MEDICINA RIABILITATIVA
È il ramo della m. comprendente le conoscenze, gli studi e i procedimenti di vario ordine (diagnostici, terapeutici, protesici, rieducativi, assistenziali e sociali) intesi a ridurre le minorazioni dei differenti apparati, presumibilmente o effettivamente a carattere permanente, ristabilendo "un recupero funzionale il più completo possibile e condizioni di vita al massimo dell'autonomia ottenibile" (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Ha avuto la sua prima origine per il trattamento delle menomazioni dell'apparato locomotore, e quindi anche del sistema nervoso centrale, per poi estendersi al trattamento di molteplici minorazioni di differenti organi e apparati, grazie a due ordini di fattori: alla disponibilità di attrezzature sempre più raffinate ed efficienti, frutto dell'evoluzione della tecnologia e della bioingegneria; ai progressi delle terapie mediche e chirurgiche, che, se hanno ridotto la letalità di molte forme morbose, hanno contemporaneamente aumentato il numero di pazienti abbisognevoli di particolari supporti. Tra i rami della medicina suscettibili di dare un quadro dell'importanza assunta dai trattamenti riabilitativi, oltre all'ortopedia e alla neuropatologia, possono essere citate la cardiologia, la pneumologia e la psichiatria.
I paragrafi seguenti saranno dedicati a fornire un'informazione sulle realizzazioni più significative nei campi dell'ortopedia e della neuropatologia (rinviando a quanto già esposto in riabilitazione motoria, App. IV, iii, p. 213), e in quelli della cardiologia e della patologia respiratoria (rinviando per la riabilitazione dell'anziano e per quella del malato psichiatrico rispettivamente a geriatria e a psichiatria, in questa Appendice).
Nel campo dell'ortopedia la m. r. ha tratto vantaggio essenzialmente dai progressi della tecnologia e dalla raffinatezza della cinesiterapia. A tale proposito dev'essere precisato che qualora l'effettuazione dell'atto motorio volontario sia impossibile per l'esistenza di un deficit motorio, o da escludere per la trazione che la contrazione muscolare eserciterebbe, danneggiandole, su eventuali suture, di recente effettuate, la cinesiterapia passiva mantiene la sua validità: per la conservazione della normale ampiezza dell'escursione articolare e conseguente protezione del trofismo della cartilagine articolare; per garantire l'ordinamento colonnare delle fibre collagene in caso di processi riparativi; per evitare retrazioni e aderenze a livello muscolare e capsulare e favorire, infine, la fluidità del liquido sinoviale.
Nella cinesiterapia attiva si è riusciti a sfruttare l'ausilio del biofeedback come strumento capace di fornire allo stesso paziente e all'operatore informazioni in tempo reale sulla correttezza della postura e dei movimenti e anche elementi utili a ottimizzare lo sforzo richiesto al paziente; tale strumeno infatti ha la capacità di tradurre in segnali acustici e/o visivi, d'intensità proporzionata, sia le attività elettriche che accompagnano quella dei muscoli impegnati nell'esercizio, sia gli altri segnali biologici connessi col coinvolgimento delle articolazioni e con le variazioni della postura, della temperatura corporea e della pressione arteriosa (v. anche biofeedback e tecniche di rilassamento, in questa Appendice). Possono essere, infine, attribuiti ai progressi della tecnologia anche i trattamenti antalgici, d'istituzione relativamente recente, con correnti elettriche variabili a bassa frequenza o con l'impiego del laser (v. laser: Applicazioni mediche, in questa Appendice) e, soprattutto nel campo protesico, le innovazioni concernenti le protesi a comando bioelettrico (v. ortopedia, App. IV, ii, p. 691) e le cosiddette ortèsi, cioè le apparecchiature meccaniche che proteggono (sostenendolo, raddrizzandolo, diminuendone il carico) il giuoco di una determinata articolazione e sono particolarmente utili in età evolutiva, in quanto favoriscono il regolare accrescimento dei segmenti scheletrici che partecipano alla detta articolazione, evitando così indebite sollecitazioni alle cartilagini di coniugazione e ai relativi nuclei di ossificazione.
La patologia del sistema nervoso centrale, con la diversità delle sue manifestazioni relative alla molteplicità delle attività che possono essere coinvolte (motorie, sensoriali, cognitive), viene affrontata sul piano riabilitativo con metodi che non si prestano a un'esposizione sintetica, per le differenze delle tecniche impiegate e, talora, in quelle più affini, per le diversità dei presupposti teorici che le ispirano. Per dare una significativa informazione dell'impegno e delle dimensioni che il problema può assumere in neuropatologia, ci si limiterà a una sommaria esposizione dei problemi specifici che la riabilitazione affronta nei casi di paraplegia e di emiplegia.
Nel paraplegico riveste particolare importanza il blocco della minzione, che, dalla seconda giornata della sua insorgenza, richiede la cateterizzazione e, in un secondo tempo, una paziente opera di rieducazione funzionale. Al cateterismo a permanenza dev'essere preferito quello intermittente, ripetuto, cioè, più volte (4÷2) al giorno, in rapporto all'entità del ristagno che ogni volta si riscontra, per prevenirne un eccessivo accumulo, che farebbe perdere alla parete vescicale l'elasticità, essenziale al ripristino della sua motilità. Per facilitare la ripresa della minzione (autonoma, in un primo tempo; possibilmente volontaria in seguito) bisognerà orientare il paziente a spiare e interpretare il significato delle sensazioni destate dal riempimento della vescica, perché egli possa cogliere il momento opportuno per favorirne lo svuotamento, in via riflessa con opportune manovre, movimenti della muscolatura addominale, colpi di tosse, pressioni manuali nella regione sovrapubica, strofinamenti in quelle circonvicine; appena possibile, il collocamento del paziente, con appositi sostegni, in posizione eretta favorirà il ripristino di tale funzione. A fase critica superata, sarà dato ampio spazio a esercizi ginnici di vario tipo, intesi a imprimere una particolare efficienza, quasi di livello atletico, alla muscolatura degli arti superiori e del tronco, per permettere lo sfruttamento di molteplici attrezzi di sostegno (stampelle, parallele, tutori variamente modellati, carrozzine) che permetteranno al paraplegico di mantenere la posizione a sedere, di spostarsi, di svolgere attività utili con l'aiuto degli arti superiori e, anche, di partecipare a giuochi e a vere e proprie attività sportive.
La riabilitazione dell'emiplegico (v. anche emiplegia, XIII, p. 915) tende a limitare il raggiungimento della completa espressione della paralisi − flaccida in un primo tempo, spastica in seguito − nella metà del corpo opposta a quella dell'emisfero cerebrale sede della lesione. Questo deficit motorio provoca un caratteristico atteggiamento del malato: asimmetria della rima orale con abbassamento dell'angolo labiale del lato paralizzato, adduzione dell'arto superiore con avambraccio in flessione, estensione dell'arto inferiore con iperestensione e rotazione all'interno del piede. Determina, altresì, un disturbo dello schema corporeo. Specie nella fase di flaccidità, l'inerzia della muscolatura e l'immobilità dell'articolazione sospendono, nel lato colpito, l'attivazione dei propriocettori situati nei muscoli, nei tendini, nel periostio degli arti, nel connettivo periarticolare, facendo cessare l'emanazione di quei messaggi con cui essi, di norma, danno consapevolezza della postura del corpo e della sua interrelazione con l'ambiente circostante. Ne deriva una condizione di emisomatoagnosia, di ''ignoranza'', di estraneità dell'emicorpo colpito e dei suoi rapporti con l'ambiente.
Gli interventi riabilitativi sono di molteplice natura e tendono a evitare l'isolamento del paziente, a prevenire il deterioramento organico, a ridurne la deprivazione sensoriale e a ridestarne in una qualche misura la capacità di movimento. Per evitare che danno si aggiunga a danno, essi dovranno essere istituiti precocemente, cominciando dalla collocazione del letto e dallo stesso posizionamento del malato, che saranno tali da indurlo a volgere lo sguardo verso lo spazio prospiciente il lato paralitico, che altrimenti sarebbe ''ignorato'', per prevenire la stasi nel polmone del lato emiplegico e per facilitare il drenaggio circolatorio, che potrà essere incrementato ricorrendo all'immersione degli arti, alternativamente, in acqua calda e in acqua fredda, anziché ricorrendo a massaggi che sarebbero forieri di spasticità. Da un operatore qualificato sarà praticata, con la massima cautela e delicatezza, la mobilizzazione passiva degli arti colpiti, che manterrà l'elasticità dei vari tessuti molli, faciliterà la circolazione e che, con la riattivazione dei propriocettori, ridesterà nella mente del paziente la presenza degli arti colpiti. Compito dell'operatore è di prevenire l'insorgenza di reazioni spastiche e di fare ricorso a quelle tecniche particolari che, sfruttando l'azione facilitante della sensibilità propriocettiva o istituendo riflessi condizionati grazie all'attivazione di neuroni motori non distrutti ma semplicemente isolati dalla lesione, mirano a determinare l'entrata in funzione di nuove unità motorie e vie funzionali. Parallelamente alla progressiva attenuazione dei disturbi dello schema corporeo, l'atteggiamento del malato diventerà meno passivo e approderà a un certo grado di collaborazione, con gli arti sani, alla cinesiterapia. A questo punto si potranno affrontare tentativi di raddrizzamento del capo, poi del tronco, il raggiungimento della posizione a sedere, lo spostamento dal letto a una sedia, l'equilibrio in posizione eretta e gli spostamenti, ovviamente, col sussidio di deambulatori: dapprima in senso perlaterale, in un tempo successivo in senso anteriore.
La riabilitazione cardiologica, che con buoni risultati sulla qualità della vita si attua nei casi d'infarto del miocardio e successivamente agli interventi di by pass aorto-coronarico o a quelli di sostituzione valvolare, può essere considerata un esempio paradigmatico dei procedimenti della m. r., per le modalità con cui si proporziona l'entità del suo intervento alle effettive capacità dell'apparato cardio-circolatorio, per incrementarle senza correre il rischio di danneggiarle.
Essa comprende una prima fase di mobilizzazione precoce (passiva, in 2° 3° giornata; prudentemente attiva, per non meno di altri quindici giorni); una seconda fase di riabilitazione controllata commisurata − nell'impostazione generale, nella scelta dei vari esercizi fisici e, via via, nel loro espletamento − al risultato dei vari controlli strumentali (elettrocardiogramma dinamico di Holter, ecocardiografia, scintigrafia, eventualmente anche coronarografia) intesi a rivelare eventuali limitazioni e controindicazioni; una terza fase, infine, di mantenimento consistente nell'effettuazione degli stessi esercizi della fase precedente, che dovranno essere eseguiti metodicamente dal paziente, perché la loro eventuale interruzione determinerebbe un rapido decadimento del benessere raggiunto.
La riabilitazione respiratoria, che ha la sua indicazione nelle sofferenze determinate dalle alterazioni della dinamica respiratoria, analogamente alla precedente richiede una scrupolosa valutazione della situazione esistente, per stabilirne sia l'opportunità e l'orientamento, sia l'assenza di controindicazioni.
In via preliminare dovranno essere attentamente studiati i vari elementi della dinamica respiratoria e le condizioni della ventilazione polmonare: l'assetto della colonna vertebrale, la conformazione e l'espansibilità della gabbia toracica; la frequenza respiratoria e il rapporto tra la durata della fase inspiratoria e quella dell'intero ciclo respiratorio; le modalità della respirazione toraco-addominale, di quella diaframmatica e della loro coordinazione; il tono, il trofismo e la faticabilità dei vari livelli della muscolatura respiratoria; l'esistenza o meno sia di un'ostruzione bronchiale, e relativa natura, sia di una diffusa alterazione del parenchima polmonare che ne comprometta l'elasticità; le condizioni del circolo polmonare, uno stato ipertensivo del quale costituirebbe un'assoluta controindicazione.
Gli interventi possono essere di ordine farmacologico e fisiochinesiterapico. I primi tendono a migliorare la pervietà dell'albero bronchiale agendo su particolari situazioni: contrattura della sua muscolatura, edema, ipersecrezione, ristagno del secreto. I secondi mirano ad accentuare nei movimenti respiratori l'impegno del diaframma, della muscolatura toracica e di quella addominale: si realizzano facendo compiere gli atti respiratori al paziente sdraiato su un lettino inclinabile, mentre l'operatore, oltre a intervenire con pressioni manuali, in fasi successive modifica l'effetto gravitazionale dei visceri sul diaframma variando l'assetto longitudinale del lettino e anche il decubito (sdraiato o su un fianco) del paziente. Per completezza può essere aggiunto che in caso di persistente ristagno endobronchiale il deflusso può essere facilitato dal collocamento del paziente in una posizione opportuna, che orienti il bronco bloccato in senso perpendicolare al piano del letto, sotto la guida dell'operatore che può anche agire sulla gabbia toracica con adatte manualità: con pressioni manuali o percuotendola delicatamente con la punta delle dita; questa manovra, denominata drenaggio posturale, può costituire un indispensabile intervento preliminare agli esercizi chinesiterapici.
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