medicine alternative
Cure diffuse ma dall’efficacia non sempre dimostrata
Le medicine dette alternative, cioè l’omeopatia, l’osteopatia, l’agopuntura e la chiropratica, sono metodi di cura che non si basano sui principi della medicina tradizionale; pur ponendosi come una valida alternativa a essa, generalmente non hanno una solida base scientifica. Altre metodiche invece, come per esempio la fitoterapia, non intendono sostituirsi alla medicina ufficiale ma si affiancano a essa e vengono indicate, perciò, come medicine complementari
Tra le medicine alternative più diffuse e note al vasto pubblico figura l’omeopatia, che si basa sulla teoria secondo cui le malattie si combattono con le stesse sostanze tossiche che ne sono all’origine, somministrate però in soluzioni estremamente diluite.
L’agopuntura è invece un metodo di cura della medicina tradizionale cinese, basato sull’idea che la cosiddetta energia vitale scorra lungo determinati canali posti sulla superficie corporea (i meridiani) e sui quali è possibile agire applicando sottili aghi in punti precisi del corpo.
La chiropratica è un metodo utilizzato per la cura dei disturbi dell’apparato scheletrico e articolare, che si basa sulla mobilizzazione manuale della colonna vertebrale e di altre articolazioni.
L’osteopatia cura il dolore con manipolazioni delle ossa e dei muscoli, mentre la fitoterapia si serve delle piante medicinali per curare svariati disturbi e malattie anche gravi.
Alcuni di questi metodi di cura non si pongono sempre e comunque come alternativi alla medicina tradizionale ma, per esempio a volte la chiropratica, come complementari.
La differenza fondamentale tra la medicina tradizionale e le medicine alternative più importanti consiste proprio nel concetto di malattia. Secondo la medicina tradizionale, la malattia è un’entità ben precisa, caratterizzata da un’evoluzione naturale e da specifici sintomi collegati al malfunzionamento di uno o più organi e provocata da svariate cause (per esempio, un’infezione, un gene difettoso, un fenomeno degenerativo, un’allergia). Da questo concetto deriva che una corretta diagnosi (identificazione della malattia) è la premessa fondamentale per una cura efficace.
Le medicine alternative, al contrario, non distinguono tra stato di malattia e stato di benessere: esisterebbe un continuum (cioè un passaggio graduale) tra normalità e patologia e la malattia si configurerebbe come un aspetto della vitalità dell’individuo considerato nella sua globalità.
Per questo motivo le medicine alternative non riconoscono l’esistenza di malattie né l’esistenza di una base organica che le determini. Ciò che invece diventa importante è il sintomo in quanto espressione della costituzione individuale del soggetto piuttosto che di un processo patologico.
Nella medicina tradizionale il sintomo è invece solo un aspetto della malattia; infatti, malattie diverse possono avere lo stesso sintomo e sintomi tra loro opposti possono essere aspetti della stessa malattia. Ne risulta che mentre la medicina tradizionale cura la malattia, la medicina alternativa cura il sintomo e non riconosce i principi chimico-fisici che stanno alla base dei processi fisiologici dell’organismo e dell’azione dei farmaci su di essi.
Un esempio di quanto appena detto ci viene dall’omeopatia che, essendo la medicina alternativa più diffusa, merita una trattazione più estesa.
L’omeopatia nasce nella seconda metà del Settecento per opera del medico tedesco Samuel Hahnemann, secondo il quale il principio alla base della terapia non è quello degli ‘opposti’, propugnato dal medico greco Ippocrate (contraria contrariis curantur «gli opposti si curano con gli opposti»), ma quello dei ‘simili’ (similia similibus curantur «i simili si curano con i simili»).
Secondo Ippocrate, infatti, la malattia si cura con qualcosa che si oppone a essa: per esempio, la febbre si tratta con un farmaco antipiretico che fa diminuire la temperatura. Secondo Hahnemann, invece, bisogna somministrare un farmaco che provoca gli stessi sintomi, anche se attenuati, della malattia: la febbre si cura perciò con un farmaco che a piccole dosi produce una febbre attenuata. Secondo Hahnemann i farmaci hanno effetti diversi a seconda delle dosi.
Per l’omeopatia le dosi utili per curare le malattie sono quelle minime alle quali si ottiene un effetto simile al sintomo da trattare, perciò il farmaco deve essere diluito (attenuato). Nel corso di queste diluizioni vengono impressi continui scuotimenti alla soluzione contenente il farmaco, trasmettendo così una ‘energia vitale’ (dinamizzazione), necessaria perché abbia effetti terapeutici. Queste diluizioni sono di regola su base 100: con il primo trattamento il farmaco è diluito 100 volte, altre 100 con la seconda diluizione arrivando così a essere diluito 100x100 = 10.000 volte, e così via. Queste diluizioni vengono ripetute per 12, 15, 30 volte e per certi medicamenti anche 100 (arsenico) o 200 volte (mercurio). Il numero di molecole in una certa quantità di sostanza è noto e può essere facilmente calcolato: per esempio in circa 75 g di arsenico ci sono 602.200 miliardi di miliardi di atomi. Un semplice calcolo mostra che oltre l’undicesima diluizione, la probabilità che nella soluzione si ritrovi un solo atomo della sostanza è estremamente bassa. In sintesi i medicamenti omeopatici sono praticamente privi di principio attivo; seppure vi fosse qualche molecola della sostanza diluita (come è il caso di alcuni preparati omeopatici ottenuti con diluizioni un po’ inferiori) la sua concentrazione sarebbe così bassa da essere del tutto incapace di produrre effetti biologici.
Qual è dunque il meccanismo d’azione dei farmaci omeopatici? Secondo Hahnemann, e contrariamente ai principi della farmacologia scientifica, i farmaci omeopatici non agiscono attraverso un’interazione con i substrati organici (cellule, batteri, enzimi e così via), ma attraverso la forza vitale che la soluzione ha acquisito con il processo di dinamizzazione.
Come si spiega che, nonostante la sua debolezza scientifica, l’omeopatia abbia avuto un grande successo (attualmente esistono in commercio circa 2.000 rimasti omeopatici) sin dal 19° secolo e tuttora occupi un posto rilevante tra le pratiche mediche? Forse si deve al fatto che l’omeopata dedica al malato quell’attenzione e quel tempo che il medico, soprattutto quello generico, non gli dedica più. Così, i successi dell’omeopatia sono da considerare come un aspetto di ciò che lo stesso Ippocrate chiamava vis medicatrix naturae (frase latina che significa «la potenza terapeutica della natura»), che in termini moderni corrisponde al cosiddetto effetto placebo, cioè quello, dovuto a motivi psicologici, ottenuto in pazienti a cui sono state somministrate sostanze inerti ma che i soggetti ritengono farmacologicamente attive. Infatti è verosimile che il medico omeopata, attraverso un positivo rapporto umano e professionale con il paziente, attivi meccanismi psicologici che rafforzano i normali meccanismi di difesa dell’organismo, promuovendo o accelerando la guarigione.
Nonostante venga spesso confusa con l’omeopatia, la fitoterapia (piante medicinali e aromatiche) utilizza preparati di origine vegetale o minerale contenenti principi attivi in concentrazioni farmacologicamente efficaci. Infatti, è dalla fitoterapia che nel passato ha avuto origine, attraverso la separazione dei principi attivi, la moderna farmacoterapia.
Dato che la fitoterapia utilizza gli stessi principi attivi e gli stessi criteri diagnostici della medicina tradizionale, i preparati fitoterapici si prestano a un controllo scientifico e per alcuni di essi esiste un’evidenza di efficacia ormai accettata anche dalla medicina tradizionale.