MEDDĀḤ
. Vocabolo arabo (maddāḥ), che propriamente significa "colui che canta le lodi" (di Dio o d'altri), ma che in Algeria ed Egitto è dato a poeti cantori erranti e in Turchia ai cantastorie abili nell'imitare voce e gesti dei personaggi, ossia una specie di mimi. In Turchia l'arte dei meddāḥ, detti anche muqallid imitatore, parodista", si sviluppò sia presso il popolo sia alla corte dei sultani. Il meddāḥ che ora s'incontra raramente in Turchia, usava stare seduto davanti agli ascoltatori tenendo in mano un fazzoletto che gli serviva per velare talvolta il viso nelle trasformazioni della voce con cui parodiava i personaggi nel dialogo; molto spesso parlava nel dialetto di Qastamūnī e imitava la parlata degli Ebrei, degli Albanesi, degli Armeni.
Bibl.: Kúnos, in Radloff, Proben der Volksliteratur der Osmanen, VIII; G. Jacob, Vorträge türkischer Meddâh's, Lipsia 1904 e 1923; Selīm Nüzhet, Türk TemaŞasī (in turco, nuovo alfabeto), Costantinopoli 1930.