TOLOMEI, Meo
TOLOMEI (dei Tolomei), Meo. – Nacque a Siena da un Simone, detto Sorella, della potente famiglia dei Tolomei. Non si conosce con esattezza la data di nascita ma, sulla base dei documenti, è possibile avanzare un’ipotesi: risalendo difatti la prima attestazione di Meo nell’Archivio di Stato di Siena al 1279 – anno in cui il padre era già morto – Mario Marti (1956) sostiene che «fosse nato quindici o venti anni innanzi, tra il 1260 e il 1265» (p. 255). Fu fratello di un Mino, detto lo Zeppa, nominato in una serie di componimenti poetici comici, nonché personaggio di rilievo politico ben attestato nei documenti d’archivio.
Marti è stato il primo studioso a tentare di ricostruire in maniera completa la biografia di Meo dei Tolomei, comparando le informazioni sul fratello Mino, fornite dal Codice diplomatico dantesco curato da Guido Biagi e da Giuseppe Passerini (1895, pp. 2-5; cfr. anche Opere di dubbia attribuzione..., Roma 2016, pp. XXX-XXXV), alle ricerche condotte nell’Archivio senese: le sue conclusioni sono poi state confermate dai riscontri puntuali di Anna Bruni Bettarini (1974, pp. 40 s.). Sulla base di questi ragguagli, la più antica notizia su Meo dei Tolomei risale, come si è detto, al 19 gennaio 1279, quando, nell’Indice delle Riformagioni di Siena, è citato, assieme al fratello Mino, nella pratica di affitto di una piazza presso Fontebranda, nel terzo di Camollia (Codice diplomatico dantesco..., 1895, p. 2). Pochi giorni dopo, il 30 gennaio 1279, nominò un procuratore per l’affitto di una tettoia a Siena, sempre assieme al fratello (Marti, 1953, p. 60). Il legame di parentela con Mino – importante non solo ai fini della ricostruzione di un profilo biografico di difficile definizione, ma soprattutto dirimente nelle questioni attributive – viene ulteriormente confermato dalla registrazione nei Libri di Biccherna del pagamento di un dazio («Item XII lib., VI sol., X den. a Meo et Mino Simonis Sorelle de Talomeis», in Archivio di Stato di Siena, Libri d’entrata e uscita (1284), n. 86, c. 63v; cfr. Codice diplomatico dantesco..., 1895, p. 3).
Partecipò, in qualità di rappresentante della famiglia, nella stipula della pace tra guelfi e ghibellini del 29 settembre 1280, ratificata, sempre alla presenza del poeta senese, il 13 ottobre dello stesso anno (cfr. Marti, 1953, p. 61). Il caleffo vecchio (1940, p. 1172, n. 922) segue le vicende della stipula dalla nomina del notaio Giovanni Paganelli, scelto per convalidare la pace, alla conclusione «osculo pacis interveniente» del 17 ottobre (p. 1134, n. 910); il 31 ottobre dello stesso anno la pace fu resa definitiva alla presenza delle illustri famiglie senesi dei Tolomei, dei Salvani e dei Guinigi. In tutte queste occasioni fu Meo «Simonis Sorelle» a rappresentare la propria parte.
Il 7 maggio 1285 si unì in matrimonio con Mita di Bindino Salvani, sancendo così una tregua molto auspicata tra le due famiglie rivali; il Comune di Siena, verosimilmente favorevole a una risoluzione pacifica dell’antagonismo, dotò la sposa di 600 lire, come riportato nella c. 34 dei Libri di misture della Biccherna (cfr. Marti, 1953, p. 62). Qualche anno più tardi, nel secondo semestre del 1290 e nel primo del 1291, prese parte al Consiglio generale per il terzo di Camollia, come indicato nei registri 40 e 43 delle deliberazioni del Consiglio generale di Siena. A quest’altezza cronologica, iniziò l’ascesa politica di Mino, che prese il posto del fratello tra i consiglieri per il Terzo, per poi avviare una carriera politica che lo vide, tra l’altro, diventare podestà di San Gimignano nel periodo in cui Dante Alighieri vi si recò in qualità di ambasciatore (7 maggio 1300); il prestigio di Meo andava contestualmente scemando, pur essendo stato rinominato, nel 1295, nel Consiglio per il Terzo di Camollia. Tra i vari indizi, va posta particolare attenzione all’aspetto economico: se ancora nel 1291 una nota mette in luce come Meo dovesse pagare una quota di imposta inferiore a quella del fratello Mino su un prestito del Comune di trentamila lire, la notizia della vendita di un «domum, terram et vineam» a «Mino fratri suo», datata al 19 marzo 1295 nel Libro di Gabella di Siena (c. 51v, cfr. Codice diplomatico dantesco..., 1895, p. 3), conferma lo stato di indigenza economica in cui il poeta era caduto progressivamente. Inoltre, come indicato nei Libri delle Riformagioni (1299-1307) alla data del 18 aprile 1300, Meo prestò denaro a tasso di interesse a un Vanni di Francesco di Guido, detto lo Scelto (Marti, 1953, p. 63); sulla base di questa testimonianza, Marti desume che Meo praticò l’usura e gli attribuisce il sonetto Caro mi costa la malinconia, che invece Bruni Bettarini (1974, p. 39) scarta dal corpus dell’autore. L’ultima presenza di Meo dei Tolomei risale al 3 giugno 1310, quando, assieme a molti altri membri della famiglia, nominò una serie di procuratori in una causa processuale; è possibile dunque collocare la data di morte dopo il 1310 (Marti, 1953, p. 63).
La figura poetica di Meo dei Tolomei riemerse nei testimoni di lirica italiana delle origini a seguito della scoperta, nel 1914, del codice della Biblioteca Escorialense III.23, dove, alle cc. 77v e 82v, al nome di «Meo di Scemone fratel di Messer Min çeppa» e «Meuzzo di Tallom [...] de Siena» corrispondono rispettivamente il caribetto, testo curioso e metricamente originale, e diversi sonetti che, anonimi nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Chig. L.VIII.305, erano stati attribuiti al concittadino Cecco Angiolieri da tutta la tradizione critica, a partire da Alessandro D’Ancona (1874). Per alcuni anni ancora Meo dei Tolomei occupò un ruolo marginale negli studi sulla poesia comica, che pure andavano approfondendosi: nell’imponente opera di Aldo Francesco Massera (1920), la serie di sonetti anonimi del prestigioso canzoniere Chig. L.VIII.305 (in particolare i componimenti n. 396, 435-437, 442-444. 479-480) furono attribuiti d’ufficio a Cecco Angiolieri. La testimonianza, ormai nota, dell’Escorialense, fu respinta arbitrariamente, come segnalò, pochi anni dopo l’uscita della prima edizione, Adele Todaro (1934, pp. 39-48), che restituì quindi i componimenti anonimi del Chigiano a Meo dei Tolomei – il cui profilo biografico era ancora sconosciuto –, ridimensionando drasticamente l’importanza attribuita dal precedente editore al codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Chig. L.VIII.305. Dunque, isolata e riconosciuta la personalità poetica e l’originalità stilistica del «Meuzzo» citato nelle due rubriche dell’Escorialense (nonché nel canzoniere di Niccolò de Rossi della Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 3953, dove a «Meuzzo dei Tolomey» è attribuito il sonetto Non è largeza penso ne la mente, per cui cfr. Bruni Bettarini, 1974, pp. 84 s.) e forse corrispondente al destinatario di due sonetti di Dante Alighieri e Cino da Pistoia, rispettivamente Se Meuccio t’è mostrato e Meuccio, i’ feci una vista d’amante, Marti fornì una prima ricostruzione della biografia del poeta senese. L’interesse dello studioso per gli aspetti stilistici della poesia di Meo dei Tolomei, in particolare per la tecnica del vituperium ad personam, rivolto alla madre, a Mino, detto Zeppa, e a Ciampolino (cfr. Marti, 1953), ha permesso non solo di mettere in luce le caratteristiche di una poesia che si è posta in dialogo, senza per questo appiattirvisi del tutto, con l’egemonia angioleresca, ma anche di ampliare il numero di sonetti attribuiti con certezza a Meo (per una ricostruzione delle questioni attributive, cfr. Bruni Bettarini, 1974, p. 35, n. 1).
Fonti e Bibl.: A. D’Ancona, Cecco Angiolieri da Siena: poeta umorista del secolo decimo terzo, in Nuova Antologia, XXV (1874), pp. 5 ss.; Codice diplomatico dantesco. I documenti della vita e della famiglia di Dante Alighieri, I dispensa, a cura di G. Biagi - G.L. Passerini, Roma 1895, pp. 2-5; A.F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Bari 1920; A. Todaro, Il caribetto «A nulla guisa» di Meo di Simone dei Tolomei, in Bullettino senese di storia patria, IV (1933), pp. 147 ss.; Ead., Sull’autenticità dei sonetti attribuiti a Cecco Angiolieri, Palermo 1934; Il caleffo vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini, III, Siena 1940, pp. 904-1414; L. Russo, La letteratura comico-realistica nella Toscana del Duecento e Rustico di Filippo, in Id., Studi sul Due e Trecento, Roma 1946, pp. 159-253; M. Marti, Sui sonetti attribuiti a Cecco Angiolieri, in Giornale storico della letteratura italiana, CXXVII (1950), pp. 253-274; Id., La tecnica del vituperium in Meo dei Tolomei da Siena, in Id. Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953, pp. 58-82; Rimatori comico realistici del Due e Trecento, a cura di M. Vitale, I-II, Torino 1953, pp. 7-60; M. Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 254-285; G. Contini, Poeti del Duecento, II, Milano-Napoli 1960, pp. 389, 393, 397 s., 435 s., 654, 755, 883; A. Bruni Bettarini, Le rime di Meo dei Tolomei e di Muscia da Siena, in Studi di filologia italiana, XXXII (1974), pp. 31-98; M. Berisso, Poesia comica del medioevo italiano, Milano 2011, pp. 225-240; Opere di dubbia attribuzione e altri documenti danteschi, III, Codice diplomatico dantesco, a cura di T. De Robertis et al., Roma 2016, pp. XXXI, XXXIII, 178.