melodia (melode)
Rispetto al significato che il termine ha comunemente assunto nel moderno linguaggio tecnico-musicale, ove, in aderenza all'etimo μέλος, è impiegato spesso come sinonimo di canto principale, o a solo oppure emergente su un contesto fondamentale armonico con funzioni subordinate di accompagnamento, l'accezione dantesca possiede un valore ora più generico, ora più delimitato. Non riducibile ad alcuna indicazione specifica è il riferimento di Pg XXIX 22 (E una melodia dolce correva / per l'aere luminoso), poiché il richiamo alla musica è introdotto solo per aggiungere ulteriore elemento di beatitudine all'atmosfera del Paradiso terrestre. Neppure quanto si legge in Pd XXIII 97 e in VE II VIII 5 possiede qualche riferimento preciso alla pratica musicale, per limitarsi invece a un semplice sinonimo di musica senz'altra specificazione.
Per contro, gli altri passi contengono, in varia misura, indicazioni tecniche più circostanziate. Alla più semplice forma di canto corale, l'omofonia (intesa come plurivocalità di una stessa melodia), verosimilmente allude il riferimento di Pd XIV 32. Inutile ipotizzare quale melodia sia intonata dai beati dopo che la gloriosa vita di Tommaso ha terminato il suo dire: se il Gloria (Benvenuto, Venturi, Lombardi), o se il Trisagios, com'è forse più probabile tenendo conto sia della frequenza con cui esso ricorre nella messa e nell'officio, sia del fatto che era un canto antifonico, cioè alternato fra due cori: e il motivo dell'alternanza delle voci che costituiscono ognuna delle due corone (destinate a divenire ben presto tre) sembra essere prevalente nell'immagine sonora qui rappresentata.
Il Dio laudamo che intonano i beati durante la professione di fede di D. a s. Pietro ne la melode che là sù si canta (Pd XXIV 114) è o il Te Deum laudamus, un inno assai diffuso nel Medioevo, o anche il transitorium Te laudamus Domine che si canta nella messa della quarta domenica dopo l'Epifania. Dal luogo dantesco non si ricavano indizi che possano far pensare ad altra struttura se non a quella della monodia polivoca.
Qualcosa di più complesso dell'omofonia sembra emergere da altri luoghi. Non pare infatti dubbio che la melodia promanante dai beati raccolti insieme a formare la croce (Pd XIV 122) indichi un canto formato da una moltitudine di voci esprimentisi in veste polifonica, in stile contrappuntistico, se si vuol mantenere coerenza logica, oltre che espressiva, col primo termine della similitudine, costituita dalla risonanza di tempra tesa di molte corde. Ancor più interessante quanto emerge da Pd XXIII 109, mentre si celebra il trionfo della Vergine: circulata melodia non ha affatto valore generico (canto dell'angelo rotante intorno alla Vergine, come spiegato dalla maggioranza dei commentatori, e nemmeno " melodia che si gira ", secondo la chiosa del Tommaseo), ma allude, con quasi assoluta certezza, a una forma di contrappunto che nel Medioevo aveva il nome di ‛ rota ', di cui ci è rimasto un esempio insigne nel Sumer is icumen in (secc. XIII-XIV; conservato nel ms. Harley 978 del British Museum di Londra).
Si tratta di un canone infinito circolare, all'unisono, in cui tutte le voci entrano successivamente, a distanza prefissata, con la stessa melodia ripetuta da capo per un numero illimitato di volte: in tal modo la melodia circola, a mo' di ruota, da una voce all'altra. Nel caso specifico, la ‛ rota ' canonica può essere intesa come svolgentesi tanto all'interno della facella (ammesso e non dimostrato che essa sia una corona di molti angeli, una figura collettiva come l'aquila del cielo di Giove) quanto, e meglio, all'interno delle turbe di splendori: in altri termini, D. offre al lettore, col riferimento a una tecnica musicale del tempo, una documentazione precisa del modo con cui tutti li altri lumi / facean sonare il nome di Maria.
L'ultima citazione (Pd XXVIII 119) richiama una struttura contrappuntistica ancor più complessa. La gerarchia angelica costituita da Dominazioni, Virtù e Potestà intona un perpetuo osanna con tre melodie, " imperò che da tre cori procedono tre canti " (Landino). Siamo quindi in presenza di un autentico componimento polifonico a tre voci, costituito di tre melodie distinte, che non è difficile immaginare simili, dal punto di vista stilistico, ai contemporanei mottetti largamente praticati, oltre che in Francia, in tutto l'occidente europeo, e una cui significativa documentazione è offerta dal repertorio conservato nel ms. H 156 della facoltà di medicina di Montpellier (ediz. in facsimile, con introduzione e trascrizione in notazione moderna, a c. di Y. Rokseth, Parigi 1936).
Infatti occorre tener presente che il mottetto politestuale, che attribuisce a ogni voce un testo differente, adottando persino parole latine per il tenor, e parole francesi per le altre voci, costituisce una deviazione aberrante del mottetto originario, il quale usa invece lo stesso testo per tutte le voci; com'è il caso della gerarchia angelica cui D. fa cantare concordemente la sola parola ‛ Osanna '.
Del resto, di poco posteriore a D. è la messa a quattro voci di Guillaume de Machault, scritta forse verso il 1340, la quale contiene anche un Osanna: non sembra quindi dubbio che D. abbia avuto diretta esperienza di composizioni polifoniche o di tipo mottettistico o ancor più elaborate. Tanto più che i nove cerchi angelici sono talmente armonizzati fra loro, che verso Dio / tutti tirati sono e tutti tirano (Pd XXVIII 128-129).
Simile equilibrata correlazione fra il tutto e le parti rientra nel concetto che D. aveva dell'armonia (v.), intesa in senso generale, ma anche in senso più strettamente musicale: proprio l'elaborato contrappunto del mottetto a tre voci poteva facilmente suggerire, all'orecchio attento di D., la dimostrazione più convincente della reciproca attrazione delle parti fra loro. Ed è significativa la coincidenza della testimonianza dantesca con quella, assai più tarda, di Gioseffo Zarlino, il quale, discorrendo della mondana armonia, così si esprimeva: " Noi vedemo che quelli, che sono per lor natura gravi, sono tirati all'insù da quelli, che sono per loro natura leggieri; e li gravi tirano all'ingiù li leggieri in tal maniera, che niuno di loro va fuori del suo proprio luogo " (istituzioni armoniche, Venezia 1558, 15).