Medioevo: la scienza siriaca. La tradizione della logica aristotelica
La tradizione della logica aristotelica
Della letteratura siriaca profana, scientifica o filosofica, ci è pervenuto soltanto un ristretto numero di opere, poiché molti testi sono andati perduti sin da quando, a partire dall'epoca abbaside (seconda metà dell'VIII sec.), l'arabo si è imposto in Oriente quale lingua letteraria. La maggior parte delle opere pervenuteci riguarda la logica, probabilmente a causa della posizione che fino alla metà del XIX sec. questa disciplina ha occupato nelle scuole monastiche quale introduzione agli studi filosofici e teologici. In ciò, la cultura siriaca è erede di tutta una tradizione greca, da cui ha tratto le sue prime fonti di ispirazione.
L'introduzione della filosofia e, in particolare, della logica greca nella cultura siriaca è stata preceduta dall'assimilazione di altri elementi di questa cultura, soprattutto attraverso le traduzioni dei padri greci. La loro mediazione ha reso accessibile in siriaco una retorica e metodi argomentativi il cui sviluppo aveva ricevuto grande impulso dalla loro utilizzazione nelle dispute cristologiche del IV secolo. Nonostante questo lascito, la filosofia greca continuerà per un certo periodo a essere identificata con il paganesimo.
L'ingresso della letteratura logica nella cultura siriaca è una delle tante manifestazioni di un movimento più vasto che condusse, tra il IV e il VII sec., filosofi e letterati siri da una posizione di rifiuto, a volte netto, dell'ellenismo ‒ allora assimilato al paganesimo ‒ all'adozione, in ultimo entusiasta, della paideía greca. Questa posizione è ben sintetizzata dalle parole, frequentemente citate, del grande poeta e teologo Efrem (m. 373), che nei suoi Inni sulla fede esclamava: "Felice colui che non ha assaggiato il veleno della scienza dei Greci". Posizione che, del resto, non è propria solamente degli autori siri, le cui critiche fanno eco a quelle degli autori greci o latini a loro contemporanei: per esempio a quelle di Tertulliano (m. dopo il 220) contro la filosofia, alleata delle eresie, e contro la dialettica del "riprovevole Aristotele", o a quelle di Eusebio di Cesarea (m. 340) contro gli eretici, colpevoli di aver "ignorato Cristo, non ricercando ciò che affermano le divine Scritture, ma esercitandosi laboriosamente a scoprire una costruzione sillogistica su cui fondare il loro ateismo" (Historia Ecclesiastica, V, XXVIII, 13). Non bisogna dimenticare che Porfirio, discepolo di Plotino e maestro di una schiera di esegeti di Aristotele che va dal IV al VI sec., era, secondo alcuni, il peggior nemico del cristianesimo.
Tuttavia, a partire dal secolo V ‒ non diversamente da quanto era accaduto nella patristica greca ‒ presso alcuni autori si delineò una tendenza opposta. Essi infatti ritenevano che, per replicare all'ellenismo pagano, o alle correnti eretiche, fosse necessario appropriarsi del metodo dialettico, dapprima biasimato, impiegandolo in difesa delle tesi cristiane.
Esiste anche un altro fenomeno, prodottosi all'interno della filosofia greca, che può spiegare la posizione occupata dalla logica aristotelica nella cultura siriaca, ossia la lunga tradizione di assimilazione di questa logica da parte della filosofia platonica, nella quale proprio Porfirio ha svolto un ruolo significativo. La logica di Aristotele, infatti, una volta incorporata nella filosofia neoplatonica, e intesa nel suo significato più ampio (inclusa la dottrina delle categorie e dei predicabili), nel V sec. serviva da introduzione al cursus degli studi presso le scuole di Atene e di Alessandria. Soprattutto nella Scuola di Alessandria, lo studio di Aristotele aveva ricevuto un forte impulso da parte di Ammonio di Alessandria, uno sviluppo che aveva dato origine a una schiera di commentatori di prim'ordine, tra i quali figurano Simplicio e Filopono.
Quando, tra il V e il VI sec., la cultura profana si sviluppa pienamente negli ambienti siriaci, i nuovi studiosi si formano soprattutto ad Alessandria, la città greca che esercitava la propria influenza sulle vicine Siria e Mesopotamia. Nella tradizione neoplatonica, che dominava a quel tempo nell'insegnamento della scuola, gli studi seguivano un cursus ben definito, sia nell'ordine delle discipline impartite sia nei metodi di insegnamento. Lo studio della filosofia seguiva quello dell'etica e della matematica, e consisteva nella lettura commentata delle opere di Aristotele e di Platone. Per ciascuno di questi due autori, l'ordine in cui doveva svolgersi la lettura delle opere era ben determinato; per quanto riguardava Aristotele, s'iniziava dai trattati logici, riuniti sotto il nome di Organon, introdotti dall'Isagoge di Porfirio, mentre per Platone s'iniziava con l'Alcibiade e si concludeva con il Parmenide. Questo insegnamento, così codificato, servirà da modello formativo alla tradizione filosofica siriaca.
Secondo la testimonianza di Barebreo (il grande enciclopedista e storico siro del XIII sec.), è tra il V e il VI sec. che sono introdotti nella cultura siriaca i primi elementi di scienza e di filosofia greca. Nel suo Chronicon Syriacum troviamo infatti scritto: "Anche presso i Siri vi furono medici di valore come, per esempio, Sergio di Reshaina che, per primo, tradusse in siriaco testi greci di filosofia e di medicina" (Chronicon Syriacum, p. 97). In effetti, il nome di Sergio è legato, tra l'altro, alla traduzione in siriaco di circa trenta opere di Galeno, alla traduzione delle opere teologiche dello Pseudo-Dionigi, e alla compilazione di commentari alla logica di Aristotele. È interessante osservare che Sergio, il quale aveva fama di autore erudito ed eloquente, di esperto conoscitore della letteratura greca e dell'opera di Origene, avesse studiato per un certo periodo ad Alessandria e, molto probabilmente, in particolare medicina e filosofia. Le sue traduzioni di Galeno furono la fonte delle conoscenze mediche nell'Oriente siro-arabo fino alle nuove traduzioni, eseguite dal famoso medico Ḥunayn ibn Isḥāq (808 ca.-877, lo Iohannitius dei Latini). Spirito libero e innovatore, Sergio di Reshaina (m. 536) è stato considerato da alcuni suoi contemporanei uno 'specialista' in materia di filosofia aristotelica, così come di medicina, e ciò non deve destare meraviglia, perché, come è noto, nella tradizione colta greca, e in particolar modo dopo Galeno, medicina e filosofia erano strettamente legate.
Sergio compose i due 'commentari' alle Categorie di Aristotele, vere e proprie introduzioni alla filosofia aristotelica, per esaudire le pressanti richieste dei suoi dedicatari. Uno di questi trattati, dedicato a un certo Teodoro, vescovo di Karkh Juddan (città situata sul Tigri, nei pressi del sito della futura Samarra), si apre con una prefazione ove Sergio espone il motivo per cui ha redatto l'opera. Questa sarebbe stata scritta in risposta a una richiesta di Teodoro riguardo all'origine del metodo scientifico applicato nei trattati di Galeno. Teodoro aveva infatti collaborato con Sergio ad alcune traduzioni (se non a tutte) dei trattati di Galeno.
Secondo questo testo, Aristotele avrebbe fatto per la prima volta la sua comparsa nella cultura siriaca come maestro di tutto il sapere scientifico. Precisamente, Sergio riconosce in Aristotele il maestro del metodo scientifico, colui che mise "insieme con arte e con scienza" tutte le parti del sapere precedentemente sparse e che "mise insieme, adattò e ordinò ciascuna delle parti che costituiscono la filosofia secondo l'ordine da essa richiesto, e modellò, a partire da esse, in tutti i suoi libri, la forma perfetta e mirabile della scienza di tutte le realtà". Sergio insiste sull'organizzazione delle parti della filosofia in un tutto armonico, il cui compimento costituisce l'opera del grande filosofo greco. Egli si propone, quindi, di esporre "l'ordine dei suoi scritti e la successione delle sue idee". Secondo le sue stesse parole, Sergio intende mettere a disposizione dei suoi lettori di lingua siriaca non soltanto la logica, ma anche "in particolare ciascuno degli scritti" del grande filosofo; il trattato dedicato a Teodoro non è che la prima parte di un più vasto programma, che avrebbe dovuto comprendere una trattazione esauriente delle scienze fisiche, della metafisica e dell'etica, ma sembra che solamente questa prima parte sia stata realizzata.
Nell'ideazione del suo ambizioso progetto, Sergio s'ispira chiaramente, come dimostra la parte iniziale del suo trattato, alle introduzioni e ai commentari neoplatonici all'opera di Aristotele. Queste introduzioni erano organizzate secondo schemi rigidamente codificati. Esse iniziavano con un'introduzione generale alla filosofia, nella quale erano esposte diverse definizioni di filosofia e una classificazione delle sue diverse parti; seguiva poi un'introduzione specifica all'Isagoge di Porfirio, con un commento all'Isagoge stessa, la prima opera studiata dagli allievi del cursus filosofico neoplatonico; dopo di ciò, iniziava lo studio di Aristotele, che si apriva con un'introduzione alla sua filosofia, articolata in dieci punti, uno dei quali concerneva la classificazione dei suoi scritti. Esaurita questa introduzione, aveva inizio lo studio del primo trattato e cioè, secondo il cursus tradizionale, delle Categorie; inizialmente si esaminavano, in un'introduzione specifica, i sei o sette punti preliminari allo studio del trattato e, in particolare, il suo scopo e la sua posizione nell'ordine di lettura, e poi seguiva il commento vero e proprio alle Categorie.
Di tutto questo complesso introduttivo allo studio di Aristotele, Sergio conserva, nel primo libro del trattato dedicato a Teodoro, due punti essenziali e cioè: la divisione della filosofia e la classificazione degli scritti di Aristotele. Nel corso dello svolgimento del trattato, altri punti sono poi menzionati, come quello relativo allo scopo delle Categorie e alla sua posizione nell'ordine di lettura, mentre altri vengono sviluppati, come la questione dell'oscurità dello stile degli scritti di Aristotele. Nei sei libri che seguono, Sergio espone il contenuto delle Categorie.
Considerando la prima parte della sua opera, è chiaro che Sergio si colloca nella tradizione dell'esegesi neoplatonica dei trattati aristotelici; situato nel suo contesto, il commento dedicato a Teodoro può essere considerato la prima tappa di un'introduzione a tutta la filosofia di Aristotele. Vi è tuttavia un'importante differenza tra la posizione attribuita ad Aristotele nella tradizione dei commentatori neoplatonici e quella assegnatagli da Sergio di Reshaina. Per i neoplatonici, infatti, lo studio di Aristotele non è che una premessa allo studio della filosofia di Platone, mentre nell'opera di Sergio Aristotele è presentato come il maestro per eccellenza in relazione alle traduzioni di Galeno e agli interrogativi suscitati dalla costituzione di un corpo organizzato di dottrine scientifiche; è quindi la ricerca di una teoria della scienza, di cui l'Organon è visto come lo strumento indispensabile, a determinare l'autorità di Aristotele, e innanzi tutto della sua logica, negli studi filosofici siriaci.
Si può dunque facilmente comprendere perché Platone e i suoi commentatori non facciano parte del programma che Sergio si proponeva di svolgere; egli, infatti, non considerava l'apprendimento della filosofia di Aristotele come una preparazione all'insegnamento delle dottrine platoniche, pur se, evidentemente, il neoplatonismo esercitò una certa influenza sulla sua interpretazione di Aristotele. Situato, in virtù delle sue traduzioni di Galeno e dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita e dei suoi commentari ad Aristotele, al punto d'incontro di tre tradizioni alessandrine ‒ quella teologica, quella filosofica e quella medica ‒ Sergio accorderà la preminenza ad Aristotele nell'ellenizzazione degli studi filosofici siriaci, e questa posizione diventerà una caratteristica duratura di questi studi nelle scuole monastiche siriache.
Passando a un'analisi puntuale del commentario di Sergio di Reshaina, occorre innanzi tutto osservare che l'introduzione alla filosofia di Aristotele, tanto nel trattato destinato a Teodoro quanto nell'altro commento dedicato a un certo Filoteo (personaggio che non ci è noto per altra via), è soprattutto un'introduzione alla logica, intesa in senso ampio, con l'inclusione della dottrina delle categorie e dei predicabili. Secondo lo stesso Sergio, le sue opere si propongono principalmente di spiegare i termini filosofici e di enumerare "i canoni, le divisioni e gli ordini" dell'arte della logica. L'insistenza di Sergio su quest'aspetto classificatorio è significativa, in quanto la divisione, più che un semplice procedimento retorico, è un metodo di indagine e oggetto stesso dell'analisi filosofica. I trattati si presentano così, in qualche modo, come una successione di scoli, il cui oggetto rinvia al testo aristotelico e il cui ordine è stabilito in base alla successione dei capitoli delle Categorie.
Attraverso i commentari di Sergio alle Categorie, l'assimilazione della filosofia greca si trasforma in una codificazione di quella filosofia stessa, che rappresenta, per così dire, una prima forma di scolastica in lingua siriaca. Gli scoli che compongono questi commentari sono tratti, nella maggior parte dei casi, dai commentatori greci, e ognuno di essi è costituito da una divisione, o a volte da un'aporia, ed è illustrato con esempi. Ritroviamo così, nei trattati di Sergio, due dei metodi più utilizzati dalla Scolastica greca; Porfirio, in particolare, aveva sistematicamente utilizzato questo metodo nella sua Isagoge, il cui studio era divenuto inseparabile da quello dell'Organon di Aristotele.
Sergio, del resto, nei suoi trattati esprime raramente le sue opinioni personali; le aporie da lui poste e risolte sono letteralmente prese a prestito dai commentatori greci e la loro funzione sembra quindi essere più retorica che critica, nonostante le allusioni alle controversie da cui talvolta sono accompagnate. A causa di questo stile scolastico assunto dai trattati la problematica filosofica scompare molto frequentemente davanti a un'analisi di tipo semantico.
Il progetto di Sergio di Reshaina e le scelte che caratterizzano la sua opera saranno presenti in tutta la tradizione logica siriaca. I suoi successori s'impegneranno come lui a costituire raccolte esaustive di testi introduttivi alla loro disciplina e a fornire una presentazione ordinata e sistematica dell'intero corpus logico aristotelico, o, quantomeno, di quella parte che ai loro occhi costituisce la base di tale disciplina. Lo stesso proposito di restituire ai testi la loro sistematicità, o almeno quella che era considerata tale nella tradizione ereditata dagli autori greci, ha spinto i dotti siri a commentare i trattati contenuti nell'Organon o a compilare presentazioni sintetiche della dottrina aristotelica sotto forma di epitomi. Si possono ricordare, tra gli altri, i commentari di Proba (Prôḇā, VI sec.) all'Isagoge di Porfirio, al De interpretatione e agli Analitici primi di Aristotele, o il commentario di Paolo il Persiano al De interpretatione e il suo Trattato sull'opera logica di Aristotele, composto prima del 578, o ancora le traduzioni, accompagnate da commentari, delle Categorie, del De interpretatione e degli Analitici primi eseguite da Giorgio, vescovo delle Nazioni arabe (m. 724).
D'altra parte, anche la tradizione manoscritta ha trasmesso raccolte di testi che testimoniano chiaramente questa volontà di costituire veri e propri 'corsi' di logica imperniati sull'opera di Aristotele. Così, il più antico manoscritto conosciuto tra quanti contengono una raccolta di trattati logici, il manoscritto di Londra (BL, Add.14658), databile al VII sec., si apre con una serie di testi che rappresentano una sistemazione del corpus logico risalente al VI sec., che comprende le seguenti opere: il commentario di Sergio di Reshaina alle Categorie, dedicato a Teodoro di Karkh, una traduzione anonima dell'Isagoge, una rappresentazione dell'albero di Porfirio, una traduzione anonima delle Categorie, un frammento dell'adattamento siriaco della grammatica greca di Dionisio Trace, redatta da Giuseppe Huzaya (m. prima del 580), e, infine, un trattato anonimo di sillogistica. In questa sistemazione del corpus logico, probabile riflesso delle conoscenze generali e dell'insegnamento dell'epoca, al trattato di Sergio di Reshaina è stata assegnata una funzione introduttiva, senza dubbio perché esso si apre con un'introduzione generale alla filosofia nella quale sono ripresi alcuni punti delle introduzioni neoplatoniche alla filosofia in generale, e in particolare a quella di Aristotele, ossia la divisione della filosofia, la posizione della logica, la classificazione degli scritti di Aristotele. D'altra parte, come possiamo constatare, la grammatica di Dionisio occupa il posto del De interpretatione, e l'albero di Porfirio è stato inserito tra le due traduzioni dell'Isagoge e delle Categorie, quasi a stabilire un legame tra il trattato di Porfirio e le opere di Aristotele.
Un altro esempio di raccolta di testi, quello contenuto nel ms. Vat. syr. 158 conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, testimonia una definizione posteriore a quella già citata del corpus siriaco di logica. La prima parte di questo manoscritto, che ha una sua propria omogeneità, è composta dai seguenti testi (Baumstark 1900, pp. 137 e 172-173): una "storia che spiega per quale ragione Porfirio ha dedicato l'Isagoge a Crisaorio e come (l'Isagoge) è stata scritta"; la traduzione dell'Isagoge eseguita da Atanasio di Balad (Bālāḏ; che risale al 645); alcune tavole logiche intitolate Divisioni dell'Isagoge di Porfirio il filosofo; uno scolio dedicato alle "ragioni per le quali Aristotele ha scritto tutta la sua opera"; una breve Vita di Aristotele; la traduzione delle Categorie eseguita da Giacomo di Edessa; infine, alcune traduzioni anonime del De interpretatione e degli Analitici primi (fino a I, 7 incluso). La presenza delle traduzioni di Atanasio e di Giacomo ci autorizza a supporre che questa raccolta sia stata probabilmente costituita verso la metà del VII secolo.
Il materiale contenuto in questa raccolta appartiene a forme letterarie diverse, quali traduzioni, scoli o tavole, biografie, dato che la "storia che spiega per quali ragioni Porfirio ha scritto l'Isagoge" è, in realtà, una Vita di Porfirio, paragonabile per la brevità a quella di Aristotele. L'ordine in cui sono disposti questi scritti di diversa forma è simile a quello delle opere conservate nel manoscritto di Londra: i testi che si riferiscono all'Isagoge sono seguiti da quelli che si riferiscono all'Organon, a loro volta disposti nel consueto ordine tradizionale. Possiamo facilmente constatare che questa disposizione è la stessa impiegata dai commentatori neoplatonici di Aristotele. La somiglianza tra questa disposizione e quella del corpus vaticano è, del resto, resa ancora più evidente dall'inserimento di una Vita di Aristotele tra le parti relative all'Isagoge e quelle relative ai trattati di Aristotele, esattamente come nello schema neoplatonico impiegato nel cursus filosofico.
Sulla base dei due esempi ora citati, ai quali potrebbero esserne aggiunti altri, possiamo concludere che le opere di logica in siriaco sono ampiamente debitrici dei commentari greci neoplatonici all'Isagoge di Porfirio e ai trattati aristotelici, e si conformano frequentemente, nella loro organizzazione d'insieme, a questi commentari. Tuttavia, la nostra conoscenza dei testi siriaci è ancora troppo limitata per consentirci d'individuare con sicurezza le relazioni di ciascuno di essi con i commentari greci. È inoltre evidente che per valutare queste relazioni bisognerebbe considerare l'evoluzione stessa dei commentari greci nel corso del VI sec., tra l'epoca di Ammonio e quella di Davide (seconda metà del VI sec.), un discepolo di Olimpiodoro, o di Stefano, professore poco dopo il 610 all'Accademia imperiale a Costantinopoli, e lo sviluppo, in una certa misura parallelo, degli studi siriaci in questo stesso periodo.
Un altro aspetto dei testi di logica pervenuti in lingua siriaca è, in generale, il loro stretto legame con il cursus degli studi nelle scuole. Ciò è dimostrato dalla loro riunione in corpus in cui erano commentati l'Isagoge di Porfirio e i primi libri dell'Organon, come pure dalla forma e dal contenuto di questo o quel testo distintamente considerato. È questo il caso, per esempio, delle tavole logiche intitolate Divisioni dell'Isagoge di Porfirio il filosofo, conservate nel manoscritto vaticano già citato (syr. 158), come abbiamo precedentemente segnalato. Si tratta di una serie di 48 divisioni di nozioni filosofiche, tratte non soltanto dall'Isagoge ma anche dalle Categorie e dal De interpretatione. Per darne un'idea, ricorderemo la divisione (tratta da Porfirio) del genere che è detto dell'insieme dei discendenti di un individuo (come, per es., gli Eraclidi da Eracle) o di colui che ha generato un individuo (come Eracle per Illo) o del luogo di nascita (Platone di Atene) o di ciò che sta sopra la specie ('animale' genere di 'uomo'). Si possono inoltre ricordare: la divisione relativa alla specie, che si dice della forma di un individuo o di ciò che è sotto il genere; la divisione dei metodi dialettici in diairetica, euristica, dimostrativa, analitica; la divisione (di origine platonica) delle virtù in prudenza, fortezza, temperanza e giustizia; la divisione del discorso in assertivo, vocativo, persuasivo, imperativo, dichiarativo (cioè apofantico); un'altra divisione del discorso in imperativo, deprecativo, interrogativo, dichiarativo. Non è necessario citare altri esempi, dal momento che si saranno già riconosciuti ‒ come confermerebbero ulteriormente le altre divisioni dell'opuscolo in questione ‒ i temi tradizionali dei trattati greci di logica e le diverse aporie poste a proposito dei testi aristotelici nei commentari neoplatonici. L'origine indubbiamente colta di queste 'divisioni' contrasta in modo netto con la loro presentazione elementare; la ragione di ciò è certamente da ricercarsi nel fatto che esse sono il prodotto di una tradizione scolastica, cioè la traccia scritta di un insegnamento orale che introduceva alla filosofia e che veniva trascritto, più o meno bene, da uno studente o da un copista.
Lo status attuale delle conoscenze dei testi siriaci di logica ‒ come si è già detto ‒ non ci consente di collocarli precisamente in rapporto alle loro fonti greche; né ci permette di descrivere in modo esauriente la storia di questa disciplina. Ci limiteremo, quindi, a indicare le fasi principali e gli autori più importanti della storia della logica in lingua siriaca.
Abbiamo già indicato nell'opera di Sergio di Reshaina quello che, tenuto conto delle nostre fonti, sembra essere stato il punto di partenza dello studio della logica in ambiente siriaco. Sergio si proponeva di rendere accessibile al pubblico colto di lingua siriaca l'opera di Aristotele, da lui considerato il maestro di tutto il sapere scientifico.
Vi sono altre opere che, nel corso del VI sec., segnano l'inizio della logica siriaca. Ci riferiamo in primo luogo a due traduzioni anonime, una dell'Isagoge di Porfirio e l'altra delle Categorie di Aristotele (entrambe conservate nel ms. Add. 14658 della British Library di Londra). A esse bisogna aggiungere un trattato sul De interpretatione, compilato da Paolo il Persiano, probabilmente tradotto dal pahlavī in siriaco da Severo Sebokht (Sēḇôḵt), e un Trattato sull'opera logica di Aristotele, dello stesso autore e dedicato al re sasanide Cosroe I Anushirvan.
Il trattato di Paolo il Persiano è stato compilato in un ambiente colto in parte diverso da quello nel quale Sergio di Reshaina aveva studiato e operato. Paolo il Persiano appartiene, infatti, alla sfera culturale del mondo sasanide, nutrito di apporti greci come pure di quelli indiani e persiani. Le tracce di questo intreccio di influenze sono particolarmente evidenti in campo astronomico, dove la tradizione tolemaica è combinata con i metodi indo-persiani. Il trattato di Paolo dimostra la penetrazione della filosofia aristotelica nell'Oriente sasanide, verificatasi probabilmente attraverso la mediazione della Scuola di Nisibi. Si tratta di un compendio nel quale sono inizialmente esposti gli elementi fondamentali ‒ presi a prestito dalle Categorie e dal De interpretatione ‒ relativi alla predicazione e alla teoria della proposizione; segue quindi una presentazione di tutti i modi sillogistici categorici, concludenti o non concludenti, dal momento che, come abitualmente avveniva nelle scuole siriache, la logica modale è completamente ignorata. Nel complesso, questo trattato si iscrive in una prospettiva di risoluta difesa della scienza come mezzo di conoscenza certa, i cui strumenti naturali sono i metodi della logica dimostrativa, cioè sillogistica.
Accanto a Sergio di Reshaina e a Paolo il Persiano dobbiamo citare un altro autore, Proba, che operò probabilmente nel VI sec., anche se non ci è possibile precisare ulteriormente il periodo in cui svolse la sua attività. Di Proba ci sono pervenuti tre commentari, il primo all'Isagoge di Porfirio (parzialmente pubblicato; Baumstark 1900), il secondo al De interpretatione (parzialmente pubblicato e tradotto in latino; Hoffmann 1869) e il terzo alla parte iniziale degli Analitici primi (van Hoonacker 1900). Soltanto il commento al De interpretatione è stato oggetto di un parziale studio da parte di Hoffmann, che ha sottolineato le affinità tra il testo di Proba e i commentari greci. La tradizione alessandrina, quella di Ammonio e dei suoi successori, è stata la fonte del trattato di Proba, anche se quest'ultimo se ne distacca su alcuni punti, attribuibili, in alcuni casi, a prestiti tratti da opere (andate perdute in greco) di Alessandro di Afrodisia o di Porfirio. Sono state rilevate altre divergenze derivate dalla difficoltà di adattare le caratterizzazioni aristoteliche del nome e del verbo (De interpretatione, 2-3) alla struttura morfosintattica della lingua siriaca.
D'altra parte, il commentario di Proba al De interpretatione è significativo per la sua forma letteraria. Si tratta di un commentario esegetico, costituito da lemmi del testo di Aristotele, preceduti dalla lettera A (o dalle lettere Ar) per designare il filosofo greco, e da spiegazioni o glosse, precedute dalla lettera P (o Pr) per designare Proba. A proposito di ognuno dei punti esaminati, nell'ordine di successione del testo greco ‒ il nome, il verbo, l'enunciato, ecc. ‒ il commento si apre con un'esposizione continua, seguita da brevi note che si riferiscono alle parole stesse che compongono il testo greco (nella traduzione siriaca). Il testo di Proba appartiene dunque al genere dei commentari utilizzati nella Scuola di Olimpiodoro, nei quali ogni praxis, o unità di lettura, era divisa in theōría (la discussione generale del soggetto) e lexis (la spiegazione dei punti specifici) ed è, al tempo stesso, una preziosa testimonianza della trasmissione del metodo di insegnamento dei tardi alessandrini alle scuole siriache.
A parte le testimonianze sulle Scuole di Edessa e di Nisibi, non ci è pervenuta nessuna informazione precisa riguardo ai luoghi in cui, nel VI sec., tali insegnamenti erano impartiti. Sappiamo, invece, che nel VII sec., nel monastero di Qenneshrin (Qennešrīn, situato sulla riva sinistra dell'Eufrate, nei pressi dell'attuale città di Aleppo) si sviluppò un importante centro di studi grazie all'impulso del vescovo Severo Sebokht (m. 666/667). Quest'ultimo tentò di costituire un corpus di conoscenze scientifiche in lingua siriaca e, allo stesso tempo, promosse lo studio del greco; in un breve opuscolo egli sostiene, del resto, l'uguaglianza di tutte le culture di fronte alla scienza, considerata un patrimonio comune, e rivendica ai Siri un'antica tradizione di sapere scientifico. Egli stesso compilò alcune opere di astronomia e di cosmologia, che dimostrano una conoscenza approfondita dell'opera di Tolomeo e un autentico talento nell'utilizzazione delle tavole astronomiche (v. cap. IV).
Il cursus scolastico che introduceva agli studi scientifici iniziava con l'apprendimento della retorica e della logica, e non c'è quindi da meravigliarsi che lo stesso Severo Sebokht si sia interessato a questioni di carattere logico. Egli, al contrario di alcuni suoi discepoli, non è noto per aver tradotto trattati di Aristotele, ma ci sono pervenuti due brevi testi che dimostrano come fosse consultato su questioni di logica. Si tratta di due lettere (ancora inedite e conservate in diversi manoscritti; fra gli altri, BL, Add. 17156) destinate ad alcuni corrispondenti che si erano rivolti a lui per ottenere delle spiegazioni, in particolare a proposito del De interpretatione e degli Analitici primi. Una di queste lettere, indirizzata a un sacerdote di Ninive chiamato Aitilaha (Ayṯallāhā), prende in esame, come indica il titolo, "alcune parole [contenute] nel De interpretatione"; essa si propone di spiegare, in particolare, le seguenti espressioni tecniche: "affermazione semplice", "affermazione metatetica", "affermazione privativa" e le tre 'negazioni' corrispondenti, registrando, lungo tutto il suo svolgimento, alcuni di questi termini tecnici sotto forma di trascrizioni in caratteri siriaci delle parole greche (katáphasis 'affermazione', apóphasis 'negazione', metáthesis 'trasposizione'). Severo Sebokht offre una descrizione di ognuna di queste espressioni nella terminologia aristotelica e dimostra, per mezzo di esempi, quale sia la struttura sintattica delle proposizioni designate da queste espressioni e come esse operino in relazione al vero e al falso.
L'altra lettera, destinata a un periodeuta chiamato Jonan (Yônān), "su alcuni punti del De interpretatione e degli Analitici primi di Aristotele il Filosofo", verte su alcune questioni, quali le relazioni dell'affermazione e della negazione con il vero e il falso, secondo la diversa determinazione di queste proposizioni (necessaria, possibile, impossibile) o quella relativa al significato del termine ᾽eskîmā (in greco schẽma) nella parte compresa tra il capitolo 4 e il capitolo 7 del primo libro degli Analitici primi (ovvero ciò che bisogna intendere con le tre figure sillogistiche; Reinink 1983).
Oltre a dedicarsi ai suoi studi, Severo è stato l'ispiratore di una brillante 'scuola' di letterati e filosofi che collaborarono con lui al pieno sviluppo degli studi siriaci di grammatica e di logica nel VII secolo. Dobbiamo citare, in primo luogo, Giacomo di Edessa (633-708), il quale, accanto a una vasta opera teologica, storica ed esegetica, compilò una grammatica siriaca che ebbe un'importanza decisiva nella fissazione di questa lingua e, in materia di logica, eseguì una nuova traduzione delle Categorie di Aristotele.
Un suo compagno di studi, il monaco Atanasio, originario di Balad, che divenne patriarca nel 684 e morì nel 687, compilò un'introduzione in siriaco alla logica e alla sillogistica di Aristotele. Come le epitomi di logica, di cui quella di Paolo il Persiano era stata un esempio nel secolo precedente, l'opera di Atanasio riprende gli elementi di logica dei predicati e di logica delle proposizioni tratti dalle Categorie e dal De interpretatione, che, secondo le tradizionali interpretazioni greche, si riteneva fossero alla base della teoria sillogistica categorica degli Analitici primi, a sua volta considerata la garanzia formale della teoria della dimostrazione.
Atanasio aveva anche tradotto ‒ o ritradotto, basandosi su precedenti versioni ‒ molti testi di logica. Ci è pervenuta, in particolare, la sua traduzione dell'Isagoge di Porfirio, eseguita nel 645; sappiamo inoltre, grazie ad alcune glosse marginali del ms. arabo 2346, conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, che egli aveva tradotto alcune parti degli Analitici secondi, dei Topici e delle Confutazioni sofistiche. Si tratta di una raccolta degna di nota, che estendeva la conoscenza dell'Organon in siriaco ben al di là dei primi tre trattati abitualmente menzionati nella tradizione storiografica. In effetti, si è soliti ritenere ‒ sulla base dei tardi resoconti di alcuni autori arabi, come, per esempio, quelli di al-Fārābī (870 ca.-950) o di al-Mas῾ūdî (m. 955/956) ‒ che lo studio dell'Organon, nella tradizione siriaca, comprendesse le Categorie, il De interpretatione e gli Analitici primi, e si arrestasse al termine della sillogistica categorica (Analitici primi, I, 7). È possibile che le testimonianze arabe riflettano una pratica allora in uso nelle scuole siriache, dove l'insegnamento della logica si sarebbe tradizionalmente interrotto davanti ai difficili capitoli degli Analitici primi dedicati da Aristotele alla logica modale. Ma ciò non ci autorizza a supporre che il resto dell'Organon fosse completamente ignorato ‒ le traduzioni di Atanasio dimostrano piuttosto il contrario, e bisogna osservare che queste traduzioni sono state utilizzate fino al X e all'XI sec., quando furono impiegate dai filosofi e dagli scienziati arabi.
Allo stesso modo, l'insieme di traduzioni e commentari eseguiti da un discepolo di Atanasio, Giorgio delle Nazioni, costituisce un esempio di come la tradizione erudita dello studio del greco e della logica di Aristotele sia stata elaborata nel monastero di Qenneshrin. Questo corpus comprende le traduzioni delle Categorie e del De interpretatione, ciascuna delle quali è preceduta da un'introduzione, la traduzione delle Categorie seguita da un commentario, e una degli Analitici primi, preceduta da un'introduzione e completata da due commentari, uno per ciascuno dei due libri del trattato. Questa raccolta dimostra inoltre che lo studio della logica non s'interrompeva (o almeno non sempre) con la lettura dell'ultimo capitolo degli Analitici dedicato alla sillogistica categorica.
L'opera di Giorgio, che attende ancora di essere analizzata, rappresenta l'ultima testimonianza conosciuta della grande fioritura di studi alla quale Severo Sebokht aveva impresso un impulso decisivo nel monastero di Qenneshrin. Dopo la morte di Giorgio, l'VIII sec. appare allo storico avaro di studi eruditi; soltanto alla fine del secolo si manifesterà una nuova attività, ma in un contesto culturale in parte differente dal precedente.
L'ascesa della dinastia abbaside e l'ambizione di alcuni dei suoi membri di presentarsi come gli eredi delle antiche dinastie, da Babilonia fino ai Sasanidi, o di rivaleggiare con Bisanzio, li indusse a promuovere lo sviluppo delle scienze e della filosofia, e a incoraggiare le traduzioni dei testi greci o siriaci. In questo nuovo contesto, gli studiosi cristiani di lingua madre siriaca, che avevano appreso l'arabo (o il greco), hanno svolto un costante ruolo di mediazione tra le fonti greche (o le loro versioni siriache) e la scienza di lingua araba che iniziava allora a svilupparsi. La logica aristotelica ha svolto evidentemente un ruolo importante in questa fioritura delle scienze profane sotto i primi califfi abbasidi. La storia degli studi compiuti allora da filosofi e scienziati siri appartiene certamente, in larga misura, alla storia della filosofia e della scienza di lingua araba, ma anche a quella della cultura siriaca. Occorre quindi tracciare un quadro, sia pur sommario, di questi studi e del loro ruolo nella costituzione di un corpus logico in arabo.
Nel nuovo contesto culturale formatosi sotto i primi Abbasidi, il ruolo e l'attività degli autori siri possono essere considerati da diversi punti di vista. In primo luogo, a partire dal IX e fino alla metà del X sec., questi studiosi hanno svolto un ruolo determinante nelle traduzioni in arabo delle opere di logica aristotelica. Così, per esempio, il califfo al-Mahdī (775-785) commissionò al patriarca nestoriano Timoteo I (780-823), con il quale intratteneva buoni rapporti, una traduzione in arabo dei Topici di Aristotele, che fu realizzata, attraverso la mediazione del siriaco, con la collaborazione di Abū Nūḥ, allievo di Timoteo e futuro segretario del governatore di Mosul. Circa un secolo più tardi, Isḥāq ibn Ḥunayn (m. 910) ne eseguì una nuova traduzione in siriaco, che successivamente servì da base alla traduzione araba del filosofo cristiano Yaḥyā ibn ῾Adī (893/894-974). Sarebbe possibile citare esempi simili per le altre opere logiche di Aristotele, alcune delle quali furono oggetto di molte traduzioni arabe, di frequente basate su una precedente traduzione siriaca.
Un'altra funzione svolta dalle traduzioni siriache fu quella di servire da versione di riferimento per la correzione o l'interpretazione delle traduzioni arabe posteriori. A tal fine furono utilizzate le versioni antiche, per esempio quelle di Atanasio o di Teofilo di Edessa (m. 785), come pure le versioni più recenti, per esempio quelle di Isḥāq ibn Ḥunayn. Il ms. arabo 2346 è una significativa testimonianza dell'esistenza, nell'ambiente filosofico di Baghdad nel X e nell'XI sec., di una tradizione di studi eruditi sull'Organon e dimostra la sopravvivenza delle traduzioni siriache in questo ambiente. In effetti, questo manoscritto contiene le traduzioni arabe annotate di tutti i trattati aristotelici dell'Organon (in tre versioni differenti per quanto riguarda le Confutazioni sofistiche), integrate dalle traduzioni arabe dell'Isagoge di Porfirio e, conformemente alla tradizione alessandrina, le traduzioni della Retorica e della Poetica. A eccezione di questi due ultimi trattati, tutti i testi riuniti in questo manoscritto sono stati trascritti direttamente da copie autografe di uno stesso erudito, il filosofo e logico nestoriano al-Ḥasan ibn Suwār (m. 1017). Questi testi sono corredati da un apparato di note e da commentari redatti a margine, talvolta molto ampi, che rivelano il gran lavoro critico svolto dall'inizio del X sec. dai predecessori di Ibn Suwār, e in particolare da Abū Bišr Mattā ibn Yūnus (m. 940) e da Yaḥyā ibn ῾Adī, oltre che dallo stesso Ibn Suwār. Questo lavoro critico è basato, in particolar modo, su alcune antiche versioni, principalmente siriache, dei trattati dell'Organon. Così la traduzione delle Confutazioni sofistiche, eseguita da Yaḥyā ibn ῾Adī è stata corretta da un altro cristiano nestoriano, Ibn Zur῾a (m. 1008), attraverso la versione siriaca di Teofilo di Edessa; Ibn Suwār ha consultato le traduzioni siriache dei Topici eseguite da Atanasio e da Isḥāq ibn Ḥunayn per verificare delle varianti della traduzione araba eseguita da Abū ῾Uṯmān Sa῾īd ibn Ya῾qūb al-Dimašqī (attivo nel 900 ca.); Ibn Suwār ha ugualmente consultato le traduzioni siriache degli Analitici primi di Atanasio e Teofilo di Edessa, per controllare la traduzione araba di Taḏārī ibn Basīl, eseguita verso la metà del IX secolo.
D'altra parte, questo lavoro critico è stato reso possibile dalla conservazione, tra il IX e l'XI sec., di una tradizione erudita, negli ambienti cristiani di lingua siriaca della Baghdad abbaside. Il ms. arabo 2346 attesta ugualmente la continuità di questa tradizione di insegnamento e di trasmissione dei testi. In effetti, dai colophon di diversi esemplari veniamo a sapere che proprio per il suo tramite il filosofo al-Ḥasan ibn Suwār aveva copiato di suo pugno alcuni trattati di Aristotele (le Categorie, il De interpretatione, gli Analitici primi e una delle versioni delle Confutazioni sofistiche) da alcune copie autografe del suo maestro, Yaḥyā ibn ῾Adī. Quest'ultimo, a sua volta, aveva collazionato le sue stesse copie delle Categorie e del De interpretatione con il manoscritto autografo del traduttore, Isḥāq ibn Ḥunayn.
I marginalia del ms. arabo 2346 contengono numerosi esempi che illustrano il ruolo svolto dai testi siriaci nella costituzione del corpus arabo di logica; ne citeremo due particolarmente significativi. Il primo concerne il testo della Retorica, dove in una nota marginale si legge un'osservazione del copista Ibn al-Samḥ:
Sappi che ho eseguito questa copia da una copia araba. Ogni volta che ho riscontrato un passaggio di difficile interpretazione, l'ho confrontato con una versione siriaca corretta. Così ho corretto ciò che mi sembrava dovesse essere corretto e l'ho riportato su questa copia. Giunto a questo punto, ho trovato 'Fine del primo capitolo di quest'opera'. Ma nella versione siriaca e in un'altra copia araba, ho trovato un lungo brano del primo capitolo e l'ho trascritto; e con quest'ultimo, che si chiude con le parole 'Bisogna che tu sappia che tale è il discorso su quest'argomento', termina il capitolo I. (Georr 1948, p. 186)
Per quanto riguarda, invece, le Confutazioni sofistiche, Ibn Suwār aveva ricopiato tre traduzioni, poiché era insoddisfatto della qualità di ciascuna di esse; due di queste erano state eseguite da Yaḥyā ibn ῾Adī e da Ibn Zur῾a, a partire dall'antica traduzione siriaca di Atanasio, mentre la terza era una versione araba 'antica', eseguita da Ibn Nā῾ima (m. 839). A proposito delle traduzioni e del suo metodo di lavoro, Ibn Suwār si esprime nel modo seguente:
Per rendere il pensiero di un autore, il traduttore deve comprendere bene la lingua dalla quale egli traduce, e rappresentarsi le idee nello stesso modo di colui che le ha espresse. Egli deve ugualmente conoscere a fondo l'impiego della lingua dalla quale traduce e quello della lingua nella quale traduce. Dato che il monaco Atanasio non comprendeva le idee espresse da Aristotele, nella sua traduzione si sono insinuati molti errori; e dal momento che coloro che hanno tradotto questo trattato in arabo, basandosi sulla traduzione siriaca di Atanasio, i cui nomi sono stati menzionati, non hanno trovato in essa un commentario, hanno tentato di comprendere e di rappresentarsi correttamente le idee del filosofo; essi hanno dunque apportato delle modifiche alla versione di Atanasio. Poiché desideravo discernere quale fosse il contributo apportato da ciascuno di essi, ho riunito qui tutte le traduzioni di cui sono entrato in possesso, perché, considerando ciascuna di esse, ci si possa aiutare confrontando le une con le altre, per giungere alla comprensione del significato. (ibidem, p. 199)
Questa tradizione d'insegnamento e di trasmissione dei testi, in quella che è stata definita la 'Scuola cristiana di Baghdad', non ha tuttavia dato luogo a una produzione originale in lingua siriaca, o quanto meno, essa non ci è pervenuta. In compenso, la tradizione di lettura e di commento dei testi della logica greca è stata certamente, almeno in parte, all'origine delle opere dei più importanti logici di lingua araba, al-Fārābī e Avicenna. Si pone quindi il problema di sapere se la tradizione logica siriaca sia continuata in modo autonomo (per es., nei monasteri) in rapporto alla tradizione istituitasi in arabo, e in quale misura le due tradizioni siano, oppure non siano, entrate in contatto. Riguardo a ciò, sarebbe necessario sottoporre a nuovi studi i lavori di due enciclopedisti siri del XIII sec.: Giacomo bar Shakku (Ya῾qôḇ bar Šakkô, m. 1241), il quale, una volta divenuto vescovo, dopo essere stato monaco nel monastero di Mar Mattai, nei pressi di Mosul, assunse il nome di Severo, e Barebreo (1226-1286, v. cap. IV).
Severo (o Giacomo) bar Shakku dedica il secondo libro del suo Libro dei dialoghi a una presentazione della logica, enunciata sotto forma di risposte più o meno elaborate ad alcune questioni riguardanti lo status conoscitivo o epistemologico di questa disciplina, e successivamente prende in esame le sue differenti parti e gli argomenti in esse trattati. Rimane ancora da studiare il ruolo svolto nella composizione di questo testo rispettivamente dalle fonti greco-siriache e da quelle arabe.
Per ciò che riguarda Barebreo siamo, invece, più informati. Sappiamo, infatti, che il grande enciclopedista aveva tradotto in siriaco la prima parte, dedicata alla logica, della sintesi filosofica di Avicenna intitolata Kitāb al-Išārāt wa 'l-Tanbīhāt (Libro delle direttive e annotazioni). Siamo inoltre in possesso di un'edizione e di una traduzione commentata di una sua opera intitolata Conversazione della sapienza, una sintesi filosofica, nello stile di una conversazione, d'ispirazione avicenniana, la prima parte della quale prende in esame la logica. Secondo Herman F. Janssens, cui si deve la traduzione e la cura del volume, "anche se, in generale, Barebreo si lascia guidare dalla logica avicenniana, egli ha tuttavia subìto l'influenza dei logici arabi più recenti e sembra essersi ispirato, all'occorrenza, alle opere di Aristotele e ai commentari greci, consultati, se non nel testo originale, almeno nella traduzione siriaca" (Janssens 1937, p. 21).
Oltre ad Avicenna, Janssens menziona altri autori arabi o siri come probabili fonti dell'opera di Barebreo; tra gli autori arabi, per esempio, è citato al-Ġazālī, e, tra i siri, Proba o Paolo il Persiano. Barebreo scrisse di logica in altre opere, e in particolare all'inizio di ognuna delle sue enciclopedie filosofiche, di diversa vastità, intitolate Ḥēwaṯ Ḥeḵmǝṯā (Crema della sapienza), l'Opera delle opere (talvolta impropriamente chiamata Commercio dei commerci, Tēḡraṯ tēḡrāṯā); il suo Libro delle pupille è esclusivamente dedicato alla logica. Non sembra che Barebreo si sia avvalso di una conoscenza diretta, in greco, dell'opera logica di Aristotele, ma quest'opera e quella dei commentatori erano ampiamente accessibili grazie alle traduzioni siriache e arabe. Tuttavia, egli ha tratto la sua principale ispirazione dai trattati arabi, in particolare, come si è detto, da quelli di Avicenna, verso il quale nutriva una particolare ammirazione. Resta ancora tutto da studiare il rapporto della sua opera con quella dei suoi precursori siri.
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