Membrane artificiali
Per membrana si intende in genere una struttura sottile, solida o liquida, capace di lasciarsi attraversare in modo selettivo da specie chimiche diverse, sotto opportune forze spingenti. La definizione di membrana, in realtà, si allarga oggi non solo a sistemi capaci di operare separazioni a livello molecolare, ma anche a sistemi che combinano trasformazioni chimiche e separazioni, e a sistemi capaci di operare trasporto di materia e di energia tra fasi diverse.
Le membrane e i processi a membrana non sono una recente invenzione. Sistemi a membrana sono, infatti, presenti da sempre in molte delle operazioni che caratterizzano i processi che avvengono in natura e nei sistemi viventi. Membrane sono presenti nelle piante come nelle cellule degli esseri viventi, nei glomeruli dei nostri reni come nel sistema nervoso. Soltanto dagli anni Sessanta e Settanta del 20° sec., tuttavia, la comprensione dei fenomeni a membrana presenti in natura e negli esseri viventi ha permesso ai ricercatori e agli ingegneri la realizzazione di membrane sintetiche artificiali, capaci di riprodurre su larga scala fenomeni di interesse per la soluzione di problemi che caratterizzano l’odierna società: dissalazione delle acque marine, separazione dei gas, sviluppo di organi artificiali e così via.
Le proprietà fondamentali delle operazioni a membrana sono coerenti con le strategie appropriate per uno sviluppo industriale sostenibile; prevedono nei loro fondamenti e nelle loro realizzazioni operazioni semplici; sono modulari e agevoli nello scale-up; inoltre, sono caratterizzate da bassi consumi energetici e da un elevato potenziale per un uso razionale delle materie prime e per il recupero e il reimpiego dei sottoprodotti.
Sistemi a membrane artificiali
Operazioni a membrana che riproducono processi presenti in natura sono sempre più studiate e realizzate a livello industriale, sia nelle separazioni molecolari, sia nelle trasformazioni chimiche (reattori a membrana), sia nei sistemi di trasferimento di massa e di energia tra fasi diverse (contattori a membrana). Le realizzazioni di organi artificiali, dal rene al pancreas, al fegato ecc., sono ulteriori esempi delle potenzialità dei sistemi a membrana nella medicina rigenerativa.
I sistemi di separazione con membrane artificiali sono oggi unità fondamentali nell’ingegneria di processo. Essi possono differenziarsi per il tipo di membrane utilizzate, per il tipo di forza spingente applicata tra le due facce della membrana, per il campo di applicazione e per la loro rilevanza economica e industriale. Operazioni a membrana sono disponibili per un ampio spettro di applicazioni e sono presenti in numerose realtà industriali. Microfiltrazione (MF), ultrafiltrazione (UF), nanofiltrazione (NF), osmosi inversa (RO, Reverse Osmosis), separazione di gas e vapori (GS, Gas Separation, e VS, Vapor Separation), pervaporazione (PV), dialisi (D) ed elettrodialisi (ED) e contattori a membrana (MC, Membrane Contactors), sono alcune delle più note operazioni unitarie a membrana (tab. 1).
Separazioni molecolari a membrana
La necessità di realizzare uno sviluppo sostenibile anche attraverso la razionalizzazione dei consumi energetici richiede sostanziali sviluppi nel campo delle separazioni. Una delle strategie in questo senso maggiormente promettenti è costituita dall’intensificazione di processo (process intensification), intendendo con tale espressione l’impiego di un insieme di processi e metodologie innovative finalizzati a un miglioramento mediante diminuzione dei costi di produzione, dei consumi energetici, dei prodotti di scarto, della dimensione degli impianti, e attraverso l’ottimizzazione delle funzioni di controllo remoto e automatizzazione, dello scale-up, della flessibilità di processo, portando a soluzioni tecniche più semplici, economiche e con un significativo minore impatto sull’ambiente.
Le proprietà fondamentali delle operazioni a membrana, quali, per es., semplicità, efficienza, modularità e ridotto consumo energetico, le rendono particolarmente appropriate per rispondere a tutte le richieste dell’intensificazione dei processi. La dissalazione delle acque saline e salmastre con osmosi inversa è oggi considerata la tecnica più interessante, risultando circa dieci volte più efficiente da un punto di vista energetico rispetto ai tradizionali processi termici.
Le membrane artificiali possono essere in fase solida o liquida, omogenee o eterogenee, simmetriche o asimmetriche, dense o porose, elettricamente neutre o cariche; possono mostrare proprietà isotropiche o anisotropiche; possono essere idrofobiche o idrofiliche e così via. A seconda del materiale usato per la loro preparazione possono essere classificate in: organiche (o polimeriche), inorganiche (metalliche o ceramiche) e ibride (coesistenza di una componente organica e una inorganica). Sebbene le membrane inorganiche siano caratterizzate da un’elevata stabilità chimica e termica, esse hanno, tuttavia, in molti casi alcuni rilevanti limiti: alti costi, fragilità, difficoltà nella loro preparazione. Al contrario, il costo delle membrane polimeriche è più basso, e le procedure di preparazione sono in genere più semplici e riproducibili. Inoltre sono oggi disponibili numerosi materiali polimerici resistenti in condizioni abbastanza severe, per es. il polivinilidene fluoruro (PVDF), l’Hyflon®, il polidimetilsilossano (PDMS), il Nafion®.
In molti casi, la scelta potrebbe essere il ricorso a membrane ibride per ottenere membrane con nuove funzionalità o migliori proprietà di trasporto. Le membrane possono avere due diverse configurazioni: piana e tubolare. Le membrane tubolari possono essere distinte in fibre cave (diametro interno <0,5 mm), capillari (0,5÷10 mm) e tubolari propriamente dette (>10 mm). Per applicazioni su larga scala, più membrane sono impaccate in unità o moduli. Per membrane piane, i moduli possono essere a tipo filtro-pressa o spiralati; per membrane tubolari i moduli sono detti anch’essi tubolari (tab. 2).
L’efficienza di una separazione a membrana è sostanzialmente quantificata mediante due parametri: la permeabilità (la velocità a cui un dato componente è trasportato attraverso una membrana) e la selettività (la capacità di separare in maniera specifica un componente rispetto agli altri). Il trasporto di specie diverse attraverso una membrana è un processo di non equilibrio, e la separazione dei diversi componenti è dovuta alla loro differente velocità di trasporto sotto l’azione di una o più forze spingenti, quali gradienti di concentrazione, di pressione, di temperature o di potenziale elettrico.
Tutti questi parametri possono essere racchiusi nel potenziale elettrochimico (μ). Per un singolo componente i trasportato, il flusso Ji può essere descritto dall’equazione:
dμi
Ji=−Li --
dx
dove dμi/dx e Li sono rispettivamente il gradiente del potenziale elettrochimico e un coefficiente fenomenologico che mette in relazione il flusso con la corrispondente forza spingente. I principali meccanismi di trasporto attraverso membrane porose e dense sono regolati da specifiche leggi fisiche che si adattano alle caratteristiche del binomio membrana/pori.
Flusso di bulk. Si adatta a membrane porose con pori di dimensioni maggiori del cammino libero medio delle molecole. Per quanto riguarda le leggi che ne regolano il trasporto: per pori cilindrici diritti si può usare la relazione di Hagen-Poiseuille,
ε r2 ΔP
J=-- --
8 ητ Δx
dove r è il raggio dei pori, Δx lo spessore membrana, η la viscosità dinamica, τ la tortuosità; quando, invece, la struttura è nodulare, come un insieme di particelle sferiche, si fa ricorso all’equazione di Kozeny-Carmen:
ε3 ΔP
J=------ --
KηS2 (1−ε)2 Δx
dove K è una costante dimensionale che dipende dalla geometria del poro, S l’area superficiale delle particelle sferiche per unità di volume, ε la porosità.
Flusso per diffusione. È idoneo per membrane con pori grandi rispetto alla diffusione ma piccoli rispetto al cammino libero medio delle molecole. Se l’alimentazione è liquida, il flusso diffusivo di alcuni componenti attraverso la membrana è descritto da una forma modificata della legge di Fick:
εD
Ji=-- Kr(cio−cil)
lmτ
dove D è il coefficiente di diffusione, Kr un parametro funzione della dimensione del poro, (cio−cil) il gradiente di concentrazione attraverso la membrana.
Quando la membrana viene utilizzata per separare gas, le collisioni tra le molecole gassose sono meno frequenti delle collisioni con le pareti dei pori, e il trasporto è detto diffusione alla Knudsen:
πnr2DkΔP
J=------
RTτl
dove Dk è il coefficiente di diffusione alla Knudsen.
Diffusione ristretta. Si adatta a membrane con pori grandi per alcune specie e piccoli per altre. La microfiltrazione e l’ultrafiltrazione sono classici esempi di processi a membrana in cui il trasporto è del tipo diffusione ristretta: solo particelle di dimensione più piccola di quelle dei pori riescono a passare attraverso la membrana. Tali processi possono pertanto essere utilizzati per separare, per es., molecole piccole da un solvente.
Soluzione-diffusione. In questo modello, idoneo per descrivere il trasporto attraverso membrane dense, il flusso di diversi componenti attraverso la membrana si assume che avvenga solo per diffusione, e può essere descritto nel seguente modo:
Ji=Lidμi=Li (V‾idP+RTdlnai)=
DmiCi
=--- (V‾idP+RTlnai)
RT
dove Li è il coefficiente fenomenologico, μi il potenziale chimico, P la pressione idrostatica, ai l’attività, V‾i il volume parziale molare, Dmi il coefficiente di diffusione, Ci la concentrazione; il pedice i si riferisce al componente i-esimo.
Contattori a membrana
Sono sistemi in cui il compito della membrana è facilitare il trasferimento diffusivo di massa tra due fasi in contatto (liquido-liquido, liquido-gas ecc.) senza la dispersione di una fase nell’altra. La membrana non funge da barriera selettiva ma realizza e supporta un’interfase alla sommità dei pori della stessa (tab. 3).
Rispetto ai sistemi tradizionali, i contattori hanno il vantaggio di evitare la dispersione delle fasi in contatto; sono caratterizzati da un elevato rapporto area superficiale/volume e da un design modulare e facilità di scale-up; i flussi possono essere variati indipendentemente, senza limitazioni legate a problemi di inondamento o dovuti a differenze di densità fra le due fasi. Le principali limitazioni dei contattori a membrana sono dovute all’ulteriore resistenza al trasporto di massa offerta dalla membrana stessa e al limitato intervallo di pressioni operative sotto la soglia di rottura dell’interfase. Gli MC sono sistemi estremamente compatti e versatili, in grado di svolgere praticamente tutte le operazioni unitarie oggi note: l’estrazione, la distillazione, la cristallizzazione, l’emulsificazione e così via. Quali singole unità vantano una maggiore efficienza nei confronti delle corrispondenti operazioni unitarie convenzionali; in sistemi integrati a membrana, l’opportunità di sfruttare gli importanti effetti sinergici che la loro combinazione genera consente di accrescere l’efficienza complessiva del processo. In tali dispositivi, la membrana non possiede alcuna intrinseca selettività né funge da barriera al passaggio di determinati componenti (contrariamente a quanto accade per i sistemi convenzionali di filtrazione a membrana); essa è semplicemente utilizzata per porre in contatto due fasi attraverso le quali si realizza un trasferimento di energia e materia in accordo con i principi dell’equilibrio chimico.
La distillazione a membrana (MD) costituisce uno degli esempi più noti e promettenti di contattore a membrana. Nella MD, una membrana microporosa e idrofoba è in contatto con una soluzione a temperatura moderatamente elevata (40÷60 °C). La fase liquida non può attraversare la membrana a causa della sua natura idrorepellente, mentre le specie volatili evaporano all’interfaccia e si diffondono attraverso la membrana (fig. 1). Macromolecole, sali inorganici, specie colloidali e, in generale, soluti non volatili vengono quasi completamente ritenuti dal sistema. Le temperature in gioco, basse se raffrontate a quelle in uso nelle tradizionali torri di distillazione o negli evaporatori multistadio o multieffetto, consentono un efficiente utilizzo di correnti calde di scarto o di fonti energetiche rinnovabili (solare o geotermico). Inoltre, l’impiego di moduli a membrana in materiale plastico riduce i problemi di corrosione e il peso delle parti meccaniche. Rispetto all’osmosi inversa, la distillazione a membrana non soffre le limitazioni dovute ai fenomeni di polarizzazione per concentrazione; essa può essere perciò utilizzata per operazioni che richiedono alti fattori di recupero del permeato.
Nella distillazione osmotica (OD), una membrana microporosa e idrofoba pone in contatto due soluzioni acquose a differenti concentrazioni di soluto. A causa della differente attività delle soluzioni, una differenza di tensione di vapore attiva il trasporto del solvente dalla soluzione più diluita a quella più concentrata. La OD opera prevalentemente a temperatura ambiente; per tale ragione, il suo utilizzo si mostra appropriato nell’industria alimentare per la concentrazione di succhi in alternativa agli evaporatori tradizionali, o in quella farmaceutica per la purificazione e concentrazione di composti termolabili. I cristallizzatori a membrana costituiscono un’interessante estensione della MD, in cui la concentrazione progressiva di una soluzione da cui si vogliono ottenere dei cristalli è spinta oltre i limiti della saturazione. La membrana, oltre a consentire il controllo ottimale del grado di sovrassaturazione mediante azione sul flusso di solvente rimosso, promuove il fenomeno di nucleazione eterogenea che permette di accelerare le cinetiche di cristallizzazione. L’applicazione di tale tecnica al trattamento di acque saline, in combinazione con operazioni di NF o RO, permette di ottenere, per es., cristalli di sodio cloruro o solfato di magnesio eptaidrato (epsomite) da retentati di scarto.
Le membrane microporose costituiscono il cuore dei contattori a membrana gas-liquido (GLMC), in grado di promuovere un efficiente trasporto di materia tra le fasi poste in contatto. Mentre i materiali di riempimento delle tradizionali colonne di assorbimento offrono un’area specifica di contatto variabile tra 100 e 1000 m2/m3, il rapporto superficie/volume nei moduli di membrane a fibre capillari comunemente impiegati è maggiore di oltre un ordine di grandezza. I GLMC offrono vantaggi addizionali in termini di semplicità e flessibilità di progettazione, assenza di limitazioni fluidodinamiche (loading, flooding ecc.) ed elevati coefficienti di trasferimento di materia. Le applicazioni su larga scala riguardano l’industria delle bevande, laddove è richiesto un adeguato controllo dei composti chimici disciolti (carbonatazione di acqua, birra, soft drinks ecc.), l’industria petrolchimica per la rimozione di CO2 o idrocarburi da correnti gassose, l’industria microelettronica per la produzione di acqua ultrapura, i dispositivi di deumidificazione e di estrazione di gas.
Gli emulsificatori a membrana hanno la capacità di produrre micro- e nanoemulsioni monodisperse anche di componenti sensibili a stress di natura meccanica. Le caratteristiche delle emulsioni sono determinate dalle proprietà della membrana e dalle condizioni operative: flusso della fase dispersa, diametro dei pori, porosità e così via. Gli emulsificatori a membrana richiedono un quantitativo di energia inferiore ai dispositivi convenzionali (sistemi rotore-statore, omogenizzatori, mulini colloidali ecc.); in essi, la fase dispersa è forzata attraverso i pori della membrana mediante applicazione di un gradiente di pressione; le gocce generate vengono staccate dalla superficie della membrana dal flusso tangenziale della fase continua.
Reattori catalitici a membrana
Un CMR (Catalytic Membrane Reactor) è un sistema integrato in cui avviene un processo di separazione molecolare a membrana e una conversione chimica catalitica. La membrana, oltre a svolgere funzioni di trasporto selettivo, può avere anche attività catalitica propria. Essa è cataliticamente attiva se al suo interno o sulla sua superficie è presente un catalizzatore, oppure se è costituita da un materiale intrinsecamente dotato di attività catalitica (per es., membrane metalliche di palladio, argento). Può essere utilizzata nel CMR anche per separare il catalizzatore (per es., membrane da nanofiltrazione usate per mantenere all’interno dell’ambiente di reazione catalizzatori di dimensione micrometrica non in grado di permeare attraverso esse); in questo caso si parla di membrane non cataliticamente attive.
Altre funzioni che la membrana può svolgere nel CMR sono: fornire il/i reagente/i in maniera controllata (per es., membrane di tipo perovskitico usate per dosare l’ossigeno in reazioni di ossidazione parziale) o rimuovere prodotti di reazione per aumentare le rese di reazioni controllate dall’equilibrio (per es., la rimozione dell’acqua in reazioni di esterificazione) o per allontanare prodotti di reazione instabili che possono dar luogo a reazioni indesiderate (per es., oligomerizzazione di alcheni in presenza di membrane zeolitiche selettive verso l’oligomero di interesse). L’applicazione del CMR trova largo spazio anche nell’ambito delle operazioni per la produzione e separazione di idrogeno, in quanto consente di raggiungere, con la stessa quantità di catalizzatore, conversioni di reagenti significativamente superiori rispetto a quelle di un reattore tradizionale. In un CMR, infatti, la presenza di una membrana selettivamente permeabile all’idrogeno permette l’allontanamento di questo prodotto dall’ambiente di reazione, spostando così quest’ultima verso la formazione di ulteriore prodotto. All’uscita del reattore si otterrà, quindi, una corrente ricca o pura in idrogeno a seconda del tipo di membrana utilizzata (microporosa e di palladio/argento, rispettivamente) e, allo stesso tempo, una corrente di retentato concentrata e compressa negli altri prodotti di reazione. Tutto ciò si traduce in molti casi in migliorate rese e selettività della reazione rispetto ai reattori tradizionali; inoltre nei CMR il recupero, la rigenerazione e il riuso del catalizzatore è solitamente più semplice.
Una specifica categoria di CMR si ha quando la membrana è usata per mettere in contatto due fasi immiscibili (catalisi a trasferimento di fase), consentendo non solo di evitare l’uso di complesse e spesso inquinanti miscele di solventi, ma anche di controllare meglio il contatto fra i diversi reagenti.
In funzione del tipo di trasporto selettivo attraverso la membrana i CMR possono essere distinti in: estrattori, distributori e contattori catalitici a membrane (fig. 2). Nell’estrattore a membrana, un prodotto (C) viene selettivamente rimosso dall’ambiente di reazione. Nel distributore, il reagente (B) viene alimentato in maniera controllata. Nel contattore, il contatto fra i reagenti (A e B) avviene all’interfaccia fra la membrana e una delle due fasi.
La natura del catalizzatore impiegato, sintetico o biologico, è un ulteriore parametro utile a diversificare i CMR. Quelli che ricorrono a catalizzatori biologici (generalmente enzimi) o bioreattori catalitici a membrana trovano oggi un vasto impiego nel trattamento delle acque di scarico, grazie all’efficiente integrazione del trattamento biologico con la filtrazione a membrana. Quando i due processi avvengono nella medesima unità si parla di MBR (Membrane BioReactor) a membrane immerse; quando avvengono in due unità poste in serie si ha un MBR esterno.
In particolare membrane dense di palladio, caratterizzate da una selettività teorica del 100% per l’idrogeno, sono state studiate per condurre reazioni di idrogenazione e deidrogenazione. Per es., è stata proposta la combinazione di una reazione di deidrogenazione su una faccia di una membrana di palladio con l’idrogenazione, a opera dell’idrogeno permeato, sulla faccia opposta. In virtù dell’eccellente conducibilità termica di queste membrane il calore rilasciato dalla reazione di idrogenazione (reazione esotermica ΔH>0) può essere usato per far avvenire la reazione di deidrogenazione (reazione endotermica ΔH<0).
Reazioni catalitiche possono essere combinate con praticamente tutte le operazioni unitarie a membrana oggi note (contattori a membrana, pervaporazione, separazione di gas, nanofiltrazione, ultrafiltrazione, microfiltrazione e così via). Uno degli esempi interessanti è costituito dalla realizzazione di reattori integrati con unità di pervaporazione (PV) per la rimozione di specifici prodotti di reazioni limitate dall’equilibrio, consentendo di migliorare le rese. La pervaporazione è oggi considerata come una valida alternativa ai processi termici per la separazione di miscele di liquidi, incluso azeotropi. La catalisi assistita da PV rispetto alla distillazione reattiva presenta interessanti vantaggi: l’efficienza della separazione non è limitata dalla volatilità relativa dei componenti; nella PV solo parte della miscela permea attraverso la membrana e subisce il cambiamento di fase liquido-vapore-liquido, con conseguente riduzione dei consumi energetici.
Nella prospettiva di utilizzare l’energia solare, una tecnologia molto interessante, nel campo dei reattori catalitici a membrana, è rappresentata dai reattori fotocatalitici a membrana (PCMR, Photo-Catalytic Membrane Reactors). In un PCMR la luce viene utilizzata per attivare un fotocatalizzatore il cui compito è quello di distruggere le molecole organiche; la membrana, altamente selettiva, viene invece usata per trattenere il catalizzatore nell’ambiente di reazione, possibilmente assieme all’inquinante e ai prodotti di degradazione. I PCMR possono quindi essere utilizzati nel campo del trattamento e riutilizzo delle acque di scarico industriali, contenenti, spesso, basse concentrazioni di inquinanti e componenti ricalcitranti.
Sistemi a membrana per la separazione di gas
La separazione di miscele in fase gas con sistemi a membrana è diventata oggi una realtà industriale. Dalle prime applicazioni commerciali con membrane polimeriche, risalenti alla fine degli anni Settanta del 20° sec., si è manifestato un notevole impulso alla diffusione di questa tecnologia. Il mercato relativo alla vendita di sistemi a membrana per la separazione di gas ha raggiunto nel 2000 la considerevole cifra di 160 milioni di dollari, e secondo alcune stime raggiungerà i 730 milioni nel 2020. Più del 90% di questi sistemi è impiegato per la separazione di gas non condensabili: azoto da aria, anidride carbonica da metano, idrogeno da azoto o metano. Le operazioni a membrana, rispetto ad altri processi, quali l’estrazione con solvente, la distillazione, l’adsorbimento e la separazione criogenica, presentano diversi vantaggi: maggiore efficienza energetica di quella dei processi termici (in genere non sono coinvolti passaggi di fase); volumi delle apparecchiature ridotti (costi d’investimento relativamente bassi); modularità (facile scale-up); operazioni in continuo; semplicità, flessibilità, richiesta ridotta di manodopera specializzata.
La separazione di gas in sistemi a membrana è basata sulla differente velocità di trasporto delle specie attraverso una membrana selettiva. La forza spingente per ogni specie è la differenza di pressione parziale (ΔPi) fra il lato dell’alimentazione e il lato del permeato. Una grandezza che caratterizza le proprietà di una membrana è la permeanza di un gas che può essere espressa come:
Flussoi
Permeanzai=--- [mol/(m2sPa)]
ΔPi
Conoscendo lo spessore della membrana (δ) è possibile ricavare la permeabilità che contraddistingue, invece, il materiale che la costituisce:
Permeabilitài=Permeanzai∙δ [mol m/(m2sPa)]
Il rapporto tra le permeanze o le permeabilità di due gas diversi, misurate nelle stesse condizioni, è il fattore di separazione ideale (SF). Nel caso di miscele di gas, si fa riferimento al fattore di separazione reale, calcolato utilizzando le frazioni molari xi nelle correnti di permeato e residuo:
(xi / xj)Permeato
SF (i/j)reale=------
(xi / xj)Residuo
I sistemi impiegati nell’industria sono, in genere, realizzati con membrane polimeriche in configurazione di fibra cava. Tale configurazione combina la più elevata superficie di membrana a unità di volume del modulo (>10.000 m2/m3) e, pertanto, una più alta produttività a unità di volume, con un basso costo (2÷5 dollari a m2). Tipicamente, si fa uso di polimeri vetrosi (temperatura di transizione vetrosa>temperatura operativa) sia per l’elevata selettività, sia per le loro buone proprietà meccaniche. Nei polimeri vetrosi (per es., poliammidi, acetato di cellulosa, polisolfone), le specie più permeabili sono quelle con minore diametro molecolare e la selettività è dettata da differenze nelle dimensioni delle molecole. I polimeri gommosi (temperatura di transizione vetrosa<temperatura operativa) sono, invece, maggiormente permeabili a molecole condensabili.
Generalmente, le membrane polimeriche presentano valori elevati di selettività solo in corrispondenza di basse permeabilità. Lloyd M. Robeson, raccogliendo i dati relativi a diverse membrane polimeriche e riportandoli in forma di diagramma selettività/permeabilità, ha mostrato che per piccole molecole (O2, N2, CO2 e CH4) sembra esistere un limite superiore, che può essere predetto anche per via teorica (Correlation of separation factor versus permeability for polymeric membranes, «Journal of membrane science», 1991, 62, 2, pp. 165-85). I limiti delle membrane polimeriche risiedono nella bassa resistenza termica e chimica. Applicazioni quali le separazioni ad alta pressione CO2/CH4 nel trattamento del gas naturale, la separazione della CO2 per l’enhanced oil recovery (EOR), le separazioni propilene/propano, butadiene/butano richiedono membrane resistenti a fenomeni di plasticizzazione. La plasticizzazione è l’aumento del movimento dei segmenti delle catene del polimero e del volume libero, dovuto alla presenza di uno o più specie solubilizzate nel polimero, e comporta un aumento della permeabilità delle specie, mentre la selettività diminuisce. La CO2, molto solubile in numerosi polimeri, è un agente plasticizzante.
Un’alternativa alle membrane polimeriche è rappresentata dalle membrane inorganiche: zeolitiche, ceramiche microporose ottenute con la tecnica sol-gel e metalliche dense (a base di palladio). I vantaggi delle membrane inorganiche sono la stabilità termica e meccanica per applicazioni a pressione e temperatura elevata, la resistenza in ambienti chimicamente aggressivi, oltre che una migliore rigenerabilità rispetto alle membrane polimeriche. Piuttosto interessanti e relativamente nuovi sono i materiali di tipo ceramico che consentono un’elevata diffusione di ioni in condizioni di alta temperatura e possono essere utilizzati come membrane selettive per determinate specie (per es., ossigeno o idrogeno). In particolare, le perovskiti consentono la sola permeazione dell’ossigeno ad alta temperatura (>400 °C).
Ulteriori tipi di materiali nanostrutturati che possono essere adottati anche in presenza di agenti aggressivi (per es., idrocarburi, CO2) sono i materiali ibridi o compositi. Questi si propongono come efficiente combinazione di materiali di natura diversa (nanoparticelle disperse all’interno di una matrice polimerica) allo scopo di migliorare le prestazioni dei singoli costituenti. Essi offrono la possibilità di combinare la processabilità dei polimeri con le migliori proprietà di separazione (per i gas) tipiche di materiali rigidi con setacciamento molecolare (zeoliti o carbon molecular sieves). Da questi materiali è atteso perciò un miglioramento delle prestazioni rispetto a quelle dei polimeri, con costi di produzione non molto diversi.
Le membrane in carbone sono ottenute a partire da film polimerici, mediante un trattamento di carbonizzazione ad alta temperatura (>500 °C). Si ottengono così membrane molto più selettive di quelle polimeriche. Rispetto ad altre membrane inorganiche microporose (di silice o zeolite) la preparazione di membrane in carbone con pochi difetti sembra più facilmente realizzabile.
Il recupero dell’idrogeno è stata una delle prime applicazioni commerciali su vasta scala della tecnologia di separazione a membrana. Le prime membrane (polisolfone) furono commercializzate da Permea (oggi una divisione di Air Products) nella seconda metà degli anni Settanta, e utilizzate per la separazione H2/N2 da gas di spurgo nella produzione dell’ammoniaca. Applicazioni successive sono state la separazione H2/CO per modificare la composizione del gas di sintesi e il recupero di H2 da correnti di raffineria per fare fronte alle aumentate richieste d’idrogeno (nei processi di hydrotreating, hydrocracking o hydrodesulfurization). Attualmente, sono utilizzate membrane in poliimmide, che presentano buona stabilità e discreti fattori di separazione. Particolarmente interessante appare la possibilità di usare membrane capaci di trattenere l’idrogeno, così da ottenere una corrente ricca in tale gas e alla pressione di alimentazione (senza necessità di una ricompressione). Le membrane che potrebbero essere impiegate per questi scopi sono principalmente a base di carbone.
L’applicazione dei sistemi a membrana maggiormente diffusa a livello industriale è la produzione di azoto da aria. Le membrane sono il metodo di separazione dominante per applicazioni che producono meno di 50 t/giorno e purezza relativamente bassa (0,5-5% O2). Tipicamente si adottano sistemi a singolo stadio. I moduli utilizzati industrialmente sono a fibre cave: l’alimentazione, compressa a pressioni moderate (∼8 bar), è inviata nel lato mantello del modulo. L’ossigeno, insieme con CO2, tracce di umidità, idrocarburi e CO eventualmente presenti, permea attraverso la membrana. L’azoto è recuperato dal lato ad alta pressione (residuo o non permeato), mentre la corrente di permeato è un sottoprodotto ancora utilizzabile, in quanto si tratta di una corrente arricchita in ossigeno. Le attuali membrane presentano selettività O2/N2 fino a 8 e, pertanto, sono in grado di produrre un gas contenente il 99% di azoto in corrispondenza di un recupero di circa il 50%. Tali membrane presentano flussi più bassi di quelle a selettività minore, ma il costo legato alla maggiore area di membrana per trattare la stessa quantità di gas risulta comunque più che compensato dalla dimensione ridotta del compressore. La produzione di ossigeno con sistemi a membrana non è completamente sviluppata, poiché la maggior parte delle applicazioni industriali richiede una purezza di O2 superiore al 90%, che è realizzata facilmente mediante adsorbimento o tecnologie criogeniche, ma non dai sistemi a membrana a un solo stadio. Tuttavia, numerosi impianti con membrane polimeriche sono oggi usati anche per l’arricchimento in ossigeno dell’aria. La separazione viene realizzata praticando il vuoto dal lato permeato e mantenendo la pressione dell’alimentazione a un valore di poco superiore a quello atmosferico, per superare le perdite di pressione all’interno del modulo.
Sistemi di separazione a membrana trovano applicazione anche per la separazione dell’anidride carbonica da correnti gassose, per es. nell’addolcimento del gas naturale (rimozione di gas acidi) e in operazioni di EOR (la CO2 viene pompata ad alta pressione nel sottosuolo per prolungare la vita dei pozzi di petrolio). L’uso di sistemi a membrana ha diversi vantaggi economici e ambientali rispetto a tecniche convenzionali per la separazione di CO2, quali, per es., l’absorbimento con ammine. I primi impianti a membrana per la separazione di CO2 sono stati realizzati nel periodo 1980-1985 con membrane in acetato di cellulosa. Tali impianti sono stati progettati principalmente per piccole portate di gas (inferiori a 6000 Nm3/h). I sistemi con ammine sono, infatti, troppo complessi e costosi per piccole produzioni. Tuttavia, le operazioni di separazione a membrana sono sempre più selezionate per nuovi progetti, particolarmente per applicazioni che richiedono il trattamento di grandi portate di gas, con elevate percentuali di CO2, o in siti remoti.
Le membrane sono maggiormente competitive quando la corrente da trattare è già ad alta pressione, o quando è tollerabile la bassa pressione della corrente di permeato. Nel caso della rimozione di gas acidi da gas naturale, le membrane possono essere facilmente utilizzate in quanto la pressione alla quale il gas naturale è disponibile (30÷80 bar) è sufficientemente alta per promuovere la permeazione attraverso esse. La stessa considerazione vale per le applicazioni di EOR dove la corrente da trattare si trova a pressioni fino a 140 bar e contiene circa il 50% di CO2.
Altri sistemi applicati a livello industriale riguardano la separazione di vapori organici da gas incondensabili (per es., da correnti di spurgo nella produzione di poliolefine, nelle stazioni di distribuzione del carburante). Si tratta di un nuovo mercato per i sistemi a membrana, che consente di recuperare specie di valore e, al contempo, di ridurre sostanzialmente le emissioni di sostanze organiche in atmosfera. I sistemi a membrana, inoltre, possono essere integrati con sistemi di tipo tradizionale, combinando i benefici delle diverse tecnologie. In questi sistemi, le operazioni a membrana sono utilizzate per una prima separazione e poi integrate con altri sistemi per la purificazione finale (membrane più adsorbimento nella separazione dell’idrogeno; membrane più absorbimento nella separazione della CO2). Diversi tipi di membrane oggi in fase di sviluppo possiedono i requisiti per superare il limite superiore delle membrane polimeriche, tra questi le membrane in carbone e le membrane ibride. Tuttavia, problemi di stabilità meccanica e fragilità ne limitano ancora l’impiego su vasta scala. Le membrane inorganiche (per es., zeoliti, silice), una volta disponibili sul mercato, potranno trovare impiego ad alta temperatura, o in nuove separazioni che coinvolgono vapori di idrocarburi, contribuendo in maniera sostanziale al successo di questa tecnologia.
Una migliore comprensione a livello molecolare dei meccanismi di trasporto dei gas nei polimeri appare necessaria per lo sviluppo di nuovi materiali. Studi di dinamica molecolare potranno condurre a una migliore comprensione dei processi separativi all’interno di una membrana (determinazione dei coefficienti di diffusione e delle solubilità di gas in membrane polimeriche). Le simulazioni sono ampiamente usate per l’analisi della struttura molecolare dei polimeri semicristallini e amorfi e della diffusione di piccole molecole di gas attraverso questi materiali. Tali tecniche consentono uno studio quantitativo dei rapporti tra proprietà della struttura (per es., volume-libero) e proprietà di trasporto, e potranno essere di supporto allo sviluppo di materiali ingegnerizzati a livello molecolare.
Preparazione delle membrane e condizionamento del flusso
Metodi di preparazione delle membrane polimeriche e inorganiche
Le membrane artificiali oggi impiegate nei vari processi citati sono preparate da materiali polimerici o da materiali inorganici (metalli, zeoliti, ceramiche, perovskiti) con tecniche diverse. Le più impiegate sono le tecniche di inversione di fase per la preparazione di membrane polimeriche sia dense sia microporose, e di inversione termica di fase nel caso di polimeri poco solubili a temperatura ambiente. Nel caso di membrane ceramiche sono usate tecniche sol-gel, sinterizzazione e deposizioni via plasma.
Una delle sfide più importanti è la creazione di membrane polimeriche caratterizzate da un elevato controllo sia della loro morfologia sia delle loro proprietà chimiche, con pori regolari nella forma e uniformi nella dimensione, elevate porosità totali e di superficie, opportune dimensioni e forme dei pori stessi. Lo sviluppo industriale di impianti a membrana con capacità nettamente superiore a quella di pochi anni fa ha spinto le aziende produttrici dei moduli a membrana a costruire nuovi sistemi di dimensioni nettamente maggiori; per es., la Koch membrane systems ha iniziato dal 2007 la commercializzazione di moduli PURON® 1500 (di ben 1500 m2) per il trattamento delle acque di scarico municipali e industriali, e dei moduli 18″ MegaMagnum® che, con un diametro di 457,2 mm e una lunghezza di 1549 mm, sono particolarmente adatti per il trattamento di acque saline, salmastre e municipali.
Fenomeni di polarizzazione e fenomeni di sporcamento
L’efficacia di tutte le operazioni a membrana è legata, da un lato, alle proprietà di trasporto intrinseche delle membrane stesse, in termine di permeabilità e selettività alle varie specie chimiche, ma, dall’altro, al controllo dei fenomeni di trasporto che avvengono nelle soluzioni che bagnano le membrane stesse: fenomeni di polarizzazione per concentrazione e di polarizzazione termica. Questi fenomeni influenzano direttamente la forza spingente attraverso la membrana con conseguente diminuzione significativa della permeabilità transmembrana all’aumentare della polarizzazione.
In un processo di separazione, quando una miscela viene portata a contatto con la superficie della membrana, per effetto della forza spingente alcuni componenti permeano la membrana mentre altri vengono trattenuti. Ciò provoca, nello strato limite adiacente alla superficie della membrana, un accumulo del materiale trattenuto e un esaurimento dei componenti che invece permeano. Tale fenomeno è quello che viene indicato come polarizzazione per concentrazione. Nell’osmosi inversa, il fenomeno della polarizzazione per concentrazione porta a un incremento della pressione osmotica, che è direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto alla superficie della membrana e, quindi, a una diminuzione del flusso transmembrana a pressione applicata costante. Anche il filtrato risente di tale fenomeno: la qualità diminuisce poiché l’infiltrazione del soluto attraverso la membrana è anche direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto sulla superficie della membrana sul lato dell’alimentazione.
Nella micro, ultra e nanofiltrazione solo le macromolecole, le particelle e gli ioni bivalenti vengono trattenuti dalla membrana. La pressione osmotica dell’alimentazione non è alta come nel caso dell’osmosi inversa. Comunque, la pressione idrostatica applicata è anche bassa e, in determinate condizioni, l’incremento della pressione osmotica a causa della polarizzazione per concentrazione influenza il flusso transmembrana. Come è stato già anticipato, un processo in cui, al contrario, la polarizzazione per concentrazione non ha lo stesso effetto limitante è la distillazione a membrana. Ciò significa che, in quest’ultimo tipo di processo, si può ottenere acqua pura anche da soluzioni altamente concentrate, con le quali l’osmosi inversa non potrebbe operare. La polarizzazione per concentrazione si può minimizzare e/o controllare sia regolando in maniera opportuna la velocità del flusso in alimentazione, sia tramite un’accurata scelta della configurazione del modulo a membrana.
Altro fenomeno di particolare importanza che caratterizza tutte le operazioni a membrana è lo sporcamento (fouling) delle membrane. Esso rappresenta il principale problema nei processi a membrana nel caso in cui la superficie della membrana stessa sia in contatto con una soluzione da trattare di composizione più o meno complessa. Per es., nel caso di membrane utilizzate per il trattamento di acque (purificazione, dissalazione), l’acqua trattata consiste in una miscela di microrganismi e sostanze organiche e inorganiche disperse in una matrice di acqua salina o salmastra. Composti capaci di sporcare la membrana sono precipitati inorganici, impurezze colloidali, macromolecole, solidi sospesi organici e inorganici, sabbia, sostanze oleose, batteri e sostanze organiche disciolte. Depositi di tali sostanze trattenute dalla membrana, se non allontanate verso il corpo della soluzione, possono depositarsi sulla superficie provocandone lo sporcamento. I fenomeni di sporcamento sono favoriti inoltre da condizioni fluidodinamiche che, in prossimità della membrana, facilitano la frantumazione di organismi planctonici presenti, per es., nell’acqua di mare, rilasciando componenti cellulari nella soluzione.
I fenomeni di sporcamento hanno notevole influenza sui processi a membrana, influendo sul flusso transmembrana e sulla vita utile della membrana stessa. Essi sono il risultato di diverse interazioni tra la membrana e la soluzione trattata, e dipendono da tre categorie di parametri: caratteristiche del fluido come viscosità, carico organico, dimensione e struttura di eventuali aggregati ecc.; condizioni operative come pressione, flusso transmembrana, modalità di filtrazione; caratteristiche della membrana come tipo di materiale, dimensioni dei pori, configurazione dei moduli. I processi di sporcamento possono essere considerati reversibili o irreversibili. Nel primo caso la membrana presenta una riduzione temporanea di permeabilità, che può essere ristabilita alle condizioni iniziali attraverso processi meccanici, per es. controflusso (back flushing), generazione di turbolenza attraverso insufflamento di aria e così via. Lo sporcamento irreversibile provoca una perdita di permeabilità che può essere ristabilita solo mediante trattamento chimico. Tale sporcamento è dovuto a specie colloidali o macromolecolari che derivano da biomasse e sono adsorbite sulla superficie delle membrane stesse. Queste sostanze, indicate come SMP (Soluble Microbial Products) ed EPS (Extracellular Polymeric Substances), includono polimeri prodotti da batteri, prodotti di citolisi e idrolisi, e contengono principalmente polisaccaridi, acidi nucleici, proteine, lipidi e sostanze umiche. Essi si combinano per formare un deposito stratificato che funziona da supporto per la formazione di un biofilm. Qualora la presenza del biofilm sulla membrana sia confermata da analisi (molto spesso distruttive) della superficie, l’azione di pulizia con biocidi non risolve il problema perché il sistema successivamente si reinfetta. A livello di prevenzione del biofouling, l’utilizzo della MF e/o dalla UF per il pretrattamento fornisce risultati positivi.
Si può sintetizzare che per ridurre sia la polarizzazione per concentrazione sia il fenomeno dello sporcamento sono applicabili a tutti i processi a membrana metodi che si basano su pretrattamento dell’alimentazione; sulla modifica della superficie di membrana con gruppi funzionali adatti; sull’ottimizzazione idrodinamica del modulo (per es., un’alta velocità trasversale sulla superficie della membrana riduce in molti casi lo sporcamento); su tecniche di back flushing in cui la pressione applicata, in genere per breve tempo e a intervalli di tempo regolari, viene invertita così da forzare il permeato a passare attraverso la membrana, rimuovendo il materiale precipitato sulla superficie lato alimentazione.
Applicazioni industriali
Tra le applicazioni industriali più significative delle operazioni di separazione molecolare con membrane oggi realizzate (tab. 4), è di particolare interesse il caso della dissalazione delle acque salmastre e delle acque saline, dove l’osmosi inversa e la nanofiltrazione giocano ormai un ruolo dominante. Dal confronto delle caratteristiche dei processi di dissalazione termici e a membrana emerge chiaramente il motivo del successo della RO rispetto ai primi e della moltiplicazione degli impianti di dissalazione dell’acqua di mare che utilizzano tale tecnologia; i principali vantaggi sono un fattore di recupero più alto, consumi energetici inferiori, costo unitario dell’acqua dissalata prodotta più basso.
Gli sforzi della ricerca nei confronti delle membrane per osmosi inversa (RO) hanno portato considerevoli progressi anche nelle tecnologie di microfiltrazione (MF), ultrafiltrazione (UF) e nanofiltrazione (NF) nel campo della produzione di acque potabili. L’utilizzo di MF/UF è stato pressoché esplosivo nel primo decennio del 21° secolo. La MF viene utilizzata sia nel campo di produzione dell’acqua potabile sia in quello di riutilizzo dell’acqua, trattando effluenti municipali secondari. La UF è stata invece molto applicata per migliorare la qualità dell’acqua potabile. Impianti molto grandi che utilizzano la NF per la rimozione dei componenti organici si trovano in Florida. La costruzione di molti altri impianti è prevista in futuro.
La possibilità di ridisegnare l’intero ciclo produttivo tramite l’integrazione di diverse operazioni a membrana sta ottenendo sempre più successo, grazie ad alcune delle caratteristiche intrinseche di tali tecnologie quali la semplicità e la possibilità di raggiungere livelli molto avanzati di automatismo e controllo remoto. Per es., MF, UF e NF vengono sempre più utilizzate negli stadi di pretrattamento per fornire, al successivo stadio di RO, un’alimentazione di qualità accettabile e senza significative fluttuazioni nella composizione nonostante le variazioni stagionali e le eventuali intemperie (fioriture di alghe ecc.).
La MF viene utilizzata per la rimozione dei solidi sospesi e per abbassare l’SDI15 (Silt Density Index, parametro guida per determinare il potenziale sporcamento dell’acqua pretrattata e che le case produttrici di membrane raccomandano a un valore inferiore a 3), fornendo così all’osmosi inversa una alimentazione di buona qualità con un basso rapporto COD (Chemical Oxygen Demand)/BOD (Biochemical Oxygen Demand). Il pretrattamento tramite MF presenta costi di esercizio molto più bassi rispetto a quello convenzionale, grazie all’eliminazione dei filtri (che non sono più necessari prima della RO); al minor costo di sostituzione delle membrane (dovuto a un allungamento del loro tempo di vita); al minor dosaggio di agenti chimici (perché non sono necessari per la disinfezione, la coagulazione e la declorazione); a minori costi di mantenimento per la pompa ad alta pressione e per gli altri strumenti di misura; a minore costo del lavoro (perché è necessaria meno manodopera rispetto al sistema convenzionale per mantenere il sistema e le membrane pulite). Ulteriori miglioramenti nelle caratteristiche dell’acqua da alimentare all’osmosi inversa si possono ottenere utilizzando, anziché la microfiltrazione, l’ultrafiltrazione. Quest’ultima consente, infatti, di trattenere non solo i solidi sospesi e i grossi batteri, ma anche le macromolecole, i colloidi e i batteri piccoli. L’utilizzo della NF come step di pretrattamento porta a un significativo miglioramento nella realizzabilità della RO, perché possiede implicazioni sullo stesso processo di dissalazione e non solo sulla qualità dell’alimentazione: i microrganismi, la torbidità, la durezza e la maggior parte degli ioni multivalenti sono fortemente ridotti; le specie monovalenti vengono trattenute con percentuale variabile tra il 10 e il 50% a seconda del peso molecolare e delle interazioni elettrostatiche con la membrana polimerica. Come conseguenza, la pressione osmotica della corrente in alimentazione alla RO è diminuita, permettendo così all’unità di operare a pressione inferiore (richiedendo quindi meno energia) e a fattori di recupero alti senza problemi di incrostazioni.
Un ulteriore esempio di applicazione delle operazioni a membrana è nella formulazione e preparazione di alimenti e bevande. Grazie alla capacità di operare in condizioni blande di pressione e temperatura, le operazioni a membrana risultano particolarmente efficienti nel trattamento di sostanze alimentari complesse e delicate come il latte. L’ultrafiltrazione costituisce, per es., un valido approccio per la concentrazione del latte, in quanto la conseguente parziale concentrazione permette di standardizzare il contenuto proteico e rafforzare l’attitudine alla caseificazione anche di latte normalmente ritenuto poco idoneo. Il recupero e la purificazione delle proteine del siero mediante UF rappresenta un’ulteriore applicazione interessante del settore lattiero-caseario.
I processi a membrana sono ormai ben consolidati nel ciclo enologico, permettendo di evitare quei trattamenti chimici previsti dal ciclo tradizionale, come l’uso di farine fossili o di altri additivi, e di ottenere vini stabilizzati e con nuove caratteristiche, come, per es., vini dealcolizzati e vini frizzanti. La chiarificazione dei mosti costituisce una fase preliminare molto importante di un ciclo enologico. I processi di MF e UF tangenziale forniscono una valida risposta al problema della chiarificazione del mosto in alternativa ai processi tradizionali (defecazione statica, centrifugazione, filtrazione in alluvionaggio) e permettono di separare cellule batteriche e spore consentendo di ottenere un prodotto perfettamente sterile. L’osmosi inversa può essere impiegata per la concentrazione del mosto. Questo processo consente di standardizzare il mosto da inviare alla fermentazione portandolo al contenuto di zuccheri desiderato attraverso la sola eliminazione dell’acqua. Il vino proveniente dalle operazioni di fermentazione risulta torbido a causa della presenza di sostanze colloidali e di lieviti. I processi di MF e UF possono essere impiegati in tal caso come sistemi di chiarificazione alternativi a processi tradizionali, come, per es., la chiarificazione con bentonite, la centrifugazione e la filtrazione.
La chiarificazione, la stabilizzazione e la concentrazione dei succhi di frutta sono tipiche fasi in cui processi separativi a membrana come la microfiltrazione, l’ultrafiltrazione, l’osmosi inversa, la pervaporazione, la distillazione a membrana e la distillazione osmotica sono sempre più utilizzati. In particolare, le operazioni di MF e UF trovano impiego nelle fasi di chiarificazione dei succhi quale strumento per ottenere una fase limpida, da utilizzare per i successivi trattamenti di concentrazione, e di una fibrosa, da inviare al trattamento di stabilizzazione per un suo successivo reimpiego nella preparazione di bevande ricche in fibre. La distillazione a membrana è una tecnica relativamente giovane per la concentrazione dei succhi di frutta. Operando a temperature molto prossime a quella ambiente e a pressione generalmente atmosferica, questa tecnica consente di estrarre selettivamente l’acqua da soluzioni diluite, evitando che il succo trattato possa incorrere in degradazioni di natura termica che ne alterino le qualità organolettiche. Studi condotti su unità pilota dimostrano la possibilità di concentrare succhi di frutta freschi, con flussi medi interessanti lato distillato, sino alla produzione di un concentrato il cui contenuto in solidi solubili è pari a 65÷70 °B. Questi concentrati sono di grande interesse per i produttori perché possono essere immagazzinati per lunghi periodi senza subire alcun deterioramento. Essi, inoltre, possono essere trasportati per lunghe distanze a basso costo in quei siti dove la materia prima è indisponibile, inadeguata o troppo costosa.
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