DELFICO, Melchiorre
Nacque il 1° ag. 1744 a Leognano, in mandamento di Montorio al Vomano, provincia di Abruzzo Ultra Primo (oggi di Teramo) da Berardo e da Margherita Civico.
In quell'anno, mentre era in corso la guerra di successione austriaca, la famiglia Delfico - fedele alla casa Borbone - si era trasferita a Leognano, castello baronale dei Civico, per sfuggire alle truppe austriache che, dopo aver occupato lo Stato della Chiesa, avevano passato il confine del Regno. Tale atteggiamento, in dissenso con la posizione della Municipalità teramana, avrebbe poi procurato ai Delfico tangibili segni di riconoscimento della Corona, tra cui l'attribuzione al piccolo D. del titolo di alfiere. "Ma questi non se ne valse, ché debole di costituzione fu avviato non alla carriera militare ma alla ecclesiastica, indossandone l'abito fino al 25° anno" (G. Pannella, Opere complete di M. Delfico, I, p. IX).
La precoce morte della madre dovette contribuire a che nel 1755 il D., insieme con i due fratelli Giovanni Berardino e Giovanni Filippo, fosse inviato a Napoli per progredire negli studi ed affidato in special modo alle cure di A. Genovesi per le discipline filosofiche ed economiche, a G. Rossi per le belle lettere, a P. Ferrigno per la giurisprudenza e ad A. S. Mazzocchi per l'archeologia.
I suoi primi scritti sono due Memorie di carattere giuridico-diplomatico, Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di Benevento (di cui si conservano le minute tra le Carte M. Delfico dell'Arch. di Stato di Teramo) ed Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di Ascoli (pubbl. in Opere complete, III, pp. 11-80), commissionategli d'ordine regio dall'avvocato della Corona Ferdinando De Leon, che intendeva servirsene nella contrattazione della pace tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa nel tempo delle contese giurisdizionali insorte per l'editto di Parma (1768-69).
Al termine degli studi di diritto pubblico e di diplomatica, il giovane D. era dunque già addentro negli ingranaggi del giurisdizionalismo militante anticurialista ed introdotto nei circoli politici della capitale. In quell'anno stesso tornava a Teramo affetto da emottisi. Maturerà nel periodo immediatamente successivo le proprie scelte intellettuali, spogliando l'abito clericale e pubblicando nel 1774 il Saggio filosofico sul matrimonio, anonimo e senza indicazione di luogo, primo documento della sua "illuminazione". Accennerà alla propria emancipazione dalla cultura tradizionale vantandosi tributario di Locke e di Condillac. Sarà tra i maggiori esponenti del sensismo tardosettecentesco italiano.
Il Saggio, che investiva un tema cui il D. era assai sensibile e che avrebbe in anni tardi ripreso in un discorso ricco di implicazioni pedagogiche, incappò nelle maglie della censura. A nulla valse che egli rivendicasse la "moralità" dello scritto, energicamente perorativo dell'istituto matrimoniale e delle libertà nel suo ambito contro ogni pratica di libertinismo, poiché si trattava pur sempre di moralità manifestamente laica e naturalistica, ciò che non era passato inosservato ai custodi della cultura tradizionale: la curia del vescovo aprutino e l'assessore provinciale Paolillo. La Congregazione romana dell'Indice farà porre il Saggio nell'Indice dei libri proibiti con decreto del 10 genn. 1776.
L'anno successivo (1775), erano i suoi Indizj di morale ad essere colpiti dalla censura, che ne arrestava la stampa e promuoveva il sequestro presso il tipografo mentre il libro era ancora sotto i torchi. Il D. chiedeva inutilmente la revoca del provvedimento e la prosecuzione della stampa, sostenendo che la sua operetta, di filosofia morale, esulava dai regolamenti censori riservati ai libri di teologia quanto alla pubblicità di autore ed editore, che egli intendeva ancora una volta occultare.
Con gli Indizj di morale il D.tentava un primo sforzo per elaborare un sia pur sommario apparato filosofico, che egli utilizzerà in seguito anche come operatore politico. Intendeva al tempo stesso introdurre nel circuito intellettuale napoletano i più validi fermenti del sensismo europeo, non senza organicità con la matrice genovesiana, di cui risultano sviluppati alcuni elementi più caratteristici e significativi. Una ripresa ed approfondimento dei temi filosofici impostati in questo periodo avverrà al termine degli impegni ministeriali di età napoleonica, senza tuttavia in nulla modificare l'impianto empirista e sensista che il D. continuerà anche in anni tardi a ritenere a sé più confacente.
Dopo le censure ai primi scritti filosofici, certa "processura per la fuga delle monache di S. Matteo" fu occasione per un nuovo e più grave confronto con le autorità della provincia: il vescovo L. M. Pirelli e l'assessore Giacinto Dragonetti. La questione assumeva notevole rilevanza dal momento in cui erano denunciati istigatori delle monache alla insubordinazione alcuni laici indicati come "li capi settarj di questa Città [Teramo]", i quali si pretendeva costituissero nel capoluogo una vera e propria "setta di miscredenti". Vi si individuavano, oltre al D., Giamberardino Thaulero, Andrea Sardella e Berardo Quartapelle: era in sostanza il gruppo intellettuale illuminista e laico che aveva nel D. il personaggio di maggior spicco. La vicenda giudiziaria, iniziatasi nel 1777, si sarebbe conclusa con un indulto, ma non prima del 1781, costringendo gli imputati ad una lunga latitanza. Il D. trovò asilo in Napoli presso S. Agostino della Zecca.
Il conflitto allora apertosi tra i laici municipalisti di Teramo ed il vescovo Pirelli avrebbe costituito un polo di tensione costante nella vita municipale fino alla rivoluzione del '99, coinvolgendo, sia pure in forma diversa, i fratelli Melchiorre e Giovanni Berardino nella breve vicenda repubblicana.
Questo soggiorno napoletano giovò al D. per rinsaldare legami con personalità influenti nella politica, quali i fratelli De Gennaro - rispettivamente Antonio duca di Belforte e Domenico duca di Cantalupo -, i Mazzocchi - con il quale il D. era imparentato per il matrimonio del fratello Giovanni Berardino -, i Grimaldi, G. Filangieri, M. Torcia, che avrebbero presto determinato, avvenuta la sua riabilitazione, la nomina ad assessore militare della provincia e quindi il distacco a Napoli presso il Supremo Consiglio delle finanze. In quest'organo ministeriale di nuovo conio il D. verrà incanalando tutta la propria attività di riformatore economista durante l'aureo decennio che allora si apriva e che aveva nel Consiglio, organo riformatore per eccellenza, un principale centro di propulsione. È anche documentata in questi anni la sua adesione ai circoli massonici che venivano prendendo piede a Napoli e che avevano in Filangieri un fervente adepto (loggia dell'Arenella). È in questa sede che si stabilisce il duraturo legame - di cui resta carteggio - con il danese Federico Münter.
In sostegno di un'ordinanza ministeriale del 25 genn. 1782 il D. pubblicava un Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale (Teramo 1782) intrinsecamente interessante per il ruolo "civile" assegnato a un ceto militare di carriera, ma anche utile al D. per ristabilire con il governo un rapporto di fiducia compromesso dalle censure degli ultimi anni. L'apprezzamento ministeriale di J. F. Acton non tardava a manifestarsi nella nomina (20 giugno 1783) ad assessore militare della provincia di Teramo che, se non poteva dirsi al D. congeniale, costituiva pur sempre l'ambito ingresso nell'amministrazione.
L'impegno del D. si volgeva ormai alla elaborazione di analisi economiche sui territori della sua provincia, intese a promuovere riforme con una serie di proposte avanzate al governo, che nel loro assieme prevedevano una radicale trasformazione dell'assetto socioeconomico e agrario-proprietario provinciale: dall'abolizione del regime pastorale transumante ad una messa a coltura della fascia adriatica in regime asciutto e variato; perorando la trasformazione della proprietà (defeudalizzazione ed ampia lottizzazione), la liberalizzazione dei traffici - interni e transregionali con l'Italia settentrionale -, l'incentivazione della importante industria delle ceramica di Castelli, una sostanziale innovazione delle infrastrutture viarie.
Nel 1783 appare a Napoli la Memoria sulla coltivazione del riso nella provincia di Teramo, prima della serie di proposte elaborate negli anni immediatamente successivi.
Il D. vi perorava la definitiva abolizione delle persistenti privative già feudali, proponendo criteri atti ad incrementare la produzione e lo smercio di questa risorsa che riteneva provvidenziale all'economia della provincia, sia pure nel rispetto delle distanze legali e facendo spazio ad accorgimenti filantropici. Sosteneva inoltre l'esigenza di liberalizzare il commercio del riso con le regioni superiori, che questo prodotto assorbivano in massima parte.
Sono state di recente ricostruite le vicende che avrebbero provocato - ma solo nel 1831 - la definitiva abolizione della risicoltura nella provincia di Teramo, facendo spazio al ruolo assunto a più riprese dai fratelli Delfico in tale vicenda, nella quale si configura un momento saliente della defeudalizzazione e trasformazione agraria provinciale. Consta che l'atteggiamento del D. - e del fratello Giovanni Berardino - mutasse radicalmente prima del 1788, abbracciando la tesi della radicale abolizione per far posto ad una agricoltura asciutta e di rotazione, analoga a quella praticata nella vicina Marca ascolana. Si è ipotizzato che il mutamento di disposizioni si colleghi alla parallela iniziativa di abolizione del regime di pastorizia transumante, tesa allo svincolo degli estesi territori provinciali detti dei "Regi Stucchi", da restituire alla libera agricoltura padronale. Il D. sarebbe quindi nuovamente intervenuto nel 1817, sollecitando da Napoli l'indagine Chiaverini-Covelli intesa a stabilire se la risicoltura - che continuava ad estesamente praticarsi - non provocasse grave insalubrità nei territori, ed ottenendo una nuova interdizione. Infine, nel 1830 il D. combatterà con successo e con esiti definitivi il recente espandersi in provincia della coltura del cosidetto "riso secco cinese" (cfr. V. Clemente, Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane (1711-1831), Roma 1984).
Altra interessante analisi territoriale - ma per sé non destinata alla pubblicazione né finalizzata ad obbiettivo politico immediato - è in una Relazione geografica-economica del tratto di paese dal Fortore al Tronto (datata 7 ott. 1784, ora edita in V. Clemente, Rinascenza..., pp. 167-172), indirizzata a M. Torcia che gliene aveva fatto richiesta presumibilmente per la redazione del suo Etat de la navigation nationale... (1784). La relazione del D. utilizzava almeno in parte le osservazioni fatte in un viaggio di ritorno da Napoli attraverso la Daunia del dicembre precedente, in cui il Torcia lo aveva accompagnato sino a Foggia. Tra i numerosi spunti di analisi, interessa segnalare l'aspra denuncia della depressione demografica ed economica prodotta dai regimi territoriali (Tavoliere) e feudali: temi che il D. avrebbe presto approfondito in maggiori campagne di riforma.
La morte di F. A. Grimaldi all'inizio del 1784 impegnò il D. in una commemorazione dell'amico: l'Elogio del march. F. A. Grimaldi... (Napoli 1784).
Dall'inizio di luglio 1785 il D., nuovamente a Napoli, sollecitò una assunzione stabile presso il Consiglio delle Finanze. Trascorrerà a Napoli un intenso triennio senza peraltro ottenere l'atteso impiego, ma continuando intanto a sollecitare riforme e a praticare l'ambiente ministeriale. Appariva intanto la Memoria sul tribunal della Grascia e sulle leggi economiche delle provincie confinanti del Regno (Napoli 1785), di notevolissima qualità ed ampiezza di argomentazioni.
Indirizzata al sovrano, la Memoria presenta, all'interno di un involucro economicistico, una struttura perorativa storico-giuridica d'impronta giannoniana. In essa è interessante la rivalutazione delle "antiche libertà italiche" sulle quali si erano fondate le ricche comunità mercantili preromane della provincia, che il colonialismo romano avrebbe in seguito spento. Il quarto capitolo, intitolato "Della libera esportazione delle derrate e degli animali", ha l'autonomia di un trattatello teorico in difesa della libertà di commercio e costituisce una prima messa a punto del suo pensiero economico in senso liberista con aperto e precoce riferimento al Trattato della ricchezza di Adam Smith, ed assunzione della tesi secondo cui "il primo produttore è senza fallo la libertà". Nel Fondo M. Delfico della Bibl. provinciale di Teramo si trova un inedito Supplemento alla Memoria su la Grascia per rapporto alla estrazione degli animali vaccini presumibilmente prodotto dal D. durante l'iter ministeriale di questa riforma, in sviluppo di un oggetto particolare ma di maggiore importanza economica, con riferimento all'annona di Napoli.
In esito alla iniziativa il D. ottenne l'abolizione della "Grascia", ma il risultato fu sostanzialmente vanificato dalle sorde resistenze degli amministratori, cui lo smantellamento era stato affidato e che mantenevano un positivo interesse alla sua sopravvivenza.
Nei primi mesi del 1787 il D. avviava attraverso il Consiglio delle Finanze altra iniziativa riformistica di maggiore portata, intesa a modificare il regime fiscale dei "Regi Stucchi" e "Poste d'Atri" ampiamente insediato nelle province marittime d'Abruzzo, quasi in continuazione del regime del Tavoliere di Puglia, a vantaggio della pastorizia transumante delle regioni montane, cui tali territori rimanevano vincolati dal marzo al settembre ad esclusione di ogni coltura o impiantazione. Si trattava, come per la risicoltura, di operazione di amplissima portata provinciale, dal momento che essa si proponeva il recupero della fascia collinare e marittima della provincia alla libera agricoltura padronale; e con non meno ampie ripercussioni regionali, investendo la pastorizia.
Nota in base ad una Memoria per l'abolizione o moderazione della servitù del pascolo invernale detta de' Regj Stucchi, s.n.t. (ma Napoli 1791), sappiamo oggi che questa non è che la punta emergente di un dibattito protrattosi per oltre tre lustri: dibattito che può meglio qualificarsi nei suoi tempi e sviluppi sulla scorta dei ricchi materiali ministeriali rinvenuti tra le Carte M. Delfico (ora raccolti ed elaborati in V. Clemente, Cronache della defeudalizzazione ...).
Nel 1786 il D. aveva esordito chiedendo che fosse consentito - a suo dire a vantaggio della stessa pastorizia - l'impiantazione di ulivi da parte dei proprietari dei terreni soggetti allo "Stucco" e alle "Poste d'Atri".
La richiesta provocò resistenze potenti da parte di quel corpo d'amministrazione fiscale che subito vide messa in questione la propria sussistenza: una relazione dell'amministratore generale C. Rustici (1788) conteneva una sorda requisitoria contro i Delfico, accusati di voler cancellare un'attività che si diceva perfettamente complementare a quelle agrarie dei ricchi territori costieri. L'abolizione avrebbe fatalmente prodotto la morte delle povere comunità montane. Sappiamo che la linea dei Delfico venne chiarendosi in direzione dell'abolizione totale, ed a favore dell'allevamento stanziale. La venuta del consigliere N. Codronchi negli Abruzzi (settembre 1788) dovette anche servire ad una inchiesta sulla controversia degli "Stucchi", e di questa si trattò nell'incontro che il Codronchi ebbe a Chieti con il Delfico. Più importanti furono comunque le trattative intervenute a Chieti nel settembre 1793 tra lo stesso D., il caporuota Mastellone della locale Udienza, e il nuovo amministratore generale L. Rivera, intese ad elaborare un "trattato di accomodamento". Non essendo stata raggiunta un'intesa, l'intera questione ritornava ai grandi tribunali napoletani e il D., che era riuscito in un primo momento (1788) ad ottenere che sui terreni degli "Stucchi" potessero piantarsi gli ulivi, dovrà in seguito ritenersi soddisfatto di avere impedito una riconfinazione della topografia degli "Stucchi", secondo la proposta del Rivera, da cui si sarebbero a stento salvate le immediate pertinenze delle Università asservite. La crisi politica degli anni '90 avrebbe prodotto la paralisi ministeriale anche di questa iniziativa, che il D. avrebbe poi ripreso e compiuto immediatamente dopo il suo ritorno dall'esilio sammarinese, nel 1806. La legge per l'abolizione dei "Regi Stucchi", in vigore dall'8 maggio 1807, avrebbe costituito un'altra rilevante tappa della trasformazione proprietaria nella provincia in senso "borghese".
Nel 1787 il D. aveva anche pubblicato a Napoli una Memoria sulla necessità di rendere uniformi i pesi, e le misure del Regno ... cuisi aggiungono gli ordini e le istruzioni date da Ferdinando I di Aragona sullo stesso soggetto. Interveniva poi nel dibattito sul regime del Tavoliere di Puglia con un Discorso sul Tavoliere di Puglia e su la necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma (Napoli 1788).
Le vicende settecentesche del grande feudo d'Atri - in concreto, la devoluzione per estinzione della dinastia ducale degli Acquaviva (1757) e, in un secondo momento, l'assunzione del complesso atriano devoluto nell'amministrazione regia-allodiale - sono visibilmente al centro dell'ampio movimento di riassetto provinciale che faceva capo alle iniziative del D. e che dava slancio al movimento "borghese" locale: tanto nella questione delle risaie atriane quanto in quella degli "Stucchi" e "Poste d'Atri" era in prospettiva un riassetto agricolo e fondiario dei territori del basso Abruzzo già appartenuti al grande feudo, nel quadro di un'ampia riorganizzazione della provincia. Ed in tale quadro prendeva infine le mosse la più ambiziosa proposta riformatrice del D., che partendo dalla necessità di contrastare la minacciata rifeudalizzazione del complesso atriano giungeva a far varare una ipotesi di progressiva defeudalizzazione nel Regno.
Nel 1788 l'allodiale d'Atri aveva corso serio rischio di essere rivenduto in feudo agli Acquaviva di Conversano, ciò che avrebbe certo provocato una strozzatura del fermento riformatore germinato sulla ipotesi del riaccorpamento provinciale. Tra le Carte M. Delfico si è rintracciata una patetica istanza dell'Università di Atri - presumibilmente redatta dal D. - intesa ad impedire che la città subisse la diminutio di una rifeudalizzazione: l'Università di Atri offriva di riscattarsi "in demanio" a proprie spese, conforme al precedente di Teramo nel 1522 (v. V. Clemente, Rinascenza..., pp. 200-206). Con una anonima Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri - stampatapoi a Napoli nel 1788 "una col Real dispaccio d'approvazione" - il D. riusciva a stornare la vendita in feudo e ad ottenere che la Giunta degli allodiali promuovesse una vendita "in burgensatico" secondo le modalità suggerite nella Memoria. Tali modalità avrebbero in seguito fornito al D. il modello per la vendita di tutti i "devoluti" del Regno "in burgensatico" per lotti ed all'asta - con aste da espletarsi in provincia - nell'operetta dal titolo: Riflessioni su la vendita dei feudi (Napoli 1790).
In margine alle maggiori iniziative, il D. si faceva portavoce di istanze più specificamente provinciali, perorando con successo (1786-87) la restituzione a Teramo del tribunale collegiato di cui la provincia era stata privata per il suo atteggiamento austriacante del 1744. Non otteneva invece la istituzione di una "piccola Università di Studj" ad indirizzo fisico per Teramo (1788-1790).
Si congedava da Napoli nel giugno 1788 non senza delusione ed amarezza per non aver conseguito lo stabile inserimento nell'alto apparato finanziario del ministero, che gli era stato promesso dall'Acton tre anni prima. Aveva intanto visto delusa l'attesa a succedere a G. Palmieri come amministratore generale delle Dogane della provincia di Lecce (1787) e sconcertata la "visita economica" nelle Calabrie, nella quale era già stato designato - insieme al duca di Cantalupo ed al principe di Sirignano - con incombenze di convisitatore e segretario. Questa commissione avrebbe potuto individuare soluzioni ai persistenti problemi di riassetto dopo il terremoto dell'83.
Il ritorno a Teramo avveniva in un momento particolarmente felice della vita intellettuale della provincia, verso la quale il D. richiamava l'attenzione di studiosi viaggiatori quali Spallanzani, Cermelli, Torcia, Fortis, ecc. Accompagnando il Torcia in una escursione ai territori interni della provincia ed in una esplorazione al Gran Sasso (luglio 1788), il D. aveva occasione di soggiornare a Castelli, sede di antiche e rinomate produzioni di maioliche, costituenti peraltro uno dei principali introiti del bilancio provinciale per esserne il prodotto destinato nella maggior parte alla esportazione sui mercati di Senigallia e di Ancona, anche per via marittima, dai caricatoi atriani di Calvano e Giulianova. Trovava questa industria in profonda crisi, specie per effetto dei gravami feudali e fiscali cui le produzioni erano sottoposte. Ne redigeva una Memoria sulle majoliche dei Castelli indirizzata a F. Corradini, direttore del Consiglio delle Finanze (ora edita in V. Clemente, Rinascenza..., pp. 222 ss.), contenente una approfondita analisi delle condizioni e gravami che provocavano la decadenza di questa industria. Per essa chiedeva fra l'altro dal governo un deciso sgravio d'imposte - soprattutto pedaggi e dogane, che finivano per moltiplicare il prezzo di un prodotto quasi tutto da esportare - ottenendo alla sua richiesta esito positivo con decr. min. del 5 giugno 1789.
All'inizio del novembre 1788 il D. partiva per Pavia ad accompagnarvi il nipote Orazio che si recava a compiere gli studi in questa università. Avrebbe soggiornato a Pavia fino al giugno successivo, salvo tre visite a Milano tra il dicembre 1788 e l'aprile '89; quindi fu a Verona, Vicenza, Padova, Venezia e Ferrara, rientrando a Teramo nel novembre '89.
Della determinazione ed organizzazione di questo soggiorno il D. era eminentemente debitore all'amicizia con il naturalista vicentino abate Alberto Fortis - figura caratteristica ed interessante di scienziato-viaggiatore dell'epoca - amicizia che si fa risalire alla fine degli anni '70, quando il Fortis si era recato a Napoli attraverso gli Abruzzi soggiornando presso i Delfico in Atri (Fortis celebrò quell'incontro dedicando al D. un libretto di Versi d'amore e di amicizia, Vicenza 1780). L'amicizia con il D. si sarebbe mantenuta viva per oltre un venticinquennio anche attraverso una assidua corrispondenza che, continuata fino alla morte del Fortis (1803), costituisce un'impareggiabile raccolta di notizie, giudizi politici, riferimenti personali e familiari (il corpus di queste lettere, in numero di oltre 200, è depositato presso la Biblioteca governativa della Repubblica di San Marino). Singolare influenza il Fortis esercitò nell'inserimento del D. nella "repubblica delle lettere" italiana: se ne riscontrano ampie risonanze nell'accoglienza riservatagli durante il viaggio dell'88-'89 negli ambienti accademici e politici delle città settentrionali, in specie a Bologna, Padova, Milano e Venezia. Il D. dovette tra l'altro all'interessamento dell'intraprendente amico una serie di segnalazioni dei propri scritti in periodici settentrionali e d'Oltralpe (il Fortis redigeva con S. de Ossuna il Giornale enciclopedico di Vicenza, poi il Nuovo Giornale d'Italia e le Notizie letterarie di Cesena).
I due anni che seguirono furono particolarmente densi ed importanti, caratterizzati da iniziative ora dirette ad oggetti più generali di riforma dello Stato: tale era quella per la vendita dei "feudi devoluti", già per sé finalizzata ad una riforma del sistema proprietario, ad un più equo sistema tributario e ad un sostanziale allentamento del contenzioso giudiziario - nota piaga del Regno -; tale l'impegno a denunciare la gravità della crisi del sistema giudiziario napoletano, promuovendo una riforma. E questo avveniva in un momento politico sempre più fortemente alterato e orientato alla reazione.
L'oggetto delle Riflessioni su la vendita dei feudi (Napoli 1790) è intenzionalmente circoscritto al caso dei "devoluti", cioè dei feudi rientrati in demanio per il venir meno degli aventi diritto alla successione feudale. Il D. vi combatteva l'istituto feudale nell'ultima sua roccaforte, rivendicando al sovrano la inalienabilità della giurisdizione. Si manifestava poi contrario a che l'amministrazione dei territori rientrati in demanio fosse affidata a "corpi fiscali" ("il Principe è … per sua natura inadatto alle conduzioni territoriali"); e portava il discorso alla conclusione che la rivendita degli allodiali poteva risolversi sotto tutti gli aspetti in utile per la nazione, per lo Stato e per l'erario, solo qualora si fosse effettuata "in burgensatico", abolendo tutte le peculiarità - prerogative e limiti - proprie del titolo feudale. Tra le pagine più interessanti, quelle in perorazione della libera proprietà privata: vi si pongono in stretta "reciprocanza" costituzione economica e costituzione politica, sostenendo anche il vantaggio civile della "moltiplicazione dei proprietarj". Da una tale riorganizzazione iI D. faceva poi derivare la "diminuzione delle liti", cioè del contenzioso giudiziario e la base per una riforma tributaria fondata sulla tassazione dei beni usciti dalla condizione feudale, in alleviamento delle aggravatissime "Università".
Il tema della giurisdizione esercitata dai baroni sulle loro terre assume grande rilevanza nella campagna antifeudale del D., che ne tratta anche in un Breve saggio sull'importanza di abolire la giurisdizione feudale, e sul modo (databile tra il 1790 e il '91), indirizzato al Supremo Consiglio delle Finanze, importante non solo nel quadro della polemica di quegli anni contro i "baronisti" ma anche per una rivendicazione della inalienabilità della giurisdizione che attinge alle dottrine contrattualiste, e comunque ad una libertà civile di nuova concezione (cfr. V. Clemente, Rinascenza..., pp. 327-336, ed appendice, in cui il Breve saggio sull'importanza di abolire la giurisdizione feudale è stato ora pubblicato).
Tra il 1793 ed il '94 vendite di territori dello Stato d'Atri ebbero luogo: il fatto ha grande interesse perché anticipa le date canoniche della defeudalizzazione fondiaria, e non solo in provincia di Teramo. In margine a tali vendite, il D. sperò di ottenere compensi economici per il decennio di attività ministeriale esplicato senza ruolo stabile né stipendio, e richiese, ma senza effetto, il titolo di conte di Giulianova (S. Flaviano) ed alcuni immobili in questo paese (1794). Nel 1797 tornerà a richiedere un beneficio costituito dalla badia di S. Maria di Propezzano - anch'esso liberatosi nel disfarsi del patrimonio acquaviviano -, di nuovo senza esito.
Rientrato a Napoli nell'estate 1790 e qui stabilitosi per tutto il '91, il D. elaborò le Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e dei suoi cultori (Napoli 1791; Firenze 1796; Napoli 1815), tra le sue opere più note, anche per la singolarità di una perorazione che porta all'estremo limite gli umori di tutta una tradizione antiromanistica del secolo. Ma l'obiettivo è decisamente politico: soprattutto la parte terza delle Ricerche ..., impegnata ad analizzare la funzione della giurisprudenza presso i Romani, è quella che più direttamente tratta l'assunto della riforma dell'amministrazione giudiziaria. Tale oggetto, discusso a Napoli nel 1790, dava al D. occasione per intervenire - presumibilmente presso il Consiglio delle Finanze - con una Memoria contro l'aumento dei soldi ai magistrati (in V. Clemente, Rinascenza..., pp. 394 ss.).
In essa il D. contrastava vigorosamente la richiesta corporativa di un apparato, "... che piuttosto d'un ufficio politico, che dovrebbe portare i caratteri d'uguaglianza, rassomiglia ad una classe d'artisti", con "soldi" proporzionati ad un rango tutto arbitrario. Il D. contrapponeva la prospettiva di una riforma generale ispirata ad una concezione di burocrazia e di amministrazione che si accosta ai criteri della riorganizzazione napoleonica (pubblico servizio, anzianità, merito).
Rientrato a Teramo sul finire del 1791, non sarebbe tornato a Napoli che nel '94 per un ultimo soggiorno di lavoro (questioni degli "Stucchi" e delle vendite allodiali), assai sofferto nel clima ormai ostile e pericoloso dei primi processi per reità di Stato: ne ripartirà con la ferma determinazione a non più tornarvi finché non fosse ristabilita una condizione politica adatta alla ripresa del movimento di riforme.
L'atteggiamento verso gli avvenimenti di Francia, inizialmente assai euforico in una prospettiva tutta regia-costituzionale, si sarebbe in seguito chiarito in una netta presa di distanza dalla "sanguinaria degenerazione democratica" di quella rivoluzione. E dopo aver auspicato che la rivoluzione di Francia fosse lasciata libera di decantarsi a suo modo, manifesterà poi aperte riserve nei confronti della politica di destabilizzazione europea di Napoleone, e di certe frettolose entusiastiche adesioni italiane. Di fatto, l'attenzione del D. resta molto concretamente aderente alla realtà italiana, per la quale ritiene necessario il mantenimento della pace con una politica di neutralità.
Cade in un momento di totale alienazione dalla politica napoletana un viaggio del D. a Roma ed in Toscana, nel 1795-96. Al rientro in provincia, il 26 maggio 1796, solleciterà senza successo il ministro Acton "per essere impiegato nella negoziazione della pace con la Francia" dopo la disfatta delle forze della coalizione. Il governo torna invece ad impiegarlo nella "penosa e vagante incombenza" di nuovi arruolamenti di volontari per la provincia e degli approvvigionamenti necessari agli acquartieramenti del cordone militare che si disponeva su questa frontiera.
Due inedite memorie, segnalate tra le Carte M. Delfico, con il titolo di Memoria intorno a' danni sofferti nella provincia di Teramo dalla cattiva monetazione dello Stato pontificio, e de' mezzi opportuni da ripararli (1797) e Osservazioni su la nuova monetazione dello Stato papale per rapporto al commercio delle provincie confinanti del Regno (1797) e già segnalate da G. De Filippis Delfico (Della vita e delle opere..., Teramo 1836, p. 118) forniscono la prima indicazione di un incidente monetario di una certa gravità verificatosi nelle province confinarie del Regno con lo Stato pontificio tra il 1796 ed il '98, alla cui soluzione il D., richiesto di consulenza dal Consiglio delle Finanze, avrebbe dato un apporto determinante per arginare e riparare le ripercussioni nel Regno.
Nelle province confinarie del Regno si era verificata una preoccupante fuga di moneta argentea, che veniva rimpiazzata con moneta divisionale pontificia di nessun valore intrinseco e in rapido processo di svalutazione. Era stato il D. a denunciare il preoccupante fenomeno al Consiglio delle Finanze e quindi ad indicare le misure per porvi riparo, consistenti in primo luogo nel rifornire le province di monete divisionarie del Regno in modo da sovvenire in proprio alle necessità del commercio minuto, rivedendo in secondo luogo i rapporti di cambio ed i tipi di monete cui consentire l'accesso; attento tuttavia ad impedire che fossero pregiudicate le ragioni e le necessità dei commercio con lo Stato vicino (su tutta la questione cfr. Arch. di Stato di Teramo, Antica Presidenza, fasc. "Napoli e Teramo, 1797 - Real dispaccio circa la estrazione della buona moneta di Regno, che si fà negli Apruzzi per lo Stato Pontificio, introducendosi moneta di rame, di cc. ss. n° 78").
Nel marzo 1797 il D. spediva al ministro Acton una Memoria per la decima imposta al Regno (ms. nella Bibl. prov. di Teramo, Fondo Delfico, Misc. di cose economiche), in cui indicava un metodo più giusto e conveniente per l'esazione della nuova imposta. La risposta di generico gradimento dell'Acton era sollecita, ma non risulta che la proposta fosse oggetto di alcuna effettiva attenzione.
In riconoscimento delle attività di reclutamento esplicate in questo periodo, il D. fu insignito nell'agosto 1797 della croce di cavaliere dell'Ordine costantiniano. All'inizio del 1798 venne nominato "portulano" di Teramo, con mansioni di polizia urbana in un momento reso difficile, sotto il profilo igienico-sanitario e degli approvvigionamenti, per esser la città divenuta sede del comando militare e centro di reclutamento ed addestramento. Un risentimento personale del comandante duca della Salandra provocò, in seguito ad una perquisizione, gli arresti domiciliari dei fratelli Delfico nella casa di Teramo (27 sett. 1798): l'accusa era d'intelligenze "giacobine" con personaggi d'oltre confine; l'indizio era costituito da lettere rinvenute indosso ad una inserviente ascolana, al rientro di questa nella Marca.
Liberati dal contingente d'invasione franco-cisalpino del gen. J. B. Rusca l'11 dic. 1798, il D. assumeva la presidenza della Municipalità repubblicana di Teramo. Salvatosi fortunosamente durante la sollevazione sanfedista culminata nella cacciata dei Francesi da Teramo e nel saccheggio delle case dei più noti "giacobini" della città (18-19 dic. 1798), fu chiamato nei mesi successivi ad incarichi di maggiore responsabilità: nominato dal gen. Ph.-G. Duhesme presidente dell'amministrazione centrale del basso Abruzzo (gennaio 1799), quindi dal gen. L.-F. Coutard presidente del Supremo Consiglio di Pescara (12 genn. '99). Con legge del 23 genn. 1799 venne nominato dal gen. J.-E. Championnet, membro del governo provvisorio della Repubblica Partenopea, quindi posto nel comitato delle Finanze (5 febbraio).
Il 9 aprile il Monitore napoletano, diretto da E. De Fonseca Pimentel, lamentava il ritardo della sua venuta a Napoli, dalla quale può supporsi che egli si sottraesse. Il 14 aprile il commissario del governo francese A.-J. Arial, istituendo una commissione legislativa di cinque membri, ne costituiva membro il D., tuttavia assente. Il 1° giugno il Monitore annunziava che il cittadino D. si era portato ad Ascoli per favorire le operazioni politiche e militari di Ettore Carafa in Pescara.
È certo che il D. non si recò mai a Napoli per coprire i posti assegnatigli nel governo repubblicano, adducendone a motivo l'interruzione delle comunicazioni da parte delle "masse". Alla fine di aprile '99 lasciò Pescara al seguito della guarnigione francese in ritirata e raggiunse le Marche per via marittima.
Derubato del bagaglio al momento dell'imbarco dalla spiaggia di Pescara, vi perse la preziosa collezione di monete greche ed "urbiche". Si apriva il periodo dell'esilio, per il quale scelse dal settembre 1799 la Repubblica di San Marino, ove soggiornerà fino al 1806.
A San Marino trovò condizioni singolarmente adatte per stabilirsi definitivamente. Il clima, i "liberi ordinamenti", la cordialità dell'accoglienza, la quiete favorevole alla ripresa delle attività intellettuali lo legheranno permanentemente a questo ideale soggiorno.
Il D. rivide A. Fortis a Bologna nel novembre 1801 al rientro di questo dal lungo soggiorno parigino, ed ora nominato da Napoleone prefetto della Biblioteca nazionale bolognese. In occasione di tale viaggio il D. trattò anche, per conto del governo di San Marino, l'approvvigionamento di cento sacchi di sale "ad equo prezzo", ricevendone in segno di gratitudine da quel Consiglio il titolo di nobile della Repubblica, esteso ai familiari. Circa in quest'epoca espletava il riordino della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, ospite dei marchesi Belmonte con i quali aveva stretto vincoli di amicizia dal 1784 per tramite del Fortis: cresceva in lui l'interesse per le edizioni quattro-cinquecentesche, di cui raccoglieva ragguardevole collezione.
Rientrato in San Marino verso la fine del febbraio 1802, vi intraprendeva la elaborazione delle Memorie storiche della Repubblica di S. Marino (Milano 1804), mantenendosi in costante contatto, per la necessaria documentazione, oltreché con il Fortis, con l'ab. Gaetano Marini ed il conventuale G. B. Bonelli.
Si avvaleva anche dei materiali, già raccolti per la compilazione, di Giuliano Gozi. Terminata la stesura nei primi mesi del 1804 nonostante lunghe interruzioni nell'ultimo anno, verso la metà di aprile era a Milano ospite del conte Daniele Felici, ministro degl'Interni della Repubblica italiana, per sorvegliare personalmente la stampa del libro, pronta in agosto. Ne riceveva gli ufficiali ringraziamenti dal Generale Consiglio sammarinese. L'opera, quantunque compiutamente storiografica - priva peraltro di consistenti precedenti - procedeva da una ideale istanza di esaltazione delle libertà politiche confermatesi nella storia della piccola Repubblica, non senza impliciti risvolti di denuncia nei confronti di alcuni momenti della politica papale incline alla sopraffazione.
Rifiutata la cattedra di storia e diplomazia resasi vacante all'università di Bologna per la morte dell'amico Ludovico Savioli, s'impegnò invece nella stesura dei Pensieri su l'istoria e su la incertezza ed inutilità della medesima (Forlì 1808, Napoli 1809 e 1814), destinati a suscitare un certo scalpore nel clima ormai storicistico del nuovo secolo. Appariva quindi un altro importante saggio, di contenuto economico, la Memoria sulla libertà di commercio diretta a risolvere il problema proposto dall'Accademia di Padova sullo stesso argomento, pubblicato nella collezione di "Scrittori classici di economia politica" curata da P. Custodi (in Parte moderna, t. XXXIX, Milano 1805, pp. 3-76): si trattava di una memoria stesa all'inizio degli anni '90 in risposta al concorso bandito dall'Accademia di Padova sulla "libertà di commercio", ma allora non premiata né pubblicata.
Con il Custodi il D. aveva stabilito un rapporto di stima e di amicizia testimoniato da una fitta corrispondenza in cui è anche prospettata l'ipotesi che il Custodi pubblicasse nel Supplemento alla Raccolta un altro saggio del D., sugli Istituti di beneficenza, poi rimasto inedito; e, soprattutto, i Pensieri su l'istoria..., dalla quale edizione il D. sperava qualche sollievo economico ritenendo l'opera "per l'indole sua ... di facile smaltimento" (cfr. A. Di Nardo, Storia e scienza in M.D., pp. 132-136).
Tornati i Francesi a Napoli nei primi mesi del 1806, Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, istituiva un Consiglio di Stato, di cui il D. venne chiamato a far parte, presumibilmente su proposta di C. Saliceti (nomina del 3 giugno 1806). Superando intime resistenze anche dovute all'età, il D. raggiunse rapidamente Napoli (25 giugno), dove gli si apriva un nuovo e più impegnativo periodo di attività ministeriale. Fu infatti uno dei più operosi ed autorevoli uomini del nuovo governo: fece parte della sezione delle Finanze fino al 1809, quindi ebbe la presidenza della sezione degli Interni che lasciò solo nel 1815. Nel 1810 e nel 1813 fu per più mesi ministro dell'Interno ad interim. Fu, nella sezione per gli affari interni del Consiglio, membro delle commissioni per le lauree, per le pensioni, per le riforme del codice civile, per la procedura delle cause feudali in Cassazione, per la verifica dei conti dei banchi, per la ripartizione dei demani, per la vendita dei beni dello Stato; e fu infine presidente della commissione degli Archivi generali del Regno. In ciascuno di tali incarichi interveniva con consistenti apporti anche riscontrabili negli Archivi di Stato napoletani. Si segnalano in particolare quelli inerenti al lungo e complesso dibattito per la nuova imposizione fondiaria subito posta in cantiere e per la quale occorse approntare con la massima urgenza - date le impellenze finanziarie dello Stato - un nuovo catasto.
La provincia di Teramo risultava particolarmente colpita nelle ripartizioni della fondiaria per territori, rispetto ad altre province del Regno in specie Chieti e L'Aquila. Il D. intervenne (1808-1809) proponendo misure adatte a garantire criteri di ripartizione il più possibile omogenei tra provincia e provincia. Chiese inoltre che tale imposta fosse generalmente diminuita e il carico impositivo ripartito tra le attività economiche in modo da non gravare troppo univocamente sull'agricoltura. La nota Memoria sulla tassa fondiaria del 1808 (in Opere complete..., III, pp. 437 ss.) può utilmente integrarsi con vari altri interventi inediti esistenti nei Fondi Delfico di Teramo e nelle carte ministeriali degli Interni dell'Archivio di Stato di Napoli (cfr. A. M. Rao, ad Ind.).
Con altrettanto impegno il D. intervenne nel lungo dibattito sulla riforma della pubblica istruzione, sostenendo tra l'altro che i seminari, da considerarsi parte integrante della struttura scolastica, fossero sottoposti agli stessi regolamenti dei reali collegi; chiedeva che il carico delle "piazze franche" si riducesse, in parte concedendole solo ai veri bisognevoli, in parte attingendo al fondo per le pensioni. La istituzione di un nuovo sistema d'istruzione nel Regno sul modello francese, disposta da Giuseppe Bonaparte fin dall'agosto 1806 e ripresa da Gioacchino Murat subito dopo l'ascesa al trono di Napoli, incontrò notevoli difficoltà di definizione e ritardi nell'attuazione. Il D. fu membro della commissione istituita il 27 genn. 1809, con G. Capecelatro, B. Della Torre, V. Cuoco e T. Manzi. Un primo progetto di riforma presentato dal Cuoco (10 ott. 1809) cadde per l'opposizione del ministro G. Zurlo; un secondo progetto Zurlo, sottoposto al Consiglio di Stato, ebbe come relatore il D. e giunse all'approvazione il 29 nov. 1811. Interventi del D. nella questione sono, oltre alle note Osservazioni su di un progetto d'istruzione pubblica. Discorso (in Opere complete..., III, pp. 447 ss.), alcune Osservazioni su alcuni articoli del progetto per la pubblica istruzione (1809); Quistioni da proporsi e discutersi dalla Commissione per la istruzione pubblica (1809); Per gli gradi di onore in Teologia, Diritto, in Medicina, per lo titolo di professore per le scienze e per gli attestati di capacità; alcune Osservazioni sul progetto di legge per gli gradi di onore in scienze: questi inediti, ed altri sullo stesso oggetto, si conservano tra le Carte M. Delfico dei due fondi teramani.
Tra i suoi interventi di questo periodo rimasti inediti è da segnalare un Breve esame dell'indole delle dogane interne, presumibilmente del 1806, che riprende le note tesi economiche, per perorare l'abolizione di quelle dogane, che oltre ad ostacolare i commerci, e quindi le industrie ed il benessere delle popolazioni, davano luogo a fenomeni di prepotenza e corruzione nei corpi doganali, eludendo anche l'interesse dell'Erario. L'istanza avrebbe avuto esito con la promulgazione della legge del 16 maggio 1810.
Dell'impegno del D. nella riforma del sistema giudiziario si segnalano una Memoria sui conflitti giurisdizionali (pubbl. a cura di G. De Caesaris in Rivista del Comune di Teramo, V [1936], 1-4, pp. 20-23); delle inedite Osservazioni sulle procedure criminali che si chiamano Nullità (cfr. G. De Filippis Delfico, Della vita…, pp. 64 s.) e i Pensieri sopra alcuni articoli relativi alla organizzazione dei tribunali, edito anonimo dalla Stamperia reale di Napoli nel 1808.
Anche di questo periodo (1809 circa) ed elaborato nel clima di promozione delle risorse, in specie agricole, dei territori del Regno, è un inedito Rapporto alla Real Società d'Incoraggiamento sul progetto di stabilire nelle provincie del Regno altre società somiglianti, del quale il D. era stato incaricato in considerazione della sua esperienza delle "Società patriottiche" istituite nelle tre province d'Abruzzo nel 1788-89. In parte sullo schema di questo documento sarebbero state fondate in tutte le province del Regno le Società di agricoltura (decr. 16 febbraio e statuti del 15 ag. 1810), centri al tempo stesso della cosiddetta "rivoluzione agraria" nel Mezzogiorno e della "intelligenza" politica "borghese" in questo secolo.
Fra altre importanti inedite relazioni dello stesso periodo vi sono certe Osservazioni sul Consiglio di Stato (1808, in Bibl. prov. di Teramo), in cui è particolarmente evidente il tentativo - del resto generale da parte dell'elemento meridionale del Consiglio - di impedire la pedissequa imitazione del modello politico-amministrativo francese, in considerazione dei dati peculiari della realtà napoletana; e al tempo stesso di impedire lo snaturamento di quest'organo - nato con funzioni di consulenza e prerogative squisitamente politiche - in organo consultivo di alta magistratura, appannaggio di legisti. Anche interessanti, tra gli elaborati di questo momento, una Relazione sul progetto di legge per regolare i bilanci dei Comuni (1808, in Arch. di Stato di Teramo); un Parere intorno alla tassa sul porto d'armi (1810, ibid.); un Progetto di decreto per l'imposta diretta del 1812 (1811, ibid.).
All'istituzione dell'Ordine delle Due Sicilie (1808), il D. fu nominato commendatore da Giuseppe Bonaparte. Murat gli attribuirà il titolo di barone (decreto firmato da Ancona il 23 marzo 1814).
Rare e brevi furono le interruzioni del soggiorno a Napoli durante tutto il periodo ministeriale: fu a Torino con il duca di Santarpino ed i principi Strongoli e Torella nell'agosto 1808, nel gruppo delle personalità inviate a rendere omaggio al nuovo sovrano Gioacchino Murat che giungeva in Italia attraverso il Piemonte. Riuscì ad ottenere licenza ed a recarsi a San Marino alla fine di ottobre 1809 per un brevissimo soggiorno. Di nuovo in licenza all'inizio del 1812, attraversò celermente gli Abruzzi, la Marca e la Romagna salutandovi gli amici, in specie a Rimini (i Belmonte ed i Felici) ed a Bologna (il marchese G. Zappi). Soggiornò a Milano presso l'amico conte Gaetano Melzi, interessandosi a stabilire con il governo del Regno Italico un nuovo piano di poste che rendesse più celeri le comunicazioni fra l'Alta Italia ed il Mezzogiorno senza passare per Roma, secondo un progetto che il D. aveva in mente già da tempo. Esso avrebbe dovuto valorizzare il percorso adriatico attraversando gli Abruzzi. A tale progetto il D. aveva ora ottenuto l'assenso regio. A Milano riprendeva anche contatto con gli amici F. Reina, L. Cicognara e G. G. Trivulzio.
Iscritto all'Accademia Ercolanese di archeologia, della quale fu uno dei primi componenti, dal 1807; all'Accademia Pontaniana, all'Istituto d'incoraggiamento di Napoli, ed all'Accademia delle scienze, fu di quest'ultima più volte presidente, e vi lesse varie relazioni che nel complesso rappresentano la parte forse più cospicua della sua elaborazione filosofica. Nella seduta del 17 febbr. 1813 vi presentava la relazione Ricerche sulla sensibilità imitativa, considerata come principio fisico della sociabilità della specie, e del civilizzamento de' popoli e delle nazioni (pubblicata negli Atti della R. Accad. delle scienze, Sez. della Soc. reale Borbonica, Memorie, I [1819], pp. 343-376); nel 1814 vi leggeva la prima parte di una Memoria su la perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell'educazione; con alcune vedute sulla medesima (ibid., pp. 377-415). Nella seduta del 6 luglio 1816, leggeva una Seconda memoria su la perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell'educazione (ibid., pp.417-445). Altra relazione, intitolata Ragionamento su le carestie, presentava all'Accademia nella sessione del 1° dic. 1818. Occasionata dalle note tragiche esperienze occorse nel Regno l'anno precedente, essa era pubblicata nel secondo volume degli Atti di questa Accademia (1825, pp. 343). Pochi cenni su' fondamenti delle scienze morali. Discorso, letto alla R. Accademia nel 1819 e destinato a stamparsi nel terzo volume degli Atti di questa, non sarà poi pubblicato. Lo stesso fu di due altre Memorie inviate da Teramo: Sulla necessità di cangiare i metodi d'istruzione attualmente usati in Europa e Della importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della filosofia intellettuale. Discorso …, datato Teramo, 25 luglio 1823. Nel complesso si registra in questo periodo una ripresa dell'attenzione verso il dibattito filosofico facente ora capo a P. Borrelli, P. Galluppi e G. D. Romagnosi.
Nel settembre 1813 un incidente all'uscita dal palazzo reale gli aveva provocato la frattura del collo del femore destro, che, malcurata, lo priverà del normale uso dell'arto e lo costringerà a lunghi periodi di cure ad Ischia e Torre del Greco. Anche per questa ragione parve al De Filippis Delfico falsa l'asserzione del Colletta (in Storia del Reame di Napoli, libro 7°, cap. LXIII) secondo cui il D. ed il barone Nolli sarebbero stati inviati commissari in Abruzzo per sedarvi le sommosse carbonare avvenutevi nel 1814.
Ancor più controversa è l'asserita sua partecipazione - ed in ruolo di primo piano, se si deve a lui la redazione dell'appello a Napoleone e di vari rapporti inviati da Napoli sulle condizioni politiche e morali dei vari Stati d'Italia - al tentativo di reinsediare Napoleone, allora all'Elba, a capo di uno Stato italiano.
La storiografia tardorisorgimentale ha volentieri avallato l'asserzione secondo cui il D. fu uno dei quattordici cospiratori che il 19 maggio 1814 offrirono la corona d'Italia a Napoleone (orientamenti documentari in G. Pannella, in Opere complete..., I, pp. XXXXIII e G. De Caesaris, M. D. ..., pp. 108-111). Ma a parte ogni considerazione inerente alla invalidità, che in quest'anno non gli avrebbe consentito i movimenti in Italia che gli si attribuiscono, perplessità sorgono a motivo delle vecchie riserve ideologiche da lui manifestate nei confronti del bonapartismo e della politica dei grandi Stati, e infine a motivo del suo lealismo al Murat il quale proprio in quell'anno lo insigniva del titolo di barone e lo poneva nella élite di intellettuali - con V. Cuoco, A. Poerio, T. Manzi, P. Colletta e D. Winspeare - cui era affidato il compito d'indirizzare l'opinione pubblica mediante la redazione di articoli patriottici (A. Valente, G. Murat e l'Italia meridionale, Torino 1976, pp. 255 s.). È noto inoltre che in quel 1814 il D. fu tra i componenti la commissione incaricata della revisione dei codici francesi per adattarli al paese, e di presentare un progetto di costituzione, che fu anche compiuto, ma che il Murat non riuscì a promulgare (N. Cortese, Memorie di ... F. Pignatelli principe di Strongoli, I, Bari 1927, p. 152).
Rientrati i Borboni a Napoli nella primavera del 1815, il D. lasciò la vita politica, ottenendo la pensione di consigliere di Stato e di presidente della commissione generale degli Archivi. Egli continuò a vivere a Napoli esplicando attività culturale intensa anche attraverso le relazioni all'Accademia delle scienze. Appartengono a questo periodo le Nuove ricerche sul bello (Napoli 1818), che riprendevano e sviluppavano lo scritto di A. Verri, Del Bello nell'arte. Nel salotto del marchese F. M. Berio, centro di riunione dei migliori ingegni della capitale, lo incontrarono in questi anni A. Canova, G. Rossetti, C. Della Valle duca di Ventignano, G. Rossini, i coniugi Morgan, che di lui parleranno in termini assai elogiativi, testimoniando anche della sua grande notorietà (S. Morgan, L'Italie, IV, Paris 1821, pp. 280 e 463 s.).
Nel 1818 Ferdinando I acquistò per la somma di 8.000 ducati la sua collezione di libri del Quattrocento, che andarono ad arricchire la Biblioteca reale.
Tornato a Teramo dopo molti anni nella primavera del 1820, il D. fu richiamato a Napoli per una nuova incombenza nel governo costituzionale concesso nel luglio di quell'anno: con G. Rocco fu incaricato della traduzione ufficiale della costituzione spagnola del 1812 scelta per il Regno (decr. 8 luglio 1820). Con decreto del 9 luglio, il D. veniva quindi nominato tra i componenti la Giunta provvisoria di governo istituita fino alla convocazione del Parlamento. Eletto nel settembre 1820 deputato per le province di Teramo e Napoli, optava per la rappresentanza di quest'ultimo collegio. Dimessosi il 17 ottobre per motivi di salute, riteneva tuttavia opportuno intervenire in difesa dei ministri che il 7 dicembre avevano trasmesso al Parlamento il decreto regio di scioglimento del Parlamento stesso, e che questo aveva posto sotto accusa, con un articolo: Poche idee su l'accusa dei Ministri (pubblicato anonimo nel Giornale costituzionale, 23 dic. 1820), inteso a sollecitare moderazione.
Si stabilì definitivamente a Teramo nella primavera del 1823, dopo aver redatto e presentato al ministero una Proposta di alcuni mezzi economici per supplire agli attuali bisogni dello Stato in data 30 marzo 1822.
Gli anni che seguono il definitivo rientro a Teramo furono, non ostante il manifesto peso dell'età, ancora ricchi di impegno intellettuale e civile. Nel 1824 comparve a Teramo Della antica numismatica della città d'Atri nel Piceno, con un discorso preliminare su le origini italiche ed un'appendice su' Pelasgi ed i Tirreni, opera tale da suscitare attenzione e polemiche nella cultura storico-archeologica dell'epoca, anche perché riprendeva motivi di critica storica e storiografica già svolti negli scritti precedenti in rivendicazione dell'autoctonia ed antichità preromana di città italiche quali Atri, e della loro fiorente civiltà mercantile organizzata in libere istituzioni politiche. Presto esaurita la prima edizione, provvedeva ad una nuova (Napoli 1826) arricchita da varie integrazioni, tra le quali maggiori il saggio Delle antiche ghiande missili di piombo rinvenute in territorio di Ascoli, ed i Rischiaramenti ad alcune osservazioni fatte [da G. Micali] sull'opera della Numismatica atriana. Pubblicò alcuni anni dopo Della differenza dei sessi. Lettera all'on.ma sig.a contessa Chiara Mucciarelli Simonetti (Siena 1829; 2a ediz. Napoli 1834).
Il 24 luglio 1832, in occasione della visita del re Ferdinando II a Teramo, il quasi nonagenario D. ne otteneva udienza riproponendo tra l'altro il discorso già altre volte tentato della rettifica del confine con la Marca nel territorio ascolano. Faceva a tal proposito pervenire al re per tramite del ministro dell'Interno Nicola Santangelo una Memoria sugli antichi confini del Regno della quale il sovrano manifestava gradimento inviandogli motu proprio la croce di commendatore dell'Ordine di Francesco I.
Colto da apoplessia il 26 maggio, il D. morì a Teramo il 22 giugno 1835. Aveva disposto per sé sepoltura more pauperum in fossa comune, ragione per la quale i suoi resti non sono stati rinvenuti nella tomba gentilizia della cattedrale di Teramo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Teramo, Fondo Fam. Delfico (non catalogato); Teramo, Bibl. prov., Fondo M. Delfico (non catal.); San Marino, Bibl. governativa, Fondo M. Delfico (in specie per l'epistolario del D. con A. Fortis). Il primo inventario delle Carte M. Delfico ora conservate nei due fondi teramani è in appendice a G. De Filippis Delfico, Della vita e delle opere di M. D., Teramo 1836. Oltre a quest'opera fondamentale di biografo, si deve al De Filippis il primo tentativo di analisi critica ed intellettuale, in Notizie intorno alle opinioni filosofiche ed alle opere di M.D., in Giornale abruzzese di scienze, lettere ed arti (Chieti), giugno 1841, pp. 147-173; marzo 1843, pp. 129-153; giugno 1843, pp. 163-171. G. Pannella ha curato una ediz. di Opere complete di M. Delfico, I-IV, Teramo 1901-1904, corredata da un primo "saggio della corrispondenza" (vol. IV). Per la ricostruzione della biografia del D., è poi importante L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese degli Abruzzi, I-II, L'Aquila 1928; III-IV, Roma 1939: monumentale repertorio documentario anche esteso ad una cronologia più ampia di quanto non indichi il titolo. Sia pure limitatamente alla presenza in provincia, le numerose notizie sul D. sono individuabili negli indici dei volumi II e IV. Tra le biografie dello stesso periodo si segnala G. De Caesaris, M.D. (nel primo centen. della sua morte), in Atti del XXIII Congr. di storia del Risorg. ital., Roma 1940, pp. 77-135. La più ampia bibliografia relativa al D., sviluppata anno per anno fino al 1956, è in R. Aurini, Diz. biogr. della gente d'Abruzzo, III, Teramo 1958, pp. 5-52. Dopo la sistemazione critica neoidealistica data da G. Gentile in Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche storiche, Napoli 1903, pp. 18-87, prescindendo dalla pur preziosa storiografia locale per la caratterizzazione apologetica e per limite campanilistico, un nuovo orientamento critico si deve a F. Venturi, in Illuministi ital., V, Riformatori napoletani, Napoli-Milano 1961, pp. 1161-1188, importante per il solido radicamento dell'attività e del pensiero del D. nel contesto napoletano della seconda generazione degli allievi dei Genovesi, e per la sottolineatura delle attività di analisi economicistica sottese al suo impegno riformatore. Una rivalutazione del D. politico era già iniziata con A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia..., Milano 1959, pp. 129 ss. (2ª ed., ibid. 1967, pp. 165-226).
Tra gli aspetti particolari dell'attività del D. recentemente approfonditi si segnalano - relativamente all'attività antifeudale - P. Villani, Feudalità, riforme, capitalismo agrario..., Bari 1968, ad Indicem. Sul tema è ora da vedere A. M. Rao, L'amaro della feudalità..., Napoli 1984, ad Indicem. Per l'attività pedagogica, M. Delfico, Scritti pedagogici..., a cura di G. Lisciani, Teramo 1969; A. Di Nardo, Storia e scienza in M.D. (Studi e ricerche), Chieti 1978. Sull'antistoricismo del D., ultimi contributi all'annoso dibattito in G. Carletti, Concezione della storia e funzione della storiografia in D., in Trimestre, XVII (1984), 1-2, pp. 5-37; M. Agrimi, La vicenda, rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia: M.D., in Itinerari, XXIII (1984), pp. 75-108. Si veda inoltre: V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano (1777-1798). L'attività di M. D. presso il Consiglio delle Finanze, Roma 1981; Id., Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane (1711-1831), Roma 1984, passim (riedito in Studi sul Settecento abruzzese, Lanciano 1986, pp. 21-154); Id., Risi, Stucchi e vendite allodiali: defeudalizzazione e riorganizzazione agraria borghese..., in Rivista storica del Mezzogiorno, XVII-XVIII (1982-83), pp. 3-23; Id., Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: i regi Stucchi (1796-1824...), Roma 1988, ad Indicem. Nonostante la riedizione degli Scrittori classici italiani di economia politica di P. Custodi, a cura di O. Nuccio (Roma 1967: l'introd. al saggio del D. è nel vol. XXXIX, alle pp. III-XXXII); il saggio di A. Aiardi, Il pensiero economico di M.D., in Notizie dell'economia teramana, XXIV (1970), pp. 1-19; e l'introd. di M. Finoia alla riedizione della Memoria sulla libertà del commercio. Ragionamento su le carestie, Teramo 1985, manca ancora una valutazione del D. economista che ne precisi collocazione ed originalità nell'ambito del pensiero economico tardo settecentesco. Per le relazioni con L. Cagnazzi De Samuele, si veda B. Salvemini, Economia politica ed arretratezza meridionale..., Lecce 1981, ad Indicem. Sul soggiorno sammarinese del D. - attività, scritti e legami personali di questi anni -, è da vedere F. Balsimelli, Epistolario di M. Delfico - Lettere sammarinesi, San Marino 1934; Id., M.D. e la Repubblica di San Marino, San Marino 1935. Alcune sue lettere di questo periodo ai corrispondenti milanesi P. Custodi, D. Felici, F. Salfi, G. G. Trivulzio e F. Reina si conservano nella Biblioteca nazionale di Parigi, Fonds italien. Carte Custodi, mss. 1551, 1552 e 1554, parzialm. trascritti in Di Nardo, cit., pp. 132-139.
Sulle attività svolte nei governi del periodo napoleonico, cfr. J. Rambaud, Naples sous Joseph Napoléon, Paris 1911, ad Indicem, ed A. Valente, G. Murat e l'Italia meridionale, Torino 1976, ad Indicem. Tra le opere più recenti, A. De Martino, La nascita delle Intendenze, Napoli 1984, ad Indicem.; R. De Lorenzo, Proprietà fondiaria e fisco nel Mezzogiorno..., Salerno 1984, ad Indicem.