Medici, Lorenzo de’, duca di Urbino
Nacque a Firenze il 12 settembre 1492, da Piero di Lorenzo e da Alfonsina di Roberto Orsini. Fu battezzato alla presenza degli Otto di pratica e ricevette il nome del nonno paterno da poco scomparso, così come quello della sorella Clarice (1493-1528; sposata nel 1509 a Filippo Strozzi) avrebbe ricordato la moglie di Lorenzo il Magnifico, Clarice Orsini, a sottolineare la determinazione di Piero ad attestarsi sul solco della collaudata influenza del genitore.
Con la cacciata da Firenze di Piero (1494), Lorenzo fu coinvolto nella disgrazia paterna. Giunto furtivamente a Urbino, grazie alla sollecitudine di Antonio Dovizi, fu sistemato a Venezia, dove era riparato Piero Dovizi, e affidato alle cure di Girolamo Lippomano, nella cui dimora rimase almeno sino al 29 febbraio 1500.
Prossimo ai diciott’anni, ‘Lorenzino’ fu richiamato dalla madre Alfonsina, che lo volle presso di sé a Roma, per poi seguire gli spostamenti del marito, impegnato militarmente nel Meridione per conto della Francia. Sicché Lorenzo prima risiedette a Montecassino, quindi a Gaeta. Dopo la tragica morte del padre, annegato il 28 dicembre 1503 nel Garigliano con altri 300 nel tentativo di traghettare l’artiglieria, Bartolomeo d’Alviano si prese cura della vedova e degli orfani.
L’educazione di Lorenzo – che la madre volle accurata – proseguì a Roma. Tra i precettori ebbe pure l’umanista Guarino Favorino. Capace di padroneggiare il latino e di intendere il greco, Lorenzo non era tuttavia appassionato agli studi e facilmente se ne spazientiva: preferiva i cavalli, i levrieri, i falconi, le battute di caccia. E manifestava gran trasporto per le donne. Da una relazione ancillare, nel 1510 circa, ebbe il figlio naturale Alessandro, il futuro duca di Firenze. La madre di Lorenzo contrastava la condotta del figlio, disapprovava le sue smanie di divertimento e lo pretendeva sempre docile ai suoi comandi. Malgrado l’invadenza della madre – troppo ambiziosa a giudizio dei contemporanei, intrigante e spesso inopportuna –, Lorenzo non giunse alla rottura con lei, anzi sempre si preoccupò di riscuoterne l’approvazione.
Caduta la Repubblica capeggiata dal gonfaloniere Piero Soderini, Lorenzo fece il suo ingresso in Firenze il 4 settembre 1512; lo aveva preceduto, il 1° settembre, lo zio Giuliano de’ Medici, e lo avrebbe seguito, il 14, l’altro zio, il cardinale Giovanni. A Firenze, Lorenzo conseguì in breve il primato, una volta arrestato, il 18 febbraio 1513, un gruppo di congiurati antimedicei, decapitati il 23 i maggiori indiziati, Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, e tacitata brutalmente ogni velleità oppositiva. L’elezione a papa di Giovanni de’ Medici (Leone X), l’11 marzo di quell’anno, mentre segnava il definitivo consolidamento del potere mediceo a Firenze, apriva anche nuove prospettive per l’ambizione di Lorenzo, come Francesco Vettori noterà qualche mese dopo (12 luglio), scrivendo all’amico M. (il papa, scrive, «in ogni modo pensa dare stati» a Giuliano e a Lorenzo, Lettere, p. 268).
Dopo essere stato dichiarato abile agli uffici, Lorenzo fu ammesso tra i Duecento e destinato al nuovo scrutinio, e il 22 aprile fu eletto alla Balìa. Il papa, che lo aveva carissimo, nell’Instructione del 13 agosto lo richiamò tuttavia a un esercizio discreto della sua influenza personale, evitando arbitrii e rispettando l’assetto istituzionale della città, la quale – pur pesantemente condizionata – avrebbe così accettato senza reagire la subordinazione al potere mediceo (il testo è in «Archivio storico italiano», 1842, 1, app. VIII, pp. 299-306). Tuttavia, Lorenzo appariva a tutti gli effetti, non solo alla popolazione, ma anche ai diplomatici, «il primo della città»: sempre più pretendeva riverenza e smaniava di figurare primo nelle cerimonie, nelle feste carnevalizie, nelle giostre, nei festeggiamenti del santo patrono.
Il 23 maggio 1515 gli fu conferito il capitanato generale dei fiorentini, con 250 uomini d’armi alla sua diretta dipendenza e altrettanti sotto altri condottieri, tenuti a obbedirgli. L’elezione – come rimarcò l’ambasciatore veneto Marino Zorzi al senato il 17 marzo 1517 – costituiva una violazione delle leggi fiorentine che, al pari di quelle veneziane, proibivano che un cittadino fosse nominato capitano delle milizie. Zorzi ne traeva, con disapprovazione, la conclusione che Lorenzo era così «fatto signor di Firenze» (Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, II s., 3° vol., 1846, p. 51). Lorenzo contava su un gruppo di elementi fidati, tra cui il cognato Filippo Strozzi e Vettori. Tuttavia, la nomina a capitano registrava un’auctoritas costituzionalmente anomala e preludeva a ulteriori manomissioni e stravolgimenti delle regole. Leone X, per il quale la nomina fu una sorpresa, si irritò fortemente che non gli fosse stato chiesto il preventivo assenso; tanto più che, a suo avviso, la carica si sarebbe dovuta assegnare non a Lorenzo ma a una persona di fede medicea, nel rispetto delle norme e soprattutto nell’esercizio di un’abile potestas indirecta su Firenze. Paventando l’ira del papa, Lorenzo inviò a Roma, a giustificarsi, il segretario personale Giovanni Lapucci. Ma Leone X aveva allora altri e più gravi motivi di preoccupazione. Nel timore delle mosse del nuovo re di Francia Francesco I, il 29 giugno le forze pontificie erano state mobilitate e il 17 luglio era stata stretta dal papa un’alleanza antifrancese con la Spagna e l’impero. Il 10 agosto Francesco I varcò le Alpi con un numeroso esercito, e il 12 Lorenzo assunse il comando delle milizie fiorentine (140 cavalleggeri e 4000 fanti). Pochi giorni dopo mosse alla volta di Piacenza, ma con ben poca intenzione di battersi, anche per non compromettere la tradizionale amicizia fiorentina con la Francia; né più propenso alla battaglia era il viceré di Napoli, Ramón Folch de Cardona. Lorenzo era ancora a Piacenza quando poche settimane dopo (il 13-14 settembre) la vittoria francese di Melegnano pose fine alla campagna.
Di fronte alla necessità di un accordo tra il papa e Francesco I, Lorenzo fu designato da Leone X suo portavoce, e il 17 ottobre fu anche nominato ambasciatore della Signoria presso il re di Francia. Francesco I e Lorenzo così si incontrarono, prima a Vigevano e poi a Milano, e simpatizzarono: entrambi giovani e gaudenti, sul piano dei divertimenti si intendevano, con vantaggio dei rapporti franco-pontifici.
Il 21 novembre Lorenzo lasciò Milano per Roma, portandosi poi subito a Firenze, dove prese parte all’ingresso di Leone X in città, il 30 del mese. Il 7 dicembre si recò a Reggio con Lorenzo Orsini (Renzo da Ceri) a incontrare Francesco I, al seguito del quale, l’11, sfilò a Bologna, dove, con grande enfasi, fu celebrata la ritrovata armonia franco-pontificia.
Una volta tornato a Firenze, la morte dello zio Giuliano, avvenuta il 17 marzo 1516, ne consolidò l’eminenza e facilitò il proditorio esproprio, a suo vantaggio, del ducato di Urbino. Il 26 maggio, Lorenzo, «capitano della Chiesa» e insieme «capitano de’ fiorentini», mosse alla conquista del ducato di Urbino, dove entrò il 4 giugno (nel concistoro del 18 agosto sarà proclamato duca di Urbino, e l’8 ottobre sarà investito formalmente del ducato). Lorenzo – a detta di Vettori, suo futuro biografo – in cuor suo non avrebbe voluto la titolarità del ducato, se non altro per timore dell’ostilità di Francesco I; la responsabilità spetterebbe alla madre Alfonsina, instancabile nell’insistere con il papa perché desse a Lorenzo uno Stato. Appare arduo, in realtà, distinguere tra la volontà del papa di usare Lorenzo per l’ingrandimento del casato e l’ambizione di questi. A parere di Zorzi, Leone X sarebbe stato di indole pacata; furono piuttosto i parenti a non dargli requie con le loro pretese, e fra tutti Lorenzo, il quale «è astuto e atto a far cose non come Valentin [Cesare Borgia], ma pocho manco» (Le relazioni..., cit., p. 51). Se, come è probabile, Zorzi non sapeva che il Principe – dove il Valentino funge da esempio – è dedicato a Lorenzo, con il sottinteso che la forza leonina e l’astuzia volpina debbano valere anche per lui, si deve ritenere che l’accostamento tra il figlio di Alessandro VI e il nipote di Leone X nasca spontaneo negli ambienti curiali e cortigiani e circoli anche nei giudizi dei diplomatici.
Anche se non aiutato dalla buona salute (per lo meno dalla fine del 1516, la sifilide si manifestò in maniera grave), Lorenzo dette comunque prova di modeste qualità militari nel fronteggiare Francesco Maria Della Rovere, che tra il febbraio e il settembre del 1517 tentò di recuperare il ducato di Urbino (e solo l’assenza di denaro, non certo la resistenza incontrata, lo costrinsero a desistere dall’impresa). Lorenzo, per altro, ferito il il 29 marzo 1517 mentre si accingeva alla presa di Castel Mondolfo, fu ben presto fuori gioco.
Era tempo, intanto, che pensasse ad accasarsi. Cadute negli anni precedenti varie eventualità matrimoniali (con una donna di casa Soderini; con Bona Sforza; con una sorella del duca di Cardona), fu nell’autunno inoltrato del 1517 che si tornò a parlare con insistenza del suo matrimonio, allorquando Leone X – come constata l’ambasciatore veneto Marco Minio – trattò «et con Franza et con Spagna» e, optando per la prima, parve evidente che il papa «si vuol far tutto francese».
Il matrimonio di Lorenzo con la diciottenne Madeleine de la Tour d’Auvergne fu contratto, «per verba de presenti», il 25 gennaio 1518. Lorenzo partì per la Francia il 22 marzo, e il 2 maggio le nozze furono celebrate. A fine agosto Lorenzo tornò di nuovo in Toscana, per entrare solennemente a Firenze il 7 settembre con la sposa; seguirono tre giorni di festeggiamenti.
In ottobre Lorenzo si recò a Roma per convincere il papa ad autorizzare un’assunzione esplicita del principato su Firenze. Scoraggiato in questa pretesa, rientrò a Firenze, dove cadde ammalato per l’aggravarsi della sifilide. Era malata pure la moglie, che morì il 28 aprile 1519, due settimane dopo aver dato alla luce Caterina, la futura regina di Francia. Lorenzo morì pochi giorni dopo, il 4 maggio.
Lorenzo viene ricordato varie volte nella corrispondenza privata di M., e generalmente in lettere a (ma più spesso di) Vettori: il peso politico di Lorenzo a Firenze, del resto, lo rendeva un punto di riferimento imprescindibile per chi, come M., sperava che i «signori Medici» gli facessero almeno «voltolare un sasso» (come auspicato da M. nella famosa lettera del 10 dic. 1513, Lettere, p. 297). Un esplicito giudizio positivo su Lorenzo ricorre in un frammento autografo non datato (propriamente un poscritto) di una lettera di M. a Vettori, che Roberto Ridolfi (1969, p. 525) colloca congetturalmente nel febbraio-marzo del 1514 (che possa essere posticipata al 1515 lo suggerisce Corrado Vivanti, in N. Machiavelli, Opere, a cura di C. Vivanti, 2° vol., 1999, p. 1584). Comunque, il testo testimonia un avvicinamento a Lorenzo, dopo gli infruttuosi tentativi di ottenere qualche incarico da Giuliano (al quale M. pensava originariamente di dedicare il Principe). Il tono della lettera è apertamente celebrativo, non solo nel riconoscere al giovane grandi qualità personali (il «modo del procedere del magnifico Lorenzo [...] è suto infino a qui di qualità, che gli ha ripieno di buona speranza tutta questa città; e pare che ciascuno cominci a riconoscere in lui la felice memoria del suo avolo», Lettere, p. 316), ma anche nel tracciare il ritratto ‘politico’ di un cittadino che, pur munifico e liberale come un principe, appare estraneo tuttavia alle (da molti temute) brame signorili («[...] ancora vi si vegga assai magnificenza e liberalità, nondimeno non si parte dalla vita civile», p. 317).
L’encomiastico giudizio espresso nel frammento «potrebbe quindi essere messo in qualche relazione con la dedica del Principe» a Lorenzo (G. Inglese, in N. Machiavelli, Lettere a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini, a cura di G. Inglese, 1989, p. 232), che può essere datata, come è noto, solo congetturalmente e su labili indizi; ma che certo fu precedente all’ottobre del 1516, non comparendo in essa il titolo di duca di Urbino, di cui come abbiamo visto Lorenzo fu allora investito. Che la dedica a Lorenzo vada ritenuta anteriore al maggio del 1515 (alla nomina a capitano generale delle milizie fiorentine, su cui v. Inglese 2006, p. 49) è ipotesi meno certa, ma tutt’altro che improbabile. La dedica del capolavoro machiavelliano certamente contribuisce a ispessire la figura del giovane mediceo. Senza supporre un Lorenzo lettore attento del trattato a lui dedicato – vero o falso che sia l’aneddoto del suo immediato disinteresse, distratto dall’arrivo del dono di un paio di bracchi –, si è ipotizzato da taluni un M. effettivamente convinto, nel dedicare l’opera, di una potenzialità operativa facente capo a un Lorenzo virtualmente signore di Firenze e congiunturalmente favorito dall’usurpazione del ducato urbinate, quasi posizionato a cogliere un’eccezionale opportunità di intervento. Se così è, ci sarebbe, da parte di M., un trasalimento di speranza mirato proprio a caricarsi su Lorenzo, che pure all’autore mostra indifferenza e non offre neppure una concreta possibilitàdi impiego. È stato congetturato che la figura di Lorenzo sia legata anche alla scrittura della Mandragola, che sarebbe stata composta a divertimento di Lorenzo, neosposo. Ma non solo per questo, se la trama giocata sulla strategia di una vincente seduzione – Callimaco conquista Lucrezia a scorno e beffa del marito Nicia – viene intesa quale allegoria di un Lorenzo che si insignorisce di Firenze a danno dello sconfitto Piero Soderini. E, in tal caso, Callimaco sarebbe Lorenzo, Lucrezia Firenze, Nicia Soderini. E, se così è, M. si porrebbe connivente e sin plaudente con il mirare di Lorenzo al principato. Solo che Callimaco sprizza salute. E, intanto, Lorenzo cade ammalato. Costretto dalla sua morte, M. – finalmente reimpiegato – cambia registro, muta prospettiva nel Discursus florentinarum rerum, appunto, post mortem iunioris Laurentii, indirizzato a Leone X, che affida il governo di Firenze al cardinale Giulio, affiancato da Goro Gheri, già segretario di Lorenzo.
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