NUCLEARE, MEDICINA
. Negli ultimi 20 anni si è delineata una nuova branca della medicina, che riguarda l'impiego degl'isotopi radioattivi a fini diagnostici e terapeutici in forma non sigillata, cioè non posti in contenitori chiusi né adesi stabilmente a supporti rigidi. Questa nuova branca, denominata "medicina nucleare", svolge compiti molto utili per la soluzione di problemi di diagnosi e, mediante l'ausilio di particolari radionuclidi, presenta valide possibilità per la terapia radiante di alcune forme morbose (v. tabella).
Applicazioni terapeutiche e diagnostiche. - Le applicazioni diagnostiche sono basate sulle possibilità d'identificare e di quantificare i radioelementi o i composti radioattivi introdotti attraverso molteplici vie nell'organismo ove svolgono funzione di traccianti, allorché, distribuendosi uniformemente nelle strutture biologiche, ripetono il comportamento della corrispondente sostanza stabile o di analoghi di essa, oppure di indicatori se assumono una concentrazione significativamente diversa in una determinata struttura rispetto a quelle di strutture contigue (G. Monasterio e L. Donato). Questi ultimi, impiegati principalmente per evidenziare processi patologici, si suddividono: in negativi o di organo, se si concentrano nei tessuti normali e non nelle lesioni, e in positivi se vengono fissati più o meno esclusivamente dal tessuto patologico, come per es. nelle neoplasie maligne (radioindicatori oncotropi). Rientrano in questa disciplina anche le metodologie di dosaggio in vitro di molteplici sostanze d'interesse biologico (ormoni, elettroliti, vitamine, proteine, ecc.), generalmente con un grado di accuratezza e di sensibilità superiori a quelli dei tradizionali metodi chimici.
Le applicazioni terapeutiche sono basate sull'impiego di radionuclidi emittenti radiazioni beta - cioè radiazioni corpuscolari aventi elevato potere di ionizzazione nella materia e quindi notevole effetto radiobiologico - e nello stesso tempo capaci di venire intimamente a contatto con le entità cellulari e le strutture che sono oggetto di trattamento terapeutico (v. radiologia, App. III, p. 567).
Le applicazioni della m. n., a eccezione di quelle terapeutiche, hanno un comune fondamento metodologico che è dato dalla rivelazione della radioattività, generalmente all'esterno del corpo o su campioni biologici del paziente.
Questa fase tecnica è realizzata mediante particolari apparecchi di rivelazione, detti contatori di radioattività, che possono essere distinti in due tipi:
1) contatori a ionizzazione, nei quali la rivelazione è basata sulla produzione di coppie di ioni per effetto dell'interazione delle radiazioni da misurare con il gas contenuto nella camera sensibile dell'apparecchio. Tali contatori, tra i quali è ben noto quello di Geiger-Müller, sono impiegati essenzialmente per rivelazione e misura delle radiazioni beta, presentando bassa efficienza per le radiazioni gamma, che sono di natura elettromagnetica;
2) contatori a scintillazione (o scintillatori), nei quali la rivelazione presuppone la trasformazione delle radiazioni in emissione luminosa (scintillazione).
Gli scintillatori, che sono estesamente impiegati in diagnostica medico-nucleare per la misura delle radiazioni gamma, sono nella maggior parte dei casi costituiti da cristalli di ioduro di Na attivato al tallio. La presenza di un elemento a elevato numero atomico (iodio) e l'alta densità del mezzo (cristallo) condizionano un notevole potere di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche: le ionizzazioni prodotte nel cristallo per effetto fotoelettrico e per effetto Compton conducono alla mobilizzazione di elettroni che, interagendo con il materiale, determinano negli atomi di questo uno stato di eccitazione per spostamento di elettroni orbitali. Nel riassestamento delle orbite periferiche gli atomi eccitati riemettono l'energia assorbita sotto forma di quanti la cui lunghezza d'onda rientra molto frequentemente nei valori di quella della luce visibile. I fotoni luminosi così prodotti attraversano facilmente la massa trasparente del cristallo e vengono convogliati dal rivestimento esterno riflettente sulla placca di un fotocatodo ove, per effetto fotoelettrico, danno luogo a emissione di elettroni. Al fotocatodo sono collegati una serie di elettrodi a potenziale crescente (dinodi): l'insieme costituisce il fotomoltiplicatore nel quale i fotoelettroni, opportunamente moltiplicati per passaggio attraverso i dinodi, sono in grado di determinare all'uscita un impulso di tensione.
L'ampiezza dell'impulso in uscita è proporzionale all'energia della radiazione incidente sul cristallo ed emessa dalla sorgente radioattiva, in quanto tale energia è a sua volta proporzionale a quella dissipata nel rivelatore per effetto fotoelettrico, quindi al numero dei fotoni luminosi emessi e infine al flusso degli elettroni attraverso il fotomoltiplicatore. La realizzazione di tale catena di proporzionalità e la selezione degl'impulsi sulla base della loro ampiezza mediante l'impiego dell'analizzatore di ampiezza assicurano l'arrivo al sistema di registrazione dei soli impulsi derivati dalle radiazioni primarie del radioisotopo che si utilizza e quindi l'accurata valutazione quantitativa del tracciante o dell'indicatore presente nell'area o nella sorgente in esame. Nell'apparecchio per scintigrafia, che è una delle metodologie diagnostiche medico-nucleari più diffuse, le radiazioni provenienti dall'organo in esame incidono sul cristallo attraverso uno schermo di piombo munito di molti fori (collimatore) generalmente orientati secondo un angolo solido ad apice rivolto verso il paziente in modo che la rivelazione interessi un'area molto limitata e quindi il sistema presenti un certo grado di potere risolutivo spaziale; il rivelatore, che è costituito dal collimatore con la schermatura di sostegno, dal cristallo e dal fotomoltiplicatore, può essere dotato di movimento, in modo da rivelare le radiazioni punto per punto in tempi successivi (scintigrafia dinamica o scansio-scintigrafia), oppure fisso, con cristallo di ampia superficie, tale da rivelare contemporaneamente le radiazioni provenienti dall'intera area in esame (scintigrafia statica); quest'ultima metodica è realizzata con uno scintigrafo provvisto di molti fotomoltiplicatori (Anger), chiamato "gamma-camera" (fig. 1). La registrazione avviene per segnali - derivati dalla demoltiplicazione degl'impulsi provenienti dall'analizzatore - i quali sono trasformati in trattini su carta o in piccole zone di annerimento su pellicola: l'insieme di questi segnali, che sono espressione della distribuzione spaziale della radioattività nell'organo in esame, costituisce la mappa scintigrafica.
La registrazione degl'impulsi viene eseguita con modalità diverse, a seconda del tipo d'informazione che può fornire l'indagine.
Per misure di captazione del tracciante radioattivo da parte dell'organo in esame, la registrazione consiste nel semplice conteggio degl'impulsi per un determinato periodo di tempo; il valore finale, detratto di quello relativo alla radioattività dei tessuti circostanti, viene in genere confrontato con il conteggio di una quota nota della quantità di radionuclide somministrato al paziente; il risultato dell'esame è dato dal valore della quota di tracciante presente in un determinato momento, espressa per lo più in percentuale della quantità somministrata. Se misurazioni di questo tipo vengono ripetute nel tempo, è possibile costruire una curva di captazione in funzione del tempo. Tale metodologia è impiegata per es. per la valutazione del grado di captazione del radioiodio da parte della tiroide che è espressione, entro certi limiti, dello stato di attività funzionale della ghiandola.
Quando la fissazione della sostanza radioattiva da parte dell'organo in studio è molto rapida ed è eventualmente seguita da eliminazione altrettanto rapida, i valori di radioattività vengono registrati in modo continuo, ottenendosi una curva che esprime le variazioni della concentrazione radioattiva nel tempo; tali valori possono essere espressi anche in forma numerica in un sistema di coordinate, con possibilità di valutazioni più precise, di tipo digitale.
Una terza modalità di registrazione degl'impulsi contempla la loro demoltiplicazione al fine di ridurre le variazioni di frequenza dovute alle fluttuazioni statistiche di conteggio (l'emissione radioattiva è un fenomeno casuale e pertanto è soggetto alle leggi statistiche che regolano i fenomeni casuali) e quindi la trasformazione in segnali grafici il cui addensamento più o meno omogeneo costituisce la mappa della distribuzione della radioattività nel contesto dell'organo in esame. Questa modalità metodologica costituisce la scintigrafia che, com'è stato precedentemente esposto, viene distinta in dinamica e statica. La rappresentazione grafica della distribuzione radioattiva in una determinata struttura biologica presuppone l'impiego di radionuclidi che presentano un particolare tropismo verso quest'ultima, ovvero che si comportano come radioindicatori. L'immagine dell'organo permette lo studio dei suoi caratteri cosiddetti "morfologici" (forma, sede, dimensioni, rapporti con le strutture vicine) mentre la valutazione della distribuzione della radioattività consente l'evidenziazione di lesioni localizzate che, appunto perché tali, alterano o distruggono il tessuto in quel punto e determinano quindi diminuzione o assenza distrettuale del segnale. Possono in tal modo essere evidenziati tumori, cisti, ascessi, purché le loro dimensioni siano superiori al potere risolutivo del sistema di rivelazione, che varia da 1 a 3 cm, in relazione a molteplici fattori (tipo di organo, energia dell'emissione radioattiva, rapporto di concentrazione organo/tessuti circostanti). Mediante le metodiche scintigrafiche è possibile anche valutare la presenza di alterazioni diffuse dell'organo in studio, quali infiammazioni croniche, processi degenerativi, rigenerazione dopo intervento; tali capacità informative sono incrementate con l'ausilio del calcolatore elettronico che sottopone gl'impulsi analizzati a vari procedimenti di elaborazione matematica, prima che questi siano inviati al sistema di registrazione. Applicato alla scintigrafia, in particolare, il calcolatore permette di rappresentare l'immagine dell'organo in modo più corretto, mediante la riduzione delle fluttuazioni statistiche del conteggio e la migliore definizione dei margini; oppure, di ottenere informazioni di tipo quantitativo sull'andamento nel tempo dei fenomeni d'incorporazione del tracciante in determinate zone dell'organo in studio, selezionate sulla base del quadro scintigrafico.
Esiste infine una quarta modalità metodologica che ha come scopo la determinazione della radioattività totale corporea, intendendo per quest'ultima sia quella endogena dovuta alla fisiologica presenza di minime quantità di radionuclide nell'organismo (40K, 137Cs), sia la radioattività complessiva ritenuta dal corpo dopo somministrazione di una piccola e nota quantità di radionuclide dall'esterno; tale metodologia è utile quindi anche per valutare l'eventuale contaminazione accidentale superficiale e interna con materiale radioattivo.
Il dispositivo di rivelazione è costituito dall'apparecchio scintillatore che è allogato, unitamente al lettino ove è adagiato il paziente, in una cella opportunamente schermata contro le radiazioni ambientali con pareti in acciaio di vecchia data (non contenente tracce di materiale radioattivo che è presente al momento della fusione), in modo che il "fondo" radioattivo nel suo interno sia ridotto di un fattore 50-100 rispetto a quello esterno. La sensibilità dell'apparecchio è tale da misurare quantità di radioattività dell'ordine del nanocurie (109 curie, cioè quantità pari a 3,7 × 10 disintegrazioni al secondo).
I radioisotopi vengono utilizzati in m. n. sotto forma di combinazioni inorganiche semplici (ioni) oppure in forma di strutture organiche complesse, quali per es. molecole proteiche, elementi cellulari che abbiano possibilità di legare il radionuclide; mentre i primi rappresentano essi stessi il radioisotopo, i secondi condizionano il comportamento biologico dell'intero tracciante radioattivo (o del radioindicatore), fin tanto che il legame che unisce il radionuclide marcatore al veicolo si mantiene stabile.
La funzione tracciante è tanto più efficace quanto più elevato è il grado di omogeneità del radionuclide o della sostanza radioattiva con i componenti naturali del sistema biologico. In caso di combinazioni inorganiche semplici l'omogeneità può essere completa allorché il tracciante è costituito dall'isotopo radioattivo dell'elemento di cui si vuole studiare il comportamento: ciò si verifica per es. con i radioisotopi dello iodio (123I, 125I, 131I, 132I) nei confronti dello iodio stabile (127I). Nel caso di molecole organiche o di elementi cellulari il massimo grado di omogeneità è ottenuto allorché il tracciante è costituito da un componente del sistema in studio: per es., l'albumina marcata con radio-iodio per la misura del volume della componente liquida del sangue (plasma). Spesso tuttavia ci si deve contentare di un grado relativo di omogeneità nel senso che il tracciante, non potendo essere uno degli elementi del sistema sia per indisponibilità del radioisotopo omogeneo avente idonee caratteristiche fisiche, sia per difficoltà d'impiegare sostanze anch'esse omogenee, presenta equivalenza o affinità al sistema in studio, ovvero segue in modo sufficientemente simile ai fini dell'indagine il comportamento di quello che sarebbe stato il tracciante ideale; un esempio di tracciante equivalente è offerto dal radio-bromo (82Br) per la misura dell'entità degli spazi extracellulari. In tali condizioni le deduzioni devono essere tuttavia prospettate con qualche riserva, tanto più se il grado di equivalenza non è elevato o se esso non è stato sufficientemente provato.
La funzione d'indicatore di una sostanza radioattiva, che si esplica nell'esecuzione delle indagini scintigrafiche o di localizzazione, è legata non tanto alla capacità di simulare o di ripetere il comportamento metabolico di un elemento o di un composto, che possa considerarsi espressivo di una certa funzione, quanto alla possibilità di ottenere un'elevata concentrazione in determinate strutture spaziali, in modo da rappresentare i caratteri morfologici di queste e di rivelare se nel loro contesto sono presenti zone di alterata funzionalità o lesioni costituite da tessuto patologico (cisti, tumori, ascessi).
Le applicazioni diagnostiche degl'isotopi radioattivi riguardano molteplici organi: per alcuni di essi le metodologie medico-nucleari hanno rappresentato un netto progresso sia sul piano dello studio fisiopatologico che dal punto di vista clinico-diagnostico; inoltre le indagini con radionuclidi, specie se a breve tempo di dimezzamento fisico, risultano praticamente innocue al paziente sul piano operativo e in rapporto al rischio di danno da radiazione.
È a questi organi in particolare (tiroide, fegato, cervello, rene, pancreas) che si farà cenno per mettere in evidenza le possibilità di studio e il grado di attendibilità diagnostica delle metodologie applicate.
Tiroide. - Questa ghiandola a secrezione interna può essere esaminata molto accuratamente mercé l'impiego dei radioisotopi dello iodio che è l'elemento specifico per la sintesi degli ormoni ghiandolari.
Seguendo con varie metodologie il comportamento di una piccola quantità di iodio radioattivo (generalmente 131I) è possibile valutare alcuni parametri significativi della funzione tiroidea e quindi stabilire se il paziente è affetto o meno da tireopatia e se questa, una volta presente, è costituita da iper- o da ipofunzione della ghiandola. La scintigrafia, facilmente realizzabile a causa dell'elevata concentrazione del radioiodio o del radiotecnezio (99mTc) nella ghiandola, permette un accurato studio dei caratteri morfologici e l'evidenziazione di eventuali lesioni focali del parenchima, nonché la presenza di tessuto tiroideo in sede atipica come accade nel gozzo retrosternale; inoltre questa metodologia si è rivelata insostituibile per l'accertamento di riproduzioni a distanza di carcinoma tiroideo funzionante (ovvero iodiocaptante), spesso non rivelabili con altre metodologie strumentali (fig. 2).
Fegato. - Anche quest'organo può essere esaminato dal punto di vista dinamico-funzionale e da quello morfo-funzionale.
Nel primo caso vengono impiegati isotopi radioattivi in forma colloidale, quale per es. il solfuro colloidale marcato con 99mTc, e sostanze coloranti marcate come il rosa-bengala 131I. Lo studio è basato sulla registrazione della curva di accumulo nel fegato o di decremento nel sangue dopo somministrazione di un radiocolloide; nel caso di radiocoloranti che, contrariamente ai colloidi, si eliminano attraverso le vie biliari, viene registrata anche la curva di dismissione dal fegato. Il risultato di tali indagini è basato sull'interpretazione delle curve, la cui morfologia è espressione del grado di perfusione sanguigna del fegato nel caso dei radiocolloidi e dello stato funzionale delle cellule epatiche nel caso dei radiocoloranti. Pertanto l'impiego dei radiocolloidi consente di valutare con notevole approssimazione la quantità di sangue che perfonde il fegato e quindi di rilevare, in pazienti affetti da malattie che riducono il calibro delle arterie e delle vene (per es. gli stati cirrotici), il grado di compromissione del flusso ematico e in definitiva lo stadio dell'affezione. I coloranti marcati forniscono informazioni sul grado di funzione delle cellule epatiche e, mediante il rilevamento della radioattività che compare nell'intestino dopo l'eliminazione del tracciante con la bile, sulla pervietà delle vie biliari.
Gli stessi radiocomposti sono impiegati per l'indagine scintigrafica che, come precedentemente esposto, consente l'evidenziazione del fegato mediante la rappresentazione della distribuzione della radioattività nel suo contesto. Anche per questa ghiandola l'indagine rappresenta un mezzo diagnostico estremamente utile, particolarmente se si tiene conto che in precedenza non esistevano metodologie strumentali di facile e innocua attuazione che permettessero la diretta evidenziazione delle sue strutture. Nel caso del fegato, che è un organo di ragguardevoli dimensioni, la scintigrafia è in grado di definire in modo preciso i caratteri morfo-dimensionali e fa rilevare la presenza di alterazioni sia focali sia diffuse dei suoi tessuti poiché in tali aree la fissazione del radioisotopo avviene in modo scarso e irregolare. In presenza di lesioni di adeguate dimensioni costituite da tessuto patologico, cioè diverso da quelli normalmente costituenti l'organo, la scintigrafia evidenzia difetti di radioattività permettendone lo studio dei caratteri (dimensioni, sede, forma, margini); queste informazioni assumono importanza non soltanto dal punto di vista diagnostico, ma anche per l'impostazione della terapia più adatta e per controllare i risultati a distanza di questa (fig. 3).
Cervello. - Lo studio funzionale del cervello mediante radioisotopi consente la determinazione di alcuni parametri emodinamici quali il tempo di circolo cerebrale e il flusso sanguigno per unità di massa di tessuto. Essi sono ottenuti per rivelazione dall'esterno della radioattività sotto forma di curve concentrazione/tempo sulle quali si ricavano i dati per il calcolo, secondo modalità previste dalla teoria dei traccianti.
L'indagine scintigrafica può essere eseguita secondo due tecniche, ciascuna delle quali ha proprie indicazioni e finalità. Una prima, applicabile soltanto mediante rivelatore statico tipo gamma-camera, che ha lo scopo di valutare in modo non rigidamente quantitativo l'afflusso di sangue in una determinata zona cerebrale rispetto alle altre e che quindi trova indicazione quando vi è il sospetto di un'affezione vasale (emorragia, trombosi, malformazioni vasali); l'indagine è eseguita mediante l'assunzione di scintigrammi di breve esposizione e ravvicinati nel tempo con rappresentazione dell'arrivo del radioindicatore nelle arterie cerebrali e della successiva diffusione intravasale nei tessuti in studio. Con l'ausilio del calcolatore elettronico è possibile misurare i valori di flusso in ciascun distretto e quindi stabilire anche l'eventuale grado di compromissione vasale.
L'altra metodologia scintigrafica è quella classica con la quale non si evidenziano gli emisferi cerebrali bensì le grosse strutture venose poiché il radioindicatore non fuoriesce dai vasi in condizioni normali. L'evidenziazione di lesioni è basata infatti sulle alterazioni della barriera ematoencefalica che avvengono a livello di queste e che condizionano l'accumulo distrettuale del radiocomposto: in tal modo i processi patologici del cervello si rendono evidenti scintigraficamente sotto forma di aree di più o meno elevata concentrazione radioattiva; dai caratteri di tali aree possono ottenersi elementi utili per una differenziazione delle varie forme morbose.
Reni. - Metodologie molto simili a quelle applicate al sistema nervoso centrale vengono impiegate per lo studio funzionale (renografia) e per l'esplorazione scintigrafica dei reni. Inoltre è possibile valutare, mediante idonei composti radioattivi, il flusso di sangue che perfonde i reni e il ritmo di filtrazione dell'urina, parametri ambedue molto utili per accertare alterazioni anche iniziali del tessuto renale.
La renografia è basata sulla registrazione in grafico dell'intensità della radioattività in ciascun rene, in relazione alla captazione e alla successiva dismissione di una sostanza radioattiva attraverso l'emuntorio urinario. Le due curve pertanto forniscono un quadro d'insieme dello stato funzionale dei reni, ivi compresa anche la pervietà delle vie di eliminazione dell'urina (fig. 4). Per le informazioni che può fornire e per la semplicità e innocuità, questo tipo d'indagine trova per es. indicazione nei soggetti affetti da ipertensione arteriosa ai fini di discriminare quelli nei quali il disturbo è di origine renale da quelli nei quali esso non lo è.
L'applicazione delle metodologie scintigrafiche trova le stesse indicazioni che per altri organi, ma poiché il rene è costituito anche da cavità di raccolta dell'urina (bacinetto), che si rendono evidenti soltanto mediante esame radiologico con contrasto, l'interpretazione del quadro scintigrafico presuppone il confronto con quello radiologico, realizzandosi in tal modo una delle tante occasioni di sinergismo informativo tra le due indagini e uno studio completo multidisciplinare delle strutture di un organo.
Pancreas. - Fino a circa 15 anni orsono il pancreas era considerato inaccessibile alla rappresentazione mediante metodologie strumentali e l'unica via per conoscere lo stato funzionale nel suo insieme era l'accertamento di alcune costanti ematochimiche.
Quasi parallelamente all'arteriografia selettiva, basata sull'introduzione cruenta di un mezzo di contrasto radiologico in alcune arterie che irrorano la ghiandola, M. A. Bender e M. Blau proponevano la scintigrafia con la selenio-metionina marcata con radio-selenio (75Se) che presenta il duplice vantaggio - accanto ad alcuni svantaggi dei quali si dirà - della semplicità di esecuzione e della possibilità di ottenere la diretta rappresentazione del tessuto pancreatico. Anche per il pancreas è possibile pertanto lo studio morfo-funzionale e l'accertamento di eventuali lesioni occupanti-spazio (fig. 5). L'indagine tuttavia presenta limiti più marcati che per altri organi a causa della scarsa specificità verso la ghiandola della selenio-metionina che viene fissata anche dal fegato per esigenze di sintesi enzimatiche; ne deriva che nei casi nei quali il fegato è ingrandito o quando i due organi sono molto vicini tra loro, come avviene nei soggetti magri e nelle donne giovani, la rappresentazione del pancreas è incompleta poiché una parte più o meno cospicua di essa si sovrappone all'immagine del fegato. Tale inconveniente può essere ovviato se si dispone di un calcolatore elettronico che permette, con opportuna tecnica, di eliminare elettronicamente l'immagine del fegato, evidenziandosi la porzione di pancreas che interferisce proiettivamente con quest'ultimo.
Altri organi. - Sono oggetto di studio mediante metodologie mediconucleari anche altri organi e tessuti come scheletro, polmoni, milza, midollo osseo e midollo spinale, placenta, paratiroidi, surreni. In particolare, l'esplorazione dello scheletro si avvale molto utilmente delle metodologie scintigrafiche mediante le quali è possibile evidenziare lesioni circoscritte, più precocemente che con altri tipi d'indagine: questa possibilità viene diffusamente sfruttata per l'accertamento di riproduzioni a distanza (metastasi) di tumori maligni di vari organi (mammella, prostata, ecc.).
Tumori. - L'impiego a fini diagnostici di radiocomposti che si concentrano più o meno elettivamente a livello di neoplasie maligne ha incontrato notevole favore in campo oncologico, nonostante si sia ancora lontani dal disporre di un radio-indicatore esclusivo delle cellule tumorali.
Le sostanze radioattive finora impiegate vengono captate dalla neoplasia maligna in quanto questa presenta un elevato ritmo di riproduzione cellulare che comporta a sua volta un accelerato ricambio proteico; ed è a livello della sintesi proteica che s'inseriscono i composti oncotropi in quantità tanto più elevata quanto più alto è il ritmo di riproduzione cellulare. Dato il carattere aspecifico del meccanismo di fissazione, anche altri tessuti a rapida proliferazione, quale per es. quello infiammatorio, possono condizionare un comportamento analogo dei radio-composti impiegati, determinando condizioni di difficile differenziazione tra affezioni neoplastiche maligne e altre di natura diversa.
Nonostante tali limitazioni, la scintigrafia con radioindicatori oncotropi presenta definite e diffuse indicazioni e fornisce, una volta correttamente applicata, utili elementi di diagnosi differenziale. In particolare risulta di notevole utilità per l'accertamento della natura di processi patologici dei quali è stata accertata la presenza (fig. 3) e per la ricerca di localizzazioni secondarie di neoplasie maligne già definite o asportate chirurgicamente.
Applicazioni e prospettive diagnostiche delle tecniche in vitro. - Un campo nel quale i progressi menzionati si sono proficuamente incontrati con le possibilità della moderna immunologia nell'ambito della m. n. è rappresentato dalla radio-immunologia che concerne le metodiche di dosaggio di alcune importanti sostanze biologiche, realizzate sulla base del legame antigene-anticorpo.
Le metodologie radioimmunologiche si sono rivelate particolarmente sensibili e specifiche nell'identificazione e determinazione nel sangue di sostanze proteiche, quali per es. ormoni, che si trovano in circolo in piccolissime quantità, anche dell'ordine del pico-grammo per millilitro, e che appaiono tra loro molto simili dal punto di vista strutturale e chimico. La disponibilità di anticorpi specifici per ciascun ormone, che funge da antigene, rende possibile l'identificazione e successivamente la separazione dell'ormone di cui si possiede il corrispondente anticorpo.
L'ormone circolante endogeno può essere misurato introducendo piccole e note quantità del medesimo radioattivo, che si lega con l'anticorpo specifico. Si aggiunge a questa miscela (ormone radioattivo-anticorpo) il campione di siero di cui si vuole misurare la quantità X di ormone endogeno: questa quantità X è in grado di spostare dal legame con l'anticorpo una frazione dell'ormone radioattivo, la quale si ritrova quindi sotto forma non legata. A parità di concentrazione dell'ormone radioattivo e dell'anticorpo, il rapporto ormone legato/ormone libero è proporzionale alla quantità di ormone endogeno presente nel sangue del soggetto in esame.
Una volta determinato questo rapporto mediante semplice conteggio della radioattività delle 2 frazioni (libera e legata), preventivamente separate, s'interpola il valore trovato in una curva di calibrazione ove i valori ormone libero/ormone legato sono funzione del tasso di ormone nel sangue. Tale curva è ottenuta ponendo a contatto, in identiche condizioni di lavoro, quantità crescenti e note dello stesso antigene con una quantità di anticorpo uguale a quella del campione in studio: è possibile in tal modo dosare l'ormone endogeno in termini di unità di peso per millilitro di plasma.
Sulla base di questo principio vengono attualmente dosati molti ormoni, in particolare quelli secreti dalla tiroide (tiroxina, triiodiotironina), dall'ipofisi (o. somatotropo, o. tireotropo, o. adrenocorticotropo), dal pancreas (insulina e glucagone), dai surreni (aldosterone, cortisolo, ecc.), nonché vitamine e alcuni enzimi. L'utilità in campo clinico delle metodologie di dosaggio in vitro di sostanze d'importanza biologica risiede nella possibilità di stabilire in modo preciso lo stato funzionale di organi e strutture del corpo senza ricorrere alla somministrazione di sostanze radioattive al paziente o all'impiego di metodiche strumentali più o meno traumatizzanti.
L'autoradiografia in senso lato (in cui è compresa anche l'autoistoradiografia) è la metodologia in vitro che consente di rivelare e di localizzare sostanze radioattive per mezzo di emulsioni fotografiche. L'annerimento dell'emulsione fotografica in corrispondenza delle zone radioattive del preparato fornisce un'immagine della distribuzione della sostanza radioattiva; dall'intensità dell'annerimento possono ottenersi anche informazioni di tipo quantitativo. Questo tipo d'indagine permette lo studio della distribuzione della sostanza radioattiva in trance di organi e tessuti (autoradiografia), in preparati istologici (autoistoradiografia) e in strisce cromatografiche (autoradiografia cromatografica). I marcatori radioattivi delle sostanze impiegate sono costituiti da radionuclidi emittenti radiazioni beta che presentano un limitato percorso nella materia e un'elevata densità di ionizzazione.
Le applicazioni cliniche delle tecniche autoradiografiche sono scarse e poco diffuse a causa della necessità di somministrare elevate quantità di sostanze radioattive beta-emittenti ai pazienti. Una di queste è rappresentata dallo studio dell'incorporazione della timidina marcata con 3H da parte di cellule aventi un accelerato metabolismo del DNA, come quelle tumorali: la sostanza è somministrata a pazienti portatori di neoplasia maligna, nei quali si vogliono ottenere informazioni sulla localizzazione a livello tessutale o negli elementi del sangue delle manifestazioni di accelerata sintesi degli acidi nucleici. Vedi tav. f. t.
Bibl.: H. O. Anger, Scintillation camera, in Rev. Sci. Instr., 29 (1958), p. 27; G. Monasterio, L. Donato, I radioisotopi nell'indagine medica, Pisa 1960; M. Blau, M. A. Bender, 75Se-seleno-methionine for visualization of the pancres by isotope scanning, in Radiology, 78 (1962), p. 974; A. Centi Colella, F. Pigorini, La scintigrafia, in L. Turano, Trattato di radiodiagnostica, Torino 1965; vol. III; H. N. Wagner jr., Principles of nuclear medicine, Philadelphia 1968; W. H. Blahd, Nuclear medicine, New York 1971; D. Ziliotto, Medicina nucleare, Padova 1973.