MELLARÈDE DE BETTONET, Amedeo Filiberto. – N
acque probabilmente a Chambéry, in Savoia, nel 1707 da Pietro e da Anne Lozat.
La data di nascita si desume dalla Nota dei cavalieri, vassalli et altre persone qualificate abitanti nella città di Torino, dell’autunno 1723, in cui il M. è detto «studente di sedici anni» (Arch. di Stato di Torino, Archivio di corte, Nobiltà in genere, m. 2: Elenchi di nobili).
Negli anni 1716-18, successivi alla morte della madre (1715), il M. risulta aver frequentato il collegio di Annecy. In seguito, raggiunto il padre a Torino, ebbe come precettore l’abate Jean Claude Gaime, che esercitò la stessa funzione per il fratello Pietro Luigi e per le sorelle.
Casa Mellarède era frequentata dal giovane Jean-Jacques Rousseau, che aveva viva simpatia per l’abate Gaime, di cui parla in toni assai positivi nella sue Confessioni e che prende a modello per il protagonista della Profession de foi du vicaire savoyard. Rousseau mantenne i rapporti con la famiglia Mellarède anche dopo la sua partenza da Torino, in particolare con la contessa Marie-Anne-Amedée, sorellastra del M., la cui casa ebbe occasione di frequentare durante gli anni trascorsi a Chambéry.
Entrato all’Università di Torino, nel 1725, mentre frequentava il corso di laurea in teologia, il M. fu nominato rettore. Si laureò nel 1728.
Sino al 1729 la carica di rettore spettava a uno studente scelto dal sovrano su una rosa di quattro candidati nominati dagli studenti delle diverse facoltà (legge, teologia, medicina e arti). Il fratello Pietro Luigi era stato nella rosa per due volte, nel 1722 e nel 1723, ma in entrambi i casi gli era stato preferito un esponente di famiglie della nobiltà più antica. Il M., invece, fu eletto rettore al suo primo inserimento nella rosa. In seguito a una riforma varata nel 1729, la carica di rettore fu riservata agli studenti appena (o da poco) laureati. Il M., allora, fu nuovamente proposto al sovrano come rettore nel 1730, ma questa volta senza successo.
Il 22 nov. 1727 papa Benedetto XIII lo nominò abate commendatario di S. Maria di Talloires, in Savoia (nomina confermata da Vittorio Amedeo II l’anno successivo). La carica non comportava l’amministrazione diretta dell’abbazia, spettante all’abate regolare, ma il godimento di una serie di rendite e la gestione dei rapporti con la corte. L’importanza della carica – in passato assegnata anche a membri di Casa Savoia – lasciava prevedere che per il M. si aprisse la strada di una brillante carriera ecclesiastica. Negli stessi anni fu creato abate di S. Benedetto di Muleggio, nel Vercellese. Il 27 sett. 1735 stipulò una convenzione con il priore dell’abbazia di Talloire: rinunciava ai benefici della commenda, tranne a quelli onorifici, e al possesso di un’abitazione all’interno dell’abbazia in cambio d’una pensione annua di 2500 lire.
Noto per rigore e cultura, il M., oltre ad avere ereditato dal padre un fiero giurisdizionalismo, era fortemente avverso ai gesuiti e aveva aderito alle massime di Port-Royal. Subito dopo la laurea era entrato nel cenacolo giansenista riunito attorno al domenicano alsaziano Thomas Crust, professore di teologia dogmatica nell’ateneo torinese dal 1728. In seguito, il M. strinse amicizia con l’abate Carlo Vittorio Amedeo Delle Lanze, figlio di un illegittimo del duca Carlo Emanuele II e destinato a diventare nel 1747 cardinale di Corona. L’amicizia con Delle Lanze, per lunghi anni duro avversario dei gesuiti, fu importante per il M., che grazie a essa potè consolidare il rapporto con il sovrano Carlo Emanuele III. Il 29 ag. 1737 il re lo nominò riformatore degli studi dell’Università di Torino.
La riforma varata da Vittorio Amedeo II nel 1720 aveva posto l’Università di Torino sotto la guida del magistrato della Riforma, le cui competenze si estendevano sino alla gestione delle scuole delle province. A capo vi erano quattro riformatori che controllavano l’attività universitaria e dirigevano le istituzioni dipendenti dall’ateneo, quali l’ospedale di S. Giovanni, il collegio delle province e l’orto botanico.
La nomina del M. a una carica tanto delicata suscitò vive opposizioni. Il marchese Giovan Cristoforo Zoppi, gran cancelliere di Savoia, scrisse in una relazione al re che il M. era certo «riputato dotto sopra gli altri, ma si condanna in lui lo spirito di partito e la protezione che egli prende di alcune dottrine non sane e pericolose» (Vallauri, p. 104). Nel 1738 Roma ordinò al vicario dell’inquisitore di Torino, padre Alfieri di Magliano, di indagare sul Mellarède. L’inquisitore, tuttavia, si mosse senza la necessaria prudenza e l’indagine fu bloccata. Nell’estate del 1739, comunque, fu lo stesso sovrano a provvedere nel senso voluto da Roma. Padre Crust fu giubilato e il M., terminato il biennio da riformatore, non fu confermato nella carica, né se ne vide assegnare un’altra. Il messaggio era chiaro. Il M. si ritirò in Savoia, dividendosi fra Chambéry, Talloires e il castello di Betton Bettonet.
Per quasi venticinque anni egli visse in Savoia, compiendo, però, numerosi viaggi all’estero, soprattutto a Roma e Parigi. Nella capitale francese strinse amicizia con il benedettino Charles Clément, che lo aiutò ad acquistare libri in Francia e in Olanda, permettendogli di costituire una biblioteca che vantava pochi eguali negli Stati sabaudi. Nel 1740 il suo nome, insieme con quello del fratello Pietro Luigi, era annoverato fra gli azionisti dell’allora istituita stamperia Reale di Torino. Il M. strinse inoltre relazioni con numerosi studiosi, entrando a fare parte anche di alcune accademie. Nel 1750 scrisse una lettera all’Accademia di Bologna discutendo le Riflessioni fisiche sopra la medicina elettrica di G. Pivati, apparse nel 1749.
Nel 1759, alla morte senza figli del fratello maggiore Pietro Luigi, divenne terzo conte di Bettonet. L’anno successivo il capitolo generale dell’Ordine dei benedettini lo nominò visitatore apostolico. Il M. non mancò in tale occasione di denunciare i disordini dei monaci di Talloires. Tutto lasciava pensare che la sua vita si sarebbe conclusa in Savoia, lontano dalla corte. Le cose cambiarono, invece, nel 1764. La morte dell’abate Giovan Antonio Palazzi, economo generale dei benefici vacanti dal 1735, lasciò libera una carica che richiedeva un religioso di forte spirito giurisdizionalista. Carlo Emanuele III decise, quindi, di richiamare il M. a Torino. Il 9 ott. 1764 il M. fu nominato economo generale sia per le antiche province sia per quelle di nuovo acquisto, con uno stipendio annuo di 1500 lire. Il M. si dimise, allora, da abate di Talloires, ottenendo dal re l’abbazia di S. Maria di Selve, nel Vercellese (che era stata dello scomparso abate Palazzi) e mantenendo il possesso di quella di Muleggio.
Il momento a Torino era particolarmente difficile per il partito giansenista e antigesuita. La morte, pochi mesi prima, del cavalier Giuseppe Ossorio (1763), segretario di Stato agli Affari esteri, lo aveva privato di uno dei suoi principali protettori. Inoltre il cardinale Delle Lanze, sgomento per quanto accaduto negli anni precedenti nei Paesi borbonici e interpretando tutto ciò come un attacco allo stesso potere papale, aveva mutato radicalmente opinione, aderendo al partito gesuita. Di conseguenza alcuni dei principali esponenti del giansenismo piemontese avevano lasciato il Paese. Era il caso, per esempio, dell’abate Giacomo Michele Bentivoglio, elemosiniere di corte, collaboratore del cavalier Ossorio (di cui aveva ereditato la ricca biblioteca) e grande amico del Mellarède
Giunto a Torino, il M. non rinnegò la sua fede giansenista, anzi cercò di sfruttare il più possibile la vicinanza all’anziano sovrano per convincerlo ad aderire all’opera in atto nei Paesi borbonici. Il 13 luglio 1765 Bentivoglio, in una lettera all’amico Nicolas Tronson Ducoudray, scrisse che il M. si stava adoperando per contrastare l’azione degli avversari dei giansenisti, dicendosi inoltre ottimista sul suo successo (Il giansenismo in Italia, p. 553). Forte di una trentennale amicizia con il cardinale Delle Lanze, il M. cercò di convincerlo a ritornare sui suoi passi e ad abbandonare la sua posizione filogesuita. Tuttavia, anche se riuscì a ottenere la soppressione di alcuni conventi e l’eliminazione di alcune feste religiose in Savoia, il M. era stato troppi anni lontano dalla corte per riuscire in un’impresa tanto ardua. Rivelatisi vani i suoi sforzi, nel 1771 decise di dimettersi e di tornare a Chambéry. Bentivoglio il 21 ag. 1771 scrisse a Ducoudray che il M. era stato obbligato a presentare le dimissioni vista l’impossibilità di operare in maniera opportuna dal posto che ricopriva (ibid., p. 546). Carlo Emanuele III, comunque, lo volle ricompensare con la nomina, il 24 luglio 1771, a consigliere di Stato, con stipendio annuo di 2000 lire.
Rientrato in Savoia, il M. fu tra i promotori della fondazione della Société pour le progrès de l’agriculture et des arts nel 1772. Fu soprattutto grazie al suo intervento che nel 1774 essa fu riconosciuta come Société royale da Vittorio Amedeo III.
Nel 1771 Carlo Emanuele III aveva ordinato l’affrancamento dei feudi della Savoia. A fronte delle proteste della nobiltà savoiarda, Vittorio Amedeo III nel settembre 1775 sospese il provvedimento e, nel 1776, nominò una commissione incaricata di esprimere un giudizio sulla fattibilità dell’affrancamento e sulle sue conseguenze politiche. Il M., in qualità di consigliere di Stato, fu chiamato a farne parte e si rivelò come uno dei più fieri oppositori dell’abolizione del sistema feudale. Fu, comunque, tra i primi ad applicare la legge quando essa entrò in vigore, tre anni più tardi.
Il M. morì il 2 dic. 1780 e fu sepolto nella chiesa del castello di Betton Bettonet.
Pochi giorni prima della morte, il 25 novembre, aveva fatto testamento. In esso nominava erede la sorellastra Marie-Anne-Amedée e il suo terzo marito, Joseph de Bertrand de Gilly (nel 1739 la sorellastra aveva sposato Jean-Baptiste Morand, figlio del vicebalivo di Aosta, e nel 1754 il conte Joseph-François Marechal de Duingt de la Val-d’Isère e Sainte-Hélène). Marie-Anne-Amedée fu investita del feudo di Bettonet il 4 giugno 1783. Il M., tuttavia, scorporò dall’eredità la sua ricca biblioteca, composta soprattutto di testi di teologia e diritto, e il gabinetto di storia naturale, che lasciò alla città di Chambéry. Trasportata dal castello di Betton Bettonet a Chambéry, nel 1783 la biblioteca fu aperta al pubblico e divenne il cuore dell’allora istituita Biblioteca comunale.
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A. Merlotti