Meditazioni cartesiane (Meditations cartesiennes)
(Méditations cartésiennes) Opera (1931) di E. Husserl. Testo ampliato delle conferenze tenute da Husserl alla Sorbona nel 1929 (23 e 25 febbr.), le M. c. furono pubblicate in lingua francese, con la collab. di Lévinas, e soltanto dodici anni dopo la morte dell’autore (avvenuta nel 1938) in lingua tedesca (Cartesianische Meditationen, 1950). Husserl, ripercorrendo l’itinerario delle Meditazioni metafisiche (1641) di Descartes (intese come modello dell’autoriflessione filosofica), vi espone i capisaldi della fenomenologia, intesa non soltanto come psicologia descrittiva pura, connotata dall’intenzionalità della coscienza, ma come ‘fenomenologia trascendentale’. Alla fondazione rigorosa della filosofia e all’evidenza apodittica si perviene mediante l’epochè (➔), messa tra parentesi del mondo, e la «riduzione fenomenologica», che sottraggono la coscienza all’atteggiamento «naturale», consentendo di coglierla mediante un atteggiamento ‘disinteressato’ e ‘descrittivo’ nel suo carattere intenzionale. A tale riduzione si sottrae il «residuo» dell’«io trascendentale», ossia la coscienza pura o soggettività pura. L’«ego cogito», diversamente che in Descartes, non avvia la ricostituzione di una metafisica e di un’ontologia classica, intendendolo come sostanza, ma si coglie in quanto soggettività trascendentale che costituisce l’ego e le sue forme. Tale «ego trascendentale» (correlato del mondo come della temporalità, che esso, come coscienza, costituisce in senso trascendentale) è una conoscenza «incarnata», cioè si coglie come legato alla propria corporeità, e comporta, al tempo stesso, una conoscenza «monadica» di sé e una conoscenza «intermonadica» dell’altro. Il problema dell’«intersoggettività», il rapporto fra il proprio ego e quelli altrui, è risolto nella quinta Meditazione mediante il rinvio a una trascendentale «coscienza intermonadica»: «l’ego trascendentale preso concretamente (che diviene conscio di sé stesso nella riduzione trascendentale […]), coglie tanto sé stesso nel suo essere proprio originario, quanto anche sé stesso nell’esperienza estranea dell’altro e quindi coglie già gli altri ego trascendentali» (§ 62).