MELLO da Gubbio
MELLO da Gubbio. – Non si conosce la data di nascita di questo pittore originario di Gubbio. Il nome «Mellus» è molto frequente nelle fonti coeve, ma non compare mai accompagnato dalla qualifica di pittore. Sulla base tuttavia di fonti relative all’attività di tale Mattiolo di Mello, che si crede sia stato figlio di M., è stato indicato nel 1285 il possibile anno di nascita (Garibaldi, 1981): ipotesi contraddetta, però, dallo stile delle opere certe di M. che denunciano una maturità pittorica raggiunta verso gli anni Quaranta del Trecento e dunque presumono un autore nato nel primo decennio del secolo (Marchi).
A M. spetta la realizzazione di una tempera su tavola già nella pieve di Agnano, ora esposta nel Museo diocesano di Gubbio. Il dipinto raffigura la Madonna in trono col Bambino iscritta in una mandorla e adorata da angeli e reca intatta sul gradino del trono la scritta in lettere d’oro su fondo blu «Opus Melli de Eugubio», che ne attesta la paternità.
L’iscrizione è stata scoperta nel 1979 in seguito a un restauro diretto da Francesco Santi e condotto da Giovanni Manuali. L’intervento ha permesso il recupero pressoché integrale della facies pittorica primitiva del dipinto e ha evidenziato significative manomissioni della tavola che è risultata parzialmente ridotta a sinistra, privata nella parte superiore di una cornice d’andamento mistilineo e probabilmente di tavole laterali, forse sportelli. Si tratterebbe di una regolarizzazione del supporto realizzata nel XVI secolo quando si riutilizzò il retro per dipingere una Crocifissione (Santi, 1979). Prima della scoperta della firma di M., la tavola era stata attribuita a un altro maestro eugubino attivo nella prima metà del Trecento, Guiduccio Palmerucci, e accostata alla produzione senese (E. Neri Lusanna, Percorso di Guiduccio Palmerucci, in Paragone, XXVIII [1977], 325, pp. 10-39). L’acquisizione del nome del suo esecutore ha pertanto imposto una revisione del corpus di Palmerucci e allo stesso tempo ha consentito di tracciare un sommario profilo di M., altrimenti ignoto alla critica e del quale non sono state rintracciate menzioni nelle fonti contemporanee superstiti.
I caratteri stilistici della tavola di Agnano indicano nell’ambiente toscano la fonte culturale principale di Mello. La Vergine, regale e ieratica, e il Bambino, composto e scultoreo, mostrano una corporeità d’ascendenza giottesca risolta però in modi lorenzettiani e finezze decorative negli elementi accessori che richiamano l’arte dei maestri senesi del terzo e quarto decennio del XIV secolo. In particolare, la Madonna citerebbe l’Assunta miniata da Niccolò di ser Sozzo in un foglio staccato del codice detto Caleffo Bianco (o dell’Assunta dell’Archivio di Stato di Siena), artista presso il quale M. potrebbe avere svolto il suo alunnato (Garibaldi, 1981). In generale, M. guarda ai pittori attivi nel cantiere della basilica inferiore d’Assisi, a Pietro Lorenzetti in particolare, ma anche a Puccio Capanna. Dai suoi modelli M. si differenzia per la precoce adozione di accenti di naturalismo gotico e per la volontà di imprimere ai personaggi sacri un’espressività più intensa, modulata con l’uso di un chiaroscuro carico e di un accentuato cromatismo dei tratti somatici (Neri Lusanna, 1985; Santanicchia). Datata attorno al 1360 da Santi in considerazione delle sue peculiarità iconografiche (la commistione dei temi dell’Assunta e della Maestà, la cornice continua di serafini in monocromo rosso che contorna la mandorla e il ramoscello di fico stretto nella mano sinistra dal Bambino) giudicate di una ricercatezza quasi tardogotica, la realizzazione dell’opera è stata anticipata al 1340 da Garibaldi o collocata più genericamente attorno alla metà del secolo.
Attorno al nome di M. è stata raccolta una serie di opere, in passato assegnate a Guiduccio Palmerucci.
Si tratta di alcuni affreschi staccati da S. Maria Nuova in Gubbio e ricoverati nella Pinacoteca comunale, della Croce in S. Francesco a Pergola e soprattutto di tavole, provenienti da chiese dell’area eugubina e andate variamente disperse in musei e collezioni private, che denunciano influssi di P. Lorenzetti e che possono datarsi attorno al secondo quarto o alla metà circa del XIV secolo. Più di recente è stato riconosciuto come opera di M. un ciclo di affreschi che interessa la volta dell’abside della chiesa di S. Francesco a Cagli, forse testimonianza di una vasta campagna decorativa estesa a tutta l’area del presbiterio. I dipinti sono stati rinvenuti in seguito ai lavori intrapresi per il consolidamento dell’edificio, danneggiato dal terremoto del 1997, e si presentavano coperti da uno strato di scialbo. La volta costolonata conserva sei lunette dipinte, in ciascuna delle quali sono ritratti due apostoli seduti su un ampio trono marmoreo, nell’atto di dialogare fra loro; nel cielo sovrastante appare dietro una nuvola dai toni cangianti un angelo recante due corone. Al di sopra delle lunette, nelle vele, all’interno di finte cornici trilobate sono raffigurati dei profeti che svolgono un cartiglio. La zona dell’arcone trionfale accoglie una scena di non immediata interpretazione. Anche se lacunosa, la superficie pittorica si presenta nel complesso ben conservata e mantiene intatta la qualità cromatica originaria degli affreschi, che appaiono eseguiti con grande finezza e perizia. Proprio gli accostamenti preziosi dei colori, gli impasti fusi, la resa naturalistica degli incarnati e le rispondenze fisionomiche hanno consentito d’accostare gli affreschi di Cagli alla tavola di Agnano, con la quale condividerebbero anche la datazione, circoscrivibile con sicurezza alla metà del XIV secolo grazie alle menzioni contenute nelle fonti storiche locali (Marchi).
L’attribuzione degli affreschi superstiti di Cagli ha reso M. un protagonista di spicco della pittura trecentesca nell’area appenninica e ha imposto la revisione del catalogo delle opere altrimenti assegnate.
La data e il luogo di morte di M. non sono noti.
Come si è detto, «pictor Mellus de Eugubio» non risulta menzionato altrove. Al contrario sono stati rintracciati i nomi di uno scultore, Mattiolo, e di un pittore, Martino, entrambi indicati come figli di Mello. Martino di Mello risulta a sua volta essere il padre dei pittori Tommaso e di Ottaviano, quest’ultimo da identificarsi con Ottaviano Nelli. Sulla base di questi documenti, è stato ipotizzato che M. sia stato il capostipite di una dinastia di artisti molto conosciuta e attiva almeno sino alla metà del Quattrocento (Marchi, con bibliografia).
Fonti e Bibl.: F. Santi, Due restauri ed un ignoto maestro del Trecento, M. da G., in Bollettino d’arte, LXIV (1979), pp. 63-68; V. Garibaldi, in Arte sacra in Umbria: mostra di dipinti restaurati 1976-1981 (catal.), Perugia 1981, pp. 44-49; G. Manuali, Aspetti della pittura eugubina del Trecento: sulle tracce di Palmerino di Guido e di Angelo di Pietro, in Esercizi, V (1982), p. 19 n. 25; E. Neri Lusanna, Precisazioni e aggiunte alla pittura eugubina del Trecento, in Paragone, XXXVI (1985), 419-423, pp. 36-45; F. Todini, Pittura del Duecento e del Trecento in Umbria e il cantiere di Assisi, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, II, Milano 1986, pp. 399, 402; E. Neri Lusanna, ibid., pp. 417 s.; C. Fratini, ibid., p. 639; E. Lunghi, ibid., p. 647 (s.v. Palmerucci, Guiduccio); F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I, Milano 1989, p. 221; M. Santanicchia, Pittura eugubina e «dintorni»: rapporti artistici fra Umbria e Marche nel Trecento, in Il Maestro di Campodonico: rapporti artistici fra Umbria e Marche nel Trecento, a cura di F. Marcelli, Fabriano 1998, pp. 70-86; Pittori attivi in Toscana dal Trecento al Settecento, a cura di F. Baldassari, Firenze 2001, pp. 20-23; A. Marchi, Il ciclo francescano di M. da G. a Cagli, in Atti e studi dell’Accademia Raffaello (Urbino), 2006, n. 2, pp. 87-100; Arte francescana: tra Montefeltro e Papato, 1234-1528, a cura di A. Marchi - A. Mazzacchera, Milano 2007, ad ind. (con bibl.); Nancy, Musée des beaux-arts: peintures italiennes et espagnoles, XIVe-XIXe siècle (catal.), a cura di C. Gelly, Paris 2006, ad indicem.
C. Ranucci