MELFI (A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Potenza (Lucania), situata su una collina a 531 m. s. m., alle falde del M. Vulture (1330 m. s. m.), che si eleva isolato in mezzo al vasto altipiano degradante a ovest verso l'Ofanto, il cui corso limita il territorio del comune e dell'intera provincia da quello delle provincie di Avellino e della Capitanata. Ha derivato il nome dal torrente La Melfia, che attraversa il territorio e costeggia l'abitato. Fino al 1927 è stata capoluogo di circondario. È cinta da antiche mura, in parte diroccate dal terremoto del 1851 e da quello più recente del 1930, entro le quali si è mantenuta sempre e si mantiene tuttora, se si esclude la zona costruita dopo il terremoto.
Data la sua posizione su una collina; Melfi ha le vie quasi tutte strette e in pendio, specie nel quartiere NO. che dal Castello si stende fino alla vecchia fontana e a ridosso della piazza principale.
Il comune di Melfi ha 14.290 abitanti (1931) su un territorio di 205,1 kmq., con una densità di 70 ab. per kmq. La popolazione ha segnato un forte aumento fra il 1861 e il 1901 (da 9863 a 14.095 abitanti), e una non lieve diminuzione nel ventennio successivo, essendo discesa a 13.744 ab. nel 1911 e a 12.671 nel 1921, soprattutto a causa dell'emigrazione.
Il vasto territorio del comune, nell'ampia zona delle argille eoceniche che dalle mura a nord dell'abitato si stende a est e ovest degradando nel piano fino all'Ofanto, è coltivato prevalentemente a cereali o tenuto a pascoli; nella zona collinare vulcanica è coltivato a ulivi, viti e alberi da frutta - in prevalenza meli -; in quella montana è coperto da castagneti, boschi e pascoli. Lungo La Melfia, ai due margini, si è sviluppata una ricca e redditizia coltura orticola.
Su queste non scarse risorse agricole poggiano una modesta attività commerciale, regolata in gran parte da mediatori locali (vastasi), e una limitata industria olearia, enologica e della fabbricazione dei formaggi, quest'ultima un tempo abbastanza fiorente.
Melfi ha la stazione ferroviaria sulla linea Foggia-Potenza a 2 km. dall'abitato, e una stazione secondaria (di S. Nicola) che dista circa 10 km. sulla linea Rocchetta-Gioia del Colle; un servizio automobilistico la congiunge direttamente con Barletta.
Monumenti. - Dell'antico duomo, fondato nel sec. XII, rifatto nel secolo XVIII (a quest'epoca appartiene la facciata, del 1723) e restaurato dopo il terremoto del 1851, non rimane di notevole che il campanile, costruito nel 1153 da Noslo de Remerio, a due piani di bifore adorne d'incrostazioni con figure; l'ottagono cuspidato che sormonta il campanile è moderno. Nel cortiletto del municipio è collocato il sarcofago marmoreo proveniente da Rapolla, appartenente al cosiddetto tipo di Sidamara, di derivazione orientale. Allo sbocco della strada Normanna s'innalza l'imponente mole del castello, eretto dai Normanni: quadrilatero irregolare, con sette torri, cinto da profondo fossato.
Storia. - La storia delle origini di Melfi è dagli storici municipali confusa con quelle di Amalfi e di Molfetta. La città è di origine probabilmente romana. La chiesa di Melfi fu suffraganea di quella di Bisanzio, e solo nel 1025 papa Giovanni XIX la pose sotto l'autorità del vescovo di Canosa (Jaffé, n. 4068) e da questo restituita a vescovato nell'agosto 1037. Modesta città grecizzata, nelle cui vicinanze erano numerose grotte basiliane affrescate e frequenti monasteri di monaci orientali, crebbe d'importanza nelle lotte fra Goti e Greci, e fra Greci e Longobardi. Posta sui contrafforti del Vulture, quasi al confine del ducato di Benevento, a dominio dell'antica via romana Erculea sboccante nella media valle dell'Ofanto, e dell'altra che, per Conza, si congiungeva alla Puglia, Melfi, già accresciuta dall'imperatore Basilio e dal suo catapano e ripopolata intorno al 1020, assurse a dignità di capitale per opera del normanno Arduino, che la prese d'assalto il giorno di pasqua del 1041 con 300 uomini offertigli dal conte di Aversa.
Centro della vita politica e amministrativa della regione e del regno di Puglia, finché non venne soppiantata da Salerno; sede di concilî, fra i quali famoso quello del 1059, indetto da Niccolò II che riconobbe e tentò di avvicinare a Roma la potenza normanna, Melfi non perdette mai, neanche più tardi, la sua importanza commerciale attestata dalla presenza di ebrei dal sec. XII in poi, da mercanti ravellesi, pisani, genovesi, lucchesi, fiorentini e veneziani. Poi fu luogo di caccia preferito e di riposi estivi degli Svevi, soprattutto di Federico II che vi fondò una pubblica scuola e di lì promulgò nel 1231 le famose costituzioni. Ribellatasi nell'ottobre 1254 a Manfredi e giurata fedeltà alla Chiesa, fu presto ripresa dalle milizie di Galvano Lancia. Si tenne fedele allo Svevo nel 1268; ma l'Angioino vittorioso perseguitò i ribelli e vendette i loro beni. Infeudata nel 1348 agli Acciaiuoli, assediata dalle milizie del re Luigi d'Ungheria, venuto a vendicar la morte del fratello Andrea, tornò al regio demanio dal 1380 al '90. Passò poi ai Marzano, signori di Ascoli, indi ai Caracciolo e fu teatro della congiura detta "dei baroni", ordita in mezzo alle feste nuziali del figlio dei duca di Melfi con una Sanseverino, figlia del conte di Capaccio. Nella lotta tra Carlo V e Francesco I fu assediata ed espugnata il 23 marzo 1828 dalle truppe di Pietro Navarro agli ordini del Lautrec, e donata da Carlo V a Filiberto di Orange, e pochi mesi dopo, il 20 dicembre 1531, all'ammiraglio Andrea Doria, i cui eredi recano tuttora il titolo di principe di Melfi.
Della vita interna della città durante quei secoli, si sa poco: lotte giudiziarie secolari tra la chiesa vescovile e gli "homines" di Gaudiano oblati della chiesa melfitana, e tra questa e i comuni di Melfi e di Lavello; saccheggi e occupazioni di terre ecclesiastiche; epidemie (famose quelle del 1312 e del 1648, per le quali Melfi chiese sgravî di tributi); brigantaggio quasi endemico e insicurezza nelle campagne (tra i briganti, famoso, verso la fine del 1700, Angelo del Duca, detto Angiolillo); fazioni cittadine, tra cui memorabile quella al tempo di Ludovico il Bavaro, tra i Malamerenda innalzanti bandiera ghibellina e i Vaccaro, guelfi e vicarî del vescovo. Per liberarsi dalla gabella sulle farine, il popolo si sollevò nel luglio 1728; tenace lotta sostenne poco dopo, a difesa del comune contro i gravami del feudatario, Angelo Antonio La Monica, rimeritato dalla municipalità e dai cittadini con irosa ingratitudine e persecuzioni.
Democratizzatasi nel 1799, tornò realista con la venuta del cardinale Ruffo: due mutazioni, egualmente pretesto a eccidî di proprietarî e a saccheggi. I terremoti la desolarono per secoli: ultimi, quelli del 1851 e del 1930, tra i più disastrosi della regione. Partecipò, capeggiata da Floriano Del Zio (poi senatore), al moto rivoluzionario del 18 agosto 1860; fu bivacco della reazione brigantesca nell'aprile 1861. Nodo di strade verso Napoli, Barletta e il Mar Jonio, con fertile territorio poggiante alla pianura pugliese e alla montagna del Vulture, con un istituto tecnico e il tribunale, unita dal 1892 alla rete ferroviaria meridionale, Melfi, se non è più la "urbs illustris finibus Italiae celeberrima" come la cantò Guglielmo di Puglia, è tuttora tra i centri più cospicui della Lucania.
Bibl.: Il 14 agosto del 1851: raccolta di prose e di versi per cura di A. Santini, Napoli 1851; G. Araneo, Not. stor. della città di M., Firenze 1866; B. Croce, Somm. crit. d. storia dell'arte nel Napol., in Napoli nobilissima, II (1893), pp. 179-185; G. B. Guarini, S. Margherita, cappella Vulturina del Duecento, ibidem, VIII, 1899, pp. 113-118; Curiosità d'arte medievale nel Melfese, ibid., IX, 1900, pp. 132-136, 152-158; G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1902, II, pp. 23, 119, 142, 207-209, 286, 309, 421 segg.; V. Di Cicco, Sepolcreto antico scoperto nella collina dell'Istituto tecnico di M., in Notizie, scavi della R. Accad. dei Lincei, 1901, pp. 265-66; B. Del Zio, Le agitazioni del Melfese, Melfi 1905; id., I parlamenti e i concili in M., Melfi 1912; id., M. nella storia e nel pensiero di Dante, Melfi 1912; G. Nicastro, Contributo alla storia della peste del 1656, I: M., Casona e Corato, Melfi 1912; Ed. Sthamer, Dokumente zur Gesch. der Kastellbauten Kaiser Friedrichs II. u. Karls I. von Anjou, Lipsia 1912; id., Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. u. Karl. I. von Anjou, supp.. I, ivi 1914; B. Del Zio, Ricordi di storia patria, Melfi 1915; A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, I, Lipsia 1920; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922, I, passim; R. Ciasca, Per la storia dei rapporti tra Firenze e la regione del Vulture nel sec. XIV, Firenze 1929. Per il sarcofago: M. Camaggio, in Historia, 1932, p. 45 segg.