ZOPPIO, Melchiorre
Nacque a Bologna nel 1544 da Girolamo e Dorotea Ercolani, entrambi appartenenti alla nobiltà felsinea.
Il padre, noto per il suo coinvolgimento nelle controversie linguistiche e letterarie sulla Commedia dantesca, fu abile volgarizzatore e autore di due opere teatrali: Il Mida (Bologna, A. Benacci, 1573) e Atamante (Macerata, S. Martellini, 1579).
Si laureò il 22 settembre 1579 in filosofia e medicina, giudicato da una commissione presieduta dal celebre naturalista Ulisse Aldrovandi. Nello stesso anno si trasferì a Macerata dove fu nominato lettore di logica. Nella città marchigiana partecipò alle attività poetiche e teatrali dell’Accademia dei Catenati, fondata dal padre nel 1574. Rientrato a Bologna nel 1581, il 27 ottobre accettò la lettura di logica presso lo Studio cittadino. Grazie al suo impegno nell’insegnamento, il 20 dicembre 1590 gli fu riconosciuto il titolo di protologico e un aumento di stipendio che arrivò alla considerevole cifra di 800 lire quando, il 23 gennaio 1592, gli venne assegnata la cattedra di filosofia morale, che mantenne fino alla morte. In memoria dei suoi anni di insegnamento fu posta nel loggiato dell’Archiginnasio un’iscrizione ancora oggi visibile.
Nel 1588 fondò, assieme a Cesare, Camillo e Berlinghiero Gessi, l’Accademia dei Gelati in cui assunse il nome di Caliginoso e il motto «Muneris hoc tui» di ispirazione oraziana (Carmina, IV, 3, 24). L’impresa, disegnata da Agostino Carracci, raffigurava il sole che scaccia le nubi. Attivo promotore del sodalizio – di cui fu principe nel 1593, 1597, 1603, 1608, 1628, oltre che censore per oltre trent’anni –, lo fornì di una sede stabile, destinandogli uno dei saloni al piano nobile del proprio palazzo in strada Maggiore. L’edificio, acquistato il 6 maggio 1545 dal padre Girolamo e dagli zii Antenore e Giacomo, fu ampliato da Zoppio nel 1603 grazie all’annessione di alcune case confinanti.
Già occasionalmente utilizzato per le recite accademiche, nel 1614 venne trasformato in teatro stabile dotato di macchine e fu regolarmente utilizzato almeno fino al 1671, quando gli accademici Indipendenti vi allestirono L’inganno fortunato con prologo e intermezzi in musica di Benedetto Giuseppe Baldi (Bologna 1671). Del teatro e delle sue decorazioni resta testimonianza in un inedito Discorso in dichiaratione dell’Hermathena recentemente ritrovato presso la Biblioteca apostolica Vaticana (Barb. lat. 4811, segnalato per la prima volta da Schütze, 2004, p. 190) e pronunciato da Zoppio nel 1614 in occasione del rientro a Roma di Maffeo Barberini. Gli stretti rapporti con il futuro papa durarono a lungo e sono attestati da un fitto carteggio conservato nel codice Barb. lat. 6478.
Nel 1590 Zoppio pubblicò in appendice al volume delle Ricreationi amorose de gli accademici Gelati (Bologna, G. Rossi, 1590) una prima versione del trattato d’amore Psafone, poi riproposto, «alla sua competente integrità ridotto», nel 1617.
L’opera rappresenta una tappa importante per lo sviluppo di molta della cultura bolognese del Seicento. Non a caso le tematiche qui esposte vennero utilizzate da Agostino Carracci negli affreschi della Galleria Farnese. L’argomento, un soggetto mitologico raramente affrontato, ripercorre la storia di Psafone che, per «il desiderio immoderato della gloria», osò competere con gli dei. Un’occasione per riflettere sulla natura dell’amore, con citazioni riprese sia dai filosofi antichi, sia dai più recenti scrittori. Zoppio vi difese con forza la dimensione fisica dell’eros che trova nei sensi, e in particolare nel tatto, la sua massima espressione. Una poetica che ritroviamo nella sua produzione lirica, che anticipa temi poi ripresi da Marino. Le sue composizioni, mai riunite in un unico volume e di cui manca ancora un sistematico censimento, si possono rintracciare nelle pubblicazione collettive dei Gelati, in scritti d’occasione e in raccolte che, ideate fuori da Bologna, permettono di seguire la fitta trama delle relazioni di Zoppio, in Italia e all’estero, come dimostra l’epistolario con Giusto Lipsio.
Nel 1593 venne iscritto ad ambedue i collegi di medicina e filosofia, ma, nonostante il suo nome sia registrato nel Dizionario storico della medicina di Nicolas Eloy (1765, pp. 310-312), nulla sappiamo della sua attività in campo medico. Fra le opere di argomento filosofico vanno ricordati i trattati in latino di stampo aristotelico: Est et non dissidium logicum (Bologna, A. Benacci, 1588); Sermones analytici, quibus ostenditur artificium, quo primus, et secundus posteriorum analyticorum conscripti sunt ab Aristotele (ibid. 1589); Introductio ad syllogismos (Bologna, F. Bonardo, 1590), nonché «sei grandi volumi di materie filosofiche, e dieci Libri dell’Immortalità dell’Anima» oggi perduti (Fantuzzi, 1781-94, VIII, p. 307).
Il 7 febbraio 1591 sposò Olimpia Luna, figlia di Francesco e Flaminia Bolognini. Per l’occasione venne pubblicata la raccolta di poesie Nelle nozze de gl'ill.ri signori Melchiorre Zoppio, et Olimpia Luna (Bologna, F. Bonardo, 1591) che dimostra il prestigio e la considerazione raggiunti da Zoppio nella sua città natale. La vita familiare fu però segnata dai lutti. Già il 1° novembre 1592 Olimpia Luna morì, probabilmente di parto. Nel 1602 Zoppio pubblicò una Consolazione di Melchiorre Zoppio filosofo morale nella morte della moglie Olimpia Luna (Bologna 1603), che, ispirata ai canoni classici del genere, rendeva omaggio alla defunta esaltandone le virtù e sviluppando i temi della precarietà dell'esistenza. In essa l’autore informava anche della morte, nel giro di pochi mesi, di un figlio e di una bambina di nome Olimpia, nati entrambi dal secondo matrimonio con una Monterenzi, forse Lucrezia. Non sappiamo invece la data di nascita di una seconda figlia, Artemisia, che nel 1630 sposò Lucio Zani. Incerta anche la parentela con Cesare Zoppio, alternativamente indicato come figlio o nipote.
Gli impegni familiari, accademici e di insegnamento non gli impedirono di assumere cariche pubbliche. Nel 1594 fu nominato anziano per il bimestre luglio-agosto e nuovamente nel 1597 per il bimestre gennaio-febbraio.
Nel 1600 firmò la relazione a stampa del torneo La montagna circea, organizzato per il passaggio da Bologna di Margherita Aldobrandini. L’attenzione ai dettagli e alla prassi organizzativa svela la passione di Zoppio per il teatro. Lo confermano le sue drammaturgie: la «commedia filosofica» Diogene accusato (1598) e le tragedie Medea essule (1602), Il re Meandro (1629), Admeto (1534), la perduta Creusa e Il Giuliano cacciatore che, a lungo ritenuto perduto, è stato rintracciato nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro (ms. 1377). A Pesaro sono conservati anche i manoscritti dei Ragionamenti accademici (ms. 782) e alcune lettere già segnalate da Alfredo Saviotti (mss. 419, 448-451). Non ancora adeguatamente indagate, offrono preziosi ragguagli sul teatro di casa Zoppio e sulla messa in scena degli spettacoli dei Gelati. Irrintracciabili invece alcuni drammi segnalati da Leone Allacci: La primavera in contesa coll’autunno (1608), L’innocenza d’amore (1611), Il politico svergognato (1617?) e Il savio conosciuto, ed esaltato (1624).
Tra gli interessi di Zoppio anche la musica e l’arte. Del primo ne è prova lo scritto premesso alla pubblicazione del Melone di Ercole Bottrigari (Ferrara 1602); del secondo gli stretti rapporti con pittori quali Francesco Albani e il già ricordato Agostino Carracci, a cui si deve un doppio ritratto di Olimpia Luna e Melchiorre Zoppio non ancora unanimemente identificato.
Nel 1622 gravi problemi di salute lo spinsero ad aggiornare il proprio testamento in favore della figlia Artemisia e dell’Accademia dei Gelati, cui destinava l’usufrutto del teatro. Il documento, conservato presso l’Archiginnasio di Bologna (ms. B.4333), fu aggiornato nel 1631 e nuovamente nel 1633 (Arch. di Stato di Bologna, Fondo notarile, not. Giovanni Agostino Albani, 6/10), quando furono inserite disposizioni in favore del suo allievo Niccolò Turchi che, in mancanza di eredi diretti, venne adottato da Zoppio a condizione che assumesse il cognome e l’arma di famiglia.
Superata la malattia, pubblicò i Tre ragionamenti spirituali recitati nella scuola dei Confortatori (Bologna 1622) e nel 1625 compì un pellegrinaggio a Roma. È probabilmente falsa la notizia di una sua progettata ambasceria in Inghilterra per conto di Paolo V, che non sarebbe avvenuta per il rifiuto di Giacomo I di concedere il salvacondotto.
Morì ottuagenario a Bologna nel 1634 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei Servi. Per l’occasione i Gelati organizzarono una sontuosa cerimonia pubblica con apparato di Angelo Michele Colonna, la cui descrizione è affidata a un volumetto intitolato L’albergo della virtù (Bologna 1634).
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