Mente
di John C. Eccles
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. Confronto fra le diverse teorie concernenti il rapporto cervello-mente. □ 3. Struttura della neocorteccia. □ 4. La struttura modulare della neocorteccia. □ 5. Il funzionamento modulare della neocorteccia. □ 6. Il collegamento fra il cervello e la mente. □ 7. Unità della coscienza e commessurotomia. □ 8. La persona. □ 9. Conclusioni. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
Il problema del rapporto mente-corpo, o, più propriamente, del rapporto mente-cervello, è il problema più grande e più intricato che ci si presenta quando cerchiamo di capire noi stessi in relazione al mondo della natura. La sua formulazione originale come problema del rapporto corpo-mente risale alla preistoria. Un'autorevole presentazione della storia del problema da quei tempi lontani fino a oggi è stata fatta da Popper nel cap. P5 di un recente libro (v. Popper e Eccles, 1977). Nei capp. P1 e P3 di questo libro sono riunite le critiche delle varie teorie materialistiche della mente. Nei capp. P4 ed E7 viene formulata un'ipotesi dualistico-interazionistica che deriva da Cartesio, ma che è sviluppata tenendo conto dei progressi della filosofia e della scienza dal XVII secolo a oggi. In particolare le recenti scoperte nell'ambito delle neuroscienze hanno trasformato la componente ‛cervello' del rapporto mente-cervello, che aveva già sostituito il rapporto mente-corpo. Sappiamo adesso che le relazioni fra corpo e mente, quali che possano essere, si stabiliscono solamente attraverso la mediazione del cervello.
2. Confronto fra le diverse teorie concernenti il rapporto cervello-mente.
Per il nostro scopo presente è importante chiarire i termini del problema, in primo luogo esponendo brevemente la concezione dei tre mondi di Popper e in secondo luogo presentando un diagramma esplicativo (v. fig. 1) delle principali teorie, cosicché le teorie materialistiche della mente possano essere messe a confronto con la teoria dualistico-interazionistica proposta in questa sede.
1. Il 1° mondo è l'intero mondo materiale degli universi inorganico e organico, che include tutte le entità biologiche, anche i cervelli umani, e tutti i manufatti.
2. Il 2° mondo è il mondo che include non solo le nostre immediate esperienze percettive, visive, uditive, tattili, di dolore, di fame, di rabbia, di gioia, di paura, ecc., ma anche i nostri ricordi, fantasie, pensieri, progetti, e al centro di tutto ciò il nostro io, unico, soggetto delle nostre esperienze.
3. Il 3° mondo è il mondo della creatività umana, che comprende, per esempio, i contenuti oggettivi dei pensieri che stanno alla base delle produzioni scientifiche, artistiche e letterarie. Il terzo mondo è pertanto il mondo della cultura in tutte le sue manifestazioni, come è stato spiegato da Popper (v. Popper e Eccles, 1977, cap. P2).
Le teorie dominanti sul rapporto mente-cervello accettate oggi dai neuroscienziati sono puramente materialistiche, nel senso che attribuiscono completo dominio al cervello (v. Pribram, 1971; v. Rensch, 1971 e 1974; v. Barlow, 1972; v. Doty, 1975; v. Blakemore, 1977; v. Mountcastle, 1978; v. Edelman, 1978). Non si nega che la mente o coscienza esista, ma le si attribuisce un ruolo passivo identificandola con quelle esperienze mentali che accompagnano alcuni tipi di attività cerebrale - come per esempio la percezione della propria identità psiconervosa - e la si considera priva di ogni effettiva influenza sul cervello. Il complesso meccanismo nervoso del cervello funziona in modo determinato materialisticamente, indipendentemente da ogni forma di coscienza. Le esperienze del senso comune secondo le quali possiamo controllare, entro certi limiti, le nostre azioni o esprimere i nostri pensieri attraverso il linguaggio sono, si sostiene, illusorie. In realtà è raro che questa concezione sia espressa così apertamente e tuttavia corrisponde esattamente alla descrizione che ne abbiamo fatto, a dispetto di ogni tentativo, anche sofisticato, di dissimularla.
Nella fig. 1 il 1° mondo è diviso in un mondo 1f e in un mondo 1m infinitamente piccolo. In generale le teorie materialistiche sono quelle che asseriscono che gli eventi mentali non possono avere alcun reale effetto sugli eventi cerebrali nel 1° mondo - che il 1° mondo è chiuso a ogni possibile influenza esterna, come è postulato, invece, dalla teoria dualistico-interazionistica. Questa chiusura del 1° mondo è assicurata in quattro modi differenti nelle quattro varietà di materialismo illustrato nella fig. 1.
1. Il materialismo radicale asserisce che tutto è mondo 1f. Si nega o si ripudia l'esistenza degli eventi mentali, in quanto semplici illusioni: il problema del rapporto mente- cervello è un non problema.
2. Il pampsichismo asserisce che tutta la materia ha uno stato interno mentale o protopsichico; poiché questo stato è parte integrante della materia, non può avere alcun effetto su di essa. La chiusura del 1° mondo è salvaguardata.
3. Secondo l'epifenomenalismo gli stati mentali esistono in relazione ad alcuni eventi materiali, ma non hanno alcuna importanza causale. Anche in questo caso la chiusura del 1° mondo è salvaguardata.
4. La teoria dell'identità o teoria dello stato centrale o teoria psiconervosa afferma che gli stati mentali esistono come aspetto interiore di alcune strutture materiali che nelle formulazioni attuali sono limitate a strutture cerebrali come le cellule nervose. Questa postulata ‛identità' può sembrare un modo di attribuire potere causativo agli eventi mentali, dato che le cellule nervose ‛identiche' agli stati mentali hanno questo potere. Tuttavia il risultato di questa operazione è che gli eventi puramente materiali dell'attività nervosa bastano di per sé a fornire tutte le risposte date dalla ‛coppia' mente-cervello: si preserva così la chiusura del 1° mondo.
A queste teorie materialistiche o parallelistiche si oppongono quelle ‛dualistico-interazionistiche', rappresentate diagrammaticamente nella parte inferiore della fig. 1. L'assunto fondamentale di queste teorie è che la mente e il cervello sono entità indipendenti, in quanto il cervello appartiene al 1° mondo e la mente al 2° mondo, e che essi in qualche maniera interagiscono, come indicano le frecce nella fig. 2. Vi è quindi una frontiera, come è illustrato nella fig. 2, e attraverso questa frontiera si verificano interazioni in entrambe le direzioni, concepibili come un flusso di informazione, non di energia. Ci troviamo quindi di fronte alla straordinaria concezione secondo cui il mondo della materia-energia (1° mondo) non è completamente si gillato, come vuole un principio fondamentale della fisica, ma vi sono delle piccole ‛crepe', in mancanza delle quali il 1° mondo sarebbe perfettamente chiuso.
Viceversa, la chiusura del 1° mondo è stata preservata con grande ingegnosità in tutte le teorie materialistiche della mente. Io dimostrerò ora che questa non è la loro forza, ma la loro fatale debolezza (v. Popper e Eccles, 1977).
I materialisti danno grande rilievo all'apparente accordo fra le loro teorie sul rapporto cervello-mente e le leggi della natura che oggi conosciamo; che questo accordo sia illusorio è tuttavia dimostrato da due considerazioni di grande importanza.
In primo luogo nelle leggi della fisica o in quelle delle scienze che derivano dalla fisica - la chimica e la biologia - non v'è alcun riferimento alla coscienza o alla mente. Shapere (v., 1974) sostiene questo concetto nelle sue dure critiche all'ipotesi pampsichistica di Rensch (v., 1974) e Birch (v., 1974), in cui si proponeva che la coscienza o protocoscienza fosse una proprietà fondamentale della materia. Indipendentemente dalla complessità dei meccanismi elettrici, chimici e biologici, le ‛leggi naturali' non accennano in alcun modo all'emergere di questa strana entità non materiale, la coscienza o mente. Con ciò non si intende affermare che la coscienza non compaia nel corso del processo evolutivo, ma semplicemente che la sua comparsa non è conciliabile con le leggi naturali nella loro formulazione attuale. Per esempio, queste leggi non permettono di affermare che la coscienza compaia a uno specifico livello di complessità dei sistemi, come sostengono gratuitamente tutti i materialisti eccetto i pampsichisti. La loro convinzione che una coscienza primordiale sia presente in tutta la materia, presumibilmente anche negli atomi e nelle particelle subatomiche, non trova alcun fondamento nella fisica. Si possono anche citare le domande ossessive degli appassionati dei calcolatori. A quale stadio di complessità e di prestazione si può accettare di attribuire una coscienza a un calcolatore? Fortunatamente questa domanda carica di emotività non necessita di una risposta. Si può fare ciò che si vuole ai calcolatori senza timore di mostrarsi crudeli!
In secondo luogo, tutte le teorie materialistiche della mente sono in conflitto con l'evoluzione biologica. Dato che ciascuna di esse (pampsichismo, epifenomenalismo e teoria dell'identità) sostiene l'incapacità della coscienza di produrre effetti sul cervello e sul sistema nervoso, esse non sono assolutamente in grado di spiegare l'evoluzione biologica della coscienza, che è un fatto innegabile. È cioè innegabile il fatto che essa prima emerga e poi si sviluppi progressivamente con l'aumentare della complessità del cervello. Infatti, secondo la teoria dell'evoluzione, la selezione naturale permette che si sviluppino solo quelle strutture e quei processi che arrecano sostanziali vantaggi ai fini della sopravvivenza. Se la coscienza non produce effetti, il suo sviluppo non può essere spiegato dalla teoria dell'evoluzione. In base alla teoria dell'evoluzione biologica, la comparsa e lo sviluppo degli stati mentali e della coscienza potrebbero aver avuto luogo solo se essi determinassero effettive modificazioni negli eventi nervosi che si verificano nel cervello e di conseguenza modificazioni del comportamento. Ciò può avvenire solo se i meccanismi nervosi del cervello sono aperti alle influenze degli eventi mentali del mondo delle esperienze coscienti, in accordo col postulato fondamentale della teoria dualistico-interazionistica.
Infine la critica più efficace mossa alle teorie materialistiche della mente è diretta contro il loro postulato centrale secondo cui gli eventi della macchina nervosa del cervello forniscono una spiegazione necessaria e sufficiente della totalità dell'essere umano, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello dell'esperienza cosciente. Per esempio la volontà di compiere un movimento deliberato è considerata come ‛completamente determinata' da eventi che si verificano nella macchina nervosa del cervello, al pari di tutte le altre esperienze. Ma, come Popper afferma nella sua Compton Lecture del 1972: ‟Secondo il determinismo, ogni teoria, incluso lo stesso determinismo, esiste a causa di una certa struttura fisica di chi la sostiene - probabilmente del suo cervello. Di conseguenza, noi ci inganniamo, e siamo fisicamente condizionati a ingannarci, ogni volta che crediamo che vi siano argomentazioni o ragioni che ci spingono ad accettare il determinismo. In altre parole, il determinismo fisico è una teoria, che, se è vera, è insostenibile, poiché deve spiegare tutte le nostre reazioni, incluse quelle che ci sembrano convinzioni basate su argomentazioni, in base a condizioni puramente fisiche. Condizioni puramente fisiche, incluso il nostro ambiente fisico, ci fanno dire o accettare tutto ciò che diciamo o accettiamo".
Questa è una efficace reductio ad absurdum. Tale critica si applica a tutte le teorie materialistiche. Siamo pertanto forzati ad accettare spiegazioni dualistico-interazionistiche del problema del rapporto cervello-mente, nonostante il loro straordinario assunto che vi sia un'effettiva comunicazione in entrambe le direzioni attraverso la frontiera mostrata nella fig. 2.
La teoria dualistico-interazionistica è necessariamente in conflitto con le leggi naturali attuali, e pertanto è nella stessa posizione ‛illegale' delle teorie materialistiche della mente. Le differenze consistono nel fatto che questo conflitto è sempre stato ammesso e che si ritiene che il meccanismo nervoso del cervello funzioni in stretto accordo con le leggi naturali, se si eccettua la sua influenzabilità da parte del 2° mondo.
3. Struttura della neocorteccia.
È opportuno dare una descrizione molto semplice della struttura neuronica neocorticale e della maniera in cui i neuroni comunicano fra di loro formando la base della prestazione integrata del cervello al suo livello più alto.
Come è illustrato nel diagramma della fig. 2, l'assunto essenziale dell'ipotesi dualistico-interazionistica è il ruolo attivo attribuito alla mente autocosciente nella sua relazione con i meccanismi neuronici di regioni speciali del cervello. Gli emisferi cerebrali sono le parti del cervello che si sono evolute più recentemente: essi sono distinti dalla grande corteccia convoluta che ha uno spessore di circa 2,5 mm e un'area di circa 2.500 cm2 (v. fig. 3). Una grande varietà di indagini sperimentali e di osservazioni cliniche ha consentito di stabilire che la neocorteccia è la parte del cervello specificamente coinvolta nelle esperienze coscienti; pertanto dobbiamo concentrarci sulla sua struttura e sul suo funzionamento quando cerchiamo di scoprire quelle proprietà che conferiscono al cervello il ruolo trascendente di fungere da legame con gli eventi mentali delle esperienze coscienti. Nella fig. 2 regioni speciali della neocorteccia cerebrale sono rappresentate come cervello di collegamento, che presenta un'interfaccia rivolta verso l'insieme dei componenti del 2° mondo.
La corteccia cerebrale è composta di circa dieci miliardi di cellule nervose o neuroni, che sono le unità biologiche di base. Ciascuna di esse ha una zona centrale o corpo (soma) di diametro variabile da 1/100 a 1/50 di mm, branche ramificate (i dendriti) e un filamento sottile più lungo, l'assone, che trasporta messaggi o impulsi dal neurone agli altri neuroni: i più grandi e più numerosi neuroni della neo-corteccia hanno una forma piramidale e sono pertanto denominati cellule piramidali. Questi neuroni sono ammassati cosi strettamente che un neurone può essere osservato individualmente nelle sezioni istologiche solo quando è messo in evidenza col metodo di colorazione straordinariamente efficace scoperto da Golgi. Per esempio nella fig. 4A solo l'1% circa dei neuroni fu colorato, e si possono individuare parecchi neuroni con i loro dendriti ramificati e il loro sottile assone (fibra nervosa) che si proietta lontano dal centro del soma o corpo. La fig. 4B mostra una cellula piramidale con corte spine (s) sui dendriti, ma non sul soma (p)o sull'assone (ax). I dendriti sono troncati e si presentano in due varietà, quelli che nascono dal dendrite apicale (b) della cellula piramidale, e quelli che nascono direttamente dal soma (p).
Alla fine del sec. XIX, Ramón y Cajal, il grande neuro-anatomico spagnolo, avanza per primo l'ipotesi che il sistema nervoso sia costituito di neuroni, che sono cellule isolate, non connesse reciprocamente in qualche specie di sincizio, ma dotate ciascuna di una propria attività biologica indipendente: questa è la cosiddetta teoria del neurone. Un neurone riceve informazioni (da altri neuroni) per mezzo delle fini diramazioni degli assoni di altri neuroni che prendono contatto con la sua superficie e terminano in piccoli bottoni sparsi ovunque sul soma e sui dendriti, come indica la fig. 4C. Alla fine del XIX secolo Sherrington suggerisce che queste aree di contatto, cui dà il nome di sinapsi, siano siti specializzati di comunicazione. Alla sinapsi si stabilisce lo stretto contatto illustrato nella fig. 4, C e D, con una separazione costituita dalla fessura sinaptica larga circa 200 Å (1Å=10-10 m).
La trasmissione nel sistema nervoso avviene tramite due meccanismi ben distinti: mediante brevi onde elettriche chiamate impulsi che viaggiano seguendo il principio tutto-o-nulla lungo le fibre nervose (assoni), spesso ad alta velocità, e attraverso le sinapsi. Gli impulsi sono generati da un neurone e scaricati lungo il suo assone quando esso è stato eccitato sufficientemente tramite le sinapsi. L'impulso viaggia lungo l'assone o fibra nervosa in tutte le sue diramazioni, raggiungendo alla fine i bottoni sinaptici che formano i contatti assonici con i somi e i dendriti degli altri neuroni. La fig. 4C mostra le due varietà di sinapsi, quella eccitatoria, a sinistra, e quella inibitoria, a destra. La prima induce il neurone ricevente a inviare un impulso lungo il suo assone, la seconda inibisce questa scarica. Vi sono due tipi di neuroni, quelli i cui assoni formano sinapsi eccitatorie e quelli i cui assoni formano sinapsi inibitorie. Non vi sono neuroni ambivalenti. Ciascun neurone ha migliaia di sinapsi sulla sua superficie e scarica impulsi solo quando l'eccitamento sinaptico è molto più forte dell'inibizione (v. neurone e impulso nervoso; v. sinapsi: Fisiologia della sinapsi centrale e Fisiologia della sinapsi periferica).
In profondità rispetto alla corteccia cerebrale si trova la sostanza bianca, che è in gran parte composta dalle fibre nervose mieliniche che costituiscono le vie efferenti e afferenti da e alla corteccia cerebrale. Esse interconnettono ciascun'area della corteccia cerebrale ai livelli inferiori del sistema nervoso centrale o ad altre aree dello stesso emisfero (fibre di associazione) e dell'emisfero opposto (fibre commessurali). Vi sono circa 200 milioni di fibre commessurali nel corpo calloso, che è il sistema più esteso di connessione fra i due emisferi (v. emisferi cerebrali: Dominanza cerebrale e Interazioni interemisferiche cerebrali).
4. La struttura modulare della neocorteccia.
Sono passati oltre 20 anni da quando si osservò per la prima volta che la corteccia sensoriale è composta da una moltitudine di colonne distinte (v. fig. 5), disposte lungo l'intero spessore della corteccia con orientamento perpendicolare alla sua superficie (v. Mountcastle, 1957). Questa disposizione a colonne di unità funzionali caratterizza anche la corteccia visiva, la corteccia uditiva e la corteccia motoria. Vi sono le prove che anche le aree sensoriali secondarie e terziarie hanno una struttura a colonne. È stata prospettata l'ipotesi che abbia una struttura simile anche la grande porzione della neocorteccia (oltre il 95%) che non ha relazioni dirette con le afferenze sensoriali e con le efferenze motorie (v. fig. 3) e che va sotto il nome di corteccia associativa. Per verificare questa ipotesi Goldman e Nauta (v., 1977) hanno fatto microiniezioni di traccianti radioattivi (leucina 3H o prolina 3H) in varie aree della corteccia associativa della scimmia. È noto che questi amminoacidi sono captati dai neuroni e incorporati in proteine marcate che successivamente sono trasportate lungo gli assoni dei neuroni fino alle branche terminali. Non è necessario entrare nei dettagli di questo attendibile procedimento tecnico di marcatura radioattiva che serve per determinare la distribuzione degli assoni delle cellule piramidali di una piccola area corticale. Come ha osservato Szentàgothai (v., 1978), la marcatura radioattiva ha rilevato una modalità di distribuzione degli assoni di straordinaria importanza e del tutto inaspettata. Nella fig. 6 Szentàgothai (v., 1978) dà una rappresentazione diagrammatica del reperto straordinario che l'immensa lamina della neocorteccia è suddivisa in un mosaico di unità spaziali quasi separate. Si può sostenere la tesi che queste unità spaziali siano i moduli che formano gli elementi anatomici di base nel disegno funzionale della neocorteccia. Nella parte sinistra della fig. 6 sono mostrate dodici cellule piramidali fittamente ammassate in un tale modulo o colonna, che ha una larghezza di circa 250 μm. Gli assoni di queste cellule piramidali si proiettano a tre altri moduli dello stesso emisfero e, dopo aver attraversato il corpo calloso, a due moduli dell'altro emisfero. Abbiamo così illustrato in termini semplici le proiezioni associative e callosali delle cellule piramidali di un modulo. La fig. 6 mostra molti particolari importanti. In primo luogo parecchie cellule piramidali di un modulo proiettano in maniera completamente sovrapposta ad altri moduli definiti nello stesso modo e aventi anch'essi una larghezza di circa 250 μm. Nella fig. 6 questa dimensione è già rappresentata dalla distribuzione delle diramazioni di una singola fibra di associazione per due moduli; la distribuzione sovrapposta è illustrata per 2 fibre associative e per 4 e 5 fibre callosali. In secondo luogo la proiezione callosale è diretta in gran parte, ma non interamente, a moduli simmetrici del lato opposto. Infine vi è reciprocità di connessioni callosali fra moduli simmetrici.
5. Il funzionamento modulare della neocorteccia.
Se vogliamo cercare di comprendere meglio come questa macchina neuronica funzioni, dobbiamo anzitutto tener presente che la fig. 6 è molto semplificata. In primo luogo vi sono circa 2.500 neuroni in un modulo largo 250 μm e almeno 500 di questi sono cellule piramidali. Sulla base del numero di fibre del corpo calloso, vi dovrebbero essere circa 50 cellule piramidali che proiettano fibre callosali da un modulo al lato opposto, invece delle sei rappresentate nella fig. 6. Se si considera che le fibre associative sembra che siano dieci volte più numerose di quelle callosali, vi dovrebbero essere 500 cellule piramidali che fungono da proiettori di fibre associative invece delle tre della fig. 6. Vi dovrebbe pertanto essere una convergenza di proiezioni da ciascun modulo molto più intensa di quella rappresentata nella fig. 6 e, probabilmente, anche una dispersione di proiezioni a un numero molto maggiore di moduli. Szentàgothai (v., 1978) suggerisce che il numero delle connessioni convergenti e divergenti intermodulari ammonti a 50.
Ma, anche se si aggiungessero tutti questi elementi alla fig. 6, il diagramma darebbe un quadro della situazione delle connessioni valido per un solo istante. Se il modulo primario della fig. 6 è fortemente eccitato e vi è una potente scarica di impulsi da parte delle cellule piramidali che lo costituiscono, entro pochi millisecondi intensi segnali eccitatori raggiungono molti altri moduli tramite le proiezioni associative e callosali. Alcuni di questi moduli secondari a loro volta saranno eccitati fino a un livello sufficiente a produrre una scarica verso moduli terziari e questi a loro volta a moduli quaternari. Così in una frazione di secondo si realizza uno schema di propagazione dell'eccitamento che non è casuale, ma strettamente determinato dalle proiezioni sequenziali dei moduli secondari, terziari, ecc., di questo esempio particolare (v. fig. 7). Vi sono approssimativamente 4 milioni di moduli nella neocorteccia dell'uomo e quindi vi sono immense possibilità di sviluppare schemi spazio-temporali anche ammettendo semplicisticamente che ciascun modulo funzioni come una unità ricevente ed emittente. Tuttavia, vi è certamente una graduazione delle risposte delle cellule piramidali in un modulo, come è dimostrato dall'ampia gamma delle loro frequenze di scarica osservata da molti ricercatori. Le caratteristiche speciali di un modulo corticale sono in primo luogo lo schema delle connessioni interne dei neuroni che lo costituiscono; in secondo luogo l'inibizione laterale che è prodotta da alcuni dei neuroni inibitori del modulo, e ne rende più precisi i limiti (v. Szentàgothai, 1978); in terzo luogo la graduazione dei segnali in uscita che è basata sia sul numero delle cellule piramidali indotte a scaricare impulsi, sia sulla frequenza di questi impulsi. L'ipotesi più semplice è che un modulo agisca come una unità fondamentale nella prestazione funzionale della neocorteccia e che il frazionamento del modulo non abbia significato a causa della completa sovrapposizione delle proiezioni delle cellule piramidali che lo costituiscono (v. fig. 6). Ciascun modulo agisce come una unità elaborando le afferenze convergenti dagli altri moduli, e, a sua volta, proietta in maniera divergente a molti altri moduli. Esso rappresenta pertanto i principi sherringtoniani della convergenza e della divergenza.
È stato anche proposto di prendere in considerazione delle subunità dei moduli fondamentali illustrati nella fig. 6. Per esempio, Mountcastle (v., 1978) postula un'unità molto più piccola, una minicolonna di circa 30 μm di diametro e Szentàgothai (v., 1978) avanza l'ipotesi di un estremo raffinamento dell'attività di un modulo per interazione fra i suoi interneuroni interni eccitatori e inibitori tale da conferire un alto grado di individualità dei segnali in uscita, perfino a livello della singola cellula piramidale. Io preferisco considerare l'intero modulo come una unità di elaborazione con molte uscite in parallelo, in modo che vi sia una efficace eccitazione sinaptica dei moduli ai quali esso proietta (v. fig. 6).
Si potrebbe obiettare che il modulo è un'unità troppo grossolana perché possa trattare e immagazzinare l'immensa quantità di informazioni necessarie per il funzionamento del cervello umano nel corso della vita. Questa obiezione rende attraente l'ipotesi delle minicolonne. Vi sono tuttavia due contro-obiezioni.
In primo luogo, a causa della completa sovrapposizione nella distribuzione delle afferenze associative e callosali in un modulo, vi è una mescolanza delle informazioni che convergono su di esso da momento a momento. È difficile immaginare come una frazione del modulo, quale la mini- colonna di Mountcastle, possa avere una qualsiasi azione selettiva. Sembra più probabile che la macchina neuronica dell'intero modulo elabori queste informazioni dando quindi origine a scariche di impulsi da parte della cellule piramidali. L'intensità dell'eccitamento istante per istante costituisce un segnale che è dato dall'integrale delle scariche di impulsi, vale a dire dal numero delle cellule piramidali moltiplicato per la loro frequenza media di scarica. Questo occasionale segnale in uscita è distribuito ai moduli successivi nella sequenza secondo la modalità divergente indicata nella fig. 6. Molti di questi moduli riceventi divengono ovviamente fuochi di convergenza di scariche emesse da parecchi altri moduli attivati nella stessa occasione, e quindi ciascuno raggiunge momentaneamente un'intensità di eccitamento variabile entro una vasta gamma di valori, che si riflette in una corrispondente scarica efferente e così via in successione.
In secondo luogo è evidente che i moduli possono generare un altissimo numero di schemi corrispondenti alle diverse prestazioni, pur funzionando globalmente, senza essere divisi in minicolonne. Secondo una stima approssimata per difetto vi potrebbero essere nella neocorteccia umana quattro milioni di moduli che generano gli schemi spazio-temporali che codificano tutte le prestazioni cognitive del cervello umano - tutte le sensazioni, tutti i ricordi, tutte le espressioni linguistiche, tutta la creatività, ecc. Possiamo chiederci: bastano quattro milioni di moduli per questo enorme compito? La sola risposta che posso dare è un paragone con le immense potenzialità degli 88 tasti di un pianoforte. Si pensi alle creazioni di grandi compositori come Mozart, Beethoven e Chopin: nel creare musica per pianoforte, i cui 88 tasti corrispondono ciascuno a una nota di altezza e qualità tonale invarianti, essi potevano utilizzare solo quattro parametri. Analogamente, quattro parametri sono utilizzati nel creare gli schemi di attività spazio-temporali nei quattro milioni di moduli della neocorteccia umana. Prenderò in considerazione questi quattro parametri uno per uno, indicandone le caratteristiche corrispondenti.
Il primo parametro è l'intensità; in musica corrisponde all'intensità sonora della nota, mentre nel modulo corrisponde all'integrale della scarica di impulsi lungo le vie in uscita dal modulo, come è stato descritto sopra. Mentre le note del piano si differenziano per l'altezza del suono, i moduli, che nell'analogia proposta sono i corrispettivi delle note, hanno ciascuno le proprie connessioni che determinano proprietà codificate relative sia alla modalità della percezione corrispondente, per esempio luce, colore o suono, sia a tutte le qualità percettive. Il secondo parametro è la durata della nota o della scarica di impulsi del modulo. Il terzo parametro è la sequenza delle note che costituiscono la melodia nella musica per piano; questa sequenza corrisponde allo schema temporale delle attività modulari nella neo-corteccia. Si può immaginare che questo schema modulare si realizzi tramite una trasmissione sequenziale da moduli ad altri moduli ad altri moduli ancora (v. fig. 7). Il quarto parametro è l'emissione simultanea di più note, un accordo, ovvero l'attivazione di più moduli nel cervello. In un accordo il massimo numero di note è dieci, mentre i moduli attivati simultaneamente possono essere migliaia. Penso che tutti riconosceranno che l'enorme numero di combinazioni musicali generate dagli 88 tasti del piano suggerisce una capacità virtualmente infinità da parte dei quattro milioni di moduli di produrre schemi spazio-temporali. Nella fig. 2 i moduli compaiono come 40 bande verticali. Se questo numero fosse aumentato di 50.000 volte, esso corrisponderebbe approssimativamente al numero di moduli potenzialmente capaci di contribuire alle esperienze coscienti. Tuttavia si tenga presente che, come avviene con i tasti del pianoforte, le esperienze dipendono dalla combinazione dei quattro parametri elencati sopra.
Possiamo immaginare di illuminare i moduli per rappresentarne simbolicamente le intensità di attivazione. Usando questa analogia per le cellule nervose, Sherrington (v., 1940) ha fornito una suggestiva rappresentazione degli schemi del cervello attivo. Così, se potessimo vedere illuminati i moduli sulla superficie della neocorteccia (v. fig. 8), osserveremmo una struttura luminosa di 50 cm per 50 cm composta in ogni istante da moduli larghi 1/4 di mm, di tutti i gradi di intensità luminosa. Questa struttura cambierebbe istante per istante fornendo configurazioni luminose sempre diverse a seconda dell'illuminazione dei 4 milioni di moduli. Si pensi per analogia a uno schermo televisivo, sul quale l'immagine è composta da unità il cui numero massimo è un milione. Questo modo di rappresentare i moduli mediante uno schema luminoso dà una certa idea del compito di immensa difficoltà che si presenta alla mente nel derivare esperienze coscienti dai moduli neocorticali. Si può pensare che i moduli scuri o poco illuminati siano usualmente ignorati e che l'attenzione venga attirata dai moduli brillanti, o meglio dagli schemi di moduli brillanti.
6. Il collegamento fra il cervello e la mente.
Finora la descrizione del funzionamento dei moduli è rimasta sul piano puramente materialistico. Potrebbe spiegare, per esempio, le operazioni della macchina neuronica che trasformano le afferenze sensoriali in qualche forma di risposta motoria passando attraverso complicatiss'imi schemi spazio-temporali di moduli. Ma se seguiamo l'ipotesi dualistico-interazionistica dobbiamo porci la domanda: quale attività della macchina neuronica può essere ‛decifrata' dalla mente autocosciente? Possiamo dire anzitutto che non è concepibile che la mente autocosciente sia collegata a singole cellule o a singole fibre nervose. Individualmente queste unità neuroniche sono troppo inattendibili e inefficienti. In base a ciò che sappiamo oggi sul modo di funzionare della macchina neuronica, dobbiamo porre l'accento sugli insiemi di neuroni (centinaia o migliaia) che cooperano nell'ambito di una qualche configurazione. Solo questi raggruppamenti possono essere attendibili ed efficaci. I moduli della neocorteccia sono appunto insiemi di neuroni. Entro certi limiti il modulo, con i suoi circa 2.500 neuroni di diversi tipi e con la sua organizzazione funzionale di eccitamento e inibizione a feedback e feedforward (v. Szentàgothai, 1978) ha una vita indipendente. Per ora sappiamo poco sulla dinamica interna di un modulo, ma possiamo congetturare che esso, con la sua organizzazione complessa e la sua intensa attività, sia un componente del mondo fisico (1° mondo) in contatto sia emittente sia ricevente con la mente autocosciente (2° mondo). Nella fig. 2 i moduli sono indicati come bande verticali estese a tutto lo spessore della corteccia cerebrale. Si può inoltre supporre che non tutti i moduli della corteccia cerebrale godano della proprietà straordinaria di essere in contatto con il 2° mondo, tipica dei componenti del 1° mondo all'interfaccia con il 2° mondo. Per definizione i moduli con questa proprietà sono solamente quelli che costituiscono il cervello di collegamento e soltanto quando raggiungono il giusto livello di attività.
La fig. 8 presenta una illustrazione diagrammatica delle relazioni ipotetiche fra moduli ‛aperti' e moduli ‛chiusi' alla coscienza, viste da un osservatore che guardi dall'alto la superficie della corteccia. Per semplificare il diagramma, le colonne sono rappresentate come dischi separati e non strettamente contigui, come sono in realtà (v. Szentàgothai, 1978). Inoltre si deve tener presente che la situazione normale, intensamente dinamica, è ‛congelata' nel tempo. Per convenzione i moduli aperti sono rappresentati come cerchi bianchi e i moduli chiusi come cerchi neri; supponiamo inoltre che vi siano anche moduli parzialmente aperti. Si può fare l'ipotesi che la mente autocosciente sondi questo insieme di moduli, riuscendo a ricevere e a trasmettere solo da e a quei moduli che sono parzialmente o totalmente aperti. La complessità della situazione reale può essere afferrata se si calcola che il complesso dei moduli della neocorteccia dovrebbe essere rappresentato da una figura di dimensioni 200 volte maggiori in ogni direzione di quelle della fig. 8.
L'ipotesi più semplice sull'interazione mente-cervello è che la mente autocosciente possa esplorare l'attività di ciascun modulo del cervello di collegamento, o per lo meno di quei moduli che attirano la sua attenzione momentanea. È già stata avanzata l'ipotesi secondo cui la mente autocosciente ha la funzione di integrare le informazioni che essa stessa seleziona a partire dall'immensa quantità di dati strutturati che riceve dal cervello di collegamento - le attività modulari, secondo l'ipotesi qui presentata - per costruire le sue esperienze istante per istante. I moduli così selezionati costituiscono momentaneamente quella parte del 1° mondo che forma l'interfaccia con il 2° mondo, come mostra schematicamente la fig. 2. L'interfaccia è pertanto una regione che cambia continuamente entro l'ampia area del cervello di collegamento.
Le prove sperimentali indicano che si deve raggiungere un funzionamento modulare organizzato di grande complessità prima che vi sia una esperienza cosciente. Per esempio, una debole stimolazione elettrica ripetuta della corteccia somatoestesica dà origine a una percezione cosciente tattile, con un ritardo che può raggiungere il mezzo secondo (v. Libet, 1973). Come è stato descritto ampiamente altrove (v. Eccles, 1980, Lecture IV), Desmedt e Robertson (v., 1977) hanno dimostrato che la percezione di una debole stimolazione elettrica di un dito su cui si concentri l'attenzione, è associata a potenziali negativi e positivi ritardati fino a 0,5 s, diffusi ampiamente in entrambi gli emisferi, mentre questi potenziali ritardati non si riscontrano nel caso che manchi una specifica concentrazione. Per converso la volontà di compiere un movimento è associata a un potenziale ad ampia diffusione (il potenziale di preparazione) che si estrinseca nell'arco di 0,8 s prima che abbia luogo un semplice movimento ed è presumibilmente generato da strutture di funzionamento modulare di immensa complessità (v. Kornhuber, 1974; v. Popper e Eccles, 1977, cap. E3; v. Eccles, 1980).
Risulta che nei Primati l'organizzazione delle proiezioni da un modulo agli altri moduli si stabilisce al più tardi entro pochi giorni dalla nascita (v. Goldman e Nauta, 1977). Se tutte le connessioni fra i moduli sono pertanto già formate prima che vengano usate, la spiegazione del mutamento di prestazioni della neocorteccia, che forma la base nervosa dell'apprendimento, può presentare delle difficoltà. Si farà perciò riferimento a un'ipotesi riguardante l'apprendimento (v. Eccles, 1979), secondo cui nel corso dell'apprendimento si determina un'ipertrofia delle sinapsi formate dalle fibre orizzontali sui dendriti apicali delle cellule piramidali nelle lamine più superficiali della corteccia cerebrale (lamine I e II). Si postula che l'ipertrofia di queste sinapsi in una configurazione specifica sia causata dalla selezione per congiunzione dovuta al simultaneo arrivo di un'afferenza specifica dell'ippocampo da un lato e di un'afferenza cortico-corticale dall'altro lato. In questo modo un certo numero di moduli adiacenti potrebbero venir uniti insieme più efficacemente e quindi vi potrebbe essere una modificazione nell'evoluzione dell'organizzazione modulare che potrebbe fornire la base della prestazione appresa dalla macchina neuronica. Nelle osservazioni con traccianti radioattivi di Goldman e Nauta (v., 1977) i moduli marcati mostrano sempre un aumento di radioattività nelle lamine I e II che potrebbe essere una prova ditale ipertrofia sinaptica. Sarebbe molto interessante se l'intensa radioattività osservata da Goldman e Nauta nelle lamine I e II si estendesse a chiazze a partire dal modulo marcato.
Dobbiamo considerare le modalità di interazione modulare tramite le cellule piramidali di moduli diversi. Ciascun modulo proietta a molti altri moduli e questi a loro volta proiettano a molti altri ancora. Queste interazioni danno quindi luogo a configurazioni lunghe e complesse. Io penso che la mente autocosciente agisca modificando leggermente alcuni di questi moduli, presumibilmente centinaia, e che i moduli reagiscano collettivamente a queste modificazioni che vengono trasmesse dai circuiti delle fibre di associazione e delle fibre callosali. Inoltre la mente auto- cosciente ‛decifra' o percepisce continuamente le risposte che essa stessa provoca in questo modo. Un assunto fondamentale dell'ipotesi è che le relazioni fra i moduli e la mente autocosciente siano reciproche, poiché la mente autocosciente è sia attivante che ricevente, come indicano le frecce che attraversano nelle due direzioni la frontiera della fig. 2. Questa reciprocità di azione è in accordo con l'asserzione di Einstein: ‟E contrario al modo di pensare scientifico pensare che una cosa [...] possa agire ma non essere oggetto di azioni esterne".
Sviluppando ulteriormente l'ipotesi che alcuni moduli siano esposti all'azione del 2° mondo (la mente autocosciente) si può supporre che la mente autocosciente non si limiti a esaminare superficialmente il modulo, come si potrebbe immaginare se essa rilevasse semplicemente i campi di micropotenziali nell'area (v. Pribram, 1971), ma lo ‛sondi' in profondità, leggendo e influenzando le configurazioni dinamiche della prestazione neuronica. Si può supporre che tale sondaggio venga effettuato istante per istante su tutto l'insieme di moduli sparsi che elaborano informazioni che abbiano interesse immediato (attenzione) per la mente autocosciene rispetto alla sua prestazione integrativa.
Quando consideriamo l'intera e dettagliata struttura dei moduli, moltiplicando per 200 le dimensioni della minuscola area corticale rappresentata nella fig. 8, è difficile comprendere come la mente autocosciente possa collegarsi con una struttura spazio-temporale di così grande complessità. Questa difficoltà è attenuata da tre considerazioni. In primo luogo si deve pensare che la nostra mente autocosciente ha imparato a svolgere i suoi compiti fin dall'infanzia, in quel processo che si chiama colloquialmente ‛imparare a usare il proprio cervello'. In secondo luogo, attraverso la concentrazione dell'attenzione, la mente autocosciente seleziona dall'insieme totale di configurazioni modulari quegli aspetti che si accordano ai suoi interessi del momento. In terzo luogo la mente autocosciente è impegnata a estrarre ‛significati' da tutto ciò che legge. Ciò è ben illustrato dalla sua interpretazione di figure ambigue e impossibili, come i cubi di Necker.
Vi sono alcune analogie fra l'ipotesi modulare qui descritta e il suggerimento di Mountcastle (v., 1978) secondo cui i moduli uniti insieme in blocchi disposti in parallelo e in serie compongono dei ‛sistemi distribuiti'. Questi sistemi collegano l'attività nervosa generata internamente con la funzione entrata-uscita del sistema nervoso. Mountcastle propone che essi ‟forniscano un meccanismo oggettivo di consapevolezza" del tutto analogo a quello ipotizzato dalla teoria dell'identità psiconervosa. Similmente Szentàgothai (v., 1978) conclude che ‟le configurazioni dinamiche ‛potrebbero' fornire una spiegazione scientifica delle funzioni superiori del cervello, inclusa la stessa coscienza". Anche Edelman (v., 1978) suggerisce una simile spiegazione della coscienza in base all'identità psiconervosa. Questi recenti tentativi di formulare una soluzione del problema del rapporto mente-cervello in accordo con la chiusura del 1° mondo non sono altro che versioni, espresse in maniera vaga, del materialismo promissQrio criticato da Popper ed Eccles (v., 1977). Questi tentativi possono essere sottoposti alle stesse obiezioni che sono state sollevate più sopra contro forme meno sofisticate della teoria dell'identità psiconervosa. Tutte queste teorie falliscono di fronte al compito impossibile di derivare un mondo mentale da un mondo materiale di circuiti neuronici. Al contrario, il dualismo-interazionismo postula l'esistenza sia di un mondo mentale sia di un mondo materiale e concerne principalmente la loro interazione. Recentemente Granit (v., 1977) e Thorpe (v., 1978) hanno fornito contributi molto interessanti e importanti circa il ruolo dell'intenzionalità nel comportamento degli animali superiori. Non sembrano esservi dubbi sul fatto che i Vertebrati superiori, gli Uccelli e i Mammiferi, mostrino comportamenti effettivamente basati sull'intenzionalità e sull'intuizione e ciò fa pensare che abbiano esperienze coscienti. Ma è presumibile che questa coscienza differisca grandemente dall'autocoscienza umana, come hanno sostenuto Popper ed Eccles (v., 1977, Dialogo II).
7. Unità della coscienza e commessurotomia.
Secondo un'esperienza universale esiste un'unità mentale che si percepisce soggettivamente come una continuità attraverso il tempo. È la base del concetto del sé. Weiss (v., 1969) esprime bene questo concetto parlando della ‟[...] unità che è la mia più grande esperienza: l'esperienza che anche se so che io cambio continuamente - tutte le molecole cambiano, ogni cosa in me viene sostanzialmente modificata - v'è nondimeno la mia identità, la mia coscienza di essere essenzialmente lo stesso di 20 anni fa. Per quanto io possa essere cambiato, la continuità della mia identità è rimasta inalterata".
È un fatto, tuttavia, che abbiamo due emisferi cerebrali, sulle cui funzioni specifiche e differenziali si è sviluppato un dibattito di immensa portata (v. emisferi cerebrali). Storicamente la disputa si può far risalire all'individuazione dei centri del linguaggio nell'emisfero cerebrale sinistro (v. fig. 3) da parte di Broca e Wernicke, sulla base della localizzazione anatomica delle lesioni producenti afasia. Successivamente è stata pubblicata un'enorme quantità di dati riguardanti gli effetti di lesioni cliniche sulle funzioni cerebrali, non soltanto in relazione al linguaggio, ma anche in relazione, per esempio, alle aprassie prodotte dalle lesioni del lobo parietale destro. Purtroppo le lesioni cliniche di solito non sono ben circoscritte e quindi non forniscono indicazioni precise per la localizzazione della funzione disturbata. Un progresso notevole fu realizzato da Gordon Holmes che studiò sistematicamente le ferite da proiettile nel corso della prima guerra mondiale per definire la localizzazione topografica della rappresentazione del campo visivo nel lobo occipitale.
Informazioni assai importanti sulle funzioni dei vari lobi dei due emisferi (v. fig. 3) sono state ottenute dalla Milner e da altri studiando il comportamento di pazienti sottoposti a lesioni circoscritte per scopi terapeutici (v. Popper e Eccles, 1977, cap. E6). Tuttavia le prove di gran lunga più importanti per la questione dell'unità della coscienza provengono dagli studi effettuati da Sperry e collaboratori su pazienti cui era stato sezionato il grande fascio di fibre nervose, circa 200 milioni, che unisce i due emisferi cerebrali (v. fig. 9). Si deve considerare che in questo caso le connessioni dei due emisferi con le regioni inferiori del cervello rimangono intatte. Si deve inoltre considerare che i due emisferi lavorano congiuntamente in tutte le attività cerebrali del soggetto prima dell'operazione e che ciascun emisfero mantiene il ricordo dei numerosi anni di collaborazione con l'altro emisfero.
È una fortuna che la sezione del corpo calloso e l'abolizione dell'immenso numero di connessioni formate dai 200 milioni di fibre produca nei pazienti deficit apparentemente così modesti che nulla di significativo fu scoperto prima che Sperry applicasse i suoi metodi d'esame altamente differenziali. Le prestazioni generali del corpo nella locomozione, nel mantenere la postura eretta, nel tuffarsi e nel nuotare, nel sonno e nella veglia restano coordinate, poiché le connessioni crociate ai livelli sottocorticali dell'encefalo non sono alterate dalla commessurotomia. Nel cap. E5 del libro di Popper e Eccles (v., 1977) si trova una descrizione abbastanza esauriente di tutte le prove differenziali atte a verificare le prestazioni emisferiche dopo la commessurotomia. Possiamo dire sommariamente che l'emisfero sinistro (parlante) mantiene capacità linguistiche poco alterate, conserva una buona memoria del passato, unita a un buon livello intellettivo e a una vita emotiva non molto disturbata. Tuttavia esso è carente in tutti i compiti spaziali e costruttivi. Al contrario l'emisfero destro possiede capacità linguistiche assai limitate mentre dispone di un considerevole vocabolario uditivo, poiché può comprendere ordini e collegare parole udite o lette alle immagini corrispondenti. Un altro dato sorprendente è che l'emisfero destro risponde ai verbi altrettanto appropriatamente che ai nomi che indicano azioni. Nonostante tutte queste manifestazioni di comprensione del linguaggio, l'emisfero destro è praticamente incapace di esprimersi sia oralmente sia per scritto. Tuttavia, in contrasto con l'emisfero sinistro, esso è molto efficiente in tutti i compiti spaziali e costruttivi e dimostra anche una grande abilità nel riconoscere stimoli globali.
Quando si sono messi a punto metodi di indagine più sofisticati, che hanno permesso di effettuare analisi protratte anche per due ore consecutive, è apparso chiaro che l'emisfero destro è in grado di fornire risposte coscienti a un livello superiore di quello di qualsiasi primate non umano. Ci si renderà conto che non esiste una prova indubbia dell'esistenza della coscienza, tuttavia si concorda generalmente sul fatto che gli animali superiori, gli Uccelli e i Mammiferi, mostrano un comportamento cosciente quando agiscono intelligentemente ed emotivamente e sono capaci di apprendere reazioni appropriate. Se si accettano questi criteri non si può mettere in dubbio che l'emisfero destro abbia una coscienza. La domanda difficile è se l'emisfero destro sia autocosciente, cioè se conosca se stesso. Secondo quanto affermano Sperry e altri (v., 1979), ‟L'autocoscienza sembra essere, sulla base delle prove attuali, ottenute principalmente negli esperimenti di autoriconoscimento allo specchio, un attributo quasi esclusivamente umano. Sembra assente negli animali inferiori ai Primati, e fra questi ultimi è presente in maniera limitata nelle scimmie antropomorfe. Nel bambino l'autocoscienza fa la sua comparsa relativamente tardi nel corso dello sviluppo, manifestandosi per la prima volta intorno ai 18 mesi di età. Pertanto l'autocoscienza può essere considerata come uno stadio relativamente avanzato, sia ontogeneticamente sia filogeneticamente, della consapevolezza
Sperry e altri (v., 1979), descrivono le ricerche da loro effettuate su due pazienti commessurotomizzati, per studiare determinati aspetti dell'autocoscienza e della consapevolezza sociale in genere dell'emisfero destro. Una grande varietà di fotografie di persone, di oggetti familiari e di scene, in diversi raggruppamenti, veniva presentata al campo visivo sinistro del paziente e quindi esclusivamente all'emisfero destro (v. fig. 9). Il soggetto riusciva sempre a identificare la fotografia familiare fra le altre fotografie, ma trovava difficoltà a specificare che cosa rappresentasse, e gli sperimentatori dovevano adottare un sistema di suggerimento fornendo varie informazioni prima che l'identificazione da parte dell'emisfero destro potesse essere espressa a parole, presumibilmente dall'emisfero sinistro. La loro conclusione a favore di una approssimativa uguaglianza dei due emisferi nella capacità di identificazione può essere criticata, perché basata su una interpretazione che sopravvaluta abbondantemente le risposte del soggetto, come risulta dai protocolli sperimentali. Nondimeno vi sono prove considerevoli in favore di una limitata autocoscienza dell'emisfero destro.
Questi test per verificare l'esistenza della mente e dell'autocoscienza stanno su un piano percettivo ed emozionale relativamente semplice. Possiamo ancora dubitare che l'emisfero destro abbia un'esistenza completamente autocosciente. Per esempio, è capace di fare piani e di preoccuparsi per il futuro, di prendere decisioni e di esprimere giudizi in base a un sistema di valori? Queste sono qualifiche essenziali della persona umana, secondo quanto si intende generalmente (v. Strawson, 1959; v. Popper e Eccles, 1977, sezioni 31 e 33). Consideriamo ora il rapporto fra questi dati e l'unità dell'esperienza consapevole di sé.
Come ha sottolineato De Witt (v., 1975) le ricerche di Sperry e collaboratori sugli effetti della commessurotomia hanno posto problemi molto importanti, per i quali sono state offerte molteplici interpretazioni. Sperry (v., 1976), Bogen (v., 1969) e Gazzaniga (v., 1971) propongono che vi siano due menti autocoscienti, cioè che la commessurotomia divida in due la mente, anche la mente auto-cosciente, nonostante normalmente vi sia una sola persona. Bogen (v., 1969) asserisce: ‟Una delle caratteristiche più 0vvie e fondamentali del cervello è quella di essere doppio. Vari tipi di prove, derivate specialmente dalle emisferectomie, hanno chiaramente indicato che un emisfero è sufficiente a far sussistere la personalità o la mente. Possiamo quindi concludere che l'individuo con due emisferi intatti ha la capacità di avere due menti distinte [...] ciascuno di noi ha due menti in una persona".
In alternativa a questo punto di vista MacKay (v., 1978) ed Eccles (v., 1979) sostengono l'idea che con la commessurotomia si separi una mente cosciente che è associata all'emisfero destro, mentre l'emisfero sinistro mantiene una mente autocosciente pressoché intatta cui è associata l'essenza della persona.
8. La persona.
Consideriamo ora brevemente il modo in cui un embrione e poi un bambino diventano una persona. È una storia che tutti noi abbiamo vissuto, ma che abbiamo per molti aspetti dimenticato. Il bambino nasce con un cervello completamente formato in tutti i dettagli della sua struttura, ma che deve ancora ovviamente crescere fino a raggiungere il peso di circa 1,4 kg, tipico dell'età adulta. Le cellule nervose, le unità che compongono il cervello, sono già quasi tutte presenti. Tutte le più importanti connessioni con la periferia e fra una parte e l'altra dell'encefalo sono già pronte per l'uso.
Imparare a parlare grazie a una esposizione anche minima a stimoli verbali è parte della nostra eredità biologica. Questa capacità ha una base genetica, ma non si può parlare di geni del linguaggio. D'altra parte i geni forniscono le istruzioni per la costituzione delle aree speciali della corteccia cerebrale responsabili del linguaggio (v. fig. 3), nonché di tutte le strutture sussidiarie implicate nella vocalizzazione.
La filosofia del 3° mondo di Popper costituisce la base per esplorare ulteriormente il modo in cui un bambino diviene una persona. Tutto il mondo materiale, che comprende anche i cervelli umani, fa parte del 1° mondo della materia-energia. Il 2° mondo è il mondo di tutte le esperienze coscienti (v. fig. 2) e il 3° mondo è il mondo della cultura che include specificamente il linguaggio. Alla nascita il bambino possiede un cervello umano ma le sue esperienze del 2° mondo sono molto rudimentali e il 3° mondo gli è sconosciuto. Il bambino e anche l'embrione umano devono essere considerati esseri umani, ma non persone.
La nascita e lo sviluppo dell'autocoscienza (2° mondo), in seguito alla continua interazione con il 3° mondo, è un processo assolutamente misterioso, che può essere assimilato a una doppia struttura (v. fig. 10) che sale e cresce grazie a un efficace sistema di connessioni incrociate. La freccia verticale indica il trascorrere del tempo dalle prime esperienze del bambino fino al pieno sviluppo dell'adulto. Da ciascuna posizione nel 2° mondo una freccia porta, attraverso il livello corrispondente del 3° mondo, a un livello più alto e più ampio che rappresenta simbolicamente una crescita culturale dell'individuo. Reciprocamente le risorse culturali dell'io (3° mondo) influiscono retroattivamente sul 2° mondo elevando la coscienza dell'io stesso a un livello superiore e più ampio (2° mondo). E così ciascuno di noi si è sviluppato progressivamente in un processo di autocreazione. Quanto maggiori sono le risorse culturali dell'individuo, tanto più aumenta la sua autocoscienza. Ciò che noi siamo dipende dal tipo di 3° mondo in cui siamo stati immersi e da quanto efficacemente abbiamo utilizzato le opportunità di sviluppare le potenzialità del nostro cervello. Il cervello è necessario ma non sufficiente per l'esistenza e l'esperienza del 20 mondo, come è indicato nella fig. 2, che è un diagramma dualistico-interazionistico in cui le frecce indicano il flusso di informazioni attraverso l'interfaccia fra il cervello, che appartiene al 1° mondo, e l'io cosciente, che fa parte del 2° mondo.
Vi è un caso recente che illustra tragicamente l'idea rappresentata nella fig. 10. Una bambina, Genie, fu privata di tutte le influenze del 3° mondo dal padre psicotico: fu confinata in isolamento in una stanzetta, non udì una parola e ricevette un minimo di assistenza dall'età di 20 mesi fino a 13 anni e 8 mesi. Alla fine di questo periodo di terribili privazioni ella era ovviamente un essere umano, ma non una persona: occupava lo scalino più basso della scala rappresentata nella fig. 10. Da allora sono ormai passati otto anni, e grazie all'aiuto sollecito della dott.ssa Curtiss (v., 1977) Genie ha risalito lentamente la scala dell'evoluzione della personalità. La privazione linguistica ha seriamente danneggiato il suo emisfero sinistro, ma l'emisfero destro coopera a una sia pur ridotta prestazione linguistica. Nonostante l'enorme ritardo con cui ha avuto accesso al 3° mondo, Genie è diventata una persona dotata di autocoscienza, di emozioni e di eccellenti capacità manuali e di riconoscimento visivo. Possiamo così valutare quanto sia necessario il 3° mondo per lo sviluppo della persona. Il cervello si costituisce in base a istruzioni genetiche (la natura), ma lo sviluppo della persona dipende dall'ambiente del 3° mondo (l'educazione). Per Genie v'è stato un intervallo di oltre 13 anni fra natura ed educazione.
È utile concepire il cervello come uno strumento, il nostro strumento, che ci serve e ci accompagna per tutta la vita. Esso ci procura, in quanto persone coscienti, le linee di comunicazione da e per il mondo materiale (1° mondo), che comprende sia i nostri corpi sia il mondo esterno, ricevendo le informazioni provenienti dall'immenso sistema sensorio costituito da milioni di fibre nervose. Queste scaricano impulsi nel cervello che elabora le informazioni in configurazioni codificate che noi decifriamo istante per istante derivandone tutte le nostre esperienze - percezioni, pensieri, idee, ricordi.
9. Conclusioni.
Riassumiano brevemente l'ipotesi avanzata. La mente autocosciente è impegnata attivamente a decifrare le informazioni provenienti dai numerosi moduli di collegamento che si trovano per lo più nell'emisfero cerebrale dominante. La mente autocosciente seleziona i moduli secondo l'attenzione e l'interesse, e integra istante per istante i dati prescelti in maniera tale da conferire unità anche alle esperienze più transitorie. Inoltre la mente autocosciente agisce sui moduli modificandone le configurazioni dinamiche spazio-temporali. Pertanto, secondo la nostra ipotesi, la mente autocosciente esercita una funzione superiore di interpretazione e di controllo. Una componente chiave dell'ipotesi è che l'unità dell'esperienza cosciente sia fornita dalla mente autocosciente e non dai meccanismi nervosi delle aree di collegamento dell'emisfero cerebrale. Finora non è stato possibile sviluppare una teoria neurofisiologica che spieghi come eventi cerebrali diversi vengano sintetizzati in modo che vi sia un'esperienza cosciente unitaria a carattere globale o gestaltico. Gli eventi cerebrali restano disparati, poiché consistono essenzialmente nelle singole azioni di innumerevoli neuroni i quali, a loro volta, sono riuniti in moduli e pertanto partecipano agli schemi spazio-temporali di attività.
La rigorosa concezione dualistico-interazionistica sviluppata in questo articolo mi ha portato ad avanzare congetture sui concetti più progrediti attualmente disponibili concernenti la struttura e il funzionamento della neocorteccia. Ho cercato di descriverli il più semplicemente possibile. Come possiamo tuttavia aspettarci di trovare una facile soluzione all'enorme problema che ci sta dinanzi, il problema del rapporto cervello-mente? Non mi vanto di aver offerto una soluzione, ma penso di aver indicato lo schema generale entro cui questa soluzione possa essere cercata. In qualche maniera misteriosa il cervello umano si è evoluto assumendo proprietà di ordine del tutto diverso rispetto a qualsiasi altro oggetto naturale.
Al vertice delle proprietà trascendenti del cervello umano io porrei inizialmente l'interazione con un altro mondo non materiale (il 2° mondo). La comparsa dell'autocoscienza è un mistero che concerne ogni persona con il suo io cosciente e unico. Il fatto che nella neocorteccia non siano state identificate proprietà strutturali o fisiologiche che distinguano chiaramente un cervello umano dal cervello di una scimmia antropomorfa è una misura della nostra ignoranza. L'enorme differenza di prestazioni difficilmente può essere attribuita al semplice fatto che il cervello umano possiede un numero di moduli triplo rispetto a quello della scimmia. Nutriamo la speranza che stia per cominciare una nuova era scientifica, nella quale la struttura e il funzionamento della neocorteccia umana saranno studiati intensamente con le tecniche più progredite, illuminate da una superba immaginazione creativa.
I nostri antenati con la loro immaginazione creativa hanno costruito il mondo della cultura e della civiltà (3° mondo) che ha rivestito un ruolo fondamentale nell'arricchire la formazione di ciascuno di noi come persone portatrici di cultura e di valori. La comparsa dell'io unico individuale sfugge all'analisi scientifica, come ho sostenuto altrove. La mia tesi è che dobbiamo riconoscere che l'io unico è il risultato di una creazione soprannaturale di ciò che in senso religioso si chiama anima.
Spero di aver gettato un po' di luce sul problema grande e misterioso del cervello umano e della persona. Ciascuna persona deve essere considerata primariamente un essere unico autocosciente che interagisce con il suo ambiente - specialmente con altre persone - per mezzo della macchina neuronica del cervello. Ho sviluppato il punto di vista dualistico-interazionistico su questo rapporto mente-cervello, perché, come Popper e io abbiamo sostenuto, tutte le spiegazioni monistico-materialistiche sono semplificazioni erronee. Certamente le soluzioni del problema non saranno nè semplici nè di carattere dottrinario.
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