DALLA BRIGA (Della Briga), Melchiorre
Nacque a Cesena (Forli) il 1° ott. 1686. Mancano notizie sia sulla famiglia sia sulle vicende della sua vita fino al 30 ott. 1701, quando entrò come novizio nella provincia romana della Compagnia di Gesù; ebbe comunque una sorella, che secondo lo Zaccaria alla sua morte rimase in possesso di uno dei suoi inediti (la dissertazione De vero Rubicone, sull'esatta individuazione del fiume varcato da Cesare), e forse anche di vari altri. Le tappe della formazione culturale e religiosa del D. si possono seguire quasi con periodicità annua, anche se solo nelle linee di larga massima, nei Catalogi annui e triennali della provincia romana conservati nell'Archivio romano della Compagnia di Gesù, dai quali risulta che dopo l'ingresso nella Compagnia egli effettuò a Roma l'intero corso degli studi superiori. Nel 1711, dopo aver completato il quinquennio di studi retorici e filosofici, si trovava nel Collegio Romano della Compagnia dove insegnava, da tre anni, grammatica e umanità nel triennio secondario inferiore; nel 1714 proseguiva quell'insegnamento, frequentando nel contempo il secondo anno del corso di teologia, ed era, indicato come atto "ad docendam linguam ebraicam, philosophiam" e letteratur a. Tra queste materie le due prime sono sintomatiche, fornendo elementi utili a capire la gamma successiva dei suoi interventi culturali; fino al 1712 nel Collegio Romano furono entrambe insegnate da G. B. Tolomei, modernizzatore (sia pur cauto) della didattica entro l'Ordine, che anche dopo quell'anno (in cui fu elevato alla porpora) risiedette nel Collegio, seguitando a promuovere gli studi. Va poi ricordato che nello stesso periodo personalità come A. Baldigiani e (dal 1710) O. Borgondio innovarono la trattazione di matematica, meccanica e astronomia, pur mantenendola formalmente aristotelica. Tutti questi docenti influenzarono fortemente il D.; in particolare il Tolomei lo mise in rapporto con la tradizione egittologica costituitasi entro la Compagnia con l'attività di A. Kircher, la quale, se era stata tratta ad esiti spesso fantasiosi e arbitrari dal suo interesse per aspetti simbolico-esoterici, non era priva di elementi potenzialmente validi in una prospettiva critica. Ne è già prova il primo scritto edito dal D., svolto a interpretare l'iscrizione geroglifica della cintura d'una statua egizia dei palazzi capitolini e dedicato al Tolomei (Fascia isiaca statuae capitolinae nunc primum in lucem edita, s. I. né d. [ma Roma 1716]).
Si tratta d'un semplice foglio volante che reca alla sommità, disposta orizzontalmente, l'iscrizione, e sotto, disposte in otto colonne verticali, l'analisi in singoli segni, la comparazione con altri monumenti e diverse proposte interpretative, compresa una lettura secondo il metodo del Kircher. Una ulteriore lettura, effettuata dal D., dà all'iscrizione un significato mistico-astronomico, e ciò individua una direzione d'indagine, quella della spiegazione in chiave iniziatica di elementi filosofico-scientifici di culture trascorse, lungo la quale continuerà. a muoversi anche in altri scritti. Le proposte della Fascia ebbero una discreta eco, ad esempio nei Mémoires. di Trévoux (1721, pp. 1851-1858) e negli Acta eruditorum (1722, p. 536), ed essa non doveva essere che il preludio d'una vasta opera di "illustrazione delle più recondite antichità egizie" (come scriveva il Giorn.. de' lett. d'Italia, XXXVIII [1727], 1, p. 45). Il Mazzuchelli asserì che il D. aveva già approntate le incisioni relative agli oggetti egizi'più importanti delle collezioni medicee, ma, se anche giunse al termine, l'opera non fu pubblicata; ciò avverrà per diversi altri scritti dell'autore, del quale lo stesso Giorn. de' lett. d'Italia (p. 315) dirà che non sapeva "ridursi a pubblicare le sue opere": l'unico inedito consistente oggi noto è un De vulgari rerum naturalium harmonia (Modena, Autografoteca Campori, n. 1088). Il D. tornerà comunque sulla statua capitolina in una lettera del 1723 a G.. B. Braschi (stampata da questo nella sua Ecphrasis iconographica de tribus statuis in romano Capitolio erectis, Romae 1724, p. 201; cfr. Acta eruditorum, 1731, pp. 516-522).
Il giovane autore s'impose piuttosto sollecitamente all'attenzione dei circoli colti; nel 1717 10 si trova già socio della colonia arcade di Cesena col nome emblematico di Pamelio Egizio, ed è documentata una .sua attività poetica: già anteriormente al 1715, nella sua Naumachia, il confratello N. P. Giannettasio ricorda con lode un suo poema sugli strumenti per musica (Opera omnia, I, Neapoli 1715, p. 20), e ad esso il D. si riferirà in una lettera del 1748 a Lagomarsini, dicendolo non pronto per la stampa. Dal 1717 al 1719 egli fu docente di filosofia nel collegio "Cicognini" di Prato, per passare poi nel collegio fiorentino dell'Ordine, incaricato di insegnarvi sia filosofia sia matematica; sono questi gli anni centrali del suo itinerario religioso (professò i quattro voti nel febbraio 1721) e culturale, in cui emerge chiaramente una sua posizione entro il dibattito filosofico contemporaneo, e particolarmente toscano. In quest'ultimo agivano, oltre a collegi gesuitici come quelli di Prato, Firenze e Siena, istituti laici come le università di Pisa e Siena e il ridotto Studio fiorentino, oltre ad accademie e cenacoli privati eredi per vari tramiti della tradizione galileiana: in questi atenei e circoli laici, a fine Seicento, erano penetrate filosofie come quelle di Cartesio e Gassendi, innestatesi sul tronco galileiano determinando esiti antiscolastici e talora materialistico-libertini. Questo complessivo movimento intellettuale si era avuto nonostante il rigore controriformistico del granducato di Cosimo III (1660-1723), e l'Ordine gesuitico tese a vedervi una minaccia per la sintesi culturale cui affidava la difesa dottrinale del cattolicesimo; così il D. si trovò tra i protagonisti d'una sorta di reazione ideologica ai gruppi in. novativi. L'occasione per l'intervento gli iu offerta dall'edizione fiorentina del poemetto Philosophia novo-antiqua dei confratello Tommaso Ceva, divenuto in pochi anni quasi il testo emblematico dell'atteggiamento dei gruppi più evoluti entro la Compagnia (Philósophia novo - antiqua Thomae Cevae Soc. Iesu postremo ab auctore recognita, Florentiae 1723), a meno che, com'è probabile, non fosse stato lo stesso D. a promuoverla.
L'edizione fu realizzata nell'occasione della discussione di tesi filosofiche, ispirate alle idee del Ceva, da parte d'un allievo del D., Corso Ricci, che figurò anche come prefatore del poemetto; in realtà la prefazione era dovuta al maestro, ed in un inciso solo apparentemente marginale deplorava l'abbandono, in talune sedi didattiche non specificate, delle o Peripateticae disciplinae, ..., quarum telis Ecclesia Catholica adversus haereses felicissime decertavit". L'inciso parve particolarmente rivolto ai docenti pisani (circolò anzi la voce che A. M. Salvini, censore alle stampe, avesse cancellato nella prefazione un accenno esplicito in tal senso), dal cui ambiente giunse una pronta replica con la Q. LuciiAlphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiae novo-antiquae R. P. Thomae Cevae cum notis Iani Valerii Pansii, Augustoduni 1724. Nonostante sue ripetute e formali smentite, anche in lettere agli stessi Ceva e D., e qualche iniziale sospetto su Pascasio Giannetti, professore a Pisa di filosofia, i contemporanei identificarono l'autore dei versi e delle note nel padre camaldolese Guido Grandi, docente di matematica nell'università, e tale attribuzione si è da allora consolidata, nonostante che ancora nel 1750 la smentisse F. A. Zaccaria, che fornì una ricostruzione della vicenda dal punto di vista dei gesuiti. Una versione "laica" si ebbe invece nelle anonime Memorie per servire alla vita del p. abate G. Grandi (Massa 1742, pp. XIII ss.), e tutti i testi della polemica furono poi ristampati all'inizio della prima parte d'una Raccolta di composizioni diverse sopra alcune controversie letterarie insorte nella Toscana nel corrente secolo, apparsa anch'essa anonima e senza luogo di stampa nel 1761. Nella Diacrisis la polemica toccò toni forti: il misterioso Lucio Alfeo scrisse che nella loro ansia di combattere i docenti pisani i gesuiti erano giunti a diffamarli presso il granduca, e attribuì a un docente di filosofia nel collegio della Compagnia a Firenze (che era evidentemente lo stesso D.) forme pregiudiziali e risibili d'opposizione allo sperimentalismo. Dopo gli accennati contatti epistolari con il Grandi (la Bibl. universitaria di Pisa conserva nel ms. 86 diciannove lettere del gesuita a Grandi, e nel ms. 98 una di questo a lui), il D. scrisse una risposta alla Diacrisis in quattro libri (menzionata anche nella lettera suddetta al Lagomarsini), che però i superiori gli impedirono di pubblicare; la polemica quindi si esaurì (dopo pochi anni tra gesuiti fiorentini e docenti pisani vi saranno nuovi momenti di forte contrapposizione, ma il D. vi resterà, almeno apparentemente, estraneo); tuttavia egli ribadì la sua linea conciliativa tra pensiero classico e moderno in alcune operette che come la Philosophia dei Ceva, secondo una procedura frequente nelle pubblicazioni dei gesuiti, fece apparire sotto forma di tesi dovute a suoi studenti e da questi discusse pubblicamente: Philosophiae veteris ac novae concordia et utilitas illustrata ac publice propugnata a Philippo Gondi patritio florentino, Florentiae 1725 (rec. in Giorn. de' letter. d'Italia, XXXVIII [1727], 1, pp. 312-315); Philosophiae veteris ac novae Theses concordes a Cosmo Maria Galileo patritio florentino publice propugnandae, ibid. 1725; Philosophiae veteris ac novae placita selecta, ibid. 1725; Philosophorum veterum ac recentiorum consensus latens in apparenti dissensu... illustratus et propugnatus a Petro Lazari ..., ibid. 1727 (il Lazari che discusse la tesi è il futuro gesuita e professore di storia ecclesiastica nel Collegio Romano); Novarum ac veterum philosophicarum hypothesium usus et veritas ... a Iosepho Maria Tartini ... in Florentino Collegio ... propugnata, ibid. 1729. Tutti questi scritti, assieme ad alcuni altri astronomici di cui si farà cenno, furono poi raccolti dalt'autore in un unico volume privo di note tipografiche, che fu quasi un'edizione privata ad uso dei collegi e perciò è ora difficilmente reperibile (come, d'altronde, i singoli scritti): Novae ac veteris philosophiae harmonia variis exercitationibus discipulorum P. Melchioris a Briga e Societate Iesu in Collegio Florentino eiusdem Societatis illustrata ac publice propugnata.
Nel 1729 0 1730 il D. passò a insegnare teologia scolastica nel collegio senese di S. Vigilio, e a Siena restò fino alla morte. Il trasferimento di sede e di cattedra non mutò i suoi interessi, anche se dedicò due scritti alla nuova disciplina affidatagli (Theologiae dogmaticae, polemicae, scholasticae, Theses concordes de Sacramentis, Romae 1731 e Concordia theologicorum dogmatum et problematum de Deo... a Thoma M. Squarci patritio senensi... publice propugnanda..., Senis 1734); estendendo gli studi giovanili sulla civiltà egizia divenne presto, già dal 1725, un punto di confluenza della vasta congerie di informazioni affluente dalle missioni della Compagnia, in particolare da quelle cinesi. La sua attenzione continuò a vertere sulla cultura religioso-filosofica e scientifica (soprattutto astronomica), vista come chiave d'accesso ad un sapere recondito capace di talune convergenze col cattolicesimo ortodosso. Tre suoi scritti degli anni fiorentini, editi con la formula consueta di tesi affidate ad alunni e originati anche dal suo incarico di doc.ente di matematica, si erano collocati tra l'indagine astronomica in senso tecnico e la ricostruzione storica di antiche cosmologie: Theses physico-mathematicae de planetarum systemate iuxta astronomica Aegyptiorum dogmata a I. D. Baldigiani publice propugnandae, Florentiae 1721; Sphaerae geographicae paradoxa, ibid. 1721; Elenchus priorum investigationum Veneris planetae... expositus ab auditoribus scholarum superiorum..., ibid. 1727. Se mostrano le preoccupazioni apologeticoreligiose del D., e la sua fedeltà al quadro aristotelico-tolomaico, presentano però anche un'indubbia familiarità con la tradizione ed i progressi tecnici recenti dell'astronoMia, e provano che la caratterizzazione antiscientifica del suo insegnamento offerta dal Grandi nella Diacrisis era un'amplificazione polemica. La corrispondenza del D. coi confratelli in Cina è da considerare perduta, a parte l'estratto d'una lunga e importante relazione inviatagli dal p. J. H. Prémare sulla filosofia e religione dei Cinesi e sui valori simbolici della loro scrittura, dovuto forse al gesuita J. F. Fouquet e conservato nella Biblioteca Vaticana (cod. Borg. lat. 565, ff. 612-613 v); diversamente però da quelli egizi, gli interessi del D. per la Cina approdarono ad un risultato organico, che fu la Scientia Eclipsium ex Imperio, et Commercio Sinarum illustrata, pubblicata tra Roma e Lucca dal 1744 al 1747.
L'opera è distinta in quattro parti, legate in un solo volume ma corredate ciascuna di titolo, dedica e introduzione specifici. La prima parte, stampata a Roma nel 1744, fu inviata nel 1738al D. dall'autore, G. F. Simonelli, visitatore delle missioni dell'Ordine in Cina, e riguarda la teoria astronomica ed ottica delle eclissi. La seconda, dovuta al p. Ignazio Kögler, direttore dell'osservatorio imperiale di Pechino, fu stampata a Lucca nel 1745e presenta varie osservazioni di eclissi e di congiunzioni planetarie effettuate in quell'osservatorio. La terza parte, sulla propagazione delle eclissi sulla superficie terrestre, e la quarta, sulle tecniche per la loro previsione e osservazione, stampate entrambe a Lucca nel 1747 (data in cui fu anche pubblicato l'intero volume), sono dello stesso D., che curò anche le altre corredandole di tavole e dati integrativi. Nel suo complesso la vasta opera appare una sintesi qualificata dello stato delle conoscenze contemporanee sull'argomento; l'astronomia del D. vi risulta depurata dagli elementi eterogenei che l'avevano contrassegnata, e nella dedica della terza parte ricorre l'immagine galileiana dei due libri divini, la Scrittura e il cosmo. La stessa cosmologia tolemaica non viene ripudiata ma neppure posta esplicitamente a base della teoria delle eclissi, la quale si fonda piuttosto su elementi osservativi invarianti tra essa e quella copernicana. Così la Analizzazione religiosa dell'operare scientifico sopravvive in un senso prevalentemente esterno rispetto ai concetti che quello impiega, venendo intesa come sua utilità per la penetrazione missionaria; il lavoro personale. del D., infine, consiste soprattutto nella costruzione di numerose tavole relative ai tempi e alle zone delle eclissi, ed appare senz'altro quantitativamente imponente.
Il D. morì a Siena il 25 giugno dell'anno 1749.
Fonti e Bibl.: Come già osservato, il carteggio, e gli inediti, sono da ritenere dispersi: la citata lettera al Lagomarsini, del 27 ott. 1748, è in Bibl. Ap. Vaticana, cod. Vat. lat. 11.702, c. 326rv; quattordici dirette a F. Bianchini sono a Roma, Bibl, Vallicelliana, ms. U. 15, cc. 297 ss.; un'altra a ignoto è in Livorno, Bibl. Labronica, Autografoteca Bastogi, 18, 2308. Tra gli scrittori contemporanei che menzionano il D. si può ricordare anche F. Bianchini, Hesperi et Phosphori nova phaenomena, Romàe 1728, cap. V. Scarsi e pocoapprofonditi i contributi documentari e critici: oltre i Mémoires di Trévoux, aprile 1748, pp. 916-918, e le Novelle letter. di Firenze, IX (1748), coll. 503-507, cfr. F. A. Zaccaria, Storia letter. d'Italia, I, Venezia 1750, pp. 327-339; G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium, II, Florentiae 1748, p. 260; G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2091 ss.; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, II, Bruxelles-Paris 1891, coll. 161-164 (che è però inesatto quanto ai titoli delle parti della Scientia Eclipsium); A. M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, Roma 1977, p. 206.