MENECMO (Μέναιχμος, Menaechmus)
Scultore di Naupatto, eseguì con Soida suo concittadino la statua crisoelefantina di Artemide cacciatrice per il tempio di Calidone, dove la dea era denominata "Lafria" da un Lafrio che "aveva eretto il primo simulacro". Pausania dice (VII, 18) di avere veduto la figura a Patrai, donata da Ottaviano che aveva distrutto l'altra città, e opina che gli artisti appartenessero alla prima generazione del sec. V a. C. F. Studniczka volle identificare l'opera in copie romane di marmo (v. IV, p. 668; tav. CXL: Artemide di Pompei); ma l'ipotesi è molto discussa. Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 80) ricorda un M. autore d'un gruppo in bronzo e di uno scritto sopra la "propria arte", che dev'essere quello citato due volte negli elenchi delle fonti, ai libri XXXIII e XXXIV. Il bronzo rappresentava una figura che poggiava un ginocchio sulla groppa d'un vitello, facendogli piegare il collo: la Vittoria che sacrifica il toro è scolpita così in gruppi marmorei di piccole dimensioni d'età romana imperiale, che riproducono peraltro un rilievo attico della fine del sec. V. Difficile dire se l'artista, che si ritiene diverso dal primo e vissuto nel periodo ellenistico, si sia limitato a quella sorta di trascrizione. Ateneo (II, 65; XIV, 633 e 633) cita un M., che ben difficilmente si può ritenere scultore, per i suoi scritti sugli "artisti", parlando di poeti e di musici, e Suida lo nomina come storico di Sicione, vissuto verso il 300 a. C. Vien fatto di pensare ch'egli avesse trattato anche delle arti plastiche, e che Plinio l'avesse perciò identificato con uno statuario omonimo.
Bibl.: M. Bieber, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, p. 380; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, i, col. 701 seg.