TREVISAN, Melchiorre
– Nacque nel 1434 da Paolo dal banco e da Elisabetta Garzoni di Francesco.
È probabile che, al pari dei numerosi fratelli, in gioventù abbia esercitato la mercatura, benché non si disponga di alcun documento in proposito. Ventiseienne, nel 1460 sposò una figlia di Francesco Contarini di Pietro, che morì dopo poco tempo senza dargli figli, per cui nel 1464 Trevisan contrasse un altro matrimonio, stavolta premiato da quattro maschi, con Bianca Cappello del procuratore Giovanni, vedova di Girolamo Giustinian di Marino. È appunto dall’anno di queste nuove nozze che Trevisan si accostò alla politica; il 28 agosto risulta far parte di una magistratura giudiziaria, il Collegio dei quindici, nel 1467 fu savio agli Ordini e il 28 settembre 1470 entrò ufficiale alle Rason nove.
Queste cariche furono tutte conseguite saltuariamente e inframezzate da notevoli intervalli, la qual cosa può essere motivata da un persistente coinvolgimento nel settore mercantile. A conferma, il 24 aprile 1479, mentre faceva parte della Zonta del Senato, venne eletto capitano della ‘muda’ di Romania; la partenza avvenne il 3 settembre e Trevisan imbarcò nella propria galera l’ambasciatore turco Firuz bey, che aveva il compito di accompagnare il pittore Gentile Bellini, richiesto alla corte di Istanbul da Maometto II.
Non tornò a mani vuote, ma portando con sè una goccia del sangue di Gesù, conservata nella chiesa costantinopolitana di S. Cristina, che fu accolta a Venezia con grandi onori; l’anno dopo, nel 1480, egli l’avrebbe donata alla chiesa dei Frari, dove gli sarebbe stata eretta una statua tuttora visibile nella cappella di S. Michele Arcangelo, a destra dell’abside, concessagli dai frati in segno di riconoscenza (o, forse, quale concambio).
Scoppiata la guerra del Polesine, il 12 ottobre 1482 Trevisan venne eletto patrono all’Arsenale, ove si distinse per la severità della gestione, esercitando un più attento controllo sulla vendita delle galere ritenute non più idonee alla navigazione. Intanto il conflitto contro gli Estensi, che era stato accolto con entusiasmo dal popolo, procedeva con difficoltà, alle quali si aggiunse, a fine anno, un rovesciamento delle alleanze. Schieratosi Sisto IV accanto a Ferrara, il Senato corse ai ripari cercando nuovi alleati; rientra in tale contesto l’elezione di Trevisan (16 dicembre 1482) ad ambasciatore straordinario a Costantinopoli.
La sua missione (poi affidata a Domenico Bollani) tuttavia non iniziò neppure, perché il 14 febbraio 1483 Trevisan risultò eletto provveditore dell’armata sul Po; qui, il 12 aprile 1484, sostituì nel comando Vettore Soranzo, caduto ammalato per l’insalubrità dei luoghi. Non rimase a lungo in Polesine; fu presto chiamato a sostituire il capitano generale da Mar Giacomo Marcello (morto il 19 maggio durante l’espugnazione di Gallipoli).
Ottenuti a prestito 4000 ducati dal banco Garzoni, Trevisan fu in grado di provvedersi di attrezzi e soldati in Dalmazia e nell’isola di Saseno, dopo di che (25 giugno) si portò in Puglia al comando di trenta vele e di lì in Calabria. Qui lasciò liberi gli equipaggi di darsi al saccheggio dei villaggi prossimi alla costa: «Et carge le galie di preda, havendo fato tanti danni per quelle riviere, come fo stimato, botini per più di ducati 100 milia, qual furono poi partiti justa il consueto, esso vice Zeneral deliberò di levarse et ritornar con l’armada a Galipoli» (Sanudo, 2001, II, p. 445). Una volta giunto si volse a rafforzare le strutture difensive della città, ma il 28 luglio ebbe notizia che una squadra nemica, comandata da Federico d’Aragona, figlio del re Ferdinando, era stata avvistata a S. Maria di Leuca, per cui le mosse incontro onde tener libera la navigazione per Gallipoli. L’Aragonese si volse allora contro Curzola, presso la costa dalmata, ma quando Trevisan lo raggiunse «zà l’una e l’altra armada havevano auto lettere che fosseno levà le ofexe. Et cussì li do Capetani di l’armate se visitorono, abrazandosi insieme et alegrandosi che la paxe seguiria» (ibid., p. 458).
La conclusione delle ostilità (7 agosto 1484) non comportò la fine del servizio sul mare di Trevisan, che si protrasse per altri tre anni. Il 3 novembre 1485, infatti, ricevette dal Senato, quale provveditore d’armata e vicecapitano generale da Mar, 5000 ducati per corrispondere le paghe degli equipaggi; inoltre catturò una galera appartenente al re di Francia e che allora si trovava nel porto di Alessandria. L’azione di controllo sui mari proseguì ulteriormente: il 6 giugno 1486 il Senato gli ordinò di portarsi a Cipro in vista di un possibile sbarco dei turchi, che avevano chiesto il permesso di rifornirsi nell’isola, mentre stavano preparandosi a un conflitto con il sultano d’Egitto. Trevisan però non obbedì in quanto disponeva di notizie più attendibili, le quali non prevedevano per quell’anno l’uscita della flotta turca dai Dardanelli. La sorveglianza del mare proseguì nel 1487; Marino Sanudo (2001) riferisce che in data 17 aprile Trevisan aveva catturato due navi genovesi, quantunque benemerite per aver portato «in questa terra, l’istate passata, li marmori di Pisa fonno comprati per edifichar la chiexia di Santa Maria d’i Miracoli» (p. 549); meno fortunata fu la sorte di un corsaro siciliano, impiccato per aver violato la sovranità veneziana dell’Adriatico.
Concluso qualche mese dopo il servizio marittimo (l’11 settembre 1487 il Senato gli ordinò di portarsi in Istria e disarmare, dal momento che non si prevedevano ostilità da parte ottomana), l’8 giugno 1488 entrò a far parte del collegio delle Acque.
Si trattava di una magistratura di recente istituzione, che doveva anzitutto provvedere alla conservazione della laguna, il cui delicato tessuto era andato a tal punto deteriorandosi che persino il Canal Grande era, a tratti, impraticabile durante la bassa marea. Manifestatosi inadeguato il tentativo di far sfociare il Brenta di fronte a Malamocco, si combattevano due soluzioni: deviarne il corso presso Paluello (Stra) e farlo poi immettere oltre il partiacque meridionale della laguna oppure portarlo a finire in mare a sud di Chioggia. Sennonché nessuna decisione venne presa, a causa dei molti interessi privati che rischiavano di venir compromessi.
Per qualche anno ancora Trevisan ricoprì solo incarichi in terraferma; il 14 febbraio 1490 entrò podestà a Padova, dove rimase fino alla tarda primavera del 1491; poi, il 4 novembre, fu auditore del Sopragastaldo e il 1° febbraio 1493 assunse la carica di consigliere di Dorsoduro (abitava infatti nella parrocchia di S. Eufemia, alla Giudecca), quindi (13 gennaio 1494) fu nuovamente auditore del Sopragastaldo.
La prima fase delle guerre d’Italia vide ancora Trevisan protagonista. Quando (20 maggio 1495) Carlo VIII abbandonò Napoli, Trevisan fu nominato provveditore generale dell’esercito, assieme a Luca Pisani. Si trovava in Piemonte quando, il 19 giugno 1495, ricevette dal Senato una lunga missiva con la descrizione delle atrocità compiute dai francesi e l’ordine di divulgarle: «Testimonio [di esse] lo Regno neopolitano, lo qual se mai desyderò el dominio de francesi, hora per le iniurie incredibili ricevute, et che ogni zorno receveno, i desideriano più presto turchi» (Archivio di Stato di Venezia, Senato delib. Secr., reg. 35, c. 127r). Pertanto Trevisan fu presente alla battaglia di Fornovo e inseguì con l’esercito, comandato da Francesco Gonzaga, i francesi sino ad Asti.
L’11 novembre 1495 tornò a Venezia, ove fu eletto capitano generale da Mar; continuava così il suo impegno militare, ma nel settore marittimo, dove Venezia stava completando l’occupazione dei porti pugliesi. In attesa della buona stagione ricoprì nuovamente la carica di consigliere di Dorsoduro, poi entrò a far parte (11 novembre) del Consiglio dei dieci. Quindi (13 giugno 1496) salpò alla volta di Napoli senza scorta, date le cattive condizioni della flotta, oltretutto dispersa fra Napoli e Rodi, tanto che dovette ordinare la requisizione di undici galere mercantili, in seguito gradualmente sostituite da navi equipaggiate dalle città dalmate. Poi da Napoli si portò a Genova, dove si trovava a metà settembre, partecipando alla guerra di Pisa che vedeva Venezia contro Firenze e la Francia, quindi ritornò nell’Adriatico e nel gennaio del 1497 era a Corfù.
Qui, nel corso della primavera, apprese la morte della moglie Bianca Cappello e trascorse l’estate spostandosi fra lo Ionio e l’Egeo, nel tentativo di reprimere le provocazioni sempre più frequenti dei turchi, finché ebbe dal Senato l’ordine di rimpatriare. L’11 settembre 1497 entrò nel porto di Venezia, dopo aver passato quindici mesi in mare, ma appena dopo qualche settimana riprese l’attività politica e il 5 ottobre fu nuovamente auditore del Sopragastaldo. Savio del Consiglio per il primo semestre del 1499, il 4 maggio, mentre la Repubblica si apprestava alla guerra contro l’Impero ottomano, «sier Marchiò Trivixan oferse ducati 1000 havia d’intrada, et ducati 1000 di contadi impresterà alla Signoria, e tutti doverìa far cussì e ajutar la terra a questi bisogni» (Sanudo, 1879-1880, II, col. 675). Tanto zelo fu riconosciuto con l’elezione (9 luglio 1499) fra i Dieci savi ‘a tansar’; quindi, il 24 luglio, venne eletto provveditore nel Bresciano, assieme a Marcantonio Morosini, nella guerra che vedeva la Repubblica e la Francia impegnate contro Ludovico il Moro.
Fu presente alla conquista di Soncino e Caravaggio; il 12 settembre entrò a Cremona, di cui fu subito nominato provveditore e, dopo la resa del castello, podestà. Ma dopo pochissimi giorni fu richiamato in patria essendo stato nominato capitano generale da Mar (15 settembre 1499), in sostituzione di Antonio Grimani, colpevole dello smacco subito allo Zonchio.
Obbedì prontamente: «statim – riferisce Sanudo (1879-1880) in data 17 settembre – montava in burchiela a Cremona et venia per Po» (II, col. 1328); salpò da Venezia il 29 settembre, con l’ordine di mettere ai ferri Grimani e inviarlo così a palazzo ducale; sennonché Trevisan indugiò alquanto nei porti istriani, onde prevenire possibili incursioni dei turchi, che erano penetrati nel Friuli. Pertanto giunse a Corfù quando Grimani era già salpato con la galera generalizia per recarsi a Parenzo, dove l’attendeva suo figlio Vincenzo. A Trevisan pertanto non rimase che formare l’istruttoria in assenza dell’imputato, quindi, nei primi giorni di dicembre, iniziò l’assedio di Cefalonia, ma dopo un mese dovette desistere.
Molteplici le cause dell’insuccesso, in gran parte attribuibili alle manchevolezze del predecessore Grimani: navi vecchie e attrezzature inadeguate, indisciplina degli equipaggi, reiterate disobbedienze dei sopracomiti; il 31 gennaio 1500 Sanudo (1879-1880) annotò che Tommaso Zen, comandante delle galere grosse, «tuto el zorno zuoga li pugni con li soi governadori. El diavolo non puol far simel homo» (III, col. 127). Per contro, di fronte a una situazione così degradata le incessanti richieste di aiuto rivolte al Senato da Trevisan venivano accolte solo in piccola misura; così ancora Sanuto, il 15 giugno: «lui zeneral ha dechiarato per più lettere le calamità di tutte cosse, e le provisione sono stà lentissime et tenue, et fa do presupositi: o la Signoria non s’incura dil Levante, che non lo crede, o ver la soa dura sorte vol cussì et le letere sue non è credute» (col. 440). Il fatto è che la Repubblica era impegnata anche sul fronte italiano, in Lombardia dove Ludovico il Moro cercava la riscossa, e in Friuli contro le scorrerie dei turchi: troppi impegni che richiedevano molto denaro, mentre i traffici languivano e l’erario era esausto. Nello stesso tempo aumentava la pressione turca: all’inizio di marzo del 1500 la flotta uscì dai Dardanelli diretta all’assedio di Modone, fortezza ben munita che però il 9 agosto fu costretta a capitolare.
A quella data Trevisan era già defunto. Soggetto a ricorrenti attacchi febbrili sin dal giugno del 1499, morì a Corfù, nella galera generalizia, da cui non volle mai scendere, il 17 luglio 1500, dopo un’agonia protrattasi più giorni, che lo privò della parola e della vista. Fu sepolto, come si è detto, nella chiesa dei Frari, con iscrizione che ne ricorda le imprese.
Dedicò gran parte della vita al servizio pubblico, dimostrando in più occasioni encomiabile dedizione allo Stato, e se l’ultimo suo generalato non riscosse successo, ciò fu dovuto alla pesante situazione ereditata, alla brevità del tempo in cui esercitò la carica e alle precarie condizioni di salute. Di contro sta il dubbioso giudizio di Gaetano Cogo (1899, p. 369): «Se in lui si trovassero riunite tutte le qualità necessarie, in tempi così difficili, ad un ammiraglio, non si può affermare»; inoltre, a rendere più ardua la valutazione sull’uomo sta la reticenza di Sanudo, che neppure nel registrarne la morte rivolge a Trevisan una parola, se non di apprezzamento, almeno di commiserazione.
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