MEGASTRUTTURE EDILIZIE
La dimensione e la complessità dei problemi che investono la città contemporanea, lo sviluppo della tecnologia nonché la possibilità di coinvolgere i grandi mezzi finanziari hanno da tempo suggerito il ricorso a un'edilizia di grandi dimensioni e alla progettazione di infrastrutture su larga scala; le problematiche di un'organizzazione di massa e dei suoi insediamenti ad alta concentrazione, che comportano un inarrestabile consumo di suolo, l'aumento della mobilità e delle comunicazioni, la stessa accelerazione delle trasformazioni nei modi di abitare, di lavorare e di utilizzare il tempo libero, hanno spinto gli architetti a proporre l'adozione di megastrutture urbane e territoriali di forte impatto formale, controllate da una puntuale definizione progettuale.
Il termine ''megastruttura'', applicabile peraltro a qualunque grande costruzione, dalle più antiche (piramidi, acquedotti, cattedrali) alle più moderne (ponti, dighe, stadi), assume un uso corrente e peculiare dopo la metà degli anni Sessanta e per tutto il successivo decennio eliminando le espressioni consimili (megaforma, megacittà, macrostruttura, contenitore, ecc.), e focalizza su di sé e sui suoi articolati significati un intenso avvicendarsi di studi, progetti, nonché di entusiastiche profezie che si propongono di effettuare un controllo globale della città. Il recupero della globalità, giustamente contrapposto all'asfittica settorializzazione degli zoning monofunzionali elaborati dal movimento moderno, allarga la prospettiva degli interventi, e l'espressione ''nuova dimensione'', che sottintende la grande scala, entra nel linguaggio corrente della cultura architettonica.
I progetti sono numerosi ed espongono una molteplicità di forme accomunate da un'idea base: creare l'architettura del futuro, organismi edilizi caratterizzati da una prorompente immagine architettonica e realizzabili con le più avanzate tecnologie, quasi un'architettura della fantascienza, di volta in volta posata sul territorio come una collina artificiale (F. Maki), sull'acqua in continuità di un suolo ormai tutto occupato (K. Tange), sulla stessa città preesistente (Y. Friedman) o sulle rovine archeologiche della città contemporanea (A. Isozaki) e, nei casi estremi, sott'acqua o sotto il suolo (P. Maymont) o in un punto sempre diverso perché il complesso, vera gigantesca macchina architettonica, è dotato di mobilità (R. Herron e B. Harvey di Archigram). Gli esiti di questa stagione di studio e di proposte si avviano in due opposte direzioni: il primo punta verso la concreta realizzazione, e diffonde una poetica o un linguaggio formale megastrutturale presente e riconoscibile in molte architetture attuali; il secondo esaspera le tendenze utopiche più d'avanguardia, lasciando tuttavia sulla carta la maggior parte dei progetti. Oggi il termine ''megastruttura'', anche se non ha più quella presenza insistente che aveva nel dibattito architettonico degli anni Sessanta, continua a essere utilizzato correntemente per indicare un edificio o un complesso di edifici di grandi dimensioni, generalmente multifunzionale, caratterizzato dall'essere una forma-struttura articolata e compiuta, generata da un'idea-progetto unitaria, palesemente leggibile e destinata a costituire un ganglio urbano ad alta densità.
In genere è costituita da una struttura-sostegno con caratteri di permanenza, da elementi sottostrutturali agganciati alla precedente, subordinati e modificabili, e da reti di comunicazione contenute dentro gli elementi della struttura principale o appoggiate su di essa. I materiali impiegati e i procedimenti costruttivi appartengono alla frontiera più avanzata della tecnologia. La struttura di sostegno può essere espressa da solidi tubi di acciaio, oppure da possenti piloni e travature di luce gigantesca in cemento armato o, al contrario, da una trama di aste sottili leggera e trasparente; è concepita per una realizzazione modulare intrinsecamente ripetitiva e ampliabile, al tempo stesso aperta e finita, libera di configurarsi negli aggruppamenti delle sottostrutture presentati in una gamma di giochi aggregativi che differenziano un luogo particolare o una zona di dettaglio da un'altra, senza intaccare l'immagine d'insieme. Anche gli impianti, che generalmente rappresentano un fondamentale elemento di caratterizzazione, s'intrecciano, si scambiano e si compenetrano dentro e fuori le maglie strutturali. Le funzioni ospitate sono molteplici − al limite, tutte quelle di una città − e gli utenti, stabili o di passaggio, fermi o in movimento, sono in numero elevatissimo.
I grandi interventi che decollano a partire dagli anni Sessanta si collocano in genere all'esterno dell'area urbanizzata secondo il principio del massimo rispetto della città antica, nell'intento di costruire una ''espansione modello'' capace, nello stesso tempo, di decongestionare le aree centrali; vengono proposti cioè interventi alla grande scala che riguardano non soltanto quartieri residenziali ma anche centri urbani ad alta concentrazione terziaria.
Tra i tanti progetti di quegli anni, possiamo ricordare in Gran Bretagna il centro urbano di Cumbernauld di G. Copcutt (1960-67) e la New Town di Thamesmead (progetto del Greater London Council del 1967). In Italia si citano negli anni Sessanta-Settanta i centri direzionali e negli anni Settanta le nuove università, attraverso una lunga serie di concorsi. Tra i centri direzionali si segnalano l'Asse attrezzato di Roma che, dopo un'elaborazione di un quarto di secolo, si tentava ancora di avviare nel 1990 come Sistema Direzionale Orientale (SDO) e con l'intervento di K. Tange nella progettazione generale; ancora Tange è il progettista dei centri direzionali di Bologna (Piano per Bologna Nord e Fiera District, 1967-83) e di Napoli (planivolumetrico del 1982).
Generalmente anche gli interventi delle nuove università vengono letti come strutturazioni di città-territorio che riorganizzano tessuti urbani di periferia o di comuni contermini in un disegno unitario a grande scala. Si possono ricordare in Inghilterra gli esempi dell'East Anglia, a Norwich, di D. Lasdun, in Canada delle università di Toronto di J. Andrews (1964-65) e dell'Alberta di A. Diamond e B. Myers (1974), e in Germania dell'università libera di Berlino (Candilis, Josic, Woods, Schiedhelm, 1963-72). In Italia sono da ricordare i progetti di V. Gregotti per il concorso dell'università di Firenze (1972) e per l'università di Calabria a Rende-Cosenza (progetto 1974), nonché i nuovi dipartimenti dell'università di Palermo (1969-84), tutti contraddistinti da immagini forti che sottolineano il loro ruolo territoriale conferendo ai vari settori il carattere di frammento urbano. Nello stesso modo può leggersi la scuola superiore d'ingegneria a Marne La Vallée presso Parigi (1988), di D. Perrault, segnato dalla estesissima copertura monofalda in poliestere.
Gli interventi sui centri polifunzionali, nel porsi al di fuori della città consolidata, oltre ad aiutare le operazioni di decentramento, assolvono a una funzione di arricchimento dell'insediamento urbano esistente con strutture direttamente riferite al tempo libero e all'organizzazione commerciale.
Citiamo sinteticamente i grandi interventi dei villaggi o delle città olimpiche che, nel caso di Barcellona (Olimpiade 1992), hanno investito l'intera area urbana. Analogo sintetico riferimento alle Expo Universali, da quella entusiasticamente dichiarata megastrutturalistica di Montreal (1967), a quelle successive fino all'ultima di Siviglia (1992), i cui progetti di concorso (1986) disegnano oltre alla nuova struttura anche la sistemazione del dopo-Expo, con la creazione di un grande parco attrezzato. In tutti gli interventi di questo tipo, nonostante la grande dimensione, si rivela l'unità di concezione, l'atteggiamento innovativo radicalmente sperimentale nelle costruzioni, la preferenza accordata alla rapidità di esecuzione, nonché la definizione elastica, o addirittura labile, delle funzioni da ospitare; il comporre in grande determina infine una spiccata espressione di monumentalità direttamente sostenuta dalla tecnologia: grandi luci, grandi sbalzi, grandi coperture, ecc.
M. compiute e isolate sono da considerare i nuovi aeroporti progettati negli anni Ottanta: fra questi ricordiamo in particolare il nuovo aeroporto internazionale di Kansai-Osaka (progetto di R. Piano, 1988), il più grande del mondo, collocato su un'isola artificiale e collegato con tutto il Giappone tramite un sistema di aerei-navetta e di treni ad alta velocità, con un volume di traffico di decine di milioni di passeggeri l'anno.
Taluni degli interventi fin qui citati sono la realizzazione di concezioni maturate in anni precedenti e attualmente superate dallo sviluppo degli studi e del dibattito urbanistico-architettonico. In effetti, dalla seconda metà degli anni Settanta il concetto di ''espansione'' viene progressivamente sostituito dalle idee di ''riqualificazione urbana'' e di ''recupero del patrimonio edilizio esistente'', con conseguente arresto del consumo di nuovo suolo libero per la crescita delle periferie urbane. In quegli anni si abbandonava l'idea megastrutturale, subito collocata nella mitologia utopistica. Sembrava superata la febbre della ''nuova dimensione'' e s'insisteva sugli interventi interstiziali, sull'edilizia spontanea, sull'autocostruzione. In realtà gli stessi principi della riqualificazione urbana e del recupero, oltre a guidare gli interventi su singoli edifici o su comparti minimi del patrimonio edilizio esistente, hanno promosso la ricerca sul possibile riutilizzo delle aree industriali dismesse a causa della modifica dei processi produttivi. Il trasferimento di alcuni grandi impianti industriali presenti nel tessuto urbano lascia disponibile un patrimonio di grandi involucri e di ampie aree urbanizzate dotate di infrastrutture e servizi e poste a cerniera tra il nucleo storico e le espansioni più o meno recenti.
La riqualificazione urbana, scarsamente incisiva tramite interventi di piccole dimensioni, sembra svilupparsi in modo più efficace con la trasformazione di queste aree privilegiate, e consente d'impostare metodi nuovi rispetto all'urbanistica additiva e al piano zonizzato; non si cerca più la nuova città-modello, blocco isolato e contrapposto sul territorio, ma al contrario si vuole giungere, con una visione di ampio respiro, a una ricomposizione tra il contesto consolidato e il nuovo, attenti a una continuità, sia morfologica che di funzioni stratificate, capace di ricucire e ristrutturare anche una periferia senza forma e senza qualità. Proprio queste novità programmatiche e metodologiche privilegiano il controllo progettuale: il riammagliamento e la continuità dei caratteri preesistenti ispirano concezioni unitarie formalmente rilevanti e caratterizzate, che rendono labile la distinzione tra architettura e urbanistica.
La stessa ricerca funzionale cancella di colpo le remore contro la terziarizzazione, che rappresenta invece proprio l'elemento collante della stratificazione, della complessità urbana, portata fino in periferia. Anche l'intervento sul singolo isolato non sfugge a questa logica e accumula su di sé le stratificazioni della città consolidata e la complessità delle situazioni circostanti, rivalutando il costruito come testimonianza neoarcheologica di oggetti monumento da conservare, come involucri rivitalizzati da nuove funzioni urbane. Emblema del concetto di m. caratteristico degli anni Settanta è il Policlinico universitario di Aquisgrana (1969-82), un ''Beaubourg della salute'' nel quale l'aspetto funzionalista dell'organismo è portato all'esasperazione.
Ricordiamo inoltre il museo d'Orsay (1980-85) allestito da G. Aulenti dentro lo spazio di acciaio, vetro e pietra della Gare d'Orsay (1899-1900), e il concorso di idee per la riutilizzazione dello stabilimento Fiat-Lingotto di Torino (1984), in cui si cercavano nuove funzioni da organizzare e a cui si è risposto, più che con un elenco di attività possibili, con immagini architettoniche perfettamente definite. L'intromissione della tendenza megastrutturale nelle operazioni europee di recupero di vecchi luoghi dismessi ha il suo più significativo esempio nella realizzazione del Centro culturale d'arte Georges Pompidou e nell'annesso istituto musicale IRCAM, esteso nel sottosuolo, progettato da Piano e R. Rogers (1972-77) sull'area delle Halles di Parigi. In Italia, tra i tanti progetti di recupero di aree dismesse citiamo la Città della Tecnologia, estesa su 70 ha dell'area Bicocca (ex Pirelli) a Milano (1988), ideata da Gregotti in quattro grandi blocchi. In Inghilterra, di grande rilievo sono gli interventi lungo il Tamigi nell'operazione dei Docklands (1985-87) cui partecipano, tra gli altri, Rogers e C. Pelli.
L'utilizzazione di spazi ''interstiziali'' prevalentemente liberi s'incontra sia nel progetto Novoli-Fiat realizzato a Firenze (1987-88), ove una grande struttura terziaria e residenziale si erge in un parco di 18 ha (progettisti Halprin per il parco, e Rogers, di Salvo, Gabetti e Isola, Pellegrin, Mainardis, Birkets, Rossi, Erskine, Paoli, Ricci, per l'architettura), sia nel gigantesco ministero delle Finanze a Bercy, Parigi (1981-88), di P. Chemetov e B. Huidobro, vero ''grattacielo'' orizzontale con la forma di viadotto perpendicolare alla Senna, la cui ultima campata è di 70 m di luce, integrato da una trama di edifici a corte.
In altre situazioni le aree da recuperare non hanno la vasta estensione degli esempi citati e gli interventi devono assumere forme più compatte anche se variamente articolate in megacomplessi più o meno in verticali. Anche negli USA gli stessi grattacieli, m. ante litteram, tendono a non perseguire più la loro tipica monoliticità, ma piuttosto a sdoppiarsi e ad arricchirsi al suolo con edifici distribuiti intorno a spazi pedonali aperti-coperti. Citiamo, tra i tanti, la Sears Tower a Chicago (1984), attualmente l'edificio più alto del mondo, le torri gemelle del World Trade Center a New York (1976), di M. Yamasaki ed E. Roth, il World Financial Center a New York (1987), di Pelli, l'Allied Bank Towers a Dallas (1986), di M. Pei, e il Procter and Gamble General Office Complex a Cincinnati (1985), di Kohn Pederson Fox. Più vicini al linguaggio megastrutturale del centro Pompidou si segnalano la nuova sede dei Lloyd's a Londra (1978-86), di Rogers, anch'essa altamente flessibile e caratterizzata dal grandioso vuoto centrale dell'atrio alto più di 10 piani, e la sede della Hong Kong and Shangai Banking Corporation a Hong Kong (1979-86), di N. Foster Associates, grattacielo diviso in tre lastre di 28, 41 e 35 piani, sorretto da scenografiche macrointelaiature di acciaio controventate da possenti strutture diagonali; ancora a Hong Kong possiamo citare il Bond Centre (1989) di P. Rudolph, vecchio teorizzatore di m., costituito da due torri gemelle e da un basamento ove s'intrecciano e snodano vari percorsi selezionati su più livelli. M. assunta già a simbolo del 3° millennio è la Millenium Tower, in fase di progettazione da parte dello studio di N. Foster e Partners, che con i suoi 840 m di altezza s'innalzerà nella baia di Tokyo.
In contrasto con la verticalità del grattacielo, e avvicinandosi alle tesi megastrutturali di F. Maki della città collina, R. Meier propone una nuova via per costruire nella city rinunciando all'edificio unico monolitico ed elaborando una composizione di edifici multipli, di varia altezza, e intercalati da spazi liberi, come nel Bridgeport Center, Bridgeport, Connecticut (1984-89), e nel complesso museale del J.-Paul Getty Center a Los Angeles (1984-90).
Dagli esempi sopra riportati possiamo rilevare che la grande dimensione che aveva stimolato la fantascienza dei megastrutturalisti non perde la sua attualità ma soltanto la sua enfasi: ciò che appariva enorme nel 1960 forse oggi non fa più impressione ed è considerato normale. Molti architetti e studi professionali (Gregotti, Rogers, Piano, Ungers, Tange e tanti altri) producono correntemente architetture di dimensioni territoriali la cui forte immagine domina, con spontanea naturalezza, la grande scala, anche nelle operazioni di ricucitura interstiziale, di riassetto e di continuità tra il nuovo delle aree recuperate e la morfologia del contesto reintegrato, esplicitando la loro idea immagine di città. Non manca nemmeno il compiacimento delle splendide prospettive in cui organismi unitari competono con gli elementi naturali − profili orografici, fiumi, pareti boschive, ecc. − e segnano il territorio in un ''grande comporre''.
Parigi, senza impacci, aderisce a questi intenti con il suo programma dei Grands Projets, come testimonia la saga di m. raccolte dal concorso per la Biblioteca di Francia (1990) vinto da D. Perrault e ancora di più la Grande Arche de la Défense (1985-89) di O. von Spreckelsen, di 100 m di luce, in cui il discorso sulla flessibilità e la polifunzionalità diventa subordinato al valore di astratto simbolo architettonico. E in questo senso non è fuori luogo ricordare la rinata e ricca stagione dei parchi urbani e territoriali programmati in tutto il mondo: ricordiamo i grandi parchi di Bonn e Francoforte, di Barcellona e di Siviglia, e ancora, a Parigi, il parco della Villette (1983-87), di 30 ha, dotato di attrezzature singolari come la grande Halle (ex mattatoio), il museo della Scienza, il Geode (cinema a 180°), lo Zenith per concerti, e la Città della Musica.
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