Melisso di Samo
Filosofo, discepolo di Parmenide e ultimo esponente della scuola eleatica. Apollodoro pone la sua ἀκμή nella 84a Olimpiade (444-41 a.C.); nel 441-40 M. comandò la flotta della sua città natale, Samo, nella vittoriosa battaglia contro gli Ateniesi. Secondo Diogene Laerzio (Vita dei filosofi, IX, 24) frequentò Eraclito e anche se la cronologia non esclude del tutto questa possibilità, essa non è confermata da sicure evidenze. Scrisse in prosa un poema intitolato Sulla natura o sull’essere, del quale Simplicio tramanda una decina di frammenti, il cui contenuto sembra ben armonizzarsi con quanto si legge nella prima parte dello scritto pseudoaristotelico De Melisso Xenophane et Gorgia (framm. 30 A 5 Diels-Kranz). Aristotele attacca ripetutamente il pensiero di M., rimproverandogli scarso rigore dal punto di vista logico-argomentativo negli Elenchi sofistici (5, 167 b 13 e 6, 168 b 35), criticandone la definizione dell’essere come infinito nella Fisica (I, 2, 185 a 32) ed escludendolo, insieme a Senofane, dal novero dei pensatori di un qualche rilievo nella Metafisica (I, 5, 986 b 25), dove entrambi vengono definiti come troppo rozzi (ἀγρικότεροι). Il duro giudizio di Aristotele ha certamente influito sulla fortuna di M. al quale tuttavia la storiografia più recente riconosce un apprezzabile ruolo nell’evoluzione delle dottrine parmenidee come pure nella polemica contro il pluralismo di pensatori contemporanei quali Empedocle e Anassagora, contro i quali M. si scaglia nel testo conservato dal framm. B 8. Rispetto alle conclusioni parmenidee M. radicalizzò alcuni aspetti della dottrina eleatica, arrivando a definire l’essere come infinito, perché se fosse finito esso dovrebbe confinare con il vuoto, ossia con il non essere, il che è impossibile; l’essere è dunque privo di limiti spaziali e temporali, quindi – a differenza dell’essere di Parmenide che solo «è» – «era, è e sarà». Infinito, eterno, immobile, immutabile e incorporeo (privo cioè di qualsiasi figura che determina i corpi, cui non si addice neppure quella della sfera perfetta voluta da Parmenide), l’essere è l’unica realtà proclamata dal λόγος, mentre l’apparente molteplicità delle cose, denunciata dall’illusoria conoscenza empirica, viene relegata nella sfera della δόξα.