SPAGIRICA, MEDICINA
. Il termine spagirica fu introdotto da Paracelso, che con esso intese quell'arte che insegnava "purum ab impuro segregare, ut reiectis fecibus, virtus remanens operetur". Nel Paragranum (1530) egli afferma le basi della medicina esser poste nello studio della natura, delle sue leggi fisiche, telluriche e cosmiche, nell'esame critico dei fenomeni biologici e nella preparazione dei rimedî per mezzo della chimica. Diede anche un grande impulso all'introduzione in farmacologia delle sostanze vegetali trattate in maniera speciale, da poterne estrarre i principî curativi sotto forma di alcooliti e di estratti, in sostituzione degli elettuarî e sciroppi fino allora adoperati. Con Paracelso comincia la teoria della segnatura, per la quale il potere curativo di una droga o di una pianta è riposto in certe astruse rassomiglianze fra queste e la malattia che si vuole allontanare. Tutta l'opera del medico consiste nel saper ritrovare le sostanze vegetali e minerali che costituiscono l'"arcano" di ciascuna forma morbosa. Nella seconda metà del sec. XVI e nelle prime decadi del XVII una turba di seguaci si formò ben presto intorno a questa nuova dottrina; turba composta di alchimisti, di Rosacroce, di mistici, di entusiasti per solo spirito di curiosità, e di ciarlatani che la seguirono a scopo di lucro. La nuova dottrina, miste ad alcuni grani di vero, null'altro conteneva che asserzioni false e fantastiche. I medici che seguirono quest'ordine d'idee del grande iconoclasta della medicina galenica e arabica si chiamarono spagirici e spagirica la medicina da essi praticata.
La Germania in questo tempo ha dato la più gran parte dei medici spagirici, il cui numero viene diminuendo in Inghilterra e in Francia. In Italia essi furono limitati e cercarono sempre di conciliare la vecchia medicina ippocratica, galenica e arabica con i nuovi concetti fisiopatologici e terapeutici di Paracelso e dei suoi corifei. Fra questi ricordiamo: Andrea Tengel, Roberto Fludd, Guglielmo Maxwell, che sostenne il magnetismo animale, adoperato anche dal ciarlatano Valentino Greatrakes (1628-1666) soldato nell'esercito di Cromwell in Irlanda, Cristiano Knorr, Paolo de Sorbait, il polacco Michelangelo Sinapio, Pietro Poiret, Cristiano Tommasio e Leonardo Fioravanti bolognese.
Ma ben presto in mezzo a questa massa sorsero coloro che credettero necessario conciliare le nuove idee mediche paracelsiane, quantunque modificate, con i principî ippocratico-galenico-arabici. Il primo fra questi conciliatori eclettici fu Andrea Libavio (1546-1616) medico e professore a Coburgo, il quale non solo innalzò la chimica al posto dovutole fra le scienze, e in questo lo coadiuvarono gl'italiani A. Sala e Vigani, ma cercò di separare nella dottrina di Paracelso il vero dal falso. Altri eclettici fra gli spagirici furono il bavarese Giovanni Hartmann (1538-1631), il primo a insegnare nella nuova cattedra di chemiatria fondata nell'università di Marburgo; Daniele Sennert professore a Wittemberg; Raimondo Minderer, che scoprì l'acetato di ammonio (spiritus Mindereri); Lazzaro Rivier, che preparò il calomelano resublimato; Pietro Potier di Angers, che compose una Pharmacopea spagirica e un volume di Inventa chymica; il medico alchimista Francesco Giuseppe Borri, che appartenne al circolo scientifico di Cristina di Svezia e scrisse in grande voga e le tazze fatte con questo minerale furono usate per preparare un vino purgativo; che P. Seignette trovò il Sal polycrestum; che Adriano Mynsicht nel 1631 per il primo descrisse il tartaro emetico; che il segreto della polvere dei carmelitani (kermes minerale) fu pagato a gran prezzo da Luigi XIV; che venne usato l'unguentum armarium per cicatrizzare le ferite. Con questo doveva ungersi l'arma con la quale era stata inferta la lesione, mentre la lesione stessa veniva involta in pezze di lino inumidite.
La rivoluzione paracelsiana in medicina, incanalata e modificata in un primo tempo dagli spagirici eclettici, contribuì alla formazione della scuola iatrochimica che insieme con la iatromatematica o iatrofisica impersonarono in gran parte le dottrine medico-scientifiche del sec. XVII. Il trinomio su cui s'appoggia tutta la scuola iatrochimica è fatto dai nomi del belga mistico Giambattista van Helmont, dell'olandese Francesco de le Boë e dell'inglese Tommaso Willis.
Van Helmont (1577-1644) è un paracelsiano mistico laudatore della dottrina chemiatrica e che sotto un certo punto di vista ha portato un contributo notevole alle conoscenze farmacologiche. Per il primo ha introdotto in chimica la parola gas, ha scoperto l'anidride carbonica (gas silvestre); e ha avuto importanti cognizioni riguardo al succo gastrico, alla bile e all'acido dello stomaco. Egli ritenne che ogni processo organico o funzionale fisiologico fosse essenzialmente chimico e presieduto da uno speciale archeo o spirito (blas), dovuto all'azione di un fermento speciale o gas, strumento nelle mani dei suoi blas speciali, presieduti questi da un'anima sensitiva motivaque. Benché questa sua teoria poco o nulla riveli del mistero della vita, pure in essa chiaramente vediamo la reazione all'obbedienza pedissequa della tradizione galenica. Van Helmont ha introdotto il densimetro nell'analisi dell'urina. Ma colui che immaginò un vero sistema chimico-fisiologico, basato in gran parte sui lavori di Van Helmont e sulla filosofia di Cartesio, fu Francesco de le Boë (Silvio; 1614-1672), unitamente ai suoi allievi T. Willis, R. de Graaf, N. Stensen (Stenone) e J. Swammerdam. Professore a Leida di medicina teorica e pratica è ritenuto quale introduttore negli studî medici dell'insegnamento clinico, mentre da lungo tempo era stato preceduto dall'italiano Giovanni Battista da Monte (Montanus, del sec. XVI). De le Boe predicò ai suoi allievi di non fidarsi dei sistemi e delle teorie, ma di attenersi costantemente all'esperienza, che poteva essere considerata quale pietra di paragone di quelli. Sostenne che qualunque alterazione nella mescolanza degli umori dipende dalla fermentazione e così anche la digestione, che ritenne per un fatto chimico, prodotto da un fermento, riconoscendo però l'importanza che in essa hanno anche la saliva, la bile e il succo pancreatico. In Francia Carlo Guillemau e Antonio Meniot, pur riconoscendo i vantaggi terapeutici di molti prodotti chimici, ripudiarono in generale la teoria silviana delle fermentazioni. La scuola chemiatrica ebbe deboli oppositori in E. Grube medico di Lubecca, Carlo Drelincourt ed Eccardo Leichner. In Inghilterra invece trovò molti seguaci, i quali cercarono di accordare le teorie con esperienze probative. Tommaso Willis (1621-1675), buon clinico che in molte parti dei suoi scritti si riavvicina allo spagirismo di Paracelso, deriva tutte le proprietà degli esseri viventi e le loro alterazioni da tre sostanze elementari chimiche paracelsiane: sale, zolfo, mercurio. Quest'ultimo, chiamato da Willis spirito, serviva a volatilizzare le parti costituenti dei corpi. Eseguì le più esatte analisi qualitative dell'urina per il suo tempo e notò per il primo il sapore dolciastro dell'urina dei diabetici. La sua Pharmaceutica rationalis (1674) è la più importante silloge della materia medica chemiatrica del tempo. Tra i chemiatri italiani ricordiamo: Luca Porzio, Luca Tozzi, Carlo Musitano, Alessandro Pascoli, Michelangelo Andriolli e sotto un certo punto di vista anche il grande Bernardino Ramazzini. Ma in genere in Italia in fatto di chemiatria si fu molto moderati e grandemente riformatori.
La scuola iatrochimica, discendente diretta dalla medicina spagirica modificata degli eclettici, intese la vita - verso la metà del secolo XVII - come un insieme di processi chimici, generalizzando però troppo. Nei riguardi della terapeutica, se da una parte si ebbero i vantaggi dell'introduzione fra i medicinali di nuovi composti chimici, dall'altro si ebbe il disastro della generalizzazione di un sistema nel quale i farmaci venivano somministrati in base ad astruse teorie, più che tenendo conto dei risultati dell'esperienza.
Bibl.: K. Sprengel, St. prammatica della medicina, con aggiunte di Freschi, Firenze 1841, III e IV; S. De Renzi, St. della medicina in Italia, Napoli 1848, voll. 4; K. Sudhoff, Bibliographica paracelsica, 1894, e studî su Paracelso, in Centralbl. f. Bibliothekwesen, Lipsia 1893, X, pp. 316, 385; XI, p. 169; A. Castiglioni, St. della medicina, Milano 1927; F. H. Garrison, An introduction to the history of medicine, Filadelfia 1929.