MEGALOGRAFIA (megalographia)
Il termine m. si trova usato in un passo, che si riferisce alla pittura, in Vitruvio (vii, 5, 2). In un altro passo (vii, 4, 4) i codici hanno concordemente melographia, che è stato corretto dagli editori moderni in in. e che il Ferri propone di restituire. Mentre melographia (μελογραϕία = scrittura musicale) è termine documentato anche epigraficamente, in. non si trova in greco se non come trascrizione del latino di Vitruvio. L'esatto significato del termine, che forse non deriva da una fonte greca oggi perduta, ma può essere (Ferri) una neoformazione vitruviana, è tuttora controverso.
Letteralmente Composto da μέγας, grande, e da ypai'aγραϕία, pittura, sembrerebbe che si dovesse riferite semplicemente alle dimensioni delle pitture in questione (e così interpretando, si è detto m., per esempio, il ciclo dionisiaco della Villa dei Misteri a Pompei). Questo è il significato dato al termine dal Lippold. È stato osservato, però, che Plinio usa grandes tabulas (Nat. hist., xxxv, 126, Pausias) o grandes picturas (Nat. hist., xxxv, 132, Nikias) quando senza dubbio vuol riferirsi alle dimensioni; ma non usa il termine m. e non è certo che le locuzioni da esso usate ne vogliano essere una traduzione. Ammettendo che una distinzione vada fatta, occorre dare a m. un significato diverso, che indichi una particolare qualità o tipologia dei dipinti. Anche in questo caso le possibilità di interpretazione affacciate sono più di una. Per alcuni, m. doveva significare pitture che avessero per oggetto cose di grandi dimensioni, non riproducibili nella loro esatta grandezza e perciò ridotte graficamente con l'artificio della prospettiva. Questa interpretazione si è voluta appoggiare sui passi di Vitruvio (e si è anche addotto, con non troppa pertinenza, un passo di Eliano, Var. Hist., 4, 3), giacché essi si trovano in un contesto nel quale vi sono accenni riferentisi a pitture scenografiche e di grandi paesaggi animati da figure (sul tipo delle note Pitture dell'Odissea provenienti dall'Esquilino). Ma, in realtà, Vitruvio distingue la m. da queste altre pitture: nonnulli loci item signorum megalographiam habent et deorum simulacra, seu fabularun: dispositas explicationes, ecc. e indica come particolarmente adatti a tal genere di pitture le ambulationes, cioè i portici coperti.
Altri hanno tratto dagli stessi passi la conclusione che m. sarebbe da contrapporsi a riparographia (v.), termine, questo, assunto da Plinio per indicare pitture di cose dozzinali e piccole (v. natura morta); e, di conseguenza, il termine m. indicherebbe il contenuto moralmente elevato, nobile, delle pitture cosi designate. Un tale significato di m. come pittura di cose auguste è forse concetto elaborato soltanto nella tarda critica ellenistico-romana e appare, effettivamente, riassunto (s. v.) nel Thesaurus.
Dalla interpretazione qui in ultimo accennata (proposta dal Rodenwaldt e accettata dallo Pfuhl) è entrato nell'uso comune della terminologia archeologica il valore che solitamente viene dato al termine di m. per indicare quelle pitture di soggetto mitologico, che, come quadri, sono inserite nella sintassi della decorazione parietale di età romana: dove la parte ornamentale appartiene allo sviluppo pittorico del proprio tempo, mentre la m. inserita è, generalmente, copia o derivazione di una pittura (quadro da cavalletto) di età classica e di autore celebre (v. pittura). Il Ferri (Vitruvio, p. 264 ss.) leggendo il passo vii, 5, 2 locis item signorum megalographiam habentes deorum simulacra, ecc. interpreta "grandi quadri di varî cicli mitologici o storici" collocati là dove ci si aspetterebbe una fila di statue (signa); oppure riproduzioni di quadri poste al luogo di statue, riprodotte anch'esse in pittura come se ne vedono in pitture pompeiane architettoniche. Ma soprattutto, restituendo in vii, 4, 4, la lezione melographia (da μηλογραϕία) e intendendola come termine vitruviano per "pitture di pomi e frutta", ritiene di risolvere una difficoltà (che in concreto non esiste), di trovare la "grande pittura" menzionata accanto alla "decorazione a leggere ghirlande" (coronario opere subtilis ornatus) che vengono entrambe dichiarate inadatte alla decorazione degli oscuri triclini invernali. Ma opus coronarium (cfr. Vitr., vii, 3, 4) significa in realtà lavoro di cornici a stucco e il passo viene a dire che in luoghi nei quali poteva abbondare il fumo e la fuliggine (ab ignis fumo et ab luminum crebris fuliginibus corrumpuntur) non si dovevano creare aggetti di cornici né porre decorazioni pittoriche figurate, ma solamente imitazioni di marmi lucidi e vòlte lisce. Resta comunque il fatto che il ternune m. si trova sicuramente accertato nel solo passo vii, 5, 2.
Bibl.: M. Rostovzev, in Röm. Mitt., XXVI, 1911, p. 140 ss.; G. Rodenwaldt, in Röm. Mitt., XXIX, 1914, p. 198 ss.; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923, vol. II, paragr. 883, 911 ss.,973 ss., 984; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XIV, 1928, c. 890, s. v. Malerei; Vitruvio, recensione, traduzione e note di S. Ferri, Roma 1960.