mente estesa
ménte estésa locuz. sost. f. – La teoria della m. e., sorta nell’ambito della cosiddetta nuova scienza cognitiva, è stata proposta nella sua formulazione più conosciuta e discussa nell’articolo The extended mind, pubblicato nel 1998 da A. Clark e D. Chalmers sulla rivista Analysis. In base a tale versione della teoria i processi cognitivi umani sono veicolati non soltanto da ciò che si trova all’interno «del cranio e della pelle», ma anche da ciò che è esterno al corpo. Vale a dire che nei processi cognitivi le capacità mentali dell’agente si avvalgono di elementi esterni al cervello e al corpo, quali lo stesso ambiente naturale, o anche estensioni ‘culturali’, come il linguaggio o gli artefatti teconologici, che costituiscono l’ambiente sociale. Clark e Chalmers definiscono la loro prospettiva esternalismo attivo (active externalism), ossia una forma di esternalismo basata sul ruolo attivo dell’ambiente nel guidare i processi cognitivi, opposta alle teorie di esternalismo passivo quali quelle di T. Burge o H. Putnam. La teoria della m. e. è stata sottoposta a critiche o anche a tentativi di parziale integrazione entro diverse prospettive della nuova scienza cognitiva, basate sui modelli della mente e della cognizione incarnata (embodied; v. ), o situata (embedded). Ciò ha avviato proficue discussioni sulla natura dei processi percettivi, cognitivi e mentali. Nello sviluppo delle teorie della m. e. si sono andate diversificando tendenze fondate su modelli situati e sensomotori, incentrate sull’inscindibilità delle estensioni esterne della mente rispetto alla sua attività interna, e tendenze fondate sull’attribuzione di un ruolo causale alle estensioni esterne della mente, soprattutto quelle di tipo culturale come gli artefatti tecnologici. Fra gli aspetti della teoria della m. e., rispetto ai quali la discussione scientifica ha evidenziato snodi problematici, si è imposto in primo luogo quello dello statuto da attribuire alle estensioni esterne rispetto ai processi mentali, ossia se esse ne siano costitutive o ne siano soltanto gli stimoli causali. Inoltre, in merito alle diverse risorse ambientali, si è posto il problema di diversificarle rispetto al carattere propriamente cognitivo che esse rivestono, indicando come criterio di tale vaglio l’identificazione del contenuto intenzionale, almeno parziale, che veicolano o possiedono. In base alla teoria di Clark e Chalmers, qualsiasi parte del mondo, nel momento in cui funziona come un processo che avvenendo nella testa sarebbe considerato cognitivo, deve proprio per questo essere considerata parte di un processo cognitivo. Si tratta del cosiddetto principio di parità, dal quale deriva la versione allargata (supersized) della teoria della m. estesa. Dalla teoria della m. e. e dai suoi sviluppi, anche polemici, sono derivate importanti ricadute per la teoria della mente personale e dell’io; nell’ambito della nuova scienza cognitiva si assiste infatti alla ricalibrazione di problemi tradizionali relativi all’identità personale, al soggetto e alla coscienza stessa sulla base del rapporto fra processi cognitivi e mente intesi nella prospettiva della nuova scienza cognitiva. Significativamente Clark intervenendo nel 2004 nel dibattito suscitato dal suo Natural born cyborgs (2003), ha affermato di preferire alla teoria del self (io) quella del no-self «secondo la quale (ciò che normalmente consideriamo) l’io è una coalizione frettolosamente costituita di elementi biologici e non biologici, i cui membri variano e sfumano a seconda del tempo e dei contesti» (M. di Francesco, G. Piredda, La mente estesa. Un bilancio critico, Sistemi intelligenti, 2012, pp. 11-31).