Mezzani, Menghino (meno esatte le forme da Mezzano, de Mezano, Meçanus; errate Michinus, Mengino)
Notaio e rimatore ravennate, vissuto tra il 1295 c. e il 1375-76, ammiratore di D. e amoroso cultore della sua memoria e della sua poesia. Che sia stato amico di D. negli anni ravennati risulta esplicitamente solo da un ricordo tardo: l'epistola di Coluccio Salutati a Niccolò da Tuderano, cancelliere dei signori da Polenta, del 2 ottobre (1399). Ma già il Salutati giovane aveva richiesto di amicizia il M. con una lettera da Roma del 24 aprile (1368), avendo saputo della sua eloquenza, dottrina e nobiltà d'animo ed essendo stato spinto a scrivergli dal comune amico fra Tommaso Mengardoni (certamente un riminese). Probabilmente il rapporto non ebbe seguito, tanto che nella lettera di trentun anni dopo il Salutati si mostra male informato della persona del M. storpiandone il nome e ritenendolo canonico della Chiesa ravennate (notizia in contrasto con tutte le altre fonti e sicuramente inaccettabile). Il Salutati sapeva però altro: " Nuper autem audivi quod olim dominus Michinus de Mezano [queste forme ricorrono spesso anche nella tradizione manoscritta dell'epitafio e delle rime]... notus quondam familiaris et socius Dantis nostri, fuit huius libri doctissimus et studiosus et quod super ipso scripserit curiose... illius viri Dantem [la Commedia] et quicquid super ipso scripserit ". A parte il punto degli ‛ scritti ' danteschi, che rimane di controversa interpretazione (v. oltre), non vi è motivo di dubitare della notizia, che poteva benissimo risalire al Boccaccio, che il M. fosse stato in giovinezza ‛ famigliare e compagno del nostro Dante '. La testimonianza è pertanto fondamentale, e in sé stessa e perché getta luce su tutta una serie di altre testimonianze e di scritti dello stesso M. e permette di darne una coerente interpretazione.
La località di Mezzano a nord-ovest di Ravenna aveva dato origine a una o più famiglie Mezzani (già cognome nel sec. XIII, se non prima, a Ferrara, Faenza, ecc.; quelli di Ferrara risultano anche legati con gli Alighieri " di val di Pado "). A un ramo stabilito a Pezzolo Beccaluvio presso Russi appartiene il nostro Domenico, detto nei documenti sempre più frequentemente e infine comunemente Menghino o Minghino, figlio di un Ugolino di Fuscolo M., ancor vivo verso il 1330 e trasferito o nato egli stesso a Ravenna, dove la famiglia, detta dei M. di Porta Adriana, dimorava nella regione di s. Maria Maggiore. Menghino è già nel 1317 giudice ordinario e notaio, nel 1325 notaio del comune ai malefici, nel 1328 notaio delle riformazioni, e come tale è legato a Ostasio da Polenta e roga allora e poi importanti atti pubblici. Nel 1330 fu aggregato per ordine del legato di Romagna a una commissione per la revisione degli statuti; nei primi mesi del 1348 lo s'incontra a Pisa tra i notai del podestà Tanuccio degli Ubaldini. Ebbe in moglie una Giovanna, già morta nel 1352, e parecchi figli, almeno due maschi e quattro femmine. Morì nel 1375 o 1376. Si conservano parecchi documenti originali da lui rogati e moltissimi in cui egli figura come teste o procuratore, o relativi a interessi patrimoniali della sua famiglia.
La produzione poetica del M. ci è nota solo in età avanzata, ma è lecito pensare che avesse inizio nella prima giovinezza. Nella misura in cui si può considerare attendibile l'affermazione del Boccaccio nella Vita, che D. a Ravenna " con le sue dimostrazioni fece più scolari in poesia e massimamente nella volgare " (ediz. Guerri, I 24; ediz. P.G. Ricci, p. 595; nel compendio, ediz. Guerri, I 81, " a molti dimostrò la ragione del dire in rima "), certamente il primo nome a cui si può o deve pensare è quello del Mezzani.
Allo stesso modo, come non v'è ragione di respingere la narrazione del Boccaccio intorno alla gara di poeti in Romagna, subito dopo la morte di D., per l'epitafio latino della sua tomba (v. EPITAFI), così possiamo far risalire a quel tempo l'epitafio composto dal M. in 6 esametri ritmici (aspetto formale recentemente accertato da Scevola Mariotti), che comincia Inclita fama cuius universum penetrat orbem. Il testo ci è conservato da parecchi codici della Commedia (più tardi anche diffuso in miscellanee umanistiche), ma uno solo, assai autorevole, quello scritto da Francesco di maestro Tura cesenate nel 1378 (Cologny, Collezione Bodmer), lo attribuisce al nostro: " factum fuit per discretum virum ser Minghinum Meçanum de Ravenna ". L'epitafio dice nel giro di un solo periodo il nome, la patria e la data della morte, con un breve incisivo elogio. Oltre alla forma metrica, si può notare il verso iniziale, probabile eco del secondo verso dell'epitafio di Giovanni del Virgilio (" fama pulsat utrumque polum "), ma soprattutto l'elogio del v. 3: " conditor eloquii lumenque decusque latini ", cioè " fondatore e onore e lume (cfr. If I 82) della lingua italiana " (v. EPITAFI), rilevantissimo a quella data e non senza riscontro negli atteggiamenti della produzione poetica volgare del M. e del suo amico Antonio da Ferrara. È probabile che il Boccaccio abbia conosciuto l'epitafio, e forse dallo stesso M., ma certo esso non poté avere diffusione prima di essere stato inciso sulla tomba, in una collocazione che le testimonianze dei codici non ci permettono di precisare (sulla stessa fronte dell'arca su cui era stato posto intorno al 1357 l'epitafio Iura monarchiae di Bernardo di Canaccio Scannabecchi, o sul coperchio di essa o in una lastra nel muro retrostante). Ciò avvenne verosimilmente negli ultimi anni di vita del M., che certo volle rendere in tal modo un estremo omaggio all'amico grande della sua giovinezza, e forse anche raccomandare ai posteri il proprio ricordo, associandosi al " pio officio " dell'altro amico di D., e suo, appunto Bernardo.
Alla collocazione sulla tomba di D. dell'epitafio di Bernardo si riferisce uno scambio di sonetti, tramandati nel codice Canon. ital. 97 di Oxford della Commedia. La risposta, e l'epitafio stesso, sono nel codice attribuiti nominatamente a Bernardo, ma il sonetto di proposta, Vostro sì pio officio offerto a Dante, nel quale l'autore al v. 9 si nomina " minimo dantista ", è anonimo nel codice ed è stato riconosciuto del M. da Corrado Ricci con una serie di ottimi argomenti, che identificano le circostanze rispecchiate nei due sonetti con una lunga prigionia politica sofferta dal M. (maggio 1357 - 1359 o '60) sotto la signoria di Bernardino da Polenta. Su questa base, e con altri ottimi argomenti, invano posti in discussione da altri, il Torraca ha riconosciuto, nei nomi bucolici dell'egl. X del Buccolicum carmen del Boccaccio, Ostasio da Polenta nel Lycidas (tyrannus), suo figlio Bernardino nel Polipus, e Menghino nel Dorilus (captivus), amico di Phytias (Boccaccio) già ospite di Lycidas. Il riconoscimento rimane prezioso per la biografia del Boccaccio e per la testimonianza, che altrimenti ci mancherebbe, dell'amicizia Boccaccio-Menghino. Il cerchio si completa con i rapporti tra il M. e il Petrarca, attestati dall'epistola Metr. I 11 (poesiola purtroppo non databile e d'interpretazione oscura, ma diretta al M. per assicurazione di un codice); dalla Sen. V 2 al Boccaccio (probabilmente del 1364), dalla quale risulta che un " vecchio da Ravenna (evidentemente ben noto all'uno e all'altro), in siffatta materia giudice assai competente " (Fracassetti), dunque certamente il M., come ha mostrato C. Ricci, assegnava al Boccaccio il terzo posto tra i poeti del secolo, s'intende dopo D. e Petrarca; e da uno scambio di sonetti (Petrarca Aman la madre e 'l padre il caro figlio, M. Io fui fatto da Dio a suo simiglio).
Quest'autorità in fatto di poesia, riconosciutagli persino dal Petrarca, è in qualche modo confermata dalle altre composizioni che del M. ci sono rimaste, non certo per le loro qualità formali, che sono modestissime, ma perché risulta dal loro insieme e dal contesto delle corrispondenze poetiche la considerazione che per lui avevano altri rimatori (forse anche sollecitata dalla fama della sua amicizia personale con D.) e una posizione e una pratica di rigoroso ‛ dantismo ', che sembra proprio lui avere inculcato, entro certi limiti, anche ad Antonio da Ferrara (Bellucci).
Di fatto, le sue corrispondenze poetiche, oltre il breve incontro petrarchesco, si muovono tutte nell'ambito di Antonio da Ferrara, e le rimanenti rime sue sono di argomento dantesco. Al 1354 deve riferirsi un sonetto del M. al poeta ferrarese (con risposta, ediz. Bellucci, XXXVII ab) a proposito della sua celebre canzone per il duello tra Galeotto Malatesti e Francesco Ordelaffi (XXXVI), al 1357 o poco dopo altri due scambi di sonetti, consolatori da parte di Antonio per la prigionia del M. (XXXVIII ab, XXXIX ab); particolarmente interessante il secondo (ad Antonio che lo esortava: Speranza, il M. risponde con piglio dantesco: Fortezza; i vv. 10-11 sembrano un'eco di Pg V 14-15). Al sonetto notissimo e molto ‛ dantesco ' di Antonio contro Carlo IV (già da lui esaltato nella canzone XL) il M. risponde che anch'egli l'aveva chiamato Veltro... (XLI ab). Segue un sonetto di Antonio (LXVI) al M., da Siena (senza risposta). Si può forse aggiungere un sonetto Stassi il tuo Nino e va qua co i compagni (ediz. Ricci, p. 405, da [P.P. Ginanni], Rime scelte de' poeti ravennati, Ravenna 1739, 6) diretto " ad magistrum Antonium de Ferraria ", irto di echi danteschi; non se ne conoscono manoscritti e lascia qualche sospetto. Ma più di tutti è interessante il sonetto XLIII di Antonio recentemente pubblicato, in cui il magistero poetico di D. è esaltato nel quadro di un " soddilizio, in volgar poesì ", di seguaci del " padre Dante ", che giustamente è stato riferito dalla Bellucci al momento ravennate del Beccari e all'influenza del M. su di lui (né si può escludere che la parola " dantista ", primamente attestata nel sonetto di Menghino a Bernardo, sia usata, più che in senso personale, proprio nel senso di membro di quel loro " soddilizio ").
Interessano il ‛ dantismo ' del M. anche i sommari in terzine sulle prime due cantiche (di solito a ogni canto sono dedicate due terzine; fanno eccezione, con una sola, Pg I, XIII, XXI-XXIII, XXV, XXVI, XXVIII, XXX), stentate composizioni non prive tuttavia d'interesse, per le scelte contenutistiche, qualche verso robusto, qualche spia romagnola nella lingua. Questi sommari, forse non completati dall'autore, ebbero scarsa diffusione: ci sono pervenuti in due codici della Commedia, il Gambalunghiano di Rimini D II 41 (il Dante di Iacopo Gradenigo, sec. XIV) e il Canon. ital. 115 di Oxford (sec. XV, solo i sommari dell'Inferno). Nonostante qualche difficoltà della tradizione manoscritta e vecchie discussioni ora superate, non si può dubitare della loro attribuzione. Se ne hanno tre edizioni (L. Frati, in Miscellanea dantesca, Firenze 1884, 33-45; C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D.A., II, Roma 1890, 543-560; C. Ricci, I ediz., 389-400).
I libri appartenuti al M. sarebbero passati ai signori da Polenta secondo informazioni pervenute al Salutati che, interessatissimo ad avere un testo corretto della Commedia, insisteva nelle sue lettere a Niccolò da Tuderano per avere la Commedia del M. e i suoi scritti su di essa, e sembra ne avesse avuta assicurazione (Epist. III, 374-375 e 383, 388). Già Mehus e altri eruditi pensarono a un commento, e questa interpretazione mantenne il Novati contro il Ricci, che invece vedeva in questi scritti del M. i sommari metrici che soli ci sono pervenuti. Una vaga ipotesi dello Zabughin a proposito delle glosse del cod. Ambrosiano C 198 inf., di un " anonimo ravennate... che può benissimo essere Menghino " e che scriveva per desiderio di Bernardino da Polenta intorno al 1355, deve ancora essere sottoposta a verifica critica.
Bibl. - P.P. Ginanni, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, II, Faenza 1769, 57-58; A. Traversarii Latinae epistolae, a c. di L. Mehus, Firenze 1759, CXXXVII, ClXXVIII s.; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Milano 1891, 1921², e nuova ediz. a c. di E. Chiarini, Ravenna 1965, 75, 86, 97, 139, 229-230, 240-260 (e 274-280 note, 277 n. 157 genealogia), 299-300, 302, 305-308, 366 n. 29 (la prima ed. si deve ancora usare per l'edizione delle rime e la loro bibliografia precedente, 391-408; per i documenti, n. V ss., pp. 413 ss.; e per la tav. XXIX, che riproduce un rogito del M., 18 giugno 1324); C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D.A., I, Roma 1890, 269-273 (epitafio); II, 1890, 543-560 (terzine); C. Salutati, Epistolario, a c. di F. Novati, I, Roma 1890, 54-55; III, ibid. 1896, 371-375, 382-388, e cfr. " Bull. " IV (1897) 210, V (1898) 123; F. Torraca, rec. a O. Zenatti, D. a Firenze, in " Bull. " X (1903) 124 n. 1, 162, 177; E. Levi, Antonio e Nicolò da Ferrara, in " Atti e Memorie Deputazione Ferrarese St. Patria " XIX (1909), passim; E.G. Parodi, in " Bull. " XVIII (1911) 156; F. Torraca, Per la biografia di G. Boccaccio, Milano-Roma 1912, 179-186 (pp. 183-184 scambia l'epitafio di Bernardo con quello del M.); ID., Cose di Romagna in tre egloghe del Boccaccio, in " Atti e Mem. Deputazione St. Patria Prov. Romagna " s. 4, II (1912), 1-17 (è il cap. VII del vol. cit.; cfr. E. Carrara, in " Bull. " XX [1913] 198; non persuasive le obiezioni di G. Lidonnici, in " Rass. Bibliogr. Lett. Ital. " XXI [1913] 88-93, e nell'ed. di G. Boccaccio, Il " Buccolicum carmen ", Città di Castello 1914, 222-248, 329-330); S. Muratori, Per una ballata di maestro Antonio da Ferrara, in Studi... a P.C. Falletti, Bologna 1915, 341-342; T. Casini, Scritti danteschi, città di Castello 1914, 154, 171-174; V. Zabughin, Quattro ‛ geroglifici ' danteschi, in " Giorn. stor. ", suppl. 19-21 (1921) 540 ss., 558 n.; O. Montenovesi, Documenti pergamenacei di Romagna nell'Archivio di Stato di Roma, in " Atti e Memorie Deputazione St. Patria Prov. Romagna " s. 4, XVI (1926) 79 n. 10 (nuovo rogito del M.); Antonio da Ferrara (Antonio Beccari), Rime, ediz. crit. a c. di L. Bellucci, Bologna 1967, CCXVI-CCXVIII, CCXXI, 103 ss. (i testi citati sopra col numero), 243-245 (glossario delle rime del M. edite nel volume).