CAFÀ (Caffà, Gafar, Cofà; a Malta chiamato solitamente Gafà), Melchiorre
Figlio di Marco e fratello minore di Lorenzo (1630-1710, importante architetto maltese), nacque secondo il Pascoli nel 1635, mentre, in base a un ritratto a disegno della collezione di Nicola Pio (oggi a Stoccolma, Museo nazionale; cfr. A. Clark, in Master Drawings, V [1967], p. 12), la data di nascita andrebbe anticipata al 1631; il luogo di nascita è molto probabilmente Vittoriosa nell'isola di Malta. In data non precisabile, anteriore comunque al 1660, il C. giunse a Roma dove inizialmente lavorò alle dipendenze di Ercole Ferrata; il 16 dic. 1660 (contratto con Camillo Pamphili) risulta per la prima volta indipendente. Il 27 agosto 1662 fu accolto nell'Accademia di S. Luca. Dal gennaio all'aprile del 1666 fece un viaggio a Malta. Eletto principe all'Accademia di S. Luca, rinunciò alla carica e per questo dovette pagare una multa tramite il suo amico Pietro del Po.
Mentre lavorava, nella fonderia di S. Pietro, ai modelli per l'altar maggiore di S. Giovanni di La Valletta, il C. fu ferito da un pezzo di modello, crollato, e morì nella settimana precedente il 10 sett. 1667 (è errata la data di morte 1680 o 1681 riferita da Pascoli e altri).
Sul già citato disegno con il suo ritratto della collezione di Nicola Pio il C. è definito "pictor, sculptor et architectus". In effetti, la qualifica di architetto ricorre di tanto in tanto; il Pascoli ricorda "alcuni disegni per alcuni altari", ma sicuramente suoi sono soltanto i progetti per il coro di S. Nicola di Bari a La Valletta, e per l'altar maggiore di S. Giovanni nella stessa città; mentre il progetto dell'altar maggiore della chiesa romana di S. Caterina a Magnanapoli gli è solo attribuito (Titi, p. 117). Invece la qualifica di pittore non è confermata; non si ha notizia, infatti, di opere pittoriche del Cafà. Va ricordata però l'amicizia, pare assai stretta, che lo legava a Giovanni Battista Gaulli.
L'importanza, notevolissima, del C. è nella sua attività di scultore. Egli può essere considerato la personalità più rilevante della generazione posteriore al Bernini, ma morì troppo giovane per raggiungere una posizione di primo piano e per poter esercitare un'azione determinante nello sviluppo della scultura italiana. Le sue opere sono concentrate nel breve spazio di tempo che va dal 1660 al 1667 e solo pochissime sono state portate a termine da lui stesso. Il suo maestro, Ercole Ferrata, gli aveva fatto conoscere lo stile dell'Algardi; ma ben più determinante fu per lui l'impressione suscitata dalle opere del Bernini: quel carattere che in esse è di definitivamente raggiunto fu certamente di grande importanza per il processo di maturazione del più giovane artista. Una volta convinto della validità dello stile ormai messo a punto, fu giocoforza per lui perfezionarlo fino al virtuosismo, ammorbidirlo, raffinarlo in termini estetizzanti. Perciò il C. non è "originale". Non c'è quasi opera sua che non si imposti su una formula suggerita dalla scultura precedente. E tuttavia egli ha manifestato una nuova concezione della scultura e un ordine espressivo nuovo nei confronti della generazione più vecchia. Il suo stile è nuovo. Visto in un più ampio contesto storico, esso ha una sua parte nel grande mutamento di stile e di gusto verificatosi nel terzo venticinquennio del sec. XVII e caratterizza quindi l'inizio del tardo barocco.
Secondo il Pascoli, il C. era soprattutto abile nello sbozzare, mentre non era padrone della tecnica, più lenta, della lavorazione del marmo. Lo stesso biografo pone l'accento sulla sua attività di disegnatore, attività che peraltro finora è poco conosciuta (disegni a Parigi, Darinstadt, Lipsia; nell'inventario dei beni di E. Ferrata, nel 1686, era registrato "un altro foglio con diversi schizzetti di div., cioè Maltese et altri": Golzio, 1935, p. 66).
Anche dopo aver cominciato a lavorare in proprio, il C. rimase fortemente legato alla bottega del Ferrata, nella quale pare che di quando in quando facesse lo sbozzatore. Lì, dopo la sua morte, venne a trovarsi la maggior parte del materiale artistico da lui lasciato e là vennero portate a termine le sue opere non finite. Il primo incarico indipendente di cui abbiamo notizia fa dato al C. nella fabbrica dei Pamphili a piazza Navona.
L'Algardi aveva progettato, anche per la chiesa pamphiliana di S. Agnese in Agone voluta da Innocenzo X, pale d'altare a rilievo anziché dipinte. Dopo la sua morte furono incaricati dell'esecuzione (luglio e dicembre 1660) per lo più suoi allievi, tra i quali il Ferrata e il C., in quanto allievo di quest'ultimo. Il contratto stipulato il 16 dic. 1660 tra Camillo Pamphili e il C. per il rilievo in marmo con Il martirio di s. Eustachio prevede un compenso di 1.000 scudi e un termine di due anni per la consegna (Eimer, p. 496 n. 172; Garms, doc. 54). Date le analogie con il rilievo dell'Incontro di s. Leone Magno e di Attila in S. Pietro, si può supporre che il C. abbia usato uno schizzo preliminare dell'Algardi.
Una prima idea compositiva è rappresentata dal bozzetto del museo di palazzo Venezia a Roma che, eseguito dal C. verosimilmente prima della data del contratto, è un eccellente esempio del suo modo di modellare. Fin da questa, la più antica delle opere conosciute, il C. va al di là del Ferrata, adottando il "sotto in su" illusionistico tipico dei rilievi berniniani. Nell'apparente sregolatezza del modellato, in cui muta continuamente il livello di proiezione, e nella dissoluzione dei nessi compositivi, si avverte in embrione una nuova concezione - che è tardo barocca - del rilievo. Una diversa interpretazione della figura del santo appare nel bozzetto dello Städtisches Museum di Francoforte, mentre un bozzetto della figura del figlio inginocchiato (asta Parke-Bernet, New York, 8 maggio 1971) corrisponde alla traduzione in marmo; un disegno per la stessa figura (in posizione invertita) è nella Stadtbibliothek di Lipsia (comunicazione di Jennifer Montagu); l'Ermitage di Leningrado possiede un bozzetto per uno dei leoni. Nel 1686, nell'inventario dei beni del Ferrata, si trovano, oltre a "un bassorilievo di creta con cornice di legno di Sant'Eustachio del Melchior…" (p. 70), "due bassi rilievi di Sant'Eustachio…", "un Sant'Eustacchio di creta cotta…" (p. 73), anche questi probabibnente del Cafà. Nel dicembre 1660 lo scultore cominciò a lavorare al "modello in grande" (pagamenti in acconto nel dicembre 1660, aprile e ottobre 1661), che fu collocato sull'altare in S. Agnese e vi rimase sino almeno al 1668. La traduzione in marmo si protrasse a causa del ritardato arrivo del materiale da Carrara e degli altri impegni, sempre più numerosi, del C. (pagamenti nel luglio 1665, luglio 1666; ispezione del rilievo da parte dell'"architetto di casa" Antonio del Grande nel settembre 1666; pagamenti nel dicembre 1666, gennaio 1667; sollecito dell'amministrazione Pamphili nel maggio 1667; incarico, il 27 ag. 1667 all'"architetto della fabbrica" Giovanni Maria Baratta di mettere altro marmo a disposizione del Cafà). Alla morte del C., all'inizio di settembre del 1667, era eseguita in marmo solo la figura del santo e due blocchi (corrispondenti probabilmente alla figura del figlio inginocchiato) erano abbozzati. Nell'intricatissima lite giudiziaria durata due anni tra l'amministrazione Pamphili e gli eredi del C., rappresentati dal "ricevitore dell'ordine di Malta a Roma" Verospi, il lavoro compiuto per il rilievo fu più volte stimato, fino a che da parte dei Pamphili fu designato come perito, il 22 dic. 1668, Ercole Ferrata e da parte degli eredi, nel gennaio 1669, Cosimo Fancelli. La "perizia" comune ebbe luogo sotto l'influsso di Pietro da Cortona (Roma, Arch. Doria Pamphili, Scaffi 90, n. 66) e le parti si accordarono il 19 sett. 1669. Nel frattempo il Ferrata e il de Rossi si erano impegnati, per 800 scudi, a proseguire l'esecuzione del rilievo (Eimer, p. 496 n. 172; Garms, doc. 86) che portarono a termine in forma ridotta e più grossolana, privandolo del significato espressivo del primo modello del Cafà.
Tra le prime opere del C. è anche una statua in legno della Madonna del Rosario nella chiesa di S. Domenico a Rabat, portata a Malta da Roma il 31 maggio 1661. La successiva opera datata è, nella chiesa di S. Agostino, il gruppo marmoreo raffigurante la Carità di s. Tommaso da Villanova per l'altare della cappella gentilizia fondata da Camillo Pamphili, costruzione satellite della fabbrica di S. Agnese (Nava Cellini, 1956, pp. 29 s. n. 14). Il contratto stipulato fra l'architetto G. M. Baratta e il C. (in data 25 ottobre 1663) lascia allo scultore la libertà di scegliere fra trasferire in marmo un preesistente "modello in grande" di autore ignoto o fare un nuovo progetto "in altra miglior forma". Il lavoro in marmo fu iniziato ma in seguito abbandonato e il progetto ci è noto da un'incisione dedicatoria di Pietro del Po per Camillo Pamphilii e da un bozzetto dello scultore ora nel museo di La Valletta (Nava Cellini, cit., tav. 12). Nell'inventario del Ferrata (p. 67) c'era "una Carità di creta cotta bozzetto del Sr. Melchiorre". La composizione, dalle molte figure, è rigorosamente aderente all'iconografia ufficiale chiesastica fissata in occasione della canonizzazione di s. Tommaso da Villanova.
La fonte diretta è la pala d'altare del Romanelli che fino al 1661 era stata nella cappella nello stesso luogo poi occupato dal gruppo. La figura del santo copia, invertendo la posizione, il "modello in grande" del S. Agostino della "cattedra" berniniana, collocato nell'aprile 1660 nell'abside di S. Pietro, mentre il gruppo della Carità rientra nell'ambito delle allegorie del Bernini ed è vicinissimo, nell'atteggiamento e nell'espressione, all'angelo della S. Teresa.Ilprogetto del C., che pure doveva adeguarsi all'architettura conservatrice del Baratta, trasforma in una vera e propria scena la funzione tradizionale della statua entro nicchia collocata sopra un altare. Questa moderna concezione scenica e l'introduzione della luce derivano da Pietro da Cortona (modello dell'altar maggiore di S. Giovanni dei Fiorentini a Roma) e dal Bernini. Le figure allungate, prive di peso, danno la misura del distacco del giovane artista dalle convenzioni formali fin allora vigenti nella statuaria e nello stesso tempo rivelano un nuovo modo di differenziare le espressioni psicologiche. Alla morte del C. la statua del santo era terminata, il gruppo della Carità era solo abbozzato. I lavori, valutati più volte assieme al rilievo incompiuto per S. Agnese, nel corso della controversia tra l'amministrazione Pamphili e gli eredi del C., vennero infine, dalla perizia di Ercole Ferrata e di Cosimo Fancelli (8 apr. 1669), stimati per 250 scudi. è incerto se a determinare la riduzione del progetto furono la morte di Camillo Pamphili nel luglio 1666 o anche quella del C. avvenuta nell'anno successivo. L'esecuzione in termini ridotti fu affidata nel 1669 a Ercole Ferrata che aggiunse alla statua del santo del C. il gruppo classicheggiante della Carità, forse su modello proprio, e lo terminò nel 1671.
Nel maggio 1665 l'ambasciatore dell'Ordine di Alalta a Roma, Caumons, chiese al C. di preparare modelli per il nuovo altar maggiore della chiesa di S. Giovanni a La Valletta; in questa commissione egli subentrava al Bernini, che era partito per la Francia, e a G. M. Baratta che non aveva potuto accettare perché sovraccarico di lavoro. L'11 sett. 1665 il C. inviò a Malta tre modelli e il giorno dopo il gran maestro l'invitava a recarsi a Atalta "per lasciare una degna memoria della sua virtù alla sua patria…" (Sammut, 1957, p. 134). Il C. giunse a Malta il 23 gennaio. Durante il soggiorno, per incarico della Sodalità delle anime purganti, fece un bozzetto per il coro di S. Nicola di Bari a La Valletta (pagato 58 scudi).
Il terzo progetto del C. per l'altar maggiore di S. Giovanni a La Valletta fu approvato dal Consiglio di Stato il 7 apr. 1666: "stimandolo più cospicuo, e di maggior decoro degli altri, come anco il più ricco, e più capriccioso d'inventione…" (ibid., p. 138).
Esso prevedeva un complesso architettonico di marmi preziosi, un gruppo in bronzo più grande del naturale rappresentante il Battesimo di Cristo con due angeli;sopra a questo uno Spirito Santo con angeli in gloria e, sulla mensa dell'altare, un rilievo con la Predica ola Decollazione del Battista.Dopo il suo ritorno a Roma, nell'aprile 1666, il C. si accinse a lavorare ai modelli nella fonderia di S. Pietro; alla sua morte erano più o meno terminati quelli del Cristo e del Battista. I lavori furono sospesi perché le spese per la fusione avrebbero superato di molto i preventivi. Solo dopo un nuovo concorso, il progetto fu realizzato dall'allievo Giuseppe Mazzuoli e dal fratello del C., Lorenzo (le sculture in marmo furono trasportate a Malta nel 1703 e poste in opera nel 1704).
Non ci è pervenuto il progetto del C., ma è presumibile che risentisse della cattedra del Bernini in S. Pietro, che proprio allora veniva eretta. In un bronzetto con il Battesimo di Cristo, diffuso in molti esemplari (Metropolitan Museum, New York, e altri musei), che un tempo era attribuito al C. e interpretato come una riduzione del gruppo dell'altare di S. Giovanni a La Valletta, si è di recente identificata un'opera dell'Algardi (O. Raggio, A. Algardi…, in Paragone, XXI [1971] 251, p. 34 n. 84; Montagu, 1972). Un altro bronzetto con il Battesimo di Cristo - recanteil nome del C. - che, passato un tempo nel mercato romano (Sestieri, Roma) è ora di ubicazione ignota, chiaramente non è fedele al progetto del gruppo monumentale di La Valletta.
L'altar maggiore di S. Maria in Campitelli (terminato prima del novembre 1667), ispirato alle logge delle reliquie e alla cattedra di S. Pietro del Bernini, la cui progettazione a torto viene attribuita al C., risale invece a un'idea di Carlo Rainaldi e a un progetto di Giovanni Antonio de Rossi (Spagnesi). Tuttavia il C. dovette avere nella genesi di questa opera una parte non tanto insignificante dal momento che eseguì il modello in creta (pagato, il 15 genn. 1667, scudi 18,90), mentre l'esecuzione plastica è dovuta per la maggior parte al Ferrata.
Nel 1667, per incarico del cardinal nipote Flavio Chigi, il C. modellò in terracotta il Busto diAlessandro VII (Ariccia, palazzo Chigi), uno dei più bei ritratti papali del secolo, fuso in bronzo, con stola dorata, da Giovanni Artusi (pagamento, 8 ag. 1667, in V. Golzio, Docum. …nell'Arch. Chigi, Roma 1939, p. 302; Siena, sacrestia del duomo; altri esemplari al Metropolitan Museum di New York e nella vendita R. Lepke, a Berlino, 28 apr. 1931). è probabilmente connessa con quest'opera "una testa di creta di Papa Alessandro VII" nell'inventario dei beni di E. Ferrata (p. 66).
Il ritratto di papa Chigi appartiene al tipo del "ritratto parlante" ideato dal Bernini, dal cui Busto di Alessandro VII, perduto, potrebbe forse dipendere quello del Cafà. Questo procede nella linea della resa illusionistica inaugurata dal Busto del cardinale Richelieu del Bernini, facendo coincidere con il limite del busto il bordo della mozzetta che, con il suo movimento, suggerisce il gesto del papa. Un modellato variatissimo serve a descrivere i tratti senili di Alessandro VII nell'ultimo periodo della sua vita. Per la naturalezza dell'espressione e per la profondità di penetrazione psicologica, l'opera si differenzia notevolmente dai ritratti della precedente generazione e appartiene, come le sculture religiose del C., a un nuovo ordine di espressione formale.
Non si conosce, finora, alcun documento relativo all'altar maggiore della chiesa delle domenicane di S. Caterina a Magnanapoli, eretto sotto la sopraintendenza del vescovo Ignazio Cianti. Il Titi (p. 117) attribuisce al C. il progetto di questo grande complesso che occupa tutta la parete del presbiterio.
Non sappiamo con certezza se i rilievi sulle pareti laterali del presbiterio, eseguiti nel sec. XVIII, fossero inclusi nel progetto originario (sono forse da collegare con "due bassi rilievi di cera di Melchiorre che rappresenta S.ta Rosa con la Mad.a" nell'inventario del Ferrata [p. 70], dove ancora si cita [p. 72] "un basso rilievo d'una S.ta Rosa di Melchiorre", e con il disegno dello stesso soggetto al Louvre di Parigi: Nava Cellini, 1956, ill.). Il rilievo sull'altar maggiore, con l'Estasi di s. Caterina da Siena, fudonato da una monaca del convento, Camilla Peretti, pronipote di Sisto V. Un modello in cera di questo tema è individuabile nell'inventario del Ferrata: "un basso rilievo di cera di Melchiorre che rappresenta S. Caterina" (p. 70). Un modello divergente solo in qualche particolare si trovava nella raccolta Crozat ed è conosciuto attraverso un'incisione di S.-F. Ravenet (cfr. P.-J. Mariette, Recueil d'estampes d'après les plus beaux tableaux et d'après les plus beaux dessins…, II, Paris 1742, p. 47, tav. CXVIII); questa versione è ripetuta in un busto reliquiario di s. Caterina che si trova nel museo di La Valletta. Due disegni del C. nel Landesmuseum di Darmstadt preparano la delicata figura della santa rapita in estasi, immagine paradigmatica del nuovo mondo di affetti. Nel rilievo, le figure in marmo bianco sono poste su uno sfondo di marmo colorato, come nelle logge delle reliquie del Bernini in S. Pietro. Ma qui il gruppo delle figure è meglio integrato con lo sfondo; analogamente alla S. Teresa del Bernini o al gruppo dell'Algardi sull'altar maggiore di S. Niccolò da Tolentino, esso è qualcosa di mezzo tra il rilievo e la scultura a tutto tondo ma, a differenza degli esempi citati, queste figure agiscono al di fuori della cornice, nello spazio. La caratteristica dello stile del C. è che da un'integrazione con il piano di fondo colorato nasce un nuovo mezzo artistico che partecipa dei modi del rilievo, della scultura a tutto tondo e della pittura.
Per incarico del rettore dell'Opera del duomo di Siena, il C. iniziò la statua in onore del grande papa senese del Medioevo, Alessandro III, in pendant a quella di Alessandro VII, eseguita da Antonio Raggi su disegno del Bernini. Anche quest'opera fu terminata, dopo la morte del C., dal Ferrata (lett. di questo al rettore del 29 ag. 1668; quietanza di pagam. definitivo, 20 marzo 1674, in S. Borghesi-L. Banchi, Nuovi doc. …, Siena 1898, p. 642). Non è chiara la parte avuta nell'opera da ciascuno dei due scultori. Un bozzetto che era un tempo nella collezione Barsanti a Roma (A. Muñoz, in Rass. d'arte, IV[1917], fig. a p. 139) è attribuibile al C. e può essere posto in relazione con la statua (Nava Cellini, 1956, p. 29 n. 12). Nel 1686. è documentato, nell'inventario del Ferrata (p. 72), "un modello d'un Papa di creta cotta di Melchiorre". La statua del C. è esemplata su quelle dell'Algardi (Innocenzo X)e del Bernini (Urbano VIII)nel palazzo dei Conservatori sul Campidoglio; tuttavia lo stile dei modelli si trasforma in un ritmo compositivo asimmetrico, instabile, mutevole, indicativo del nuovo stile del Cafà.
Per i domenicani di Lima, nel Perù, il C. scolpì il gruppo in marmo di S. Rosada Lima morente, "l'opera principale e la più stimata che sia stata fatta da lui" (Pascoli).
La commissione deve essere stata data molto prima della beatificazione avvenuta il 15 apr. 1668, otto mesi dopo la morte del Cafà. L'iscrizione "M. C. Malitenses faciebat Roma A. de 1669" indica però che l'opera fu terminata solo dopo la scomparsa dello scultore. Giunta il 15 giugno dell'anno 1670 nel porto di Callao, venne collocata sulla tomba della santa nella chiesa di S. Domenico a Lima. Essa costituisce una precoce trasposizione in scultura del tema, assai ricorrente nella pittura, della "santa morte"; precedendo di alcuni anni la celebre B. Ludovica Albertoni del Bernini in S. Francesco a Ripa che sembra anzi abbia subito l'influsso della S. Rosa. Un bozzetto, frammentario, del C. nel museo di palazzo Venezia a Roma dimostra che l'opera non segue affatto la tradizione della S. Cecilia di S. Maderno, bensì sviluppa, con le novità stilistiche ormai consuete al C., il motivo a due figure della S. Teresa del Bernini (versioni in bronzo lievemente differenti in una collezione privata romana e, un tempo, mi una di Berlino; forse è da collegare a quest'opera uno dei bassorilievi "con S. Rosa" nell'inventario del Ferrata, già citati a proposito della S. Caterina di Magnanapoli).Una statua di S. Paolo in legno, nella chiesa parrocchiale di La Valletta, fu ordinata a Roma da Paolo Testaferrata e portata poi a Malta. La composizione del C. è ripetuta in una statuetta di legno che il Ferrata regalò attorno al 1677 alla chiesa parrocchiale del suo paese nativo, Pellio Inferiore; nell'inventario dei beni del Ferrata figurano (p. 71) "una figurina di S. Pavolo di Melchiorre in gesso" e un "San Pavolo di gesso del Melchiorre". Il C. fece i bozzetti di due statue per la facciata di S. Andrea della Valle: due bozzetti in creta per il S. Andrea (Leningrado, Ermitage) sono già citati sotto il nome del C. nel catalogo della collezione Farsetti e in effetti gli si possono attribuire per motivi stilistici. Lo stesso dicasi per i due bozzetti per il S. Pietro Avellino (Leningrado, Ermitage). Ambedue le statue della facciata sono state eseguite, più rozzamente, nella bottega del Ferrata e perciò sono registrate nelle guide sotto il nome di questo.
è stilisticamente vicina ad esse una statuetta in creta di S. Giovanni Battista nel museo di palazzo Venezia a Roma. Anche questa è replicata in una statuetta di legno facente parte della serie donata dal Ferrata alla parrocchiale di Pellio Inferiore, oltre che in una statua in stucco situata nell'ambulacro del coro di S. Carlo al Corso a Roma. Affinità stilistiche si riscontrano anche nelle due statuette policrome di Martiri nel museo di La Valletta e nei due disegni relativi della Stadtbibliothek di Lipsia (comunicazione di Jennifer Montagu). Una statuetta in terracotta di S. Agostino nel convento di S. Agostino a Roma (modello per una statua di marmo in S. Maria in Campo Santo, Roma) è attribuita al C. (Nava Cellini, 1956), ma in base a rapporti non ben definiti. La composizione è vicinissima ai modelli berniniani per il S. Agostino della cattedra di S. Pietro e mostra qualche somiglianza con la statua del B. Sauli di Pierre Puget in S. Maria di Carignano a Genova. Vengono assegnate al C. (Latt, 1964) anche le statuette in terracotta raffiguranti Giustizia, Carità e Clemenza romana nel Museo dell'Ermitage a Leningrado, una piccola placca ottagonale in bronzo rappresentante S. Rosa con la Madonna nel parlatorio annesso alla sagrestia di S. Maria della Scala a Roma (Nava Cellini, 1956), un piccolo bronzo raffigurante Cristo portacroce, nel museo di palazzo Venezia a Roma (Preimesberger, 1969), che è forse connesso con un "Christo del calvario di Melchiorre di cera" o con "il cavo del Cristo al m.te Calvario", registrati nell'inventario del Ferrata, e infine un piccolo Busto di Alessandro VII in bronzo, del Kunsthistorisches Museum di Vienna (Schlosser, 1910), che è comunque anteriore al 1659.
Nell'inventario delle sculture nella bottega del Ferrata figurano ancora all'anno 1686 "di Melchiorre", oltre ai pezzi che sono stati ricordati all'interno della voce: "una maschera di creta d'una Vecchia" (p. 68), "un basso rilievo d'un Angelo di gesso" (p. 70), "un Tritone di cera", "un altro angelino", "un busto di creta di un soldato", "un bozzetto d'una figurina che guarda un sepolcro", "una Fede di creta cotta… sopra un piedestallo", "un bozzetto d'una carrozza" (p. 71), "una Madonna di cera indorata…", "una Madonna da sette dolori di creta cotta…", "un puttino di cera…", "un basso rilievo di gesso" (p. 72), "una Santa di creta cotta…" (p. 73), "un basso rilievo di gesso della Natività…", "una figurina di gesso" (p. 74).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Doria-Pamphili, scaffale 90, n. 66; bancone 94, nn. 1, 4; filze Mandati 1661-1667/1668; Archivio di Stato di Roma, Notai A. C.(Hieronimus Simencellus), voll. 6679, 6696, 6728, 6729; La Valletta, Royal Malta Library, Archives of the Order of Malta, Liber conciliorum status, voll. 261, 262; Correspondence, voll.1284, 1285, 1441; Rabat, Archivio Domenicano: P. F. M. Azzopardo, Descritt. delli tre conventi che l'ordine dei Predic. tiene nell'isola di Malta (ms., sec. XVII); V. Golzio, Lo "studio" di Ercole Ferrata, in Archivi d'Italia, II(1935), pp. 66-74 passim;G.Eimer, La Fabbrica di S. Agnese in Navona, II, Stockholm 1971, pp. 496, 499, 532; J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria-Pamphilj zur Kunsttätigkeit in Rom unter Innozenz X., Rom-Wien 1972, docc. 54, 86, 253, 749, 918; Bibl. Apostolica Vaticana, cod. Capponi 257: N. Pio, Le vite di pittori scultori et architetti…(ms., 1724), p. 154; F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura…, Roma 1674 (v. anche le edizioni successive con diverso titolo, oltre alle altre guide di Roma); P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 285; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, I, Roma 1730, pp. 256-258; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno…, V, Firenze 1847, p. 391; C. Erra, Storia dell'immagine e chiesa di S. Maria in Portico di Campitelli, Roma 1750, p. 58; K. H. von Heinecken, Dict. des artistes, dont nous avons des estampes, III, Leipzig: 1789, p. 484; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca…, Roma 1923, p. 123; S. Ticozzi, Diz. degli architetti, scultori, pittori, I, Milano 1830, pp. 244 s.; G. K. Nagler, Neues allgemeines Künstlerlexikon, II, Leipzig 1835, p. 332; I. Dumesnil, Histoire des plus célebres amateurs français et de leurs relations avec les artistes, I, Paris 1858, p. 79; A. Ferris, Descrizione storica delle chiese di Malta e Gozo, Malta 1866; F. Reiset, Notice des dessins, cartons… exposés… au Musée national du Louvre, I, Paris 1866, p. LXXIV; L. Marracci, Memorie di S. Maria in Portico ora Campitelli, Roma 1870, p. 43; A. Bartsch, Le peintre graveur, XX, Leipzig 1870, p. 252; J. von Schlosser, Werke der Kleinplastik in der Skulpturensammlung des österreich. Kaiserhauses, I, Wien 1910, p. 15; A. E. Brinckmann, Barockskulptur, II, Berlin-Neubabelsberg 1919, p. 268; Id., Barock-Bozzetti, I, Frankfurt 1923, pp. 116 s.; II, ibid. 1924, pp. 92, 94; L. Planiscig, Die Bronzeplastiken, Wien 1924, n. 293; R. Wittkower, Eine Bronzegruppe des M. C., in Zeitschrift für bildende Kunst, LXII (1928-1929), pp. 227-231; W. Hager, Die Ehrenstatuen der Päpste, Leipzig 1929, p. 25; F. Ferraironi, S. Maria in Campitelli, Roma 1934, p. 47; V. Bonello, La chiesa di S. Giovanni, qualche precisazione, in La Diocesi di Malta, Malta 1934, p. 8; T. H. Fokker, Roman baroque art, I, Oxford 1938, p. 262; L. Bruhns, Das Motiv der ewigen Anbetung in der römischen Grabplastik des 16., 17. und 18. Jahrhunderts, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, IV(1940), pp. 358 s.; A. Riccoboni, Roma nell'arte. La scultura nell'evo moderno, Roma 1942, pp. 225 s.; I. Galea, IlParrocca ta' San Pawl, Malta 1944, p. 17; J. Fleming, A note on M. C., in The Burlington Magazine, LXXXIX(1947), pp. 85-89; A. Santangelo, Museo di Palazzo Venezia: Catalogo delle sculture, Roma 1954, pp. 83 s., 88, 91; H. Scicluna, The church of St. John in Valletta, Roma 1955, pp. 157-159; V. Martinelli, Capolavori noti e ignoti del Bernini, in Studi romani, III (1955), genn.-febbr., p. 52; A. Nava Cellini, Contributi a M. C., in Paragone, VII(1956), 83, pp. 17-31; R. Jürgens, Die Entwicklung des Barockaltars in Rom (tesi), Hamburg 1956, pp. 111 s., 123, 206-208; V. Martinelli, in IlSeicento Europeo. Catalogo della Mostra, Roma 1956, pp. 259 s.; E. Sammut, M. Gafà. Maltese scuiptor of the Baroque. Further biographical Notes, in Scientia, XXIII(1957), pp. 117-139; R. Wittkower, M. C's Bust of Alexander VII, in The Metropolitan Museum of Art Bulletin, XVII(1959), pp. 197-204; E. Sammut, A bozzetto by M. C. for the church of St. John, Valetta, in Annales de l'Ordre souverain militaire de Malte, luglio-settembre 1960, pp. 27-30; G. Spagnesi, Giovoini Antonio De Rossi architetto romano, Roma 1964, pp. 119 s., 132, 237 s.; L. I. Latt, Melchior Kaffá i ego proizvedenia v Ermitaze, in TrudyGozudarstvennogo Ermitaza, VIII(1964), pp. 61-83; R. Wittkower, G. L. Bernini. The Sculptor of the Roman Baroque, London 1966, pp. 242 s.; R. Preimesberger, Ein Bozzetto M. Cs., in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXII(1969), pp. 178-183; G. Bergsträsser, Un dessin inconnu de M. C., in Revue de l'art, 1969, 6, pp. 88 s.; J. Montagu, Le Baptème du Christ d'Alessandro Algardi, in Revue de l'art, 1972, 15, pp. 64-78; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 347.