MELORIA (A. T., 24-25-26 bis)
Con questo nome si designa, più che uno scoglio, una zona di bassifondi sabbiosi e fangosi, disseminati di rocce a 2-5 m. di profondità, e di scogli affioranti, su uno dei quali a circa 7 km. a ponente di Livorno sorge un'antica torre, edificio a base quadrata ad archi, alto 20 m., eretto dai Pisani a uso di faro; 200 m. più a S. sorge il faro moderno in ferro, le cui coordinate geografiche sono di 43° 32′ 45″ lat. N. e 10° 13′ 10″ long. E. I bassifondi si estendono per circa 6 km. da N. a S.
La battaglia della Meloria. - Fu la più cruenta e decisiva delle battaglie navali combattute tra le due repubbliche di Genova e di Pisa, nella secolare lotta per il dominio del Tirreno.
Nell'anno 1284, durando già dal 1282 la guerra tra le due città, riapertasi a causa della ribellione a Genova del giudice Simoncello di Cinarca, fattosi vassallo di Pisa, vennero compiuti dalle due parti importanti preparativi navali. Già un violentissimo scontro era avvenuto nelle acque di Sardegna, a Tavolara, tra Enrico de' Mari, capitano della scorta d'un ricco convoglio genovese, e un'armata pisana agli ordini di Guido Zaccia, con la perdita di dieci galee pisane (aprile). Poco dopo i Genovesi, agli ordini di Benedetto Zaccaria, bloccarono il porto di Pisa; ma approfittando di una momentanea assenza della squadra di blocco, tutta l'armata pisana, forte di 72 galee (secondo altre fonti 75), uscì al largo agli ordini del podestà, il veneziano Albertino Morosini, col proposito d'impedire la congiunzione della squadra dello Zaccaria con un'altra di 52 galee che si stava frettolosamente armando a Genova agli ordini di Oberto D'Oria. Il Morosini condusse l'armata nelle acque di Genova, schierandosi a sfida dinnanzi al porto (31 luglio); ma il sopraggiungere dello Zaccaria costrinse il podestà di Pisa ad allontanarsi per non essere preso in mezzo tra le due squadre nemiche.
Alla loro volta i Genovesi inseguirono i Pisani, che, dopo avere volteggiato verso Capo Corso, erano tornati a Porto Pisano. Per attirare i nemici a battaglia, il D'Oria ricorse a uno stratagemma, ordinò cioè allo Zaccaria di calare le vele e gli alberi e di nascondersi con una parte dell'armata (forse presso Montenero di Livorno): sicché, contate le vele nemiche e vistele molto inferiori di numero alle sue, il Morosini deliberò di accettare il combattimento, e uscì dal Porto Pisano dirigendosi verso il nemico. La battaglia avvenne il 6 agosto presso le secche della Meloria (Veronica), e dapprima parve volgere favorevole ai Pisani, le cui 102 tra galee e navi minori erano molto superiori alle 60 del D'Oria, e appoggiate alle secche presentavano un aspetto formidabile. Ma a un tratto ecco avanzarsi contro la formazione pisana la squadra dello Zaccaria, che dava ai Genovesi, se non la superiorità del numero, il vantaggio della sorpresa. Era ormai per i Pisani troppo tardi per ritirarsi ed evitare l'avvolgimento di una delle ali, comandata da Andreotto Saraceno. Si combatté disperatamente, non più per la vittoria, bensì per la salvezza. Ma quando lo Zaccaria con due galee accoppiate, fra le quali era tesa una grossa catena, venne a investire la capitana pisana, troncandone di netto al primo urto lo stendardo bianco con l'immagine della Vergine, la linea pisana cominciò a spezzarsi; poi, dopo disperata resistenza, fu rotta. E incominciò l'inseguimento e la strage. Solo l'ala sinistra, grazie all'abilità e alla prudenza di Ugolino della Gherardesca, che la comandava, poté mettersi in salvo, riparando nel porto e conservando così a Pisa una parte delle sue forze navali, circa venti galee. Delle altre, come dice l'iscrizione apposta sulla facciata di S. Matteo, chiesa dei D'Oria, 33 furono prese, 7 affondate. Le perdite dei Pisani furono di circa 5000 morti e, secondo l'iscrizione, di 1272 prigionieri. Tra essi il podestà Morosini e Lotto, figlio di Ugolino. Le perdite genovesi furono anch'esse molto gravi; ma mentre Pisa senza retroterra non poteva più rialzarsi e, circondata com'era da feroci nemici (Lucca, Siena, Firenze), era destinata irrimediabilmente a perdere libertà e dominio, Genova, avendo nelle due riviere inesauribile riserva di uomini, poté ben presto riparare ai vuoti.
Bibl.: Alle fonti nostrane, Annales Ianuenses, Fragmenta hist. pisanae, Guido da Corvara, Villani ecc., si deve aggiungere il Templier de Tyr, informatissimo di particolari tecnici, appresi in Oriente dai coloni genovesi. Cfr. C. Manforni, Storia della marina italiana dal trattato di Ninfeo alla caduta di Costantinopoli, Livorno 1902, pp. 121-131.