MENES SILVA, Amadeo
de (Amadeo Lusitano, Amedeus Hispanus). – Nacque forse a Ceuta, nel Nordafrica, nella prima metà degli anni Venti del Quattrocento.
Un nome assai semplice e lineare, «frater Amedeus Hispanus», ha conosciuto, nella penna di eruditi e agiografi, una molteplicità di forme grafiche che, al di là dell’ovvia oscillazione tra Amadeo e Amedeo – a cui taluno aggiunge pure il presunto «primitivo» nome di João –, complicano non poco le possibilità di chiarificazione, vera o presunta, dell’aggettivo «Hispanus». Esso andrebbe correttamente tradotto in volgare come Ispano, o Ispanico, o Iberico, o Spagnolo, rispettando così una determinazione geografica su cui tutti i documenti e le fonti coevi concordano. La provenienza dalla penisola iberica ha però spinto eruditi e agiografi a cercare o a inventare le origini familiari del M.: da qui le varianti cognominali che vanno da un prevalente Menezes/Meneses o Menez/Menes de Sylva/Silva ai ridondanti de Silva y Meneses, Gomes de Silva y Meneses, Mendes da Silva y Menezes. Tali articolazioni nominali dipendono dai tentativi di risalire al padre e alla madre, su cui il M. invece mantenne sempre riserbo durante il trentennio passato in Italia, dal 1452 al 1482, lasciando a malapena trapelare che suo padre fosse castigliano e sua madre portoghese. Su tale base, dopo la sua morte, si diffuse presto l’opinione che si trattasse di genitori di elevatissimo grado sociale, ovvero di nobilissima stirpe, se non addirittura di livello «regale», e che egli fosse fratello della beata Beatrice de Silva, fondatrice delle monache concezioniste. Fatto si è che la vita trascorsa nella penisola iberica è assai difficilmente ricostruibile, poiché le informazioni in merito sono affatto agiografiche, piene di luoghi comuni propri della scrittura di santità. Tuttavia egli condivise il fervore religioso che investì quella vasta regione in cui fra Tre e Quattrocento fiorirono numerose e variegate esperienze individuali e comunitarie di ispirazione rigorista ed eremitica, dentro e fuori gli ambienti minoritici: non pochi, anche se non ancora studiati complessivamente, i predicatori e gli eremiti itineranti che in quel tempo giungevano in Italia e sono tutti qualificati con l’aggettivo «Hispanus».
Dopo circa un decennio passato nel monastero gerolamino di Guadalupe e dopo taluni tentativi falliti di trovare il martirio tra gli infedeli a Granada e in Nordafrica, nel dicembre 1452 ottenne licenza dai suoi superiori di passare all’Ordine dei francescani minori e di recarsi nella penisola italiana, in particolare ad Assisi. Là giunto, dovettero passare parecchi mesi prima che fosse accolto nell’Ordine dei frati minori: cosa che avvenne con il ministro generale, Giacomo da Mozzanica, che nel 1454 prese il posto di Angelo da Perugia. Per decisione del nuovo generale il M. fu destinato al convento di S. Francesco di Milano. Sin dagli inizi della sua esperienza minoritica appaiono i caratteri che connotarono la sua personalità religiosa, dotata di virtù taumaturgiche e capacità visionarie, oltre che propensa a una vita semiromitoriale, fatta di preghiera, digiuno e penitenze nella linea di una rigorosa osservanza della regola dei frati minori.
La sua fama di guaritore e di visionario giunse fino ai vertici della società milanese e, in particolare, al duca Francesco Sforza e alla moglie Bianca Maria Visconti, la quale se ne servì per missioni delicate e segrete presso vari potenti, non ultimo il papa. Emerge una personalità concorrente e ingombrante per i membri di entrambe le componenti maggiori – conventuale e osservante – dell’Ordine dei minori. Il M. fu spinto ad allontanarsi da Milano e si trasferì nei piccoli luoghi francescani di Mariano Comense e di Opreno, dove nel 1459, ricevuti gli ordini sacri, celebrò la sua prima messa. L’anno successivo, pare con la mediazione della duchessa Bianca Maria, ricevette un convento a Bressanoro non lontano da Castelleone, in diocesi di Cremona, provvedendo a rinnovarne e ampliarne le strutture e a creare una piccola comunità «sub regulari observantia». Seguì in rapida successione l’acquisizione di altri tre luoghi sacri, trasformati in sedi conventuali, tutte «sub vocabulo Sanctae Mariae».
Si stavano creando le condizioni per la nascita di una «famiglia osservante» che si esprimeva secondo forme e modalità, dal punto di vista sia della presenza religiosa sia dei raccordi sociali, non diverse da quelle che connotavano la componente osservante, ufficiale e riconosciuta, dell’Ordine, ma che non si collegava con le gerarchie di tale componente, rimanendo invece sottoposta al vertice dello stesso Ordine allora in mano ai cosiddetti conventuali. Si trattava di una incoativa complicazione nel panorama francescano istituzionalizzato, che ebbe modo di manifestarsi soprattutto con l’ottenimento di una chiesa in Milano.
Nel 1469 l’arcivescovo di Milano Stefano Nardini concesse al M. la chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo, ubicata fuori porta Tosa. In suo luogo furono eretti, non senza difficoltà e pause edilizie, il convento e la chiesa di S. Maria della Pace, grazie anche alle abbondanti elargizioni ducali. La reazione degli osservanti non si fece attendere, coinvolgendo il vertice dell’Ordine e lo stesso Papato che, dopo l’iniziale propensione a dare una certa autonomia istituzionale ai luoghi già riconosciuti al M., nel 1470 si preoccupò di mantenere la nascente «organizzazione» sotto l’autorità del ministro generale e degli altri ministri dell’Ordine, pur riconoscendone la particolare «intentio» che era di «vivere simpliciter et cum omni puritate secundum Regulam sancti Francisci dicti ordinis [minorum]» (Bullarium Franciscanum…, n.s., II, p. 815 n. 1638).
Il riconoscimento pontificio – che fu vera e propria protezione quando nel 1471 Francesco Della Rovere, già ministro generale dei minori, divenne papa Sisto IV – era intanto opportuno in quanto diffuse e dure erano le posizioni avverse al M. negli ambienti francescani, come si legge esemplarmente in una lettera di un frate osservante del 1470: «Uno Amedeo spagnolo, frate conventuale, fingendo nova osservantia, la quale non fa, con una compagnia di gente fuggitiva, discola, vagabonda, cioè de frati che non sano o non vogliono, prendendo spirito de libertà, vivere né tra noy [Osservanti] né tra Conventuali, fa vista di fare nova famiglia de observanti di sancto Francesco» (Fasoli, p. 106).
Peraltro, negli ambienti ducali si stavano indebolendo i favori verso il M., mentre si stava per aprire un aspro contrasto tra la dirigenza osservante milanese, sostenuta dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, e i frati, guidati dal frate bresciano Pietro da Capriolo e appoggiati da Venezia, di taluni conventi compresi nel dominio veneziano di area lombarda.
Nel 1472, in tale contrastato e minaccioso contesto, dopo aver rafforzato istituzionalmente la «societas fratrum» del M., SistoIV decise di trasferirlo a Roma concedendogli il monastero transtiberino di S. Pietro in Montorio e utilizzandolo come confessore personale. Dal centro della Cristianità cattolico-romana la «societas» del M. riuscì a diffondersi ulteriormente in varie località padane e nelle vicinanze di Roma, dove ricevette, sul finire degli anni Settanta del Quattrocento, dal conte Raimondo Orsini terre e risorse per erigere chiesa e convento. Sedici paiono essere i conventi «sub eadem regulari observantia fratrum Minorum sancti Francisci et sub custodia» del M., tuttavia posti «sub obedientia» del ministro generale e dei ministri provinciali dei frati minori. Nel 1482 egli ottenne l’autorizzazione dal papa per visitare i «suoi» monasteria della pianura padana.
Giunto a fine giugno nel convento milanese di S. Maria della Pace e rimastovi per qualche tempo, mentre riprendeva il cammino per Roma ebbe un malore che lo costrinse a tornare nel convento milanese, dove morì il 10 ag. 1482. Fu sepolto davanti all’altare maggiore; subito fu esaltato e trattato come un santo.
Egli lasciava una «societas fratrum» assai agguerrita, che cercò di avvalersi della santità del proprio capo, di consolidare la propria identità e la propria autonomia all’interno dell’Ordine dei frati minori e di allargare le proprie relazioni sociali e i propri raccordi ecclesiastici. I frati della «societas» assunsero la denominazione di «Amadeitae» in ricordo esplicito e incontrovertibile del M., che essi, senza riuscirvi, avrebbero voluto santificato dalla Chiesa romana. La memoria del M., per altro verso, rimaneva anche legata a un testo conosciuto come Apochalypsis nova dai contenuti fortemente profetici e visionari, collegati alla tradizione gioachimita e pseudogioachimita, e dalla viva tensione riformatrice religiosa ed ecclesiastica. Benché non sia da escludere che la primitiva composizione dipenda dalla dettatura dello stesso M., è indubbio che il testo trasmesso in numerose copie, e oggi disponibile, sia frutto di ampi rimaneggiamenti e integrazioni realizzati sul finire del papato di Giulio II, ossia poco prima del 1513, quando il M. era morto da una trentina d’anni.
Fonti e Bibl.: Bullarium Franciscanum continens constitutiones, epistolas, diplomata Romanorum pontificum Calixti III, Pii II et Pauli II ad tres Ordines S.P.N. Francisci spectantia, n.s., a cura di J.M. Pou y Martí, II (1455-1471), Ad Claras Aquas 1939, pp. 718 s., 746 s., 765 s., 783, 803 s.; Bullarium Franciscanum continens constitutiones, epistolas, diplomata Romani pontificis Sixti IV ad tres Ordines S.P.N. Francisci spectantia, n.s., a cura di J.M. Pou y Martí, III (1471-1484), Ad Claras Aquas 1949, pp. 78 s., 83 s., 110, 171 s., 427, 515 s.; Acta sanctorum Augusti, II, Antverpiae 1735, pp. 562-606; P. Sevesi, Beato A. Menez de Sylva dei frati minori fondatore degli amadeiti (Vita di fra Mariano da Firenze e documenti inediti), in Luce e amore, VIII (1911), pp. 529-542, 586-605, 681-710; Id., Il beato A. Menezes de Sylva e documenti inediti, in Miscellanea francescana, XXXII (1932), pp. 227-232; A. Morisi, Apocalypsis nova. Ricerche sull’origine e la formazione dei testi dello pseudo-Amadeo, Roma 1970, passim; G. Ferri Piccaluga, Economia, devozione e politica: immagini di francescani, amadeiti ed ebrei nel secolo XV, in Il francescanesimo in Lombardia. Storia e arte, Milano-Cinisello Balsamo 1983, pp. 107-127; A. Domingues de Sousa Costa, Studio critico e documenti inediti sulla vita del beato A. da S. nel quinto centenario della morte, in Noscere sancta. Miscellanea in memoria di Agostino Amore, a cura di I. Vázquez Janeiro, II, Liturgia, agiografia, Romae 1985, pp. 101-360; C. Vasoli, Dall’«Apochalypsis nova» al «De Harmonia mundi». Linee di una ricerca, in I frati minori tra ’400 e ’500, Assisi 1986, pp. 259-291; S. Fasoli, Il Carletti a Milano. Un episodio nel quadro dei rapporti tra gli Sforza e l’Osservanza minoritica, in Frate Angelo Carletti osservante nel V centenario della morte, a cura di O. Capitani et al., Cuneo 1988, pp. 97-115; P. Sella, Leone X e la definitiva divisione dell’Ordine dei minori (OMin.): la bolla «Ite vos» (29 maggio 1517), Grottaferrata 2001, ad ind.; G. Andenna, Aspetti politici della presenza degli osservanti in Lombardia in età sforzesca, in Ordini religiosi e società politica in Italia e Germania nei secoli XIV e XV, a cura di G. Chittolini - K. Elm, Bologna 2001, pp. 331-371; G.G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova 2003, pp. 342-377.
G.G. Merlo