Mencio Filosofo cinese (372 ca
289 ca. a.C.). Sebbene siano incerte le date di nascita e di morte, la biografia accolta dalla tradizione è quella composta da Sima Qian (forse 145 - forse 86 a.C.) nel cap. 74 del suo Shiji («Memorie di uno storico»). Il nome di M. deriva dalla latinizzazione (Mencius) di Mengzi («Maestro Meng»), coniata probabilmente verso la fine del 16° sec. dai gesuiti missionari in Cina, mentre in cinese il filosofo era invece chiamato Meng Ke. M. fu nativo del piccolo principato di Zou, a sud del regno di Lu, e discepolo di un seguace di Zisi, nipote di Confucio. Come quest’ultimo, professò indefessamente la propria dottrina e lungamente peregrinò invano da un regno all’altro (Liang, Qi e Lu) alla ricerca di un saggio sovrano, capace di ristabilire il modus vivendi della remota antichità. Alla fine si ritirò e, come si narra, attese, con Wan Zhang e altri, alla composizione del Mengzi (➔) («Libro del maestro Meng») in sette libri. In un’epoca di estrema confusione politico-sociale, M. tentò di persuadere alcuni sovrani allora regnanti a praticare l’unica forma possibile di buon governo, ossia quella dettata naturalmente dall’umana benevolenza (ren). Questa è la sola condizione per ottenere consenso e assicurare stabilità e unità durature, così che i sudditi possano sentire il sovrano come il proprio ‘padre’ e la propria ‘madre’. È questa, secondo M., la «via sovrana» o dei sovrani (wang dao), contrapposta all’innaturale «via tirannica» o dei tiranni (ba dao). Più in generale, tale orientamento richiama la dottrina della «natura umana» (xing), intesa da M. come condizione o stato che avvicina sì l’uomo all’animale, soprattutto per la vita istintiva, ma che al contempo lo distingue radicalmente per l’inclinazione etica di tutto il suo sentire, il suo scegliere, il suo agire. Questa «natura umana» non è determinata da alcunché né imposta dall’esterno, ma è innata nel senso che è il segno, il frutto, il dono visibile del Cielo (tian), inteso come realtà ultima e ordine assoluto, e non come una qualsivoglia entità divina o un’imponente forza naturale. Anzi, il Cielo si rivela e può essere compreso proprio nella formazione e trasformazione delle cose e quindi anche dell’uomo e della sua intima natura: in altri termini, nulla si forma o viene prodotto arbitrariamente. La natura umana è pertanto necessariamente buona, ed è la fonte da cui ognuno trae il senso della propria trasformazione e il fondamento della propria moralità, saggezza e persino divinità. Essa si manifesta nella pratica delle virtù, cioè della benevolenza (ren), della rettitudine (yi), dei riti (li) e della saggezza (zhi). In definitiva, conoscere la propria natura (zhixing) significa conoscere il Cielo (zhitian). La «mente» o «cuore» (xin), la natura e il corpo dell’uomo sono, secondo M., manifestazioni del qi («energia vitale»), quantunque distinte; come, d’altronde, qi è l’energia che crea e anima tutto ciò che esiste fra Cielo e Terra. Vi è, dunque, una stretta comunanza fra la mente dell’uomo e la natura del Cielo e questa è la vera armonia, unità fra uomo e Cielo e fra gli uomini stessi, esperita attraverso la conoscenza e l’identificazione con il Cielo. Anche il destino (ming) dell’uomo discende dal Cielo: l’uomo che conosce i propri limiti perviene alla chiara conoscenza del proprio destino. Ed è soprattutto attraverso la pratica delle virtù che l’uomo arriva a riconoscere, da una parte, le sollecitazioni del corpo e delle sue brame e, dall’altra, quanto sia difficile non indulgere a esse. Soltanto il virtuoso è uomo nobile (junzi), superiore, capace di seguire la volontà del Cielo, di conoscere il proprio destino e di vincere ogni sorta di impedimento contingente.