Medea
Personaggio mitologico, il cui nome ricorre in If XVIII 96 e anche di Medea si fa vendetta, con richiamo a una delle colpe di seduttore delle quali Giasone, il capo della spedizione degli Argonauti, sconta la pena nella seconda bolgia del cerchio ottavo.
Figlia di Eeta, re della Colchide, M. si era invaghita a prima vista dell'eroe greco, venuto alla riconquista del vello d'oro, e l'aveva aiutato con le sue arti magiche a impossessarsi dell'oggetto miracoloso, affidato alla custodia di un drago. Compiuta l'impresa, M. e Giasone si erano sottratti con la fuga alle ire di Eeta e si erano uniti in matrimonio in terra greca. Tuttavia la felicità di M. doveva essere di breve durata: raggiunta in Tessaglia Iolco, città d'origine di Giasone, e costretti ancora una volta alla fuga, i due sposi avevano trovato asilo e ospitalità presso Creonte, re di Corinto; ma ben presto Giasone, preso d'amore per la figlia del re, aveva ripudiato M. per contrarre nuove nozze. Di qui lo scatenarsi della furia vendicativa di M. che l'aveva spinta a provocare con un inganno la morte della giovane sposa e del padre Creonte e a uccidere di propria mano i due figli avuti da Giasone, per rifugiarsi infine - secondo la versione più diffusa del mito - ad Atene, trasportata da un carro alato.
La vicenda di M. ebbe molte versioni e fu argomento di opere poetiche in tutta l'antichità classica; il personaggio ispirò soprattutto gli autori di tragedie, i quali - a cominciare da Euripide - ritrassero M. come una donna fiera, incapace di dominare le proprie passioni, nel cui animo si attuava una spaventosa metamorfosi dell'amore in odio. Tale prospettiva non compare in D., che in lei indica, di scorcio, soltanto la vittima di Giasone, con ogni verisimiglianza sulla traccia della fonte ovidiana (Met. VII 1-158, 394 ss.; Her. XII).