari della vita di forme di sensibilità diffusa apre la strada alle tendenze ilozoiste e neospinoziane del materialismo settecentesco, che portano all’eliminazione di ogni soluzione di continuità tra materia e vita, tra materia, sensibilità e pensiero.
La figura più rappresentativa e l’artefice dello spostamento degli interessi scientifici settecenteschi verso le discipline biologiche è Georges-Louis Leclerc de Buffon. L’autore dell’ Histoire naturelle non attribuisce qualità psichiche alle sue “molecole organiche”, ma ritiene che l’azione di “forze penetranti” analoghe al peso sia sufficiente a costringerle a modellarsi dentro gli “stampi interni” e ad aggregarsi per formare tutti gli organismi viventi. Grazie a questo reticolo teorico Buffon tenta di riunire, all’interno di un unico sistema esplicativo, tutti i problemi connessi all’ontogenesi e alla filogenesi. Ogni processo organico appare inquadrato nella prospettiva di una circolazione di molecole vitali e indistruttibili, le quali vengono assunte col cibo, separate dalle molecole inorganiche attraverso la digestione, assimilate e modellate mediante l’intervento di forze penetranti e stampi interni, destinate allo sviluppo del singolo organismo e alla generazione di altri esseri viventi, restituite infine alla natura attraverso la morte.
Insieme a Maupertuis e Buffon, anche Denis Diderot condivide la svolta del pensiero filosofico-scientifico della metà del Settecento verso le nuove frontiere della fisiologia, della medicina, dell’embriologia. Le particelle elementari di cui sono costituiti tutti i corpi, organici e inorganici, non sono dotate per Diderot solo di estensione e movimento, ma anche di gradi differenziati di sensibilità: nessuna soluzione di continuità appare più possibile tra la materia e la vita, tra la materia e la coscienza. Le stesse proprietà psichiche non sono una caratteristica esclusiva delle particelle organiche, ma appartengono ormai anche al mondo inorganico, che risulta così tutto pervaso di un’oscura animazione e vitalità.
Questa conclusione spiccatamente ilozoista e panteista, che si dilata in un orizzonte cosmogonico prefigurando il trasformismo lamarckiano, porta Diderot alla formulazione di un sistema materialistico capace di integrare umanesimo e scienza. Secondo questa concezione della natura la sensibilità, latente nella materia, si risveglia e si concentra via via che le particelle inorganiche si aggregano, si vitalizzano attraverso l’organizzazione, e risalgono nella scala alimentare dai vegetali agli animali fino all’uomo.