MELCHIORRE
(Melchiorre da Montalbano). – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo architetto e scultore, attivo nell’Italia meridionale dalla metà del Duecento (notizie tra il 1253 e il 1271).
Le origini anagrafiche, legate alla città di Montalbano Ionico (presso Matera) e tradizionalmente unite dalla critica al nome di M. (da cui la consueta denominazione di Melchiorre da Montalbano), sono state ritenute un dato biografico non autentico (Kamp; Aceto, 2007), derivato da una non corretta interpretazione dell’iscrizione posta sull’architrave del portale della cattedrale di Rapolla, con cui l’artista firmò la prima delle sue opere note. Il passo «Albano Monte nutrit(us)» si riferirebbe, infatti, non all’artista, ma al vescovo Giovanni, menzionato come promotore dei lavori di edificazione della cattedrale. Parimenti, allo stesso vescovo deve riferirsi l’altra indicazione biografica presente nella stessa epigrafe e generalmente attribuita a M., ovvero lo status di appartenente al clero di Anglona (nel Materano).
Le sole fonti di cui si dispone per ricostruire i momenti dell’attività di M. vengono fornite dallo stesso artista. Si tratta di due iscrizioni: la prima è la già citata epigrafe della cattedrale di Rapolla (1253), la seconda è invece posta sul fianco sinistro del pulpito di S. Maria Maggiore a Teggiano, del 1271. In mancanza di altri dati documentari, le iscrizioni consentono di individuare con certezza due momenti della carriera di M.: le opere di cui esse attestano la paternità sono dunque le sole a essere ascrivibili al maestro con certezza.
Nell’iscrizione sul portale della cattedrale di Rapolla M. è qualificato come «faber» dell’Opera, ovvero architetto, e si dichiara che il suo intervento si limitò alla sopraelevazione delle «parti più alte» della fabbrica, cioè alla copertura voltata della chiesa. Il pessimo stato di conservazione dell’edificio, che ha subito nei secoli numerose ricostruzioni e la cui volta è stata a più riprese riedificata a causa di ripetuti crolli dovuti a violenti sismi, rende però difficile stabilire la portata dell’intervento di Melchiorre. Una testimonianza dell’antica conformazione dell’edificio duecentesco è data comunque dalla presenza degli originari pilastri a fascio, da mettere in relazione alle parole di Bertaux (1897; 1903), il quale vide tracce delle originarie volte a crociera costolonate. L’unica parte superstite della cattedrale sicuramente spettante a M. è da ritenersi il portale, a rincassi multipli e dai capitelli pienamente inseriti nel solco delle esperienze figurative gotiche (del tipo a crochets e a foglie d’acanto salienti o dagli apici ricurvi), vicini agli esemplari svevi.
Dall’analisi di tale plastica architettonica è derivata nella critica l’opinione che la formazione di M. sia avvenuta nei cantieri dei castelli federiciani di Puglia e Lucania, come Castel del Monte o Castel Lagopesole (Bertaux, 1903; Calò Mariani, 1977); tuttavia, risulta impossibile precisarne la fonte diretta (Aceto, 2007).
La seconda opera di M. è il pulpito di S. Maria Maggiore a Teggiano, ben conservato anche se mutilo in alcune parti, sul quale egli si dichiara stavolta «mag[iste]r», riportando la data di esecuzione (1271).
Una lettura errata dell’iscrizione ha però condizionato fino a tempi recentissimi la critica, che riteneva l’opera eseguita nel 1279.
La struttura del pulpito ha subito manomissioni nel corso dei secoli, circoscrivibili non tanto ai documentati lavori ottocenteschi quanto a una fase risalente al XVI secolo, periodo a cui vanno ricondotte le lastre inserite nel retro della struttura. Il pergamo mostra una raggiunta maturità da parte di M., derivata dallo studio dell’arte antica e dall’acquisizione di innovazioni che lo rivelano partecipe dell’ambiente culturale di un grande artista, Nicola di Bartolomeo da Foggia, autore del pulpito del duomo di Ravello, che segue, almeno in ordine cronologico (1272), quello di Teggiano. Il pergamo di Ravello è architettonicamente distante da quello di Teggiano, ma per aspetti stilistici e presupposti culturali va ritenuto la testimonianza a questo più vicina. La sostanziale coincidenza cronologica dei due pulpiti esclude che l’uno abbia potuto influenzare l’altro, ma l’inequivocabile segno che i due artisti furono legati agli stessi ambienti è dato da particolari comuni, come il repertorio decorativo o la resa plastica e intensa della figura umana. Basti cogliere, in proposito, il vigore plastico nella rappresentazione dei due progenitori o del telamone sul lettorile di Teggiano, oppure l’intenso naturalismo del cervo collocato in uno dei pennacchi dell’archetto trilobo frontale. M. si rivela, tuttavia, un artista abile, ma nello stesso tempo aspro e vigoroso, che non arriva alla raffinatezza del collega pugliese.
Si è quindi tentato di ricercare le fonti di tale originale personalità, aggiornata ma allo stesso tempo rivolta al passato (in tal modo sono stati almeno interpretati i brani più corsivi del pulpito di Teggiano). Queste sono state rintracciate, oltre che nei cantieri federiciani di area pugliese, in ambito abruzzese da alcuni (Mormone), nella regione di presunta provenienza di M., la Basilicata, da altri (Grelle Iusco, 1981; Gandolfo). Una nuova e suggestiva lettura ha invece interpretato gli elementi «retrospettivi» del pulpito proponendo una datazione delle sue parti ritenute più arcaiche all’ultimo ventennio del XII secolo (Aceto, 2007). Secondo tale ipotesi, il pulpito sarebbe esito di due differenti campagne di lavori, la prima di fine XII secolo, la seconda duecentesca e spettante a M., che avrebbe accordato le parti di sua spettanza a quelle di un pulpito precedente.
Partendo dai due monumenti certi e dalle presunte origini di M., altre opere sono state attribuite a lui e alla bottega, soprattutto in area lucana (Grelle Iusco, 1981; 2001), nessuna di queste attribuzioni è però convincente, data la distanza notevole con le opere autografe.
In Campania è stata proposta, con fondata cautela, l’attribuzione a M. (Bertaux, 1903) della chiesa superiore del monastero di S. Guglielmo al Goleto (1247-55), che presenta forti assonanze con la plastica architettonica di Castel del Monte, condividendone anche il livello qualitativo estremamente raffinato.
È probabile invece una partecipazione di M. alla ricostruzione di S. Maria Maggiore a Teggiano, che vide la luce negli anni in cui veniva realizzato il pulpito, ma che è stata completamente ricostruita alla fine dell’Ottocento. Lo dimostrerebbe il portale della chiesa, opera non firmata in cui è però possibile riconoscere la mano di M., per gli indiscutibili riscontri con le due opere autografe. A Teggiano sono attribuiti a M. altri manufatti, come le quattro lastre figurate in S. Michele Arcangelo, delle quali non è possibile chiarire la provenienza e la destinazione. Tre di esse, con gli evangelisti Marco, Giovanni e Luca, sebbene siano estremamente simili nella composizione a quelle del pulpito in S. Maria Maggiore, devono tuttavia ritenersi opera di bottega, mentre la quarta, con la raffigurazione di s. Matteo, deve considerarsi proveniente da un diverso ambito culturale e cronologico.
È evidente, infine, come la personalità di M. vada inserita tra i magistri dalle versatili competenze che operarono nell’ambito della cerchia federiciana e negli ambienti che ne proseguirono gli indirizzi in età ormai angioina.
Non si conoscono il luogo e la data di morte di Melchiorre.
Fonti e Bibl.: E. Bertaux, I monumenti medievali della regione del Vulture, in Napoli nobilissima, VI (1897), suppl., pp. X-XII; Id., L’art dans l’Italie méridionale, Paris 1903, pp. 764-766, 784-786; M.S. Calò Mariani, Aspetti della scultura sveva in Puglia e Lucania, in Archivio storico pugliese, XXVI (1973), pp. 454-456, 474; N. Kamp, Kirche und Monarchie im Staufischen Königreich Sizilien, II, München 1975, p. 503; M.S. Calò Mariani, Ancora sulla scultura sveva in Puglia e Lucania. Appunti sulla figura dell’architetto e dello scultore, in Atti delle terze Giornate federiciane, Oria…1974, Bari 1977, pp. 175-177, 180; M. Mormone, Il pulpito di M. da Montalbano nella cattedrale di Teggiano, in Napoli nobilissima, n.s., XIX (1980), 5-6, pp. 165-173; A. Grelle Iusco, Note introduttive: fra materiali e storia, in Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri (catal., Matera), a cura di A. Grelle Iusco, Roma 1981, pp. 23-28; M.S. Calò Mariani, L’arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, pp. 195-201; F. Aceto, «Magistri» e cantieri nel «Regnum Siciliae»: l’Abruzzo e la cerchia federiciana, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXV (1990), 59, pp. 60 s.; F. Gandolfo, La scultura normanno-sveva in Campania, Bari 1999, pp. 120-122; L. Derosa, La Basilicata e i terremoti: il fortuito caso della cattedrale di Rapolla, Rionero 2001; A. Grelle Iusco, Note di aggiornamento, in Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri (rist. anastatica dell’edizione 1981 con note di aggiornamento), Roma 2001, p. 236; G. Pellini, Osservazioni sulla figura di M. da Montalbano e alcune testimonianze della scultura medievale a Teggiano, in RolSa. Rivista on line di storia dell’arte, 2004, n. 1, pp. 1-15; M. D’Onofrio, Il panorama artistico tra XI e XIV secolo: architettura e scultura, in Storia della Basilicata, II, Il Medioevo, a cura di C.D. Fonseca, Roma 2006, pp. 608-647; F. Aceto, Apocrifi duecenteschi: M. e il pulpito in S. Maria Maggiore a Teggiano, in Medioevo. Immagine e ideologia. Studi in onore di A.C. Quintavalle, a cura di A. Calzona et al., Milano 2007, pp. 318-326; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 356 s.
G. Pellini