MEDEA (Μήδεια, Medea)
Figlia di Aietes, re della Colchide e di Idyia, ninfa oceanina, nipote di Helios (Hesiod., Theog., 956 ss.). Accanto a Circe figlia di Helios, che già in Omero (Od., x, 137) è della sorella di Aietes, M. fu la più grande maga del mito greco e, a partire dalla Medea di Euripide rappresentata nel 431, anche assassina dei suoi figli per gelosia e per amore oltraggiato (v. anche metuia).
i. Tradizione scritta. - A causa della sua discendenza puramente divina, nella Theogonia M. è nominata accanto a dèe, come Eos, Teti, Afrodite, le quali si unirono ad uomini mortali (992 ss.). M. avrebbe generato Medeios da Giasone che, per volere degli dèi, la rapì al padre. La sua figura era strettamente legata al mito degli Argonauti che già nell'età omerica era generalmente noto (cfr. Od., xii, 70). L'antico poema sugli Argonauti è perduto, ma possediamo per intero l'ode di Pindaro (Pitica, 4) e il poema ellenistico di Apollonio Rodio: Pelia, re di Iolco in Tessaglia, mandò suo nipote Giasone, per causa del quale la sventura incombeva sul suo capo, nella Colchide alla conquista del vello d'oro. Fu costruita la prima nave, Argo, e i più illustri eroi di quella generazione fecero vela verso il re Aietes in un viaggio pieno di pericoli. Il re impose a Giasone compiti mortali. Per mezzo delle magie di M., la quale secondo il piano di Hera e di Atena, si era innamorata di Giasone, l'eroe superò felicemente tutti i pericoli e conquistò il vello d'oro. In seguito M. fuggì con i Greci, partecipò all'assassinio del fratello Apsirto, aiutò gli Argonauti con le sue arti magiche durante il viaggio di ritorno e diventò la sposa di Giasone. I tragici attici rappresentavano M. in primo luogo, come grande maga, secondo l'antica tradizione epica. Nei drammi perduti di Eschilo, Sofocle e del giovane Euripide, M. appariva come una maga che rende giovani. Molto popolare era soprattutto l'insidia contro il re Pelia che non aveva veduto di buon occhio il felice ritorno di Giasone; M. convinse le figlie, le Peliadi, a fare a pezzi il vecchio padre, per poterlo ringiovanire cuocendolo con ingredienti magici (cfr. sotto 2 a). Come prova della sua arte, con lo stesso procedimento aveva tramutato un vecchio ariete in un agnello. Dopoché le fanciulle ebbero ucciso Pelia, M. non mantenne la promessa e fuggì con Giasone a Corinto. Qui si svolgono gli avvenimenti che ci sono noti attraverso la tragedia di Euripide. Fino ai nostri giorni nessuna altra poesia ha caratterizzato in modo tanto decisivo la figura di M., come questo dramma al quale gli Ateniesi assegnarono solo il terzo posto alla prima rappresentazione: l'immagine della maga M. era così profondamente radicata in loro, che non poterono apprezzare il carattere schiettamente spirituale della M. euripidea. Il tipo di M. maga barbara (cfr. sotto 2 a, d), fu creato in quest'epoca nell'arte figurativa attica. Al contrario l'Egeo di Euripide, perduto, nel quale M. appariva come intrigante politica, divenne subito popolare, a giudicare anche dalle raffigurazioni: alla fine degli spaventevoli avvenimenti di Corinto, M. era fuggita su un carro di serpenti ad Atene presso il re Egeo, il cui favore ella si era assicurato in precedenza. Lo sposò e cercò di corrompere il figliastro Teseo. Allorché i suoi tentativi fallirono ed Egeo riconobbe nel giovane il proprio figlio, M. dovette lasciare Atene. Si diceva che fosse fuggita con il figlio Medos in Persia, i cui abitanti si chiameranno Medi, in suo onore (Paus., ii, 3, 8). Con questo, M. ritornava al mondo dei barbari, dal quale era venuta. Il ratto operato da Giasone fu secondo Erodoto (i, 1) una delle cause del conflitto tra Grecia ed Asia. Nel mondo romano l'infanticida M. continuò a vivere nelle traduzioni e rielaborazioni da Euripide, come pure nella nuova forma che Seneca aveva dato a questo dramma. La migliore descrizione latina di M., maga della Colchide, si trova nelle Metamorfosi di Ovidio (7, 174 ss.).
ii. Raffigurazioni. - (I temi sono stati ordinati non secondo lo svolgimento del mito, ma secondo la prima apparizione di ciascuno nell'arte figurativa).
1) Medea come divinità: a) il più antico ritratto di M. del quale abbiamo notizie, si trovava sull'Arca di Kypselos (Paus., v, 18, 3: v. kypselos, arca di). M. era seduta su un trono, Giasone e Afrodite erano in piedi accanto a lei. L'epigramma apposto alla raffigurazione diceva così: "Giasone sposa Medea, Afrodite lo comanda". Il soggetto dell'immagine era dunque lo sposalizio di Medea. Seduta solennemente su un trono, ella - in perfetta conformità con la Theogonia era concepita come dea che si sposa con un mortale. Una tale raffigurazione non deve destare meraviglia in un'opera dell'ambiente artistico di Corinto. L'antico poeta corinzio, Eumelo, aveva rappresentato M., nipote del re del Sole, come legittima sovrana di Corinto (cfr. Paus., ii, 3, 10). Helios, che era venerato sull'Acrocorinto, avrebbe dato Corinto a suo figlio Orietes. Poiché questi era andato nella Colchide, e poiché la stirpe che in seguito aveva regnato in Corinto era interamente spenta, i Corinzi avrebbero fatto venire M. e Giasone da lolco. Secondo il poema epico Naupaktia, Giasone si sarebbe trasferito con i suoi figli a Corcyra (cfr. Paus., ii, 3, 9). In tal modo costituiva quasi un modello mitico per i donatori dell'arca, i Cipselidi che, come lui, erano emigrati a Corcyra. Una raffigurazione delle nozze, come la descrive Pausania, non esiste più (per il mito di M. a Corinto, cfr.: E. Will, Korinthiaka, 1955, 85 ss.).
b) La più antica raffigurazione attica della dea M. si trova su quattro lèkythoi a figure nere (550-525 circa a. C.) tra le quali una, a Londra, non offre dubbî data la presenza del nome. Mostrano un busto di donna con la benda in capo e con collana, avvolta da due serpenti. In mezzo a questi esseri possenti e temibili M. è vista come divinità e naturalmente entrano in gioco anche i suoi poteri magici che le consentono di dominare su tali belve. Essa domò i draghi colchi (cfr. sotto 2 c) e nel dramma di Euripide fuggì da Corinto su un carro di serpenti che Helios le aveva inviato (cfr. sotto 4 a; d). Questo carro non è un attributo magico, ma un veicolo di dèi (Simon, 206). È incerto se ad esso si alluda già nei due serpenti di queste lèkythoi.
2. Medea come maga: a) M. e le Peliadi. La raffigurazione delle figlie di Pelia presso la caldaia, anche senza M., fu prediletta nel tardo arcaismo e nella prima epoca classica. Due vasi a figure nere dell'ultimo venticinquennio del VI sec., ora a Londra, un'anfora (B 221) e una hydrìa (B 328), mostrano per la prima volta M. in questa scena. Sulla hydrìa, presso la caldaia, inginocchiato ad attizzare il fuoco è Giasone, per amore del quale M. compie l'impresa. Al suo fianco M. fa l'esorcismo stendendo le braccia sulla caldaia dalla quale emerge l'ariete ringiovanito. Di fronte a loro troneggia Pelia dai bianchi capelli, destinato ad essere trucidato. M. porta lo stesso costume dell'unica Peliade presente: chitone e mantello. L'abbigliamento barbarico le fu attribuito solo nel corso della seconda metà del V secolo. L'anfora mostra due Peliadi che con gesti vivaci salutano il miracolo dell'ariete, mentre il padre siede di fronte a loro col capo chino. M., al suo fianco, ha sulla testa il pòlos, cioè la corona delle dèe e delle sacerdotesse. M. infatti era sacerdotessa di Ecate, la spettrale regina di ogni magia (Apoll. Rhod., iii, 251 ss.). Sui vasi delle Peliadi (Simon, 207) della prima epoca classica, scompare l'ingenua gioia del miracolo. Alcune delle Peliadi s'immergono in pensieri profondi, l'enormità del prossimo patricidio pesa sul loro animo. Qui, certo a ragione, si è parlato di influssi della tragedia, cioè delle Rhizotòmoi (Le raccoglitrici di radici magiche) di Sofocle e delle Peliadi del giovane Euripide. Ma è anche da rammentare la grande pittura di quell'età, tanto più che ci è noto che Mikon dipinse le Peliadi (Paus., viii, 11, 13: Overbeck, Schriftquellen, 1085). Nel corso di questo sviluppo si trova un bassorilievo del decennio 420-410 a. C. Appartiene al famoso gruppo dei quattro bassorilievi a tre figure, che ci sono stati serbati in copie romane. Il bassorilievo delle Peliadi ci è pervenuto in una copia corrosa al Laterano, in un'altra, ritoccata, a Berlino e in un frammento, a New York, che è il bordo superiore sinistro con la testa di Medea. Qui M. appare in vesti barbare, con la cassetta magica nelle mani. Sulla testa porta una tiara, sotto il peplo porta un chitone a maniche corte, ma dalla spalla le pende la lunga manica del manto persiano (kàndys). Appare dunque come donna di Persia, quasi progenitrice dei Medi. Con lo sguardo fisso soggioga la maggiore delle Peliadi, ancora esitante. Questa tiene la spada nuda nella mano destra, che sorregge la testa immersa in profonda meditazione. La posizione delle sue mani si può rintracciare sino agli inizî dell'arte classica (cfr. H. Kenner, Weinen und Lachen in der griechischen Kunst, 1960, p. 30 ss.). La sorella più giovane si china fiduciosa e indaffarata sulla caldaia magica, dalla quale però non salta un ariete. Per l'artista classico il miracolo non era la cosa principale: egli raffigurava infatti il contrasto etico tra la fredda maga persiana e l'infelice coppia delle sorelle diverse. Una tensione sinistra emana dall'immagine. Il tema delle Peliadi si trova inoltre sul lato di un sarcofago romano, nella pittura pompeiana e in miniature bizantine.
b) Altri ringiovanimenti. Nella prima hypòthesis alla Medea di Euripide si racconta di molti ringiovanimenti operati dalla magia di Medea. Così anche Giasone sarebbe ritornato giovane facendosi cuocere.
Su una hydrìa del Pittore di Copenaghen, a Londra (E 163) si vedono M. e il vecchio Giasone - l'identità è certa grazie alla scritta - presso la caldaia. Pertanto la versione è attestata anche nell'arte figurativa. Secondo Eschilo M. avrebbe ringiovanito, cuocendoli, le balie di Dioniso con i loro uomini, cioè menadi e satiri. Il dramma Διονύσου τροϕοί in cui accadeva questo fatto, era molto probabilmente un dramma satiresco. Ad esso si riferisce forse la figura di un cratere a calice della prima età classica, ad Ancona. Nella donna che conduce un vecchio sileno curvo alla caldaia del ringiovanimento, è da vedere piuttosto una menade che M., per la presenza della corona di edera.
c) Medea e il drago colco. L'episodio, spesso riprodotto in pitture, è minuziosamente descritto da Apollonio Rodio (iv, 145 s.). Pindaro invece (Pitica, 4, Snell 444; 462 a. C.) accenna solo al fatto che Giasone avrebbe ucciso il drago per "magia" e avrebbe rapito M., "tramonto di Pelia". Sui vasi attici dell'epoca di Pindaro M. non è presente alla scena e solo Atena aiuta Giasone nella lotta contro il drago, custode del vello d'oro (kỳlix di Douris, in Vaticano; cratere a colonnette a New York). La versione di Pindaro appare sull'antico cratere italiota di Sisifo a Monaco. Dietro Giasone che assale il drago con la spada sguainata, si trova M. vestita in peplo greco, quale maga protettrice con la cassetta degli arredi magici nella sinistra. In Apollonio, Giasone non combatte apertamente, ma è M. che addormenta il drago, sì che l'eroe può prendere il vello. Tale versione si dovette diffondere già prima di Apollonio, probabilmente non senza influsso delle arti figurative. Infatti nei vasi dell'Italia meridionale di età ellenistica (Heydemann, 17 s.) M., in vesti barbariche, porge al serpente la pozione soporifera (cfr. A. D. Trendall, Paestan Pottery, 96 s., fig. 62). In età romana è molto diffusa la scena di M. che in vesti greche, dà da bere al drago della Colchide. La mostrano, per esempio, alcune lastre Campana, uno stucco della basilica sotterranea a Porta Maggiore, sarcofagi e gemme.
d) Medea e Talos. In Creta gli Argonauti devono affrontare il corridore di bronzo Talos, custode dell'isola. M. lo immobilizza con lo sguardo magico e lo annienta (Apoll. Rhod., iv, 1665 s.). L'incantesimo e il crollo del gigante è il soggetto dello splendido cratere di Talos a Ruvo. Talos spira la sua anima in mezzo ai Dioscuri; M., nominata con una scritta, avvolta in un ricco costume barbaro, sta con la sua cassetta magica sulla riva del mare e ammalia con lo sguardo il morente. In un frammento proveniente da Spina Talos è rappresentato in modo simile; è perduta la figura di M. che tuttavia doveva essere presente. Accanto all'immagine del rilievo delle Peliadi, la M. del Pittore di Talos è la raffigurazione antica più importante della maga.
3. Medea intrigante in Atene. Tale raffigurazione è scarsamente attestata, al contrario dell'immagine di M. maga, che è invece molto diffusa in varie regioni ed in diverse epoche. Bisogna distinguere due fasi: l'invio di Teseo contro il toro di Maratona e il tentativo di eliminare il giovane col veleno. Come ultimamente ha dimostrato lo Shefton (159 s.), entrambe le fasi si riconducono probabilmente al perduto Egeo di Euripide. Su uno skỳphos frammentario a Firenze (attico, c. 430 a. C.) si allude ad entrambi gli attentati. Su un lato c'è Teseo accanto al toro già ammansito, dall'altro M., avvolta in un chitone con maniche ed ependỳtes si avanza gesticolando verso Egeo in trono, per convincerlo all'attentato col veleno. Sul suo viso, rivolto a chi guarda, pare di scorgere la perfidia. Sebbene tenga in mano la cassetta magica, qui non agiscono i suoi poteri. Tutto è un puro e semplice intrigo. Alla fine infatti M. è sconfitta ed è costretta a fuggire, mentre negli incantesimi ogni cosa si concludeva secondo il suo volere. Nell'Egeo, come nella Medea, Euripide sembra aver tolto a M. l'insito carattere magico. Una raffigurazione paragonabile a questa si trova sul cratere a calice del Pittore di Cecrope, nella coll. del Principe d'Assia ad Adolphseck. Anche qui il toro è già ammansito. M. con tiara, come una barbara, sta dietro ad Egeo in trono e gli posa il braccio sulla spalla: certo gli sussurra il progetto del veleno. Brocca e fiala nelle sue mani simboleggiano l'attentato. Un cratere da Taranto della stessa collezione mostra il riconoscimento tra padre e figlio. M. smascherata si appresta a fuggire, la brocca le è scivolata dalle mani. Come in un'altra raffigurazione italiota antica (cfr. 2 c), anche qui M. è vestita in foggia greca. Il gusto atticizzante dell'età impenale spiega il raffiorare di questo motivo in quell'epoca. Su lastre Campana Egeo cerca di dare per forza a Teseo il boccale del veleno. M., l'autrice del piano, sta rigida in abiti ellenici, dietro il re. Mentre l'interpretazione di questa immagine è certa, lo Shefton (159 s.) esamina un gruppo di pitture vascolari attiche della seconda metà del V sec., che sono state interpretate in diversi modi. Mostrano la lotta di un giovane con un toro, in presenza di un vecchio re e di una donna fuggente che tiene brocca e fiala. Si era pensato alla lotta di Giasone con i tori colchi in presenza di M. e di Aietes. Ma poiché su ognuna si vede sempre un unico toro e il vecchio re non è mai vestito da barbaro, deve trattarsi della tauromachia di Teseo. Su due crateri campani, a Madrid e ad Ancona, colei che fugge, dai vestiti appare essere una barbara, cioè Medea. Ma la sua presenza ha un significato specifico: dal momento che Teseo sta per superare il toro, M. deve al più presto pensare ad un altro espediente. Brocca e fiala, come nelle immagini già viste, simboleggiano il veleno. In altre pitture vascolari nelle quali la donna è in abiti greci (per esempio Shefton, tav. 6o, 1) secondo Shefton è raffigurata la ninfa locale di Maratona. Ma anche qui si può pensare a M. tanto più che questa, nominata con una scritta, appare con la famiglia di Egeo nella coppa di Bologna, del Pittore di Kodros, con peplo e cuffia. In ambiente attico M. appare finalmente anche sulla hydrìa del Pittore di Meidias, a Londra, in un insieme di eroi e di eroine non uniti da alcun filo narrativo, tra cui gli eroi delle tribù attiche (Beazley, in Amer. Journ. Arch., xxxix, 1935, 187). Si aggiunge ad essi M. la cui identità qui è accertata dalla scritta, come sposa di uno degli antichi re attici. Indossa abiti barbari ed ha la cassetta magica, appare cioè col tipo della maga, creato per lei dall'arte attica (cfr. sopra 2 a, d).
4. Medea infanticida. Questa raffigurazione è impensabile senza la Medea di Euripide, sebbene anche nella tradizione antica precedente alla tragedia di Euripide, i bambini di M. e Giasone incontrassero morte immatura. Secondo una delle versioni sarebbero stati uccisi dai Corinzî, secondo un'altra, M. li avrebbe uccisi involontariamente essendo stata sorpresa da Giasone mentre si apprestava a renderli immortali. I bimbi avevano il loro culto a Corinto (E. Will, Korinthiaka, 1955, 85 s.; Page, xxi s.). Nella tragedia di Euripide la passione della sposa ripudiata da Giasone, causa la morte dei bimbi. Nell'arte figurativa attica del tempo non ci è restata alcuna immagine di M. infanticida; la incontriamo solamente un secolo dopo nell'Italia meridionale, regione amante degli spettacoli. Dall'età imperiale romana fino all'epoca tarda ci sono restate molte raffigurazioni dell'infanticida a causa della grande efficacia della tragedia di Euripide. F. Galli (341 s.) li ha classificati in generi tra i quali scegliamo qui i più importanti.
a) Vasi. In primo luogo sono da citare due anfore campane a Parigi. Su una si vede un figlio già sanguinante sull'ara, e M. che si volge verso l'altro che tenta di fuggire. Sullo sfondo il pedagogo, noto dal dramma di Euripide, porta la mano al capo lamentandosi. Sull'altra anfora soltanto un fanciullo è la vittima di M. (Simon, tav. 8, 8), la quale lo trafigge davanti ad una colonna con l'immagine di Apollo. Il chitone con maniche è in questo caso un abito barbaro e nel contempo un costume teatrale; sulla prima anfora M. porta anche una tiara. Anche l'immagine del noto vaso di M. a Monaco (Furtwängler-Reichhold, tav. 90) ricorda la scena teatrale. Al centro c'è il tempietto tipico nei crateri àpuli. In esso, avvolta dal dono mortale di M., si contorce negli spasimi della morte la promessa sposa di Giasone, chiamata Creonteia. Membri della sua famiglia accorrono o fuggono piangenti e atterriti. In basso a sinistra, vestita da barbara, M. afferra uno dei figli, che è scappato su un altare, per trafiggerlo con la spada: l'altro figlio è salvato da un servo di Giasone che accorre da destra. Tra loro c'è il carro dei serpenti sul quale M. fuggirà: il cocchiere è chiamato Oistros e rappresenta il rimorso che tormenterà M. come il tafano un bove. Con la chioma di serpenti e la fiaccola Oistros nonostante la diversità del sesso, è simile ad una Erinni. All'estremità destra del disegno, su una roccia dell'Ade, si vede, identificata con una scritta, l'ombra di Aietes che stende la mano con rimprovero verso l'infanticida. Né lui né Oistros, né numerosi altri particolari ci sono noti dal dramma di Euripide. È vero che il ritratto discende da una rappresentazione teatrale, ma di un dramma post-euripideo (O. Regenbogen, in Eranos, xlviii, 1950, 34 s.; Simon, 213 s.). In esso il finale assumeva un tono moralistico e M. vi appariva, non come una dea, come in Euripide, ma tormentata dal rimorso, in veste di "penitente". Due altri vasi àpuli, un'anfora a punta a Napoli e un frammento non pubblicato a Berlino (Inv. 3916; cfr. Page, lxiv s.) mostrano l'inizio della fuga sul carro dei serpenti. Sulla raffigurazione di Napoli si vedono la spada omicida e un figlio morto dietro il carro sul quale è salita Medea. Un dèmone del tipo di una Erinni stende la torcia contro di lei. Anche in questo caso l'infanticida non troverà la pace dell'anima.
b) Gemme. Sulle gemme l'azione di M. ci è stata tramandata in due fasi. Una gemma a Londra mostra M. nell'atto di immergere la spada nel collo di uno dei figli. Gemme a Firenze e a Berlino rappresentano il contrasto nell'animo di M. prima del delitto ed accanto a lei i figli che giocano. Il tipo di M. esitante è una creazione della grande pittura, molto nota nell'antichità e celebrata in numerosi epigrammi (Overbeck, Schriftquellen, n. 2127 s.), ed è legata al nome di Timomachos di Bisanzio (cfr. sotto, c).
c) Pittura. Nella pittura murale di Pompei, M. non e mai raffigurata nell'atto stesso di uccidere bensì nella lotta spirituale che precede il delitto. Ci sono noti due tipi principali, una M. seduta ed una M. in piedi. In una pittura pompeiana del terzo stile, M. si è seduta su una panca di pietra. La mano sinistra stringe la spada, la destra sorregge la testa. Davanti a M. giocano tranquilli i figli, sorvegliati dal pedagogo. Al contrasto tra l'amore per i bambini e l'odio contro Giasone, contrasto che trova parole così potenti nei monologhi della Medea di Euripide, è subentrato un cupo lutto. Questa M. par che pianga il suo destino di essere Medea. L'altro tipo mostra M. in piedi presso i fanciulli, come sulle gemme ricordate prima.
Ci è stato tramandato in una pittura di Pompei, conservata intatta, e in un frammento di Ercolano. E tra i migliori dipinti della Campania ed è probabile che sia copia di un originale ellenistico. Qui la M. dei monologhi euripidei ha trovato una rappresentazione adeguata. Per esprimere i sentimenti in lotta che dominano M., le mani che stringono la spada omicida sono contratte e i pollici sono pressati l'uno contro l'altro. Il manto e così stretto intorno al corpo, che quasi toglie il respiro. M. gira il capo con lo sguardo selvaggio e minaccioso, la bocca ansante, volta al lato dove giocano i due figli, nel quadro interamente conservato. In questa raffigurazione le mani della madre disperata sono separate e la destra afferra già la spada. Il volto personale, commovente, disperato della M. del frammento è diventato qui un inespressivo viso in serie. Non c'è dubbio che il frammento di Ercolano conservi meglio l'originale. A giudicare dallo stile, questo dovrebbe risalire al primo ellenismo, all'epoca della statua di Demostene. Non è sicuro che Timomachos ne sia il creatore, poiché Plinio lo dice contemporaneo di Cesare (Nat. hist., xxxv, 136; Overbeck, Schriftquellen, n. 2124). A questa datazione sono state opposte molte obiezioni (cfr. Simon, 218 s.), ma non si è giunti, fino ad ora, ad un accordo.
d) Plastica e rilievo. Con la popolarità della Medea di Euripide sulle scene imperiali, si spiega la collocazione di un gruppo statuario di M. con i figli nel teatro di Arles. Il lavoro provinciale mostra M. con la mano sull'elsa della spada, i figli si attaccano all'orlo della veste. Su sarcofagi dell'età degli Antonini sono rappresentate in una figurazione continua, quattro scene del dramma euripideo: offerta dei doni nuziali a Creusa, sua morte, M. esitante prima dell'uccisione dei figli, fuga sul carro dei serpenti, mentre trascina un figlio morto sulla spalla. Si alternano una scena calma con una scena movimentata. Pertanto l'esitazione di M. e travolta dal vortice degli avvenimenti collaterali e se ne perde il carattere di monologo. Protagonista non è più M., ma il vecchio re nel centro del fregio, che piange la morte dolorosa e prematura di sua figlia. Gli accenti della tragedia classica sono spostati a causa dell'uso mortuario dell'oggetto.
M. con Giasone (incontro nella Coichide?) appare in un affresco di un ipogeo funerario del II o III sec. d. C. presso Massyaf: accanto alle due figure, ora quasi completamente sparite, sono scritti i nomi.
Monumenti considerati. - i, b: lèkythoi a figure nere: C. H. E. Haspels, Attic Black-fig. Lekythoi, p. 68; J. D. Beazley, Black-fig., p. 471. - 2, a: anfora di Londra B 221: C.V.A., Great Brit., v, tav. 54, i b; J. D. Beazley, Black-fig., p. 321, 4. Hydrìa di Londra B 328: C.V.A., Great Brit., viii, tav. 86, 4; J. D. Beazley, Black-fig., p. 363, 42. Rilievo a tre figure: H. Götze, in Röm. Mitt., liii, 1938, p. 200 ss.; H. Thompson, in Hesperia, xxi, 1952, p. 47 ss.; E. Simon, in Gymnasium, lxi, 1954, p. 209 ss.; G. M. A. Richter, in Festschrift A. Rumpf, 1952, p. 127 ss., tav. 30. Sarcofago romano: Röm. Mitt., xlv, 1934, tav. 20. Pittura pompeiana e miniature bizantine: Hesperia, xviii, 1949, tavv. 25, 26. - 2, b. Hydrìa di Londra E 163: J. D. Beazley, Red-fig., p. 194, 17. Cratere a calice di Ancona: E. Simon, op. cit., p. 208 ss., tav. 5, 2; contra: F. Brommer, Satyrspiele, p. 44 ss. - 2, c: kỳlix di Douris al Vaticano: J. D. Beazley, Red-fig., p. 286, 93. Cratere a colonnette di New York: J. D. Beazley, Red-fig., p. 347, 22. Cratere italiota a Monaco: Furtwängler-Reichhold, tav. 98; A. D. Trendall, Frühit. Vasen, tav. 19. Lastre Campana: Rohden-Winnefeld, Architektonische röm. Terrak., Berlino-Stoccarda 1911, p. 115, fig. 217. Stucco: Journ. Hell. Stud., xliv, 1924, p. 77, fig. 5. Sarcofagi: C. Robert, Sarkophagrel., ii, tav. 61. Gemme: A. Furtwängler, Gemmen, tav. 62, n. 27; F. Rapp, in Festschrift Paul Arndt, 1925, p. 128 ss., fig. 1; H. Heidemann, in II Hall. Winckelmannspr., 1886, p. 16, n. 42. - 2, d: cratere di Talos: Furtwängler-Reichhold, tav. 38; J. D. Beazley, Red-fig., p. 845, 1. Frammento di cratere da Spina: P. E. Arias - N. Alfieri, Il Museo Archeologico di Ferrara, tav. 43; J. D. Beazley, Red-fig., p. 846, 2. 3. Skỳphos frammentario di Firenze: B. B. Shefton, in Am. Journ. Arch., kx, 1956, tav. 61. Cratere nella coll. del Principe d'Assia ad Adolphseck: J. D. Beazley, Red-fig., p. 853, 2; C.V.A., Germania, xi, tav. 49 ss. Cratere da Taranto nella coll. del Principe d'Assia ad Adolphseck: C.V.A., Germania, xvi, tav. 8o, 1. Lastre Campana: Rohden-Winnefeld, op. cit., tav. 52, 109. Cratere di Madrid: J. D. Beazley, Red-fig., p. 780, 33; B. B. Shefton, op. cit., tav. 6o, 2, 3. Cratere di Ancona: B. B. Shefton, op. cit., p. 159, n. 7. Kỳlix di Bologna: J. D. Beazley, Red-fig., p. 739, 1. Hydrìa di Londra di Meidias: Furtwängler-Reichhold, tav. 9; J. D. Beazley, Red-fig., p. 831, 1 - 4, a: anfore campane a Parigi: L. Séchan, Études sur la tragédie grecque, Parigi 1926, p. 403, fig. 119, p. 404, fig. 120; J. D. Beazley, in Journ. Hell. Stud., lxiii, 1943, p. 94; E. Simon, op. cit., tav. 8, 8. Vaso di Monaco: Furtwängler-Reichhold, tav. 90. Anfora àpula a Napoli: L. Séchan, op. cit., p. 404, fig. 121. - 4, b: gemma a Londra, n. 3185: Hesperia, xviii, 1949, tav. 26, 6. Gemme a Firenze e a Berlino: A. Furtwängler, Gemmen, i, tav. 37, nn. 42, 44. - 4, c: pittura di Pompei: Hermann-Bruckmann, tav. 73, cfr. tav. 74; tav. A 130, Alinari, n. 12024. Pittura frammentaria da Ercolano: Hermann-Bruckmann, tav. 7. - 4, d: gruppo statuario di Arles: Boll. d'Arte, xxx, 1936, p. 304 ss., fig. 10 ss. Sarcofagi romani: C. Robert, Sarkophagreliefs, ii, tav. 62 ss. Per la datazione: J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, 1934, p. 201, tav. 41. Ipogeo funebre: F. Chapouthier, Les peintures murales d'un hypogée funéraire près de Massyaf, in Syria, xxxi, 1954, p. 172 ss.
Bibl.: F. Galli, Medea Corinzia nella tragedia classica e nei monumenti figurati, in Atti R. Acc. Napoli, 24, 1906, p. 301 ss.; H. Heydemann, Jason in Kolchis, in 11. Hall. Winckelmannsprogramm, 1886; A. Lesky, in Pauly-Wissowa, XV, 1931, c. 29 ss.; D. L. Page, Euripides Medea, Text, Einführung und Kommentar, Oxford 1938; L. Séchan, Études sur la tragédie grecque, Parigi 1926, p. 306 ss.; Seeliger, in Roscher, II, 1894-97, c. 2482 ss.; B. Neutsch, Bilderbeschreibung d. Antiphilos v. Byzanz, in Röm. Mitt., LIII, 1938, p. 173 ss.; B. B. Shefton, Medea at Marathon, in Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 159 ss.; E. Simon, Die Typen der Medeadarstellung in der antiken Kunst, in Gymnasium, 61, 1954, p. 203 ss.; F. Brommer, Vasenlisten zur gr. Heldensage, 2a ed., Marburg-Lahn 1960, p. 348-55.