medicina
L'evidente, specifica competenza di D. nell'uso della terminologia propria dell'arte della m. (Cv I XII 4) va fatta risalire a un interessamento costante e articolato per questo campo di ricerca, se non a uno studio diretto notevolmente approfondito ed esteso.
Indicativo il caso della descrizione della febbre aguta (If XXX 99), la terzana estivo-autunnale, di cui probabilmente morì anche Cavalcanti esiliato in una zona malarica (per la quartana cfr. If XVII 85-86). I falsari della decima bolgia vengono colpiti con una ‛ falsità ' fisica qual era lo stato patologico del corpo secondo la teoria umorale ippocratica. Per i canti dei ladri D. utilizza invece un circostanziato repertorio di notazioni mediche in materia di veleno dei serpenti distinguendo gli effetti dei diversi tipi di morsi: il morso nel ventre di Buoso degli Abati permette al veleno di diffondersi immediatamente nel peritoneo e di causare i tipici effetti visibili dell'avvelenamento; Vanni Fucci cade invece fulminato perché i denti del serpente hanno leso un punto vitale che non può sopportare traumi violenti senza interrompere la continuità vitale dell'organismo. Precisi anche i riferimenti ad altre malattie come la pestilenza (If XXIV 88), la paralisi (XX 16), la lebbra (XXIX 75, Pd XVII 129), l'idropisia (If XXX 52), ecc.
L'uso di riferimenti a individuate sequenze caratteristiche del discorso medico facilitava l'adozione di schemi tematici nel linguaggio poetico.
Molto frequenti nell'Inferno l'epopea della sofferenza fisica, i riferimenti alla struttura del corpo e alle sue funzioni di cui D. conosceva bene la nomenclatura corrente, come dimostra il caso dei riferimenti al sistema osseo e muscolare (Pg XXVI 57), ai processi di assorbimento dell'intestino (If XXVIII 26-27), alla cavità orbitale (XXXIII 99), ai polmoni (If XXIV 43) e all'apparato genitale (If XXV 116, Pg XXV 37 ss.).
Ne derivava così un recupero dei valori poetici di una secolare terminologia tecnica: è il caso della secretissima camera o del lago del cor che descrivevano la conformazione dell'organo secondo la tradizione galenico-ippocratica. Così anche il cenno alla fuga del sangue verso il cuore di Rime CIII 46 era riportato già da Boccaccio e Benvenuto, nel commento a If I 90, a una precisa ipotesi galenica che sarebbe poi servita a D. per la teoria della generazione.
L'intenzione e la riflessione sistematica all'interno della quale questi usi si rendevano possibili risaliva alle concezioni della medicina greco-araba, dell'anima come principio formale dell'attività corporea (cfr. Pg XXV 52, Cv III VI 7, IV VII 11 ss.) e cioè a quella fisiologia psicologica i cui elementi erano ben presenti presso la scuola medica salernitana.
In questo senso andrebbe valutata la posizione delle sparse ma coerenti notazioni di D. sul sangue, tramite tra le funzioni corporee e l'anima, come sottolineava Iacopo del Cassero in Pg V 74, in accordo con l'ipotesi galenica. Quando il corpo è bene [per le sue parti] ordinato e disposto (Cv IV XXV 12) allora l'anima realizza le sue operazioni vitali (vegetativa, sensitiva e razionale, cfr. Cv IV VII 11) delle quali solo la terza è risultato di creazione diretta e quindi capace di sopravvivenza sul finire della vita terrena (Pd VII 124 ss.). Quest'idea permetteva a D. di materiare con notazioni circostanziate anche gli effetti secondari di operazioni pienamente spirituali; era il caso di Vn IV 1, nel quale la visione di Beatrice altera la funzionalità dello spirito naturale, e quindi della funzione nutritiva, riducendo ben presto il poeta a sì fraile e debole condizione, che a molti amici pesava de la... vista. Queste conoscenze finivano per dare risultati notevoli soprattutto nel caso della descrizione di una casistica delle emozioni di provenienza aristotelico-galenica molto frequente anche in altri stilnovisti. La sintomatologia dello svenimento, dell'estasi, dello smarrimento, ecc., veniva quindi utilizzata per rendere tutte le variazioni di un'esperienza intellettuale e umana compiuta nella pienezza vitale dell'esistenza terrena. Per la posizione della m. nel sistema delle arti - la m. è gerarchicamente sottoposta alla fisica -, cfr. Cv IV IX 13 e Tommaso In Boeth. de Trinit. V 1 ad 5. Se probabilmente l'iscrizione all'arte dei medici e degli speziali fu dovuta a un calcolo politico e non costituisce una prova di un qualsiasi esercizio professionale di D. in questo campo, tuttavia molte leggende posteriori - tra cui quella del processo del 1320 nel quale gli sarebbe stato richiesto un incantesimo per il papa Giovanni XXIX - e il fatto che fosse indicato spesso con il titolo di ‛ maestro ' - un titolo di diritto per i medici - e che nella tradizione iconografica sia spesso rappresentato con il ‛ lucco rosso ' - l'abito caratteristico dei medici - mostrano come in D. dovette trattarsi di un interessamento profondo alla tematica dell'arte e, comunque, una recezione di temi dottrinali assai vivi nella cultura medievale, in grazia della preminenza della m. nel curriculum degli studi e della tradizione greco-araba (basterebbero i tre nomi fondamentali di Ippocrate, Galeno e Avicenna). Va peraltro ricordato come i conventi meridionali, i loro centri di traduzione delle opere mediche greche e i loro contatti, sia pure secondari, con l'organizzazione sanitaria bizantina, e insieme la presenza dei centri medici annessi ai conventi benedettini costituirono le premesse per la formazione e l'affermazione della scuola salernitana intorno al sec. VIII. Questa scuola elaborò in più secoli di attività sia repertori generali delle malattie del tipo del Passionarium di Garioponto, una raccolta ricavata interamente da fonti greche e latine, sia guide terapeutiche del tipo della Practica di Pietro Clerico, sia studi specifici del tipo del testo sulle malattie femminili di Trotula. L'influenza greco-benedettina declinò soltanto a contatto con l'introduzione della m. araba, favorita dai legami con il mondo arabo mediterraneo. Notevole fu a tal riguardo l'opera di Costantino Africano che compilò vaste traduzioni ippocratiche e galeniche oltre a un repertorio greco-arabo di autori minori. L'uso delle diagnosi, della ricerca e del commento collettivo di questa scuola furono alla base della fortunata rapsodia medica del Flos Medicinae che indica come i settori della m. salernitana riguardassero la dottrina delle febbri, una terapia di diete e salassi, uno studio sistematico dell'anatomia attraverso la pratica delle dissezioni, il che rappresentava una rottura nei confronti della tradizione galenica ortodossa. Una m. quindi che si fondava sulla tradizione della patologia ippocratica e che costituiva il tratto iniziale di una lotta contro la m. dogmatica di tipo conventuale.
Con il sec. XIII l'affermazione delle università tese a sostituirsi alle scuole, la salernitana compresa, provocandone la progressiva decadenza. Nei primi ordinamenti universitari la m. aveva tuttavia soltanto un ruolo secondario, probabilmente per il peso di alternative costituite dai praticanti chierici delle cattedrali e sedi vescovili.
Le due maggiori università dell'epoca, Padova e Bologna, dedicarono alla m. uno spazio progressivamente più ampio e articolato. Notevole nella prima l'attività di Pietro d'Abano (1250-1316), un averroista perseguitato dall'inquisizione e bruciato in effige nel 1317, che aveva compiuto accurati studi di greco per poter leggere Aristotele e Galeno direttamente nel testo originale. La sua preparazione l'indusse a orientare la scuola verso una mediazione (il Conciliator) tra le diverse tecniche curative, insistendo soprattutto sulla necessità di una pratica dell'osservazione e di una catalogazione della sintomatologia generale. L'università bolognese rimaneva invece più vicina alle posizioni del dogmatismo scolastico, accentuando la pratica del commento e della restaurazione della tradizione medica antica. Taddeo Alderotti (v.), ricordato da D. (Pd XII 83), era accurato traduttore di Aristotele e un ippocratista ortodosso, e va visto come il fondatore del metodo della disputazione dialettica nella trattazione degli argomenti medici. Se con questo metodo iniziava in quegli anni una decadenza degl'interessi medici, tuttavia questo non impedì alla scuola bolognese di portare avanti la pratica degli studi anatomici e quindi della chirurgia con ottimi risultati (Mondino de' Luzzi).
Il termine m. viene però utilizzato da D. anche nel senso di " balsamo " o " rimedio ": Una medesma lingua prima mi morse, / sì che mi tinse l'una e l'altra guancia, / e poi la medicina mi riporse; / così od'io che solea far la lancia / d'Achille e del suo padre esser cagione / prima di trista e poi di buona mancia (If XXXI 3), con un'allusione diretta a quella m. curativa fondata sulle pratiche empiriche.
Così ancora in Pd XX 141 da quella imagine divina, / per farmi chiara la mia corta vista, / data mi fu soave medicina (cfr. Cv IV I 10).
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