mento
La parola ricorre solo nella Commedia, spesso per indicare altre parti del corpo umano, segnate dal m. come punto limite: If X 53 surse... / un'ombra... infino al mento, " con tutto il capo "; XX 12 tra 'l mento e 'l principio del casso (la sommità del petto), per indicare la gola; XXV 45 mi puosi 'l dito su dal mento al naso, cioè " sulle labbra "; XXVIII 24 dal mento infin dove si trulla, per significare il busto dal collo alle gambe; Alì è fesso nel volto dal mento al ciuffetto (v. 33), ossia nella faccia in tutta la sua lunghezza.
In If XXX 57 l'un [labbro] verso 'l mento e l'altro in sù rinverte, indica direzione, " in giù ". In altri due esempi della prima cantica (IX 99 ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo; XXXIV 53 Con sei occhi piangëa, e per tre menti / gocciava 'l pianto) il m. sta come tratto fisico umano trasferito a creature mostruose per l'incrocio tra il bestiale e l'umano: Cerbero, il gran vermo, e Lucifero, il vermo reo dalle tre facce.
Nei due esempi del Purgatorio, isolando realisticamente un particolare, m. è parte per il tutto: XIII 102 lo mento a guisa d'orbo in sù levava; XXXI 73 levai al suo comando il mento.
In Detto 195 la bocca e 'l naso e 'l mento, / ha più belli, il m. è dato come parte importante del volto femminile.