MELLARÈDE DE BETTONET, Pietro
– Nacque a Montmélian, in Savoia, nel 1659, da Jean e da Guillelmine Durat.
Il padre, appartenente a una famiglia della Linguadoca trasferitasi in Savoia nella seconda metà del Seicento, era notaio a Montmélian. Oltre al M. ebbe un altro figlio maschio, Balthazarde, avviato alla carriera ecclesiastica, e due figlie, Anne e Guillelmine, che sposarono rispettivamente Philibert Fosseret e Jacques de Chalandière.
Le notizie sulla giovinezza del M. sono rare, il loro reperimento risulta complicato dall’esistenza di un omonimo cugino Pietro (Pierre) che nel 1677 acquistò il rango di «bourgeois de Chambéry» e che fu anch’egli avvocato. Per quasi un ventennio la carriera del M. si compì lungo i percorsi consueti della borghesia forense della Savoia. L’11 genn. 1678 fu nominato avvocato presso il Senato di Chambéry, divenendovi poi giudice il 21 dic. 1693 e avvocato generale dei poveri il 20 apr. 1697. Intorno al 1680 sposò Anne Lozat, da cui ebbe nel 1685 Jean-Baptiste, morto infante, e altri figlie e figli, tra cui Pietro Luigi e Amedeo Filiberto. La svolta nella sua carriera avvenne con la nomina, il 22 maggio 1699, a intendente generale di Giustizia e Azienda della città e contado di Nizza.
Il repentino passaggio del M., dopo un ventennio piuttosto oscuro, nel Senato di Savoia può trovare una spiegazione nell’attività di patronage dei Noyel de Bellegarde, i quali cercavano di inserire funzionari savoiardi all’interno della crescente burocrazia dello Stato sabaudo. Negli anni Ottanta i Bellegarde avevano più volte proposto a Vittorio Amedeo II, ma senza successo, l’avvocato Jean Mellarède, figlio dell’altro Pietro (Pierre), per la carica di segretario ducale. Dal 1687 il marchese Janus de Bellegarde era gran cancelliere di Savoia (la principale carica dello Stato sabaudo) e aveva avuto modo di conoscere e apprezzare il M. negli anni in cui era stato presidente del Senato di Savoia.
Nel Nizzardo il M. svolse un lavoro intenso, il cui frutto migliore fu rappresentato dai poderosi studi preparatori per la compilazione del catasto – una delle grandi riforme istituzionali avviate sotto il ducato e poi sotto il regno di Vittorio AmedeoII – e dalla stesura di alcune importanti opere storiche volte a consolidare il potere sabaudo sulla Contea.
Nel 1698 Vittorio Amedeo II e i suoi ministri si erano scontrati con i sindaci di Nizza a proposito di un recente libello che rivendicava l’immunità fiscale della città. Il M., sollecitato da Giovanni Battista Gropello, conte di Borgona, generale delle Finanze, offrì allora in un ampio Traité des droits des ducs de Savoie (Nizza, Archives départementales des Alpes-Maritimes, Città e contado di Nizza, m. 3, f. 1) una puntuale giustificazione del diritto di governo esercitato dai Savoia sul Nizzardo, che il M. interpretava non già quale esito di una libera dedizione (come avevano sostenuto storici nizzardi quali Onorato Pastorelli e Pietro Gioffredo), bensì quale frutto di una vera e propria conquista. Nel 1700, in occasione della visita del duca a Nizza, il governo centrale aveva assunto il controllo delle gabelle cittadine sul vino e sul pesce; poco dopo fu estesa al Nizzardo la tassa sul tabacco, sino ad allora applicata nelle sole terre piemontesi. Ignorando le rivendicazioni del Consiglio cittadino, il M. procedette a imporre al Nizzardo una nuova imposta sulla carta bollata. In questo modo le entrate provenienti dalla Contea di Nizza aumentarono, mentre una politica analoga veniva condotta, per iniziativa del conte Gropello, in un altro territorio restio ad accogliere le nuove disposizioni del governo centrale: la Valle d’Aosta. Fra i documenti stesi a Nizza va ricordato anche l’État sommaire de la Ville et des communautes du Comté de Nice (ibid., m. 9, datato 29 giugno 1701). L’inchiesta condotta dal M. sull’indebitamento e sulle risorse delle comunità locali rivelò grandi sperequazioni nella distribuzione dei carichi fiscali. Le istruzioni emanate l’anno successivo sulla revisione dei catasti secondo misurazioni compiute ex novo da periti incaricati dal governo incontrarono l’opposizione dei grandi possidenti che si appellavano al vecchio sistema delle dichiarazioni rilasciate da ogni singolo proprietario. Il M. finì col cedere alle opposizioni dei notabili della città di Nizza, che rimase una delle sette Comunità della Contea a non compilare un nuovo Catasto. Il Nizzardo costituì, tuttavia, una sorta di laboratorio per verificare i metodi da seguire nella perequazione tributaria del resto dello Stato. I lavori eseguiti riuscirono a uniformare in buona parte la Contea al sistema fiscale piemontese. Le assemblee di rappresentanza dei ceti locali avevano, infatti, cessato di riunirsi e i risultati della catastazione erano serviti ad applicare un’imposta fondiaria, il tasso, che aveva sostituito l’antico donativo, in precedenza deliberato nelle sedute dei rappresentanti degli ordini ormai esautorati.
Quando Vittorio Amedeo II nel 1703, durante la guerra di successione spagnola, abbandonò l’alleanza con i Borbone per passare al fronte imperiale, le truppe di Luigi XIV invasero Nizza e la Savoia. Il M. riuscì allora a mettersi in salvo a Torino. Pochi mesi dopo, in ottobre, il duca lo inviò presso la Dieta di Berna quale ministro plenipotenziario.
Scopo della missione era convincere gli Svizzeri a chiedere per la Savoia il beneficio della neutralità. Il M. si fermò a Berna sino all’anno successivo; al ritorno stese una memoria sulla sua missione piena di ammirazione per il sistema repubblicano elvetico e per la sua politica (Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Materie politiche per rapporto all’estero, Negoziazioni con gli Svizzeri, m. 26, f. 6). Sebbene la sua azione non sortisse del tutto gli effetti sperati, essa ebbe un ruolo determinante nello spingere i Cantoni a chiedere a Luigi XIV di non procedere a una formale annessione della Savoia. Luigi XIV accettò la richiesta e riconobbe, inoltre, la neutralità di Chiablese e Faucigny.
La missione presso i Cantoni svizzeri aprì al M. le porte della carriera diplomatica, nel corso della quale divenne il più saldo punto di riferimento nella complessa trama della politica estera di Vittorio AmedeoII. Il passo successivo di questa nuova carriera fu la nomina ad ambasciatore presso l’imperatore Giuseppe I, nel 1710.
La missione a Vienna prevedeva, tra l’altro, che egli gestisse i non facili rapporti con il principe Eugenio di Savoia e trattasse la spinosa questione dei feudi imperiali delle Langhe. Legata a tale incarico risulta la stesura di uno Stato delle città, communità e cassinali del Ducato di Monferrato, coi nomi de’ vassalli ch’anno prestato il giuramento di fedeltà a S.A.R. (ibid., Paesi, Ducato del Monferrato, m. 50, f. 15), in cui il M. si misurava con l’intricata situazione giurisdizionale di un territorio, già dominio gonzaghesco, di cui si stava completando l’annessione allo Stato sabaudo. Il problema feudale richiedeva cognizioni non solo di giurisprudenza pratica, ma anche di teoria del diritto e di storia giuridica, materie che il M. seppe padroneggiare perfettamente nel corso dell’incarico viennese.
Nel 1711 si recò a Berlino e a Francoforte, dove assistette alle cerimonie per l’incoronazione dell’imperatore Carlo VI. Alla conclusione della guerra di successione spagnola fu inviato ambasciatore a Londra e nominato plenipotenziario sabaudo al congresso di Utrecht (1712-13), dove – a fianco dei ministri Annibale Maffei di Boglio e Ignazio Solaro di Moretta marchese del Borgo – trattò a nome di Vittorio Amedeo II l’acquisizione della Sicilia.
Le missioni diplomatiche servirono al M. per entrare in contatto con la cultura europea più avanzata. Durante il periodo trascorso a Utrecht il M. stabilì relazioni, fra gli altri, con diversi teologi protestanti e professori universitari che, rientrato a Torino, avrebbe fatto ufficialmente consultare a proposito della riforma dell’Università torinese, fortemente perseguita da Vittorio Amedeo II. Egli stesso, durante il soggiorno nei territori imperiali, aveva redatto e inviato a Torino una relazione sulle Università di Vienna e Colonia. A Londra le sue conoscenze giuridiche gli valsero la prestigiosa nomina a membro della Royal Society (Relazione sulla corte d’Inghilterra del consigliere di Stato Pietro Mellarède, a cura di D. Carutti, in Miscellanea di storia italiana, XXIV [1885], pp. 221-240).
Rientrato a Torino, il M. fu nominato ministro di Stato (titolo conferito per la prima volta nella storia sabauda a un togato) e primo presidente della Camera dei conti il 13 sett. 1713. Con l’esclusione di una breve missione in Baden nel 1714, da allora il M. non ebbe più incarichi diplomatici. Il 15 febbr. 1717, quando Vittorio Amedeo II rinnovò l’assetto delle segreterie di Stato, il M. fu nominato primo segreterio di Stato agli Affari interni; il re gli volle conferire anche il ruolo di notaio della Corona, che solitamente spettava al gran cancelliere. Lo stesso giorno della nomina del M., il re creò primo segretario di Stato per gli Affari esteri il marchese Ignazio Solaro del Borgo. Con il marchese del Borgo (restato in carica sino al 1732) il M. avrebbe retto le sorti della politica sabauda nell’ultima parte del regno di Vittorio Amedeo II, affermandosi come il principale artefice della sua politica di riforme amministrative ed economiche.
Il 28 sett. 1715 il M. entrò nelle file della nobiltà e acquistò dalla famiglia savoiarda Chapel, insieme con il barone Joseph Arestan de Montfort, la signoria di Chamoux; avendo pagato all’incirca un quinto del costo (26.000 fiorini di Savoia contro i 106.000 pagati da Monfort), gli fu riservata la signoria sul castello di Bettonet, vicino Chambéry, mentre all’altro acquirente toccò il titolo sulle terre restanti: Chamoux, Montendry e Montgilbert. Rimasto vedovo nel 1715, all’inizio del 1717 si risposò con Marie Denis, vedova ed erede di Pierre Durier, che gli portò la considerevole dote di 40.000 lire e gli diede almeno una figlia, Marie-Anne-Amedée, nata intorno al 1718. Nel 1723 la famiglia del M. risultava abitare nel palazzo ducale Vecchio, termine con cui si indicava il complesso architettonico fatto costruire dal duca Vittorio Amedeo I e dalla consorte Maria Cristina. A palazzo Vecchio abitava anche il marchese del Borgo.
Nel 1715 il M. fu nominato promotore perpetuo dell’Accademia degli Incolti di Torino, la principale accademia della capitale. Durante gli anni torinesi mise insieme un’importante raccolta di opere di pittori bamboccianti, soprattutto fiamminghi attivi in Piemonte, come Peter Mauritz Bolkmann e Jean-Baptiste Abret, e Pietro Domenico Olivero; la collezione, di grande valore sia artistico sia storico, è tuttora conservata al castello di Betton Bettonet.
Interprete del passaggio, nelle cariche del governo centrale sabaudo, da una fase di preponderanza dell’elemento savoiardo e nizzardo a una fase in cui il ruolo egemone negli stessi uffici, ormai ampiamente riformati, fu esercitato dai ceti piemontesi, il M. seppe esprimere nel proprio operato spirito di servizio verso lo Stato e capacità di mediare gli interessi dei ceti dirigenti del territorio da cui proveniva. Un interessante terreno di analisi per l’azione del M. è dato dalla Valle d’Aosta. Qui egli tentò di contenere le rivendicazioni delle élites locali servendosi, in qualità di segretario degli Interni, di funzionari savoiardi, in diversi casi a lui legati da rapporti di parentela o di patronage. In virtù delle istruzioni che Vittorio Amedeo II di Savoia aveva dato il 12 marzo 1717, il M. godeva della precedenza nel ricevere le informazioni dalla Valle, una prerogativa che si rafforzò proprio grazie ai savoiardi che era riuscito a far incardinare nel ruolo di vicebalivi: Alexis Plachamp, Claude Morand, nel 1717 (il cui figlio avrebbe sposato, anni dopo, Marie-Anne-Amedée), Léonard Carron de Crésy, nel 1718, Joaquim de la Grande de Taninge, nel 1723, Arestan de Montfort nel 1729. Il M. fu determinante anche nel far ottenere, nel 1729, a Jean Grillet, altro savoiardo a lui legato, la cattedra episcopale di Aosta.
Negli anni trascorsi nell’ufficio di primo segretario agli Interni il M. non volle essere affiancato da nessun primo ufficiale (sorta di viceministro, che in seguito avrebbe invece rivestito grande importanza nell’organigramma della segreteria), ma chiamò tre avvocati di sua fiducia, ai quali fece affidare la carica di segretari: Charles Perrin, Giovan Ludovico Raiberti e Giovan Bartolomeo Razano. Fra i sottosegretari, il M. volle due savoiardi, Christophe Quey e Michele Nicollier, e un nizzardo, Andrea Raibaudo. Risultò in questo modo marcata l’impronta di tipo personalistico trasmessa alla neocostituita segreteria di Stato. Progressivamente il M. concentrò infatti su di sé ogni attività. Dal 1725 di questi sei personaggi restarono nella squadra dei collaboratori del M. solo Razano e Raibaudo. Dopo la morte del M. il marchese Carlo Vincenzo Ferrero d’Ormea, che ne rilevò la carica di primo segretario degli Interni, trasformò la struttura dell’ufficio rimuovendo i collaboratori del predecessore, facendoli promuovere ad altri incarichi e rinnovando profondamente il profilo del personale della segreteria, nominando fra l’altro un primo ufficiale, lo spagnolo di origine fiamminga Andrea Tommaso Plazaert.
Il M. fu il più ascoltato e fidato consigliere del sovrano nelle principali fasi di riforma dello Stato durante i primi tre decenni del Settecento; ebbe parte attiva nella controversia giurisdizionalistica con Roma, nella riorganizzazione delle segreterie di Stato, nell’imponente lavoro di consolidamento delle Regie costituzioni del 1723 e del 1729, nella riforma dell’Università di Torino, nella prosecuzione della catastazione, destinata a impegnare fino alla crisi dell’antico regime la politica amministrativa dei Savoia. Vittorio Amedeo II si rivolse spesso a lui anche per la redazione o l’analisi di opere storiche, come l’Histoire de la maison de Savoye di Bernardo Andrea Lama. L’acribia erudita, del tutto indipendente dal tipo di formazione ricevuta, ma che coltivò in più occasioni rivelando anche ampie conoscenze storiche, ispirò diversi suoi scritti, elaborati a margine dei documenti tecnici prodotti all’interno della segreteria di Stato (si vedano le opere storico-erudite conservate presso la Biblioteca reale di Torino, Storia patria, 31, 73, 233, 240, 576, 697, 758, 765, 968). Nel periodo della controversia fra le corti di Torino e Roma partecipò alla produzione di scritture inerenti diversi funzionari e magistrati (come, tra le altre, le memorie da lui redatte nel 1722 sulle questioni dei «benefici vacanti», Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Materie ecclesiastiche, Negoziazioni colla corte di Roma, m. 16, ff. 10-11). La raffinata competenza in materia giurisdizionalista fece sì che per diverso tempo gli fosse attribuita la paternità dei Discours moraux, historiques et politiques di Alberto Radicati di Passerano (J.-L. Grillet, Dictionnaire historique, littéraire et statistique des Départemens du Mont-Blanc et du Léman, II, Chambéry 1807, p. 142). Fra le decine di pareri di cui egli fu autore si possono ricordare ancora quelli sui conflitti di competenza insorti fra Senato e Camera dei conti in seguito alla pubblicazione delle nuove Regie costituzioni (Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Materie giuridiche, Senato di Piemonte, m. 3, f. 11).
Il M. morì a Torino il 19 marzo 1730 e fu sepolto nel santuario della Consolata.
Con testamento del 5 apr. 1725 il M. aveva nominato erede universale il figlio Pietro Luigi, secondo conte di Bettonet (1700 circa-1759). Questi, laureatosi in legge nel 1724, il 14 luglio 1730 entrò nella Camera dei conti di Piemonte come collaterale; fra i compiti affidatigli, il controllo dell’amministrazione dell’ospizio del catecumeni di Pinerolo, nel 1745. Conservatore generale delle gabelle del Piemonte il 15 ott. 1748, meno di un anno dopo, il 2 maggio 1749, fu creato presidente del Senato di Nizza, e il 29 luglio 1750 presidente del Consolato della stessa città. Fra il 1758 e il 1759 Carlo Emanuele III gli diede un ruolo centrale nella definizione del trattato franco-sardo, poi ratificato nel 1760, che regolava i confini fra i due Regni. Si stava organizzando il suo rientro a Torino, forse alla guida del Senato di Piemonte, quando il 30 luglio 1759 morì improvvisamente, cadendo di notte da una terrazza mentre passeggiava con il senatore Pietro Giuseppe Graneri. Dal suo matrimonio (1729) con Jeanne-Catherine Milliet (morta nel 1734), figlia di un importante magistrato savoiardo, non erano nati figli. Il patrimonio dei Mellarède passò al fratello Amedeo Filiberto.
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A. Merlotti