mena
È vocabolo " di cui gli esempii antichi toscani sono numerosissimi, e ancora dal Borghini è chiamato... ‛ molto nostro ', benché poi avessero il diritto di chiamarlo ‛ molto nostro ' anche gli umbri (Jacopone, VIII [O femena, guardate], 66 ‛ qual ce trarai mena de morte angustiata '), e anche i francesi e i provenzali (‛ Un vers farai de tal mena ' ecc.) ". Così il Parodi (Lingua 289), che attribuisce a m. il valore di " qualità ", " condizione ", nei due luoghi dell'Inferno in cui il termine ricorre.
Tale interpretazione è accolta dai commentatori antichi e moderni, ma qualche divergenza non manca. Così, al primo luogo - 'l maestro... / mi disse, " va e vedi la lor mena ", alludendo agli usurai (XVII 39) - il Chimenz annota: " antiquato, nel senso di ‛ condizione '; ma potrebbe anche avere il senso di ‛ travaglio, tormento ' " (documentato anche dalla Crusca), riprendendo Benvenuto: " idest, poenam, quia ultra poenam generalem habebant poenam specialem manuum, quas impausibiliter minabant [‛ menabant ' nel codice Estense] continuo ". Il vocabolo viene così ricondotto al verbo ‛ menare ' che " significa ‛ commuovere '; onde diciamo: ‛ ei mena il capo ' " (Landino); e infatti il Tommaseo: " il dimenarsi che fanno ".
Anche nell'altro passo, riferito alla bolgia dei ladri in cui D. vede terribile stipa / di serpenti, e di si diversa mena / che la memoria il sangue ancor mi scipa (XXIV 83), accanto al " di sì diversa spezie " del Buti, " condizione, qualità " di Scartazzini-Vandelli (e analoghi a questi Landino, Vellutello, Lombardi, Andreoli, Rossi, Sapegno, ecc.), non manca chi pone in rilievo anche l'idea del movimento: " razza, natura, serpeggiamento " (Venturi); e ancora il Tommaseo " Nel senso del virgiliano che denota il dimenar de' serpenti: Agmine certo Laocoonta petunt (Aen., II [212-213]). - Agmen da ago ".